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Focus: la disinformatia petrolifera
by sbancor Saturday, Dec. 28, 2002 at 1:25 PM mail: sbancor@hotmail.com

La mia generaqzione ha sempre avuto un pessimo rapporto con il petrolio. Attraverso la crisi petrolifera volevano insegnarci l'austerità. La crisi ovviamente era la "balla del Secolo". Oggi siamo di nuovo dentro una "balla". Per chi non crede alla guerra al terrorismo c'è pronta la guerra per il petrolio. una spiegazione che non spiega nulla, ma permette di ridar fiato ai tromboni del vecchio antimperialismo. Quello che faceva guerre di rapina. Oggi non c'è più nulla da rapinare: l'impero finanziario possiede infatti tutto. Anche il petrolio. con buopnapace dei pingui venditori sauditi, kwaitiani o emiri di paesi sconosciuti ai più.

Leggo disgustato innumerevoli commenti di autorevoli esponenti della Sinistra per cui la Guerra in Iraq sarebbe una guerra imperialista finalizzata al controllo dei pozzi di petrolio. Cialtroni! Ho quasi il sospetto che sia una "disinformatia" vera e propria. "Non credete alla balla dei terroristi in Iraq?" (l'unico che c'era Abu Nidal è passato a miglior vita "suicidandosi con un mitra dei servizi segreti iracheni", ed è quantomeno dubbio che gli americani abbiano gradito la cortesia) " E allora bevetevi quest'altra balla sul petrolio!"
La mia generazione con il petrolio ha litigato da piccola, già da quando, nel 1972-73 volevano convincerci che il petrolio era finito e che era necessaria l'austerità. Qualcuno si ricorda i "cervelloni del Club di Roma? No? Meglio così!
Per circa dieci anni la "beffa petrolifera", architettata da Henry Kissinger per coprire il vero dramma, cioè la bancarotta U.S.A. e l'inconvertibilità del dollaro in oro, fino alla disdetta degli accordi di Bretton Woods (1973), era dottrina ufficiale. Chiunque provava a dire qualcosa di diverso veniva tacitato con la spocchia che la menzogna, organizzata e diffusa, riserva ogni volta alla verità.
E solo in memoria di quelle antichi spasmi epigastrici, di cui accuso pubblicamente Henry Kissinger, che credo sia utile svelare l'architettura della "beffa", facendo parlare un eminente personaggio dell'epoca: l'ex ministro per il petrolio dell'Arabia Saudita Yamani, che ha rilasciato una illuminante intervista all'Observer un paio d'anni fa..
"Sono sicuro al 100% che gli Americani erano dietro il rialzo del prezzo del petrolio. - confessa Yamani - Le compagnie petrolifere navigavano in cattive acque, avevano un mucchio di soldi in debiti e necessitavano di un alto prezzo del petrolio per salvarsi." Sempre secondo l'Observer - Yamani fu convinto di questo interesse americano da un incontro con lo Shah dell'Iran. Yamani era preoccupato che un incremento dei prezzi avrebbe potuto generare pericolose conseguenze per l'OPEC, perché gli avrebbe alienato le simpatie americane. Re Faisal gli consiglio di sentire il parere dello Shah di Persia. "Perché sei contrario all'aumento del prezzo del petrolio - gli disse lo Shah - Non è proporio quello che vogliono? Chiedi ad Henry Kissinger: è il primo a volere alti prezzi del greggio!".


Eppure qualche buntempone ha ritirato fuori adesso la storia del petrolio che finisce! Ragazzi se qualcosa in economia è cresciuto esponenzialmente negli ultimi trent'anni sono proprio le riserve.petrolifere. oggi ammontano a più di 1.000 miliardi di barili!. Si tratta di riserve accertate. Poi ci soino i nuovi campi, soprattutto in Asia Centrale, in Algeria, nel Sudan, in Angola, nello Xin Xjiang cinese ecc. ecc. Poi ci sono i campi già individuati ma da saggiare, per conoscere l'ammontare delle riserve, poi ci sono le Riserve Strategiche degli USA (SPR).
Insomma è più facile che finisca prima la tecnologia basata sul petrolio che il petrolio stesso!
E insieme sono cresciute le alternative al petrolio, sia in termini di risparmio energetico che di ricerca su nuove fonti, ultima l'idrogeno. Siamo seri dunque. E ragioniamo sulle cifre. Dunque le importazioni nette di petrolio degli Sati Uniti, includendo la Strategic Petroleum Reserve (SPR) ammontano a 10,42 barili di petrolio giorno (bpd) nel 2000; 10,90 nel 2001, 10,5 nel 2002, e - se il PIL cresce di almeno il 2,6% - a 11,63 nel 2003. Diciamo "se", perché che il 2003 sia l'anno della ripresa è una pura ipotesi di lavoro. Il prezzo, calcolato come costo di acquisizione per le raffinerie (RAC) è stato in media di 27,72 $ per barile nel 2000, di 22,01 nel 2001 e sembra che l'anno in corso si chiuderà intorno ai 23,7 $ barile, nonostante il "rally" di questi ultimi giorni con il West Texas sopra i 32. Le previsoioni dell'E.I.A. (l'agenzia USA per il petrolio) rilasciate ai primi di dicembre sono ancora ottimiste (vedi http://www.eia.doe.gov/emeu/steo/pub/steo.html) nonostante i segnali di guerra in Iraq e la crisi venezuelana, (e il petrolio venezuelano è molto più strategico per gli U.S.A., visto che sta nel loro cortile di casa, invece che a decine di migliaia di km.).
In realtà fino a qualche giorno fa il prezzo del petrolio stava ancora nella parte bassa della forbice OPEC fissata in 22$-28$ barile. La stasi della domanda mondiale, è il vero "calmieratore del prezzo del petrolio. Certo, la guerra provoca un rimbalzo verso l'alto. Ma se si guardano alle statistiche petrolifere durante la prima guerra del Golfo si nota un picco che inizia con l'invasione del Kwuait e termina "prima" della fine del conflitto, quando ormai era chiaro che tutto sarebbe tornato alla normalità. E allora bruciavano i pozzi kwaitiuani, che presumibilmente resteranno intatti nella guerra prossima ventura. Insomma non si vede un aumento dei prezzi (al di là) della fiammata legata alla guerra. Non solo: il peso del petrolio OPEC nella determinazione dei prezzi e delle quantità continua a diminuire: anche se nel 2003 ci fosse una crescita del PIL pari al 3% negli USA e una conseguente necessità di ulteriori 1,4 milioni di barili giorno, questi sarebbero coperti per oltre la metà dal petrolio cinese e da produttori non OPEC.
Inoltre negli anni '80 gli USA importavano dai paesi OPEC il 47% del totale delle loro importazioni di greggio. Ora sono scesi al 24,8, e scenderanno ancora. (sulla volatilità del prezzo del petrolio vedi http://www.eia.doe.gov/emeu/steo/pub/a3tab.html )
L'unica cosa certa è che il mercato del petrolio non è governato, ne governabile dall'offerta. Tutta la struttura del mercato è anglo americana. I derivati (future, options, swap ecc,. ecc,) si trattano sul West Texas Instrument.
Una guerra per il petrolio dunque non solo è inutile, ma è dannosa, in quanto determina forti rischi di volatilità sia dei prezzi che delle quantità.

Anche da un punto di vista geopolitico e geoeconomico la storia è fuori di senso logico. L'Irak e l'Artabia Saqudita sonoi già accerchiata da un dispositivo di basi e di navi in grado di controllare tutta l'area del Golfo. Anche ammesso che l'occupazione dell'Irak e la gestione diretta dei pozzi fosse l'obiettivo degli americani, occorre considerare: le quote di petrolio da destinare alla ricosytriuzone dell'Irak e agli aiuti umanitari. L'influenza del petrolio irakeno anche riportato a 4 milioni di b.p.d, sarebbe marginale rispetto alla formazione del prezzo del petrolio.
Abbiamo provato alcuni semplici modelli matematici di stima: bene se l'intervento in Iran servisse a sterilizzare il prezzo del petrolio da un aumento di 10 dollari al barile in media annua (che è una cifra da capogiro) il beneficio netto per gli USA sarebbe una cifra compresa fra i 480 e i 500 miliardi di dollari. La guerra da sola ne costa 200. Una eventuale occupazione può spingere i costi a dieci ani, secondo Nordhaus (premio nobel) fino a 1.600 miliardi di dollari. Occupare l'Irak non è un "business" in se e per sè. Conquistare i pozzi, presidiare migliaia di km di pipe line è un'impresa antieconomica.
Anche una contabilità ancillare consiglia l'acquisto del petrolio, piuttosto che la sua "rapina". Come dire le armi e la logistica connessa costano più del "grisbi"!
Insomma il petroilio non è una "casua di guerra" più di quanto lo siano i terroristi, le visioni e gli acidi geopolitici di Huntington e Brzninsky, le allucinazioni della sinistra che cerca ancora un "imperialismo" dtile Grande Guerra da criticare con a portata di mano l'aureo libretto di Lenin.
Vi è infine un problema non banale di arbitraggio sulla moneta di riferimento: in che moneta infatti è quotato il petrolio: in dollari. Dollari ragazzi, non Talleri di Maria Teresa d'Austria. E se il dollaro scende? Il prezzo del petrolio che fa? Lo segue, per forza. A rimanere impigliati nella trappola siamo noi europei e i giapponesi, orgogliosi detentori di "aree monetarie ottimali". Come negli anni 70. Peggio che negli anni '70.
Ahimè la storia da qui si fa molto più complicata. Siccome mi sento buono può darsi che la spiegherò la prossima volta.


Per una cronologia delle crisi petrolifere vedi : http://www.eia.doe.gov/emeu/cabs/chron.html


Sbancor, Pianeta Terra Sabato 29.12.2002


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a parte ..
by dirty dog Saturday, Dec. 28, 2002 at 2:45 PM mail:


l'orrendo form disobbediente (Pianeta terra etc..) e la convinzione che una bufala per la propria generazione (la lotta per la scarsità di petrolio) lo sia anche per le altre (ci sono numerosi e seri studi sulla scarsità delle
fonti petrolifere in relazione alla domanda mondiale futura) e il mito del progresso (le tecnologie che dovrebbero rendere obsoleto il petrolio) il buon Sbancor anche se molti gg prima della fine dell'annunciato silenzio parla e non a vanvera. Ha ragione quando sottolinea che è semplicistico dire che questa sia una guerra solo per l'approvvigionamento delle fonti di petrolio. Allego a conferma un articolo dell'Observer sul nervosimo che questa guerra alle porte crea nelle compagnie petrolifere.

Critics of US policy claim it aims to carve up Iraq's oil wealth. But, argues Anthony Sampson, oil companies fear the fallout from a new Gulf war

Observer special: Iraq

Sunday December 22, 2002
The Observer

While Washington hawks depict a war against Iraq as achieving security of oil supplies, Western oil companies are worried about the short-term danger and the supposed long-term benefits of intervention.
Left-wing critics in Britain depict the proposed invasion as an oil war. Former Cabinet Minister Mo Mowlam has called it a 'war to secure oil supplies' as a cover for a war on terrorism. And the fact that President George Bush and Vice-President Dick Cheney have both been enriched by oil companies raises suspicions about their motives for war.

But oil companies have had little influence on US policy-making. Most big American companies, including oil companies, do not see a war as good for business, as falling share prices indicate; while the obvious beneficiaries of war are arms companies.

Western oil companies have differing attitudes. The French want to maintain their special relationship with Iraq, while seeking links with Iraqi opposition leaders who may form a post-war government.

The Russians are performing a more difficult balancing act. Worried that their previous friendship with Saddam might exclude them from a post-war share-out, they have sought assurances from Washington in return for their diplomatic support for a war. But Saddam has counter-attacked by cancelling the Russian contract for developing new oilfields.

The British believe they are specially entitled to share in the development of Iraqi oil supplies. BP (then known as Anglo-Persian) was involved in the discovery of oil after the British and the French invented Iraq as a separate state, carved out of the Ottoman Empire in 1920.

But BP is worried about being displaced by US companies. As Lord Browne, its chief executive, said in October: 'We would like to make sure, if Iraq changes its regime, that there should be a level playing-field for the selection of oil companies to go in there.'

The Americans, if they won the war, would be in the strongest position to insist on access to Iraqi oil and exploration. But they cannot ignore the interests of the Iraqi opposition. The State Department has convened a working group on oil and natural gas in Washington this week. It will include representatives of Iraqi groups and the US Energy Department, which will present proposals to a transitional government.

A State Department spokesman said: 'There is a misconception that the US is trying to orchestrate the post-Saddam oil market in Iraq. That's not at all what we are doing.' But European companies fear the Americans are trying to do just that, while using the promise of future oil supplies as leverage to ensure support for the war.

James Woolsey, former CIA director, has explained: 'The French and Russians should be told that if they are of assistance in moving Iraq towards decent government, we'll do our best to ensure the new government and American companies work closely with them.'

Some companies are worried that the opportunities for developing Iraqi oil will lead to a free-for-all. 'I've had one opposition leader offering a commission in return for access to oil,' said one oil executive. 'I showed him the door, but there will be many more.'

Many neo-conservatives in Washington are indicating they want the US intervention to go beyond Iraq; and to redraw the diplomatic map of the Middle East. They look to a realignment of US foreign policy, to intervene in both Iran and Saudi Arabia, ensuring both the security of American oil supplies, and the security of Israel.

Above all, they see the development of Iraqi oil as lessening US dependence on Saudi Arabia, which they see as a dangerous source of future terrorists.

The oil companies are much less confident that this escalation will protect supplies. Shell and Exxon-Mobil have made huge investments in natural gas in Saudi Arabia, which could be at risk in a confrontation with the Saudi government. All oil companies in the Middle East would face a more dangerous political climate, caught between the American-Israeli intervention and nationalists fearing reversion to a neo-colonial system.

Oil companies dread having supplies interrupted by burning oilfields, saboteurs and chaotic conditions. And any attempt to redraw the frontiers could increase the dangers in both Iran and Iraq, as rivals seek to regain territory.

Hawks in Washington believe military intervention could bring about the demise of Opec (the Organisation of Petroleum Exporting Countries), thus cutting oil prices. But collapsing prices would be devastating, not only for regional producers, but for Russia, which depends on exporting oil for its economic survival. A low oil price would massively increase unemployment and poverty in producing countries.

Saudi oilmen recall how George Bush Snr, when he was Vice-President, was so concerned about the declining oil price that he visited Saudi Arabia to persuade its government to restrict production. After a war, Bush Jnr might need to repeat the exercise to try to stabilise the market; but the Saudis might be less willing to help him out.

Bush insisted last week that America must become less dependent on foreign oil producers 'who don't like America'; but last month the US Department of Energy forecast that, by 2035, 51 per cent of world production would come from Opec - compared with 38 per cent today.

When Anthony Eden invaded Egypt in 1956, with France and Israel, he claimed to be defending British interests - without consulting the oil companies which opposed the invasion. The Suez war proved a great setback for BP and Shell, which faced angry nationalist reactions throughout the Middle East, while the Americans made the most of their advantage.

Many oil executives now fear a war against Iraq could have more dangerous repercussions; if it goes wrong, they will be among the first to blame the governments that launched it.

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ok
by paolox Saturday, Dec. 28, 2002 at 4:36 PM mail:

ho letto in fretta ma ho capito almeno che il petrolio irakeno e` troppo poco per valere una guerra.
ho capito che kissinger e` uno stronzo.
in breve, secondo voi perche` si fara` sta guerra?

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aggiungo..
by dirty dog Saturday, Dec. 28, 2002 at 5:57 PM mail:


uno studio dell'università di Grenoble
sulla dipendenza Usa dal petrolio

http://www.upmf-grenoble.fr/iepe/textes/PN_US_2002.pdf

tanto per sparigliare le carte :-)

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qualche tentativo di risposta....
by sbancor Saturday, Dec. 28, 2002 at 5:59 PM mail: sbancor@hotmail.com

E' vero caro Dirty, non ho mantenuto fede alla promessa. Ma mi limito a scrivere di quello che so. Vorrei evitare di alimentare polemiche inutili come quelle che stanno ammorbando il newswire di Indy. Per risponderti nel merito: il richiamo alle nuove tecnologie (idrogeno) è solo un esempio. La Francia, altro esempio si è quasi resa indipendnete dal petrolio con il nucleare, e questo non mi sembra un esempio positivo. Comunque la tendenza in atto è diversificare le fonti e le aree di approvvigionamento.
Il petrolio in Irak non è poco, anzi le riserve accertate ne fanno il secondo paese dopo l'Arabia Saudita. il flusso attuale di greggio, fra il programma Food for OIL e le esportazioni illegali, tramite Siria è intorno ai 3-3,5 milioni di barili giorno. Con la ristrutturazione degli impianti e le nuove concessioni si possono superare i 5 milioni di barili giorno.

Mi chedi quel'è il vero motivo della guerra? secondo me lo stesso di tutte le guerre calde o fredde che hanno caratterizzato gli ultimi 60 anni. Il rilancio dell'economia attraverso la Spesa Pubblica Militare. Insomma una sorta di keynesismo armato. Poi ci sono i motivi tattici e strategici, infine c'è l'eleminazione dei testimoni scomodi. Suvvia un po di fantasia "dark story" prendete questa lista: Noriega, Saddam, Milosevic, Osama Bin Laden e gli Afgani, Saddam2. Cosa li accomuna? Noriega, Saddam e Bin Laden erano tutti importanti pedine dello sporco gioco dealla CIA dall'Iran Contras alla guerra afghana e cecena contro i russi. Milosevic era un rinomato trafficante d'armi a livello internazionale. Se fossimo in un romanzo di Ellroy direi che qualcuno sta cercando di far fuori testimoni scpomodi per la dinastia Bush. Ma sia sa la realtà è peggio di un romanzo.

Per chiudere: NON SONO UN DISOBBEDIENTE. NON NE HO L'ETA' NE LA VOGLIA. HO USATO PIANETA TERRA PERCHE' MI PIACE, VA BENE COSì!!!!!.....oops ...ci sono ricascato!

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nsomma via
by dirty dog Saturday, Dec. 28, 2002 at 6:47 PM mail:


faresti venire voglia di alzare un pò il culo
per Indy a partire da gennaio, fornendo materiali,
analisi commenti etc.
Concordo sul warfare, meno sulla disponibilità di
petrolio ma per ora si ragiona solo su impressioni

alla prossima

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x Sbancor
by Gennaro Saturday, Dec. 28, 2002 at 7:08 PM mail:

Caro Sbancor,
di solito leggo con interesse i tuoi articoli, qualche volta li ho anche inoltrati su altre liste, tuttavia ho sempre considerato il tuo peggior difetto la tua ricerca delle frasi ad effetto e le semplificazioni nascoste dalla forma ammaliante.

Vero è che la scarsità di petrolio non è la causa di questa guerra. Quanto piuttosto la crisi finanziaria che incombe: rischio di crollo del dollaro e relativa fuga di capitali dagli usa, in primo luogo dei capitali sauditi che già hanno cominciato a prendere il volo.

In questo senso, l'estensione del controllo sulle risorse petrolifere è un arma di ricatto contro il rischio del declino del dominio finanziario usa.

Altro difetto: il tuo disprezzo per gli autori della tradizione marxista e comunista dai quali invece avresti molto da imparare, e rispetto ai quali resti un nano, nonostante la tua intelligenza e la tua capacità di comunicare con la scrittura.

Imperialismo, concetto stra-attuale, vuol dire un sistema economico che in base alla sua logica interna porta alla guerra di conquista.

http://digilander.libero.it/economiadiguerra/index1.htm

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dimenticavo ... il "moltiplicatore"
by Gennaro Saturday, Dec. 28, 2002 at 7:40 PM mail:

A me questa del "moltiplicatore" pare una stronzata. Di per sé non fare che peggiorare l'enorme debito del governo statunitense, la "spesa" può essere giustificata solo se può valere soltanto se può servire a puntellare il traballante "dollar-wall street system". E contrastare l'espansione dell'euro nell'area mediorientale.

Le guerre non hanno risolto le crisi perché hanno aumentