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PARLIAMO UN PO' DI FOIBE
by morfeo Friday, Nov. 29, 2002 at 10:37 AM mail:

o ne devono parlare solo LORO?


RACCOLTA DIFFERENZIATA SULLE FOIBE

http://www.cronologia.it/mondo38v.htm
http://www.intermarx.com/ossto/foibe.html
http://www.intermarx.com/ossto/revis2.html
http://www.kwlibri.kataweb.it/storia/storia_010702.shtml
http://www.foibe.net

in più aggiungo:
http://www.romacivica.net/anpiroma/DOSSIER/Dossier1a8.htm
(Non ne estraggo niente, andatelo a vedere)



L’HO PROMESSO E LO FACCIO (ti ricordi, Beartien?)
È importante cercare le verità storiche anche e soprattutto su eventi che sono diventati “simbolici”.
Quello delle foibe (che mi tocca molto da persona di estrema sinistra ma figlio di profughi d’Istria in parte partigiani slavi in parte italiani antifascisti ma comunque perseguitati alla fine sia dai nazisti che dai titini) è un punto che è diventato tabù per la sinistra e occasione di strumentalizzazioni per l’estrema destra. Quindi più che di verità storica possibile si parla soprattutto di confrontare fonti e voci.
Quindi ho fatto il solito giochino “shakin’the tree” cercando però di evitare la miriade di siti dichiaratamente fascisti o similtali che raccontano solo la loro versione. Ho cercato più possibile fonti teoricamente neutre. Anche se mi sembra di capire che la Cernigoi e Oliva abbiano un taglio “ da sinistra” e Scotti uno “di centro” mentre l’ultimo tratto da foibe.net. è pesantemente da destra ma l’ho messo perché non si dichiara di parte e comunque per completezza di visioni. Mi piacerebbe postare un articolo del novembre 1994 di “Storia e Dossier” sulle foibe ma me lo dovrò ricopiare tutto e quindi passerà un po’ di tempo (non l’ho trovato in rete).
Contro tutte le visioni pregiudiziali, una volta per tutte, e in risposta ai fascisti che dicono che siamo capaci solo di Parlare dei massacri che “ci fanno comodo”.
Morfeo

PS Di tutto quello che segue non cambio una virgola se non per un minimo di editing.


Claudia Cernigoi, Operazione foibe a Trieste, Edizioni Kappa Vu, Udine 1997

-Operazione foibe a Trieste.
-Come si crea una mistificazione storica:
-dalla propaganda nazifascista attraverso la guerra fredda fino al neoirredentismo.

E' questo il titolo del libro di Claudia Cernigoi. L'autrice (che è giornalista pubblicista dal 1981, ha collaborato alle prime radio libere triestine ed oggi dirige il periodico "La nuova alabarda") ha deciso di indagare sulle "foibe" per dare una mano a mettere la parola fine alle speculazioni politiche su questo argomento. Il libro è edito dalle Edizioni Kappa Vu, per la collana I Quaderni del Picchio (Udine, luglio 1997); il prezzo di copertina è di lire 22mila.

Un altro libro sulle foibe? Certamente, perché in questo libro si affronta il problema da un'angolazione del tutto diversa da come si è finora parlato di foibe: innanzitutto valutando cosa c'é stato "prima" (storicamente parlando); analizzando poi come si sono svolti i fatti "durante" ed infine cosa è successo "dopo", ovvero come la propaganda reazionaria è riuscita a costruire il "caso foibe".
"Prima" delle foibe ci sono stati vent'anni di fascismo, violenze, snazionalizzazioni forzate, repressione feroce per gli oppositori del regime, una guerra d'aggressione che coinvolse anche popolazioni civili che furono sterminate e deportate: di questo si parla nel capitolo "A Trieste la storia non inizia il 1. maggio 1945", di questo e delle varie formazioni armate che operarono nella zona e furono poi "vittime" delle "deportazioni". Si parla qui anche dell'orrendo fenomeno del collaborazionismo dei "civili" coi nazifascisti, fenomeno non ancora sufficientemente analizzato dagli storici locali.
Come si sono svolti i fatti "durante"? Ovvero: facciamo finalmente quella che viene definita, con un'espressione orribile, la "contabilità degli infoibati", cosa che finora nessuno storico ha voluto fare, vuoi per un malinteso senso di rispetto per i morti, vuoi per mero rifiuto di fare chiarezza sulla questione. Ma se vogliamo rispettare i morti dobbiamo fare chiarezza storica sulla loro morte, ed è anche per rispetto dovuto ai vivi che si deve dire chi è morto, e come, e perché è stato ucciso, che cosa ha realmente fatto in vita; perché gli innocenti sono innocenti, però i criminali di guerra non lo sono, e queste sono cose che vanno dette. Contabilità dei morti, dunque: e al di là delle roboanti cifre sparate da vari pseudo-storici, in questo libro si dimostra che dall'attuale provincia di Trieste nei fatidici "40 giorni" sono scomparse 517 persone, suddivise in queste categorie: Guardia di Finanza: 112; Militari di formazioni varie: 151; Polizia (compresi membri delle SS): 149; civili (compresi collaborazionisti e spie di vario tipo): 105. Con queste cifre non si può quindi parlare di genocidio, né di pulizia etnica, e neppure di violenza politica finalizzata alla conquista del potere.
Infine in questo libro si delinea la manovra propagandistica che ha portato a creare la "mitologia della foiba": dai libelli nazisti sulle foibe istriane apparsi gi à alla fine del '43, ai documenti creati dai servizi segreti della X Mas (1) e diffusi durante la guerra, ai testi mistificanti di Bartoli, Papo, Pirina, fino alla recente inchiesta sulle foibe istriane condotta dal P.M. romano Pititto.
Un capitolo particolare è dedicato alla cosiddetta "foiba" di Basovizza, monumento nazionale, che è in realtà il pozzo di una vecchia miniera abbandonata. Documenti alla mano, a noi non risulta che dentro quel pozzo vi siano salme di infoibati, né i 300 metri cubi incisi sulla lapide fino all'anno scorso, né tantomeno i 500 metri cubi che sono comparsi sulla lapide solo un paio di mesi fa: per questo, per fare chiarezza storica e politica una volta per tutte, chiediamo che si apra il pozzo e si verifichi che cosa c'é dentro. Una volta verificato questo si potrà decidere se e perché andare ad inginocchiarsi sulla "foiba", e in onore di chi.

a cura della Redazione de "La Nuova Alabarda"
direttore responsabile Claudia Cernigoi, C.P. 57 - Trieste Fax 040-577316



(1) La "Decima Mas" era quel corpo della marina militare dell'Italia fascista prima, e della RSI poi, che fu riciclato dagli angloamericani nel '45/'46 in funzione anticomunista e costituì il nucleo originario della più nota struttura "Gladio" (il gladio era il simbolo della X Mas). Il suo capo, Junio Valerio Borghese, ha svolto un ruolo attivo nella politica italiana "dietro le quinte" fino agli anni '70, quando scoppiò il caso del progettato golpe che porta il suo nome.



la prefazione di Sandi Volk

Credo che il lavoro di Claudia Cernigoi sia una specie di lezione per la categoria di persone che si occupano professionalmente di storia, alla quale appartengo, che tanto scarsa prova di sé hanno dato nell'affrontare la questione delle foibe. Mentre infatti paleo e neo revisionisti e fascisti, largamente finanziati da privati e da istituzioni pubbliche , inviano i loro libercoli propagandistici a magistrati e scuole, dove poi vengono invitati - per ignoranza o peggio - atener lezione sul "genocidio di italiani nella Venezia Giulia", gli storici professionisti "democratici" (salvo rare e perciò ancor più apprezzabili eccezioni, che peraltro non trovano spazio sugli stessi media che ne offrono in abbondanza a Pirina & Co.) non si degnano di affrontare seriamente la questione per metter fine alle strumentalizzazioni, ma si dedicano, nel migliore dei casi, a girare intorno all'argomento e a dotte riflessioni su giornali e TV, che generalmente giungono a una conclusione comune: quanto fossero cattivi i comunisti, e gli "slavocomunisti" in particolare, e come le masse combinino orrori quando si muovono per modificare a proprio favore equilibri sociali ormai insopportabili. E nel fare tutto questo si danno sostanzialmente per buone cifre e tesi presentate dai revisionisti, limitandosi a formulare ipotesi sulle motivazioni dei presunti "massacri".
Ma come biasimare gli storici "democratici", se poi a scatenare l'ultima campagna propagandistica sulle foibe a livello nazionale è stata la "sinistra democratica" ora al governo! Essi in realtà non fanno che adeguarsi (con maggiore o minore convinzione) al clima della "pacificazione nazionale" (che partendo dalla comprensione per i fascisti arriva a farne dei martiri dell'"italianità"), finalizzata al ricompattamento politico della borghesia italiana e a fornire un supporto ideologico alla nascente Seconda Repubblica e alle sue mire da potenza regionale. Indirizzandosi queste mire in primo luogo verso obiettivi tradizionali, come l'Albania e le regioni confinarie slovene e croate, ecco rimessi in campo anche gli altrettanto tradizionali strumenti propagandistici e di pressione su Slovenia e Croazia, da sempre inscindibilmente legati fra loro: foibe ed esodo. E non si può non accorgersi di come le campagne stampa su questi temi preparino il terreno, con l'aizzamento dell'odio nazionale, a un eventuale energico intervento di "riparazione dei torti subiti".
Il lavoro di Cernigoi, anche se affronta la questione foibe nel solo territorio della provincia di Trieste, era quindi più che necessario. L'autrice non nega la realtà delle foibe, né gli eccessi e le vendette personali, ma attraverso una ricerca rigorosa riporta il fenomeno fuori dal mito, presentandoci sull'argomento un lavoro agile, ma organico e completo. I risultati immediati del lavoro (presentato già in parte sul periodico La Nuova Alabarda) sono tutt'altro che disprezzabili (tenuto conto poi del fatto che i media locali ne hanno costantemente taciuto) avendo infatti costretto Pirina a ritirare "spontaneamente" dal commercio il suo "Genocidio" per correggerne gli "errori". Ma è stata anche messa in serissimo dubbio l'esistenza di infoibati in quella che è la foiba-simbolo di Trieste, quella di Basovizza (lo "Soht"), dichiarata monumento nazionale non molti anni fa e sulla quale si svolgono ogni anno celebrazioni, alle quali partecipano autorità e picchetti d'onore militari.
I meriti maggiori del libro sono però due: l'aver affrontato la questione di chi e quanti fossero gli infoibati nella zona di Trieste e la ricostruzione, breve ma esaustiva, della storia dell'utilizzo propagandistico delle foibe. Il curriculum di squadristi, aguzzini, spie e altro, nonché la presenza tra gli uccisi di diversi sloveni, smentisce nel modo migliore la tesi degli infoibati uccisi solo in quanto italiani e chiarisce i veri motivi del fenomeno foibe.
Per quel che riguarda il numero degli infoibati si tratta di ristabilire semplicemente la verità storica - quella di un fenomeno limitato - di fronte alle cifre iperboliche letteralmente inventate dagli ambienti nazionalisti e (neo)fascisti. La ricostruzione delle vicende dell'uso propagandistico del tema foibe dimostra come la cosa venga da lontano e come quella intorno alle foibe sia stata, e sia tuttora, una operazione di vera e propria "dezinformacija", di guerra propagandistica, e lascia intravedere, per gli ambienti in essa coinvolti (X Mas), collegamenti con altre operazioni (per es. Gladio). E risulta molto più plausibile anche l'ipotesi che la costante riproposizione delle sparate propagandistiche sulle foibe faccia parte di un progetto politico molto più ampio (comprendente per esempio l'insediamento massiccio di esuli a Trieste) per mantenere alta la tensione nazionale in queste terre di confine.
Ed è proprio a partire da questo ultimo tema, che indica prospettive di ricerca tutte da percorrere, che vorrei fare alcune considerazioni generali più ampie. Contro il revisionismo, ormai divenuto dottrina semi-ufficiale anche della sinistra di governo, non serve a mio avviso cercare di difendersi, come fanno parte degli ex comunisti locali sulla questione delle foibe, vantando meriti patriottici e scaricando le presunte responsabilità sui comunisti sloveni e croati, facendo così il gioco di chi vuole ridurre tutto a contrapposizione nazionale. A mio avviso la sfida del revisionismo va accettata ritorcendogli contro i suoi stessi argomenti, come ha fatto l'autrice di questo libro, e abbandonando l'impostazione oleografica della Resistenza. La Resistenza non è stata infatti solamente lotta di liberazione nazionale, ma anche lotta per il potere da parte della classe operaia e delle altre classi subalterne.
Nella Resistenza c'era chi lottava per questi obiettivi e chi (per sua stessa ammissione) c'era entrato per impedire che tali obiettivi si realizzassero, se necessario anche con le armi e con l'aiuto dei fascisti, e riconsegnare il potere nelle mani di quella borghesia che il fascismo lo aveva finanziato e messo al potere. Come dimostra anche la vicenda delle foibe i connubi con i fascisti sono continuati anche nel dopoguerra, tanto che lo stesso assioma secondo il quale la Repubblica sarebbe nata dalla Resistenza va messo in discussione, viste le persecuzioni dei partigiani comunisti e le stragi di operai e contadini attuate da quella stessa Repubblica (con largo ricorso a personale fascista) fin dall'immediato dopoguerra (per non parlare delle successive "Stragi di Stato").
Alla luce di queste considerazioni e di quanto dice questo libro risulterà forse più chiaro come mai ogni anno rappresentanti ufficiali delle istituzioni repubblicane si rechino alla foiba di Basovizza ad onorare la memoria di "martiri dell'italianità" del tipo di quelli che ci descrive Claudia Cernigoi. Ed i primi a sentirsi offesi dal fatto che l'italianità venga rappresentata dai "martiri" di tale risma, dovrebbero essere proprio quegli italiani che desiderano rispettare se stessi ed essere rispettati dai popoli vicini.

Trieste, giugno 1997
Sandi Volk, ricercatore storico


Su “Foibe” di Gianni Oliva
Uno sguardo in quelle foibe: quante furono le vittime di quella sordida guerra di sterminio che avvenne in Venezia Giulia e nell'Istria? Cifre misteriose, spesso sovradimensionate da coloro, gli eredi dei fascisti, che hanno sempre cercato di ingigantire o, addirittura, di falsare i dati per motivi politici
di Franco Giustolisi


Criminale, brutale, feroce: questo fu il fenomeno delle foibe. Che fu anche la risposta, dopo l'otto settembre del '43, ad un altro fenomeno, quello della brutalità, della ferocia e della criminalità del fascismo. Ne scrive Gianni Oliva in "Foibe, le stragi negate degli italiani della Venezia Giulia e dell'Istria", edizioni Le Scie - Mondadori. Quante furono le vittime? Un conteggio difficilissimo che varia dalle cifre assai sovradimensionate di coloro, gli eredi dei fascisti, che hanno sempre cercato di ingigantire o, addirittura, di falsare i dati per motivi politici; alla sponda opposta chi ha tentato invece di sottovalutare, per opposti motivi, i fatti di quegli anni.

Innanzi tutto agli "infoibati", cioè coloro che furono gettati negli inghiottitoi carsici e che non vennero sempre recuperati, vanno aggiunti i prigionieri deceduti nei campi di concentramento della Slovenia e della Croazia; «la cifra più diffusa nell'opinione corrente varia da dieci a dodicimila, ma secondo i ricercatori dell'istituto friulano si arriva a questa quantificazione conteggiando anche i morti e i dispersi in combattimenti tra il 1943 e il 1945. La stima scientificamente più credibile si attesterebbe pertanto sull'ordine delle quattro-cinquemila vittime...A queste vanno aggiunte quelle di nazionalità slava in tutto, quindi, intorno alle diecimila».

Ma bisogna dividere i due periodi: quello dell'occupazione fascista sino ai giorni successivi all'otto settembre e quello che contrassegnò l'occupazione jugoslava. Nel periodo fascista Mussolini vuole italianizzare completamente tutto il territorio. Gli slavi non possono più parlare la loro lingua, conservare le loro abitudini. L'esordio è l'incendio dell'hotel Balkan, la casa del popolo, sede centrale delle organizzazioni economiche e culturali degli sloveni, un imponente edificio di sei piani al centro di Trieste. «Le grandi fiamme del Balkan purificano finalmente la città», scrive trionfante il direttore del "Piccolo" che è diventato il giornale delle camicie nere.

Seguono altri assalti squadristici anche a Pola, Gorizia, Gradisca. E' il "fascismo di confine", se possibile ancor più duro e brutale di quello attuato nel resto della penisola. «Di fronte ad una razza inferiore e barbara come la slava, non si deve seguire la politica dello zuccherino, ma quella del bastone», tuona il duce. Si vieta l'uso di lingue che non siano l'italiano, vengono italianizzati i cognomi. Le organizzazioni ricreative culturali slovene e croate vengono soppresse e i loro beni confiscati, gli insegnanti delle scuole devono essere italiani, i sacerdoti slavi vengono aggrediti, le canoniche devastate, vengono sciolte le leghe delle cooperative di Gorizia e di Trieste, i contadini sono costretti a lasciare le loro terre, a vendere a prezzo bassissimo il bestiame, i tribunali speciali lavorano a pieno regime irrorando pene di morte e di ergastolo.

Ancor più pesante il clima quando l'Italia invade la Jugoslavia. Basti pensare che il generale Mario Robotti, comandante della II armata dislocata in Slovenia, Croazia e Dalmazia, ha il coraggio di affermare: «qui si ammazza troppo poco». Cade infine il fascismo, l'apparato militare si liquefà e scattano le vendette: fascisti, parafascisti, insegnanti, funzionari comunali, vengono legati con il fil di ferro l'uno all'altro, si spara sul primo che cadendo nella foiba trascina anche gli altri. Ci vanno anche di mezzo, come sempre accade in queste circostanze, persone che fasciste non sono ma che sono fortemente invise da alti per i più svariati motivi o i cui beni si cerca di accaparrare. Si salveranno i gerarchi e gli alti gradi militari che sono già fuggiti.

Il periodo jugoslavo. Arrivano le armate che portano sul berretto la stella rossa. Non vanno per il sottile, il maresciallo Tito, forte dell'appoggio dell'Unione Sovietica, vuole far suo tutto il territorio, comprese Trieste e Gorizia. L'ondata degli infoibamenti, delle fucilazioni, delle deportazioni si fa sempre più intensa: non è contro i fascisti o contro gli italiani o contro i comunisti. E' contro tutti coloro che si oppongono all'annessione. Togliatti è costretto ad un gioco ambiguo perché da una parte ci sono le legittime aspirazioni nazionali, dall'altra quelle politiche che portano ad appoggiare l'est piuttosto che l'ovest. Poi il territorio verrà diviso in zona A e zona B, mentre Trieste rimarrà sotto il controllo degli alleati sino al 1954. Un contesto drammatico in cui si inserisce la Risiera di San Sabba, cui Oliva dedica un capitolo: il campo di sterminio allogato in un vecchio complesso di edifici dell'epoca austroungarica costruito per la pilatura del riso. Qui verranno trucidate dai nazisti dalle tre alle quattro mila persone.

--------------------------------------------------------------------------------
Gianni Oliva, "Foibe, le stragi negate degli italiani della Venezia Giulia e
dell'Istria", Mondadori, pp. 206, euro16

Processo alle Foibe, processo alla Resistenza
di Claudia Cernigoi

Il G.I.P. di Roma ha deciso il rinvio a giudizio di Ivan Motika ed Oskar Piskulic (la terza indagata, Avjanka Margitic, è deceduta alcuni mesi or sono), imputati di omicidio plurimo per essere stati, secondo le "indagini" condotte dal P.M. romano Giuseppe Pititto "mandanti e carnefici" degli infoibamenti, Motika in Istria nel settembre/ottobre `43 e Piskulic a Fiume nel maggio `45.
Ma come s'è svolta l'inchiesta di Pititto? E' partita da una denuncia presentata nel 1994 dall'avvocato Sinagra (noto alla cronaca per essere stato il legale di fiducia di Licio Gelli e asserito membro della loggia P2) e si distinse perché il P.M., ancora prima di avere raccolto un numero consistente di indizi e testimoni, partì subito in quarta preannunciando incriminazioni per "genocidio" contro un'ottantina di persone. Scrive infatti il quotidiano triestino "Il Piccolo" del 15.11.94, in un articolo dal titolo "Un libro che mira a svelare le tane dei torturatori titini" e che riferisce della presentazione del libro "Scomparsi..." di Marco Pirina (della figura di Pirina parleremo più diffusamente dopo): < Nei loro confronti (dei "sospetti protagonisti di stragi ed esecuzioni", indicati da Pirina nel suo libro, n.d.r.) l'avvocato Augusto Sinagra avrebbe presentato alcuni mesi fa una denuncia alla procura di Roma in relazione al reato di strage. >.
Ed in un articolo successivo (24.11.95) lo stesso quotidiano dà notizia del fatto che l'inchiesta sulle foibe è stata affidata ad un magistrato di Roma: < Pititto ha sulla propria scrivania il fascicolo relativo al dramma delle foibe solo da poche settimane. Lo ha ereditato dal collega Gianfrancesco Mantelli, trasferitosi al Ministero. E, per studiare come far procedere l'indagine, Pititto ha incontrato nei giorni scorsi l'avvocato Sinagra: tra l'altro il magistrato ha già annunciato di voler acquisire alcuni memoriali e di voler ascoltare padre Rocchi, uno dei personaggi più noti tra gli esuli >.
Chi è padre Rocchi? E' un frate francescano che disse di se stesso, in un'intervista apparsa sul "Piccolo" il 4.5.94. "sono strambo ed approfitto del saio che porto". La sua preparazione storica è tale che dichiarò al P.M. Pititto: "Dopo l'8 settembre del 1943, le truppe jugoslave occuparono l'Istria, comprese le città di Trieste, Gorizia e Monfalcone. Ebbe inizio una dura pulizia etnica contro gli italiani considerati come delle impurità etniche. In questo clima scomparvero dai 10 ai 12 mila civili italiani, uomini e donne, uccisi dai partigiani titini, molti dei quali infoibati, per il semplice fatto di essere italiani". (Queste dichiarazioni sono inserite nella requisitoria di Pititto, pubblicata su un settimanale triestino, "Il Meridiano" ed anche in un pamphlet dal titolo "Il rumore del silenzio", edito da Azione Giovani).
Ora, solo un perfetto ignorante in fatti storici può dare per buone certe affermazioni, perché dovrebbe appartenere alla cultura generale il fatto che dopo l'8 settembre 1943 Trieste, Gorizia e Monfalcone furono invase sì da un esercito, che però era quello tedesco, non quello jugoslavo; e che pure l'Istria fu occupata dai tedeschi a metà ottobre `43, dopo un breve periodo di "potere popolare". Dalle foibe istriane furono recuperate dai tedeschi, nel novembre successivo, circa 250 salme, presumibilmente di persone uccise dai partigiani. Le dodicimila persone cui fa riferimento Rocchi potrebbero anche essere scomparse da quelle zone, però chi le fece sparire non furono certo i "titini" ma i nazifascisti, che per "riportare l'ordine" nelle zone istriane precedentemente controllate dai partigiani avrebbero ucciso (secondo cifre da loro stessi riportate all'epoca) circa 13.000 persone; senza contare tutti i militari italiani in rotta che furono deportati nei lager tedeschi e via di questo passo. (Le deportazioni di partigiani ed Ebrei inizieranno un po' dopo).
Nel già citato articolo del 24 novembre, vengono riferite anche altre prese di posizione di Pititto, che nonostante abbia "solo da poche settimane" sulla scrivania il fascicolo dedicato alle foibe, è già giunto a trarre le conclusioni. Un problema sul quale gli storici dibattono da cinquant'anni, lui l'ha risolto in poche settimane! Un bel record, in effetti. Ma come l'ha risolto? In un'altra intervista (apparsa sul "Piccolo" il 17.2.1996) dice di avere scoperto i colpevoli e, a domanda dell'intervistatore: "Di quali fatti in particolare sono ritenute responsabili le persone che lei ha individuato?", Pititto risponde "Tutti i fatti che attengono all'accusa di genocidio...". Genocidio: come il titolo del libro pubblicato da Pirina un paio di mesi prima e che, casualmente (?) riporta un'ottantina di nomi di presunti "responsabili"; anche Pititto parla di "un'ottantina di responsabili" nell'intervista... Scopriremo poi, sempre dalla stampa, che l'avvocato Sinagra nominò quale suo consulente storico, proprio Marco Pirina. Ma prima di passare ad analizzare un po'meglio la figura di Pirina, vediamo su quali basi Pititto chiede l'incriminazione per "genocidio"di queste persone.
Nella requisitoria si cita una testimonianza di Luigi Papo, che parla di 400 italiani infoibati a Pisino ed afferma: "So che il responsabile dell'infoibamento di questi quattrocento italiani fu il Matika, per averlo sentito dire da amici e congiunti delle vittime".
Luigi Papo, che durante la guerra si rese responsabile di rastrellamenti, esecuzioni sommarie e rappresaglie in Istria, è autore di diversi scritti sulla "tragedia istriana" (cioè i "crimini" dei partigiani titini, le foibe ed il conseguente "esodo" degli italiani dall'Istria); dimentica però di parlare, nelle sue opere, del comportamento delle forze di occupazione nazifasciste. In ogni caso, a parte che nella fattispecie non si tratta di un testimone neutrale, non ci sembra che una testimonianza "per sentito dire", com'è quella citata, possa essere considerata valida dai magistrati per far condannare una persona, soprattutto per reati così gravi come quelli di cui si tratta.
Le altre testimonianze contro Motika (che, per la cronaca, era giudice del Tribunale del Popolo a Pisino nel breve lasso di tempo - circa tre settimane - in cui i partigiani avevano il controllo della zona) non sono molto più circonstanziate. Alice Stefani (che all'epoca aveva sedici anni) dice: "Il Matika (è interessante che in queste testimonianze Motika venga sempre citato come "Matika") era il capo (...) Quando dico che era il capo di tutta la zona intendo dire che era il capo in tutta l'Istria (...) non è che si dicesse dal parte della gente che lo fosse. Lui era il capo di tutta la zona".
Rosina Nessi, altra teste, è altrettanto categorica: "Tutti dicevano che il capo era Motika".
In sostanza Pititto sostiene che visto che tutti dicevano che Motika era il capo allora il capo era Motika perché tutti dicevano che lo era. Perfetto.
Quanto a Piskulic le cose non sono molto diverse. Dice Claudio Schwarzenberg ("sindaco del libero comune di Fiume in esilio", legato ad Alleanza Nazionale) che "Piskulic fu responsabile dell'insanguinamento di Fiume nell'anno 1945".
Questi in sintesi i presupposti sui quali Pititto s'è basato per chiedere il rinvio a giudizio dei due indagati, e (il che non depone a merito della preparazione del GIP sull'argomento) sui quali il GIP ha deciso per il rinvio a giudizio. L'inizio dell'udienza è fissato per il 7 gennaio prossimo in Corte d'Assise a Roma.

Passiamo ora ad analizzare invece la figura del consulente storico di Sinagra, Marco Pirina. Pirina, esponente del FUAN a Roma negli anni Sessanta, poi leader del Fronte Delta, fu incriminato per il tentativo di golpe di Junio Borghese del 1970; fu prosciolto, come tutti gli imputati. Negli anni Ottanta iniziò a pubblicare, attraverso una casa editrice di proprietà sua e della moglie, una serie di testi di revisionismo storico, tesi a dimostrare la "barbarie" dei partigiani (soprattutto se "slavi" o "comunisti") ed a minimizzare i crimini commessi dai nazifascisti. Pirina in realtà di storia non ne capisce molto, però è un buon mistificatore, difatti (come dimostrato nel libro "Operazione foibe a Trieste" di Claudia Cernigoi, edito dalla Kappavu di Udine), nel suo libro "Genocidio..." del `95, ha dato per "uccise dai partigiani solo perché italiane" nella zona di Trieste 1458 persone, inserendo in questo elenco un 64% di nomi di persone che non c'entrano per niente, perchè, o si tratta di uccisi per altri motivi (anche partigiani e deportati nei lager tedeschi!), o di persone arrestate e poi rimpatriate, o addirittura di diversi nomi duplicati per errori di trascrzione o perché scomparsi in Istria o nella zona di Gorizia, dove Pirina li lascia tranquillamente presenti in due o più elenchi, facendo così in modo di far lievitare il numero dei morti.
Il revisonismo storico portato avanti da persone come Pirina, Papo, Rocchi, che descrive il movimento partigiano come "bande" di criminali, che si "dimentica" di spiegare che i partigiani diventarono tali (ed uccisero) non perché si svegliarono una mattina assetati di sangue, ma perché lo stato di oppressione imposto dai fascisti prima e dai nazifascisti poi, era ormai giunto ad un punto tale che non c'erano alternative, se si voleva sopravvivere; che prima delle "esecuzioni" dei partigiani, sono esistiti vent'anni di fascismo che aveva tolto tutte le libertà politiche e civili, una guerra tremenda, villaggi bruciati, rappresaglie feroci. Ma certe cose il revisionismo storico non le considera, secondo certi "storici" la storia in Istria è iniziata l'8 settembre ed è finita il 15 ottobre 1943, per poi ricominciare nei primi giorni di maggio del `45. Così a Trieste, dopo il 1deg. maggio `45, i partigiani avrebbero dovuto considerare che "la guerra era finita" (cosa non vera: tanto per dirne una, la Germania si arrese appena l'8 maggio) e che "chi ha avuto ha avuto e chi ha dato ha dato", e non si doveva più arrestare o fucilare gli "ex-fascisti" (come se il fatto che il fascismo fosse stato sconfitto portasse automaticamente la conseguenza che chi fino al giorno prima era fascista, aveva torturato ed ucciso, improvvisamente non poteva più essere ritenuto responsabile di nulla).
Ma questa teoria, fino a pochi anni fa patrimonio esclusivo della destra più retriva, ha ormai attecchito, disgraziatamente, anche in certi settori della sinistra, o quantomeno di una parte politica che si autodefinisce di "sinistra" ed anche "democratica"; l'abbiamo visto nel recente incontro "pacificatore" tra Fini e Violante a Trieste.
Qual è il risultato di tutto questo? Che in tutta Italia (non si tratta quindi solo di problemi legati alle zone di Trieste e dell'Istria) è iniziata la "caccia al partigiano assassino": in Piemonte come a Roma (per i fatti di via Rasella), si sta cercando di dimostrare che i partigiani erano "banditi", proprio come li definivano i nazifascisti; che si sono parificati i crimini nazifascisti alle azioni partigiane; che, forti del fatto che gli "slavocomunisti" hanno "infoibato" italiani in Istria e da questo "terrore" è poi dipeso l'esodo degli Istriani verso l'Italia, adesso l'Italia ha dei diritti su quelle terre, come ha avuto modo di dichiarare Sinagra in alcune conferenze tenute a Trieste: "lo stato italiano rivendica un diritto storico su regioni che sono italiane anche se provvisoriamente non lo sono"; oppure, come ebbe a dire nella stessa occasione il giornalista Biloslavo (che, nonostante il cognome, si sente "italianissimo" e scrive su giornali dell'estrema destra) che "il mare Adriatico diventi un lago italiano".
Neoirredentismo? L'apparenza è tutta quella. Ma non solo. Quando Sinagra afferma, nel corso di altra conferenza, organizzata da Alleanza Nazionale (la forza politica che P.D.S. e Violante da mesi stanno cercando di "sdoganare" e di attribuirle patenti di democraticità) che "questo parlamento va chiuso", tale dichiarazione, detta da un piduista confesso, cosa può evocare se non immagini golpiste?
Si processano le foibe per processare la Resistenza, per eliminare gli "opposti estremismi" (dove Fini ed i suoi, chissà perché, non vengono più considerati "estremisti"), per giungere alla "pacificazione", per poi riprendere col discorso neoirredentista sul confine orientale. Non si tratta qui di argomenti di cinquant'anni fa, questi nodi storici che ci portiamo dietro da cinquant'anni continueranno a condizionare le scelte politiche dei nostri governi (e non solo: ci sono anche poteri occulti dietro a tutto ciò...) per decenni ancora, se non si prenderà atto dello stato delle cose e non ci si metterà a smascherare le mistificazioni che su questi argomenti continuano ad essere portate avanti.


GIACOMO SCOTTI: FOIBE Un eccezionale documento che punta alla verità storica sulle "esecuzioni" compiute durante l'insurrezione popolare antifascista

(prima parte )


INNOCENTI
E COLPEVOLI

NELL'INFERNO
A CIELO APERTO


Introduzione

di GIAN LUIGI FALABRINO

Lo studio di Giacomo Scotti sugli eccidi del settembre 1943 in Istria è volutamente limitato nel tempo e nei luoghi: non considera infatti le deportazioni e le foibe delle quali furono vittime goriziani e triestini nel maggio 1945, né lo stillicidio di vittime in Istria in mezzo ai due terribili periodi. Ma, forse appunto per queste autolimitazioni, è documentato e preciso, e presenta tre grandi meriti. Il primo è di situare la tragedia del settembre 1943 nel contesto storico più ampio del dominio fascista sulla Venezia Giulia, dal 1922 al 1943, con le proibizioni dei partiti, delle scuole, dei giornali di sloveni e croati, l'interdizione all'uso delle loro lingue, le sentenze del tribunale speciale ecc., cui si aggiunge poi la repressione antipartigiana in Slovenia e in Dalmazia nel 1941 - '43. In ciò Scotti è molto vicino alle tesi di Teodoro Sala, autore di volumi e saggi sul fascismo e la Jugoslavia, sintetizzata su L'Espresso del 19 settembre 1996.

Certo, va detto che le colpe degli uni non giustificano le colpe degli altri, e Scotti ne è ben consapevole specialmente quando parla di alcuni delitti particolarmente efferati, quali l'uccisione di Norma Carretto, colpevole di essere figlia di un fascista, o delle tre sorelle Radecchi, di 17, 19 e 21 anni. Ma il giudizio storico non si preoccupa tanto delle giustificazioni, quanto delle spiegazioni. Comprendere non è perdonare, ma sbaglia chi, da una parte o dall'altra, ancora adesso, a cinquant'anni di distanza, crede che le vittime siano da una parte sola. Il secondo merito è di avere posto, con la chiarezza della propria tesi, il problema se le foibe siano state o no un atto di genocidio. Scotti lo nega, e per il settembre 1943 sarebbe difficile credere il contrario. Semmai il problema si pone per il 1944-'45, ma con Scotti, anche Galliano Fogar sembra contrario ad ammettere il genocidio: "Non fu un piano di sterminio etnico" (in "Lettera ai compagni" del settembre 1996).

Secondo Fogar, il leader del partito comunista sloveno, Kardelj, aveva dato la direttiva di "epurare non sulla base della nazionalità ma del fascismo"; però per fascismo, chiarisce lo storico, s'intendevano "tutti gli oppositori politici, nazionali, ideologici", compresi gli uomini del CLN di Trieste e Gorizia in quanto non comunisti e oppositori delle annessioni alla Jugoslavia. Questo chiarimento di Fogar sembra dare ragione alla tesi estensiva di Nicola Tranfaglia (L'Unità del 22 agosto 1996): "Si tratta di azioni di terrorismo nazionalista che non hanno nulla da invidiare, quanto a metodi e conseguenze, ad ogni altro eccidio di quegli anni e non hanno alcuna giustificazione storica".

Del resto, anche in forme meno cruente ma certamente odiose, le intimidazioni anti-italiane continuarono anche dopo la guerra e, in quella piccola parte dell'Istria che con Trieste avrebbe dovuto costituire il Territorio Libero, addirittura fino al 1954. Del resto Milovan Gilas in un'intervista a Panorama (21 luglio 1991) aveva dichiarato: "Nel 1946 io e Edward Kardelj andammo in Istria a organizzare la propaganda anti-italiana. Bisognava indurre gli italiani ad andare via con pressioni di ogni tipo". Il terzo merito del saggio di Scotti sta nel dare un contributo, preciso e documentato, al riesame delle vicende della regione orientale, che l'Italia sembra scoprire soltanto adesso, dopo che nell'agosto 1996 Stelio Spadaro, segretario del Pds di Trieste, ha reso pubblico un suo documento "revisionista" nel quale, fra l'altro, affermava: "La sinistra italiana ha rimosso a lungo la vicenda, ora deve fare i conti con la storia".
Allora scoppiò un putiferio, la sinistra si divise, gli storici locali dimostrarono che non avevano mai ignorato le foibe, il Corriere della Sera rilanciò la questione con un editoriale, e molti intervennero con opposte interpretazioni, sia dei fatti, sia del vero o presunto silenzio della sinistra. Ci fu davvero il silenzio della sinistra? E se fu un silenzio non fu anche degli altri settori della politica e della cultura? Sono sicuro che la rimozione ci fu, e che fu generalizzata, non soltanto della sinistra, non soltanto sulle foibe, ma sull'intera vicenda della Venezia Giulia e degli esuli del 1945 - '54, ignorati o respinti come seccatori, come viventi promemoria delle conseguenze della guerra fascista che tutti volevano dimenticare. Nella sua evidente verità, appare perfino ingenua la rivendicazione dei politici e degli storici giuliani, che dicono di non aver mai dimenticato.

Claudio Tonel, dirigente del Pds triestino, il 23 agosto 1996 aveva dichiarato "Non è vero che le vicende siano state dimenticate dalla sinistra. Forse nel resto d'Italia, ma non qui. Io stesso ho curato una decina di volumi in materia e ho organizzato convegni". E Fogar ha rivendicato il molto lavoro svolto dall'Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione di Trieste. "A Trieste le foibe sono all'ordine del giorno da più di quarant'anni". Ma guai se non fosse così, in una città che ha avuto molte vittime, che ha la foiba di Basovizza nella propria periferia carsica, e che ha visto alcuni processi per le foibe, come quello del 1948 al gruppo di Villa Segré, che aveva coinvolto il celebre comico dialettale Cecchelin.

Ma quando si parla del silenzio, non ci si riferisce, evidentemente, ai convegni e alle riviste locali; si parla di tutta l'Italia al di qua dell'Isonzo, dei partiti, dei giornali, dei libri si storia. le parole più chiare e convincenti le ha scritte proprio uno storico, Nicola Tranfaglia: per lui, che si dissocia da quanti cercano di difendere i massacri dei nazionalisti jugoslavi e di trovare una giustificazione storica, "la storiografia di sinistra italiana deve scontare ancora un notevole ritardo sui problemi e sui delitti dello stalinismo". Ma chi ha vissuto quegli anni con l'interesse e con la sensibilità di chi era a Trieste fra guerra e dopoguerra, sa che il silenzio non fu soltanto della storiografia e non soltanto della sinistra. Tutto lo schieramento democratico lasciò la memoria delle foibe e dell'esodo dei 300 o 350mila istriani all'interessata propaganda dei neofascisti. Questo naturalmente diffuse un velo sulle colpe fasciste e operò quella strumentalizzazione delle vicende giuliane, che Scotti giustamente deplora. Ma la responsabilità di aver lasciato soli i missini è di tutti gli altri, anche dei governi, imbarazzati, come ha scritto Ernesto Galli della Loggia (sul Corriere della Sera del 23 agosto) "per i numerosi episodi di feroce rappresaglia compiuti dalle truppe italiane che avevano occupato la Jugoslavia dal '41 al '43.

Alla richiesta di Belgrado, subito dopo la fine delle ostilità, che fossero estradati come criminali di guerra un certo numero di ufficiali italiani che di crimini del genere ne avevano quasi sicuramente commessi davvero, parve politicamente avveduto rispondere mettendo la sordina, da parte nostra, sulle atrocità commesse a loro volta dai partigiani titini nei confronti delle popolazioni italiane". L'analisi è acuta e probabilmente veritiera; ma forse le cause di una rimozione così generalizzata non possono esaurirsi nella furbizia governativa, ma debbono essere più ampie. Un'ipotesi è che l'identificazione compiuta dal fascismo di sé stesso con la patria, la riduzione fascista della storia del Risorgimento alla storia del nazionalismo, avessero portato a quel generale rifiuto del concetto di nazionalità, d'italianità, che ci ha distinti in questi cinquant'anni rispetto agli altri popoli europei. Buttare via il nazionalismo dopo l'orgia fascista era più che giusto; confonderlo con il senso, anche culturale, della nazionalità ha creato il vuoto del quale si è cominciato a discutere in Italia soltanto da quando il secessionismo di Bossi ha dato una sgradevole sveglia.

di GIAN LUIGI FALABRINO


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Testo di GIACOMO SCOTTI (l'Autore del libro)

Rapidissima premessa.

Il fenomeno degli infoibati, e cioè del seppellimento di persone (fucilate o in altro modo giustiziate) nelle cave carsiche dette foibe e nelle cave di bauxite ad opera degli insorti guidati dal Movimento resistenziale sloveno, croato e italiano in Istria e nella Venezia Giulia, conobbe due periodi e due territori distinti.
Il primo riguarda l'Istria e va dal 9 settembre al 13 ottobre 1943 e cioè subito dopo l'armistizio firmato da Badoglio, quando quasi tutta la penisola incuneata fra Trieste e Fiume cadde sotto il controllo degli insorti, rispettivamente dei partigiani di quella regione; il secondo periodo va dal 1° maggio alla metà di giugno 1945 e riguarda le città di Trieste e Gorizia con i rispettivi territori conquistati ed amministrati per 45 giorni dalle truppe jugoslave.
Questo lavoro si occupa dell'Istria e del primo periodo presentando nel contesto anche alcuni documenti finora inediti o scarsamente conosciuti.

Quando terminò la prima guerra mondiale e nell'Istria ex austro-ungarica sbarcarono le truppe italiane, nella regione risiedevano circa duecentomila croati e sloveni autoctoni (ne erano stati registrati 225.423 nell'ultimo censimento austriaco nel 1910) e cioè il 58 per cento della popolazione totale. Era una popolazione, quella slava, composta in prevalenza da contadini; la popolazione italiana invece era composta da lavoratori dell'industria, da artigiani, da commercianti e proprietari terrieri presenti più o meno compattamente nelle cittadine costiere quali Capodistria, Isola, Pirano, Umago, Cittanova, Parenzo, Orsera, Rovigno, Dignano, Pola, Albona e in alcuni centri maggiori dell'interno o poco lontani dalla costa quali Buie, Montona, Pinguente e Pisino.
Ancor prima della firma del Trattato di Rapallo del 1920 che assegnò definitivamente l'Istria all'Italia, quando ancora la regione era soggetta al regime di occupazione militare, la popolazione dell'Istria si trovò di fronte allo squadrismo italiano in camicia nera, parzialmente importato da Trieste, che in quella regione si manifestò con particolare aggressività e ferocia, servendosi non soltanto dell'olio di ricino e del manganello.

Gli stessi storici fascisti, tra i quali spicca l'istriano G.A. Chiurco, vantandosi delle gesta degli squadristi e glorificandole nelle loro opere, hanno abbondantemente documentato i misfatti compiuti dagli assassinii di antifascisti italiani quali Pietro Benussi a Dignano, Antonio Ive a Rovigno, Francesco Papo a Buie ed altri alla distruzione delle Camere del lavoro ed all'incendio delle Case del popolo, alle sanguinose spedizioni nei villaggi croati e sloveni della penisola, ecc.
Questi misfatti continuarono sotto altra forma dopo la presa del potere a Roma da parte di Mussolini, con la creazione del regime fascista.

Ancora una volta il risultato fu disastroso soprattutto per gli "allogeni" istriani: furono distrutti e/o aboliti tutti gli enti e sodalizi culturali, sociali e sportivi della popolazione slovena e croata; sparì ogni segno esteriore della presenza dei croati e sloveni, vennero abolite le loro scuole di ogni grado, cessarono di uscire i loro giornali, i libri scritti nelle loro lingue furono considerati materiale sovversivo; con un decreto del 1927 furono forzosamente italianizzati i cognomi di famiglia (in alcuni casi il cambio dei cognomi fu attuato con tale diligenza che due fratelli, o padre e figlio, ricevettero due cognomi diversi), furono italianizzati anche i toponimi; migliaia di persone finirono al confino (Tremiti, Ustica, Ponza, Ventotene, S.Stefano, Portolongone, Lipari, Favignana, ecc.) o nel migliore dei casi, se dipendenti statali, specialmente ferrovieri furono trasferiti in altre regioni d'Italia; nelle chiese le messe poterono essere celebrate soltanto in italiano, le lingue croata e slovena dovettero sparire perfino dalle lapidi sepolcrali, queste stesse lingue furono cacciate dai tribunali e dagli altri uffici, bandite dalla vita quotidiana.

Gli allogeni o alloglotti furono discriminati perfino nel servizio militare, finendo nei cosiddetti "Battaglioni speciali" in Sicilia e Sardegna. Alcune centinaia di democratici italiani, socialisti, comunisti e cattolici che lottarono per la difesa dei più elementari diritti delle minoranze subirono attentati, arresti, processi e lunghi anni di carcere inflitti dal Tribunale speciale per la difesa dello Stato. I principali "covi sovversivi" furono Rovigno, Pola e il bacino carbonifero di Albona-Arsia. Per gli slavi il risultato fu la fuga dall'Istria di circa 60.000 persone, metà delle quali trovò rifugio nelle due Americhe e l'altra metà nell'ex Jugoslavia. Sul piano ideologico il risultato fu che nella stragrande maggioranza questi esuli istriani slavi si schierarono sui fronti di due estremismi: andarono a rafforzare le file comuniste oppure quelle nazionaliste degli ustascia e oriunasci, due fronti opposti ma accomunati dall'odio contro l'Italia.

Il movimento comunista jugoslavo, sia notato per inciso, era di per sé sostenuto da una forte tendenza nazionalista e questa tendenza fu nutrita anche da un forte sentimento anti-italiano nelle organizzazioni del PC croato e sloveno, come dimostra la politica condotta nei riguardi dell'Istria, della Venezia Giulia e Dalmazia da alcuni leader di quei due partiti negli anni della Resistenza e in particolare dal massimo esponente del comunismo sloveno Edvard Kardelj. A questa tendenza ed a questa politica nazionalista-espansionista e non all'ideologia comunista vanno addebitati alcuni "eccessi" compiuti in Istria immediatamente dopo l'armistizio del settembre 1943 e le cosiddette "deviazioni" verificatesi sempre in Istria dopo il maggio 1945 con il ritorno anche degli esuli croati di tendenza nazionalista.
La conseguenza di tutti gli "errori", "deviazioni" e, in genere, di una politica della mano pesante, fu l'esodo di 200-250.000 persone, italiani, croati e sloveni insieme, senza distinzione. Uno di questi esuli, il rovignese prof. Sergio Borme, attualmente a Pavia, ha scritto (Il Piccolo, Trieste, 17 settembre 1996): "...la questione delle foibe. Molti commentatori hanno ritenuto di poterla indicare nell'ideologia comunista dimenticando che il "confine sul Tagliamento" era stato l'obiettivo del nazionalismo slavo molto prima che il regime jugoslavo nascesse. Facendo proprio quell'obiettivo, l'ideologia si metteva al servizio del nazionalismo e non viceversa. (...) Alla guida della Croazia e della Slovenia troviamo oggi personaggi che erano stati le colonne portanti del regime, ma una metamorfosi così repentina e radicale sarebbe stata impossibile se l'adesione all'ideologia (dell'internazionalismo comunista) fosse stata reale e convinta". Purtroppo a rafforzare il nazionalismo anti-italiano nelle file del Movimento partigiano di liberazione e dei partiti comunisti sloveno, croato e montenegrino fu ancora una volta il fascismo mussoliniano che nella seconda guerra mondiale portò l'Italia ad aggredire i popoli jugoslavi.

Quell'aggressione tra il 6 aprile 1941 e l'inizio di settembre 1943 fu caratterizzata come documenta lo storico triestino Teodoro Sala ("L'Espresso", Roma, 19 settembre 1996) non soltanto dalle brutali annessioni delle Bocche di Cattaro, di larghe fette della Croazia e di una parte della Slovenia, ma anche da una lunga serie di crimini di guerra compiuti da speciali reparti di occupazione, fra i quali si distinsero per ferocia le Camicie Nere, per ordine dello stesso Mussolini e di alcuni generali: "si giunse alle scelte più draconiane dei comandi militari italiani", Ne derivarono "rapine, uccisioni, ogni sorta di violenza perpetrata (...) a danno delle popolazioni". Decine di migliaia di civili furono deportati nei campi di concentramento disseminati dall'Albania all'Italia meridionale, centrale e settentrionale, dall'isola adriatica di Arbe (Rab) fino a Gonars e Visco nel Friuli, a Chiesanuova e Monigo nel Veneto.

In quei lager italiani morirono 11.606 sloveni e croati. Nel solo lager di Arbe ne morirono 4.000 circa, fra cui moltissimi vecchi e bambini per denutrizione, stenti, maltrattamenti e malattie. A proposito ecco un documento del 15 dicembre 1942. In quella data l'Alto Commissariato per la Provincia di Lubiana, Emilio Grazioli, trasmise al Comando dell'XI Corpo d'Armata il rapporto di un medico in visita al campo di Arbe dove gli internati "presentavano nell'assoluta totalità i segni più gravi dell'inanizione da fame". Sotto quel rapporto il generale Gastone Gambara scrisse di proprio pugno: "Logico ed opportuno che campo di concentramento non significhi campo d'ingrassamento. Individuo malato = individuo che sta tranquillo".

Sempre nel 1942, il 4 agosto, il generale Ruggero inviò un fonogramma al Comando dell'XI Corpo in cui si parlava di "briganti comunisti passati per le armi" e "sospetti di favoreggiamento" arrestati. In una nota scritta a mano il generale Mario Robotti impose; "Chiarire bene il trattamento dei sospetti (...). Cosa dicono le norme 4C e quelle successive? Conclusione: si ammazza troppo poco!".

L'ultima frase è sottolineata. Il generale Robotti alludeva alle parole d'ordine riassuntive del generale Mario Roatta, comandante della II Armata italiana in Slovenia e Croazia (Supersloda) il quale nel marzo del 1942 aveva diramato una Circolare 3C nella quale si legge: "Il trattamento da fare ai ribelli non deve essere sintetizzato dalla formula dente per dente ma bensì da quella testa per dente".

Una frase che ci fa ricordare l'eccidio di Gramozna Jama in Slovenia dalla quale furono riesumati nel dopoguerra i resti di un centinaio di civili massacrati durante l'occupazione per ordine delle autorità militari italiane. Furono alcune migliaia i civili "ribelli" falciati dai plotoni di esecuzione italiani, dalla Slovenia alla "Provincia del Carnaro", dalla Dalmazia fino alle Bocche di Cattaro e Montenegro senza aver subito alcun processo, ma in seguito a semplici ordini di generali dell'esercito, di governatori o di federali e commissari fascisti. In una lettera spedita al Comando supremo dal generale Roatta in data 8 settembre 1942 (N. 08906) fu proposta la deportazione della popolazione slovena. "In questo caso scrisse si tratterebbe di trasferire al completo masse ragguardevoli di popolazione, di insediarle all'interno del regno e di sostituirle in posto con popolazione italiana".

Il figlio di Nazario Sauro (l'eroe della Prima guerra mondiale), Italo Sauro, in un "Appunto per il Duce", nel quale riferisce un suo colloquio con l'SS Brigade Fuehrer Guenter (v. Bollettino n. 1/aprile 1976 dell'Istituto regionale per la storia del Movimento di liberazione del Friuli Venezia Giulia), lo informava tra l'altro: "Per quanto riguarda la lotta contro i partigiani, io avevo proposto il trasferimento in Germania di tutta la popolazione allogena compresa tra i 15 e i 45 anni con poche eccezioni", ma i tedeschi dissero di no.

Andremmo troppo lontano se volessimo citare altri documenti, centinaia, che ci mostrano il volto feroce dell'Italia monarchica e fascista in Istria e nei territori jugoslavi annessi o occupati nella seconda guerra mondiale. Gli stupri, i saccheggi e gli incendi di villaggi si ripetevano in ogni azione di rastrellamento. Una documentazione di questi crimini la si può trovare nel mio libro "Bono Taliano" (Italiani in Jugoslavia 1941-43 - La Pietra, Milano, 1977), nel volume "La dittatura fascista" di Autori vari (Teti, Milano, 1984) nel quale Teodoro Sala dedica un corposo capitolo a "Fascismo e Balcani. L'occupazione della Jugoslavia" e in altre opere. Tuttavia, trattandosi qui dell'Istria, vogliamo accennare rapidamente almeno a pochi episodi che precedettero di pochi mesi i fatti del settembre1943.

Nell'estrema parte nord-orientale dell'Istria, alle spalle di Abbazia, le autorità militari italiane intrapresero all'inizio di giugno 1942 un'azione prettamente terroristica contro le famiglie dalle quali risultava assente qualche congiunto, sicché potevano ritenere che avesse raggiunto le file dei "ribelli" (partigiani). Un comunicato del generale Lorenzo Bravarone informò che il 6 giugno erano state arrestate e deportate nei campi di internamento in Italia 34 famiglie per un totale di 131 persone di Kastav/Castua, Marcelji/Marcegli, Rubessi, San Matteo (Viskovo) e Spincici.

I loro beni mobili, compreso il bestiame grosso e minuto, furono confiscati o abbandonati al saccheggio delle truppe, le loro case incendiate, dodici persone vennero passate per le armi senza alcun processo. Ancora più terribile fu la sorte toccata agli abitanti della zona di Grobnik/Grobnico, a nord di Fiume. I maestri elementari Giovanni e Franca Renzi, mandati dal regime a "italianizzare" i bambini croati del villaggio di Podhum annesso alla Provincia del Carnaro nel 1941, erano diventati malfamati nella zona per i maltrattamenti e le punizioni inflitte a quei bambini colpevoli unicamente di non apprendere rapidamente la lingua italiana. Tra l'altro, il maestro, affetto da TBC, soleva sputare in bocca ai disgraziati alunni a lui affidati quando sbagliavano un verbo o un vocabolo.
Finirono ammazzati da non si sa chi il 10 giugno 1942.

A un mese di distanza, risultati vani i tentativi di individuare gli uccisori dei due insegnanti, e insoddisfatto della spedizione punitiva compiuta il 6 giugno, il prefetto di Fiume, Temistocle Testa, ordinò una rappresaglia sanguinosa: reparti di camicie nere nei quali furono mobilitati per l'occasione anche numerosi giovani fascisti italiani di Fiume, insieme a reparti delle truppe regolari; irruppero nel villaggio di Podhum all'alba del 13 luglio. Rastrellata l'intera popolazione, questa fu condotta in una cava di pietra presso il campo di aviazione di Grobnico, mentre il villaggio veniva saccheggiato e poi incendiato. Il fuoco distrusse alcune centinaia di case, oltre mille capi di bestiame furono portati via, 889 persone finirono nei campi di internamento italiani: 412 bambini, 269 donne e 208 maschi anziani. Altri 91 uomini furono fucilati nella cava: il più anziano aveva 64 anni, il più giovane 13 anni appena.

Sempre nella zona di Fiume, il 3 maggio 1943, per ordine del solito Testa, reparti di Camicie Nere e di fanteria rastrellarono il villaggio di Kukuljani e alcune sue frazioni, portarono via tutto il bestiame, saccheggiarono le case, deportarono la popolazione e quindi appiccarono il fuoco alle abitazioni, alle stalle e agli altri edifici "covi di ribelli", distruggendo completamente 80 case a Kukuljani e 54 a Zoretici. Nei campi di internamento finirono 273 abitanti di Kukuljani e 200 di Zoretici.

Alla luce di questi fatti, dunque, vanno visti gli avvenimenti del settembre 1943 in Istria. Alla notizia della capitolazione militare italiana, diffusasi anche in Istria nel tardo pomeriggio dell'8 settembre, in quella penisola ci fu una generale, pressoché spontanea rivolta popolare che coinvolse in eguale misura le popolazioni italiane nei centri costieri e quelle croate e slovene nell'interno. Nell'uno e nell'altro caso (e fatte le solite eccezioni) gli insorti mostrarono simpatia e solidarietà con le truppe in grigioverde che altrettanto spontaneamente avevano estrinsecato la propria gioia per la "fine della guerra", mentre la punta offensiva della lancia fu rivolta in alcuni casi contro i Carabinieri, la Polizia di Stato e soprattutto contro i gerarchi fascisti.

Sporadicamente, nell'interno, si fece di tutta l'erba un fascio ed i vocaboli "fascista" e "italiano" ebbero un unico significato. Le strutture militari dello Stato non opposero alcuna resistenza (fece eccezione Pola dove contro i manifestanti fu aperto il fuoco per ordine del Comando di guarnigione e si ebbero tre morti fra i civili), sicché nel giro di pochi giorni entro l'11 settembre le armi dell'esercito e dei carabinieri passarono agli insorti. Senza colpo ferire cedettero le armi i presidi, piccoli e grandi, di Antignana, Lanischie, Pisino, Cerreto, Castel Lupogliano, Rozzo, Pinguente, Canfanaro, Rovigno, Carnizza, Altura, Arsia, Parenzo e via via di altri centri presidiati da reparti di Alpini, di Fanteria costiera, di Carabinieri e Guardia di Finanza. Molti soldati si unirono agli insorti. Sembrava un trionfo, ma non era così.

La svolta si ebbe il 13 settembre. Quel giorno si capì definitivamente che su tutto incombeva la grave minaccia tedesca. Così in piena autonomia, spontaneamente, gli improvvisati capi del movimento insurrezionale di Parenzo, Rovigno ed Albona, tutti italiani, decisero di opporsi con le armi all'avanzata dei Tedeschi. Una decisione presa anche sull'onda di una terribile notizia giunta da Pola. Quel 13 settembre nel capoluogo istriano, con l'aiuto dei loro carcerieri, i detenuti politici e comuni rinchiusi nel carcere di Via dei Martiri riuscirono ad evadere. Inseguiti da pattuglie tedesche con il supporto di manipoli di fascisti, furono in gran parte abbattuti con le armi; gli altri, catturati, finirono impiccati agli alberi di Via Medolino. I primi conflitti a fuoco nella penisola istriana avvennero quello stesso giorno contro due colonne tedesche: una scendeva da Trieste verso Parenzo e Rovigno lungo la costa occidentale con l'intento di raggiungere Pola (dove riuscì infatti ad arrivare); un'altra, partita da Pola, cercava di salire lungo la costa orientale.

I primi caduti fra gli insorti, purtroppo numerosi, furono italiani e croati, massacrati nei pressi di Tizzano, a nord di Parenzo, poi presso il Canale di Leme a nord di Rovigno e infine sulla strada che da Dignano porta a Pola. Gli scontri con la seconda colonna, che invece fu respinta, si ebbero sulla strada tra Arsia e Piedalbona ed a Berdo presso Vines sempre nell'Albonese. Si trattava di distaccamenti della 71ma Divisione germanica, circa 300 uomini. Presso Tizzano i caduti fra gli insorti furono ben 84, dei quali pochi uccisi in battaglia, tutti gli altri trucidati dopo la cattura. Fra i massacrati ci furono alcuni soldati "regnicoli", tutti gli altri erano giovani croati e italiani del Parentino. Tutti italiani furono invece i 16 caduti rovignesi che tentarono di fermare la colonna dapprima sul Leme e poi nei pressi di Dignano. In gran parte italiani, infine, furono i 43 caduti nelle file degli insorti che, al comando di Aldo Negri, si opposero alla colonna tedesca presso Arsia e Vines nella zona di Albona.

Nonostante queste perdite, l'Istria intera ad eccezione di Pola, Dignano, Fasana e isole di Brioni occupate dai tedeschi il 13 settembre grazie al cedimento dei comandi militari italiani, cadde sotto il controllo degli insorti che entro il 14 settembre costituirono ovunque i Comitati popolari di liberazione (CPL), quali organi amministrativi della Resistenza in sostituzione dei Podestà e dei Commissari governativi italiani.

In concomitanza con l'insurrezione, ma soprattutto dopo gli scontri del 13 settembre, cominciarono gli arresti dei gerarchi fascisti, di podestà e di altri funzionari ma anche di semplici iscritti al fascio da parte degli insorti sia per iniziativa di singoli che per ordine dei vari CPL. Fra gli arrestati -e gli arresti avvennero anche su denuncia di persone convertitesi all'ultima ora alla causa del Movimento di Liberazione- vi furono persone indicate come responsabili di collaborazionismo con l'occupatore tedesco per aver guidato, o in altro modo aiutato, le due colonne germaniche nella loro marcia e nel corso degli scontri.
I primi e più massicci arresti avvennero nelle zone di Rovigno e di Albona dove il comando del movimento insurrezionale e partigiano fu assunto da comunisti affiliati al PC italiano, a Parenzo e dintorni e nel Pisinese. La maggioranza degli arrestati era formata da quei gerarchi fascisti locali che si erano meritati l'odio delle popolazioni vittime delle loro persecuzioni e vessazioni pluriennali.
Nel mucchio capitarono però anche "fascisti" che non avevano colpe da espiare o con i quali i delatori avevano antichi conti personali da regolare. I vendicatori, ovviamente, si servirono pretestuosamente degli slogan e dei simboli della Resistenza e del comunismo.

Gli arresti, preludio degli efferati anche se non progettati infoibamenti, avvennero quasi tutti fra il 13 e il 25 settembre. A questo proposito per la prima volta in versione italiana, presenterò qui un documento di provenienza croato-ustascia, uscito cioè dagli archivi dell'ex cosiddetto Stato indipendente di Croazia, creato dal Poglavnik ovvero Duce fascista croato Ante Pavelic con l'aiuto di Mussolini e Hitler e durato dal 10 aprile 1941 all'8 maggio 1945. Il documento è stato rintracciato dallo storico Antun Giron di Fiume, da oltre tre decenni impegnato presso il Zavod za povjesne i drustvene znanosti, Istituto di scienze storiche e sociali, dell'Accademia croata di arti e scienze.

Lo studioso ha pubblicato il documento sulle pagine della rivista "Vjesnik PAR" -N.37/1995. Si tratta di un rapporto segreto relativo ai fatti accaduti in Istria nel settembre-ottobre 1943, scritto il 28 gennaio 1944 dal prof. Nikola Zic, un pubblicista croato nato a Villa di Ponte (Punat) sull'isola di Veglia nel 1882. In quel periodo lo Zic lavorava per i servizi di informazione del Ministero degli Esteri dello Stato croato. Secondo Zic, "il popolo considerava la rivolta popolare solamente dal punto di vista nazionale croato". La sua relazione continua riandando ai primissimi giorni dell'insurrezione istriana:
"All'inizio a nessun Italiano è stato fatto nulla di male. I partigiani avevano diramato l'ordine che non doveva essere fatto del male a nessuno. Ma qualche giorno dopo lo scoppio della rivolta popolare (e cioè il 13 settembre, N.d.T.) alcuni corrieri a bordo di motociclette sidecar hanno portato la notizia che i fascisti di Albona avevano chiamato e fatto venire da Pola i tedeschi in loro aiuto e questi avevano aperto il fuoco contro i partigiani. Poco dopo si è saputo che i tedeschi erano stati chiamati in aiuto anche dai fascisti di Canfanaro, Sanvincenti e Parenzo, fornendogli informazioni sui partigiani. Rispondendo alla chiamata è subito arrivata a Sanvincenti una colonna tedesca. Tutte queste voci hanno creato una grande avversione verso i fascisti. Essi ci tradiranno! si sentiva dire dappertutto. Pertanto partigiani e contadini hanno cominciato ad arrestare e imprigionare i fascisti, ma senza alcuna intenzione di ucciderli. I partigiani decisero di fucilarne soltanto alcuni, i peggiori, ma anche molti fra questi sono stati salvati grazie all'intervento dei contadini croati e ancor più dei sacerdoti".

A questa affermazione del relatore ustascia va aggiunta una precisazione: per la liberazione delle persone arrestate fu decisivo l'intervento presso i capi partigiani del vescovo di Parenzo e Pola, Mons. Raffaele Radossi. La relazione Zic prosegue informandoci della sorte di coloro che rimasero in carcere - le prigioni principali gestite dai partigiani istriani erano quelle di Albona, Pinguente e Pisino - sottoposti a interrogatori e giudizi dei "tribunali del popolo". "Purtroppo quando, alcuni giorni più tardi, cominciarono ad avanzare i reparti germanici, i partigiani vennero a trovarsi nell'impaccio, non sapendo dove trasferire i prigionieri fascisti per non farli cadere nelle mani dei tedeschi. In questo imbarazzo hanno deciso di ammazzarli.

Ne hanno uccisi circa 200 gettandone i corpi nelle foibe. Tuttavia molti altri fascisti sono riusciti a scappare raggiungendo Pola e Trieste, rivolgendosi ai Tedeschi per aiuto. Stando a quanto si è saputo in seguito, i fascisti istriani avrebbero informato i tedeschi che nella sola Pisino si trovavano 100 mila partigiani; in verità ce n'erano forse in tutto un paio di centinaia. A questo punto il Comando germanico ha deciso di rastrellare l'Istria inviando nella regione alcune divisioni SS corazzate". Il rapporto prosegue enumerando i massacri compiut

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Titolo Autore Data
ma che foibe Elektro2 Sunday, Apr. 04, 2004 at 7:50 PM
Ricerca Trevis Sunday, Apr. 04, 2004 at 6:08 PM
rossi o neri claudio Saturday, Dec. 20, 2003 at 3:20 PM
Smentita Realista Thursday, Jul. 10, 2003 at 1:33 PM
no comment Realista Thursday, Jul. 10, 2003 at 1:31 PM
Vergogna! Gertk Thursday, Jul. 10, 2003 at 1:18 PM
poi dici che uno è anticomunista Giuliano Friday, Feb. 14, 2003 at 1:12 PM
Vai Livorno P.le Loreto again Friday, Feb. 14, 2003 at 12:44 PM
NESSUN PENTIMENTO IX CORPUS Friday, Feb. 14, 2003 at 12:34 PM
ma va... ...va..... Friday, Feb. 14, 2003 at 12:29 PM
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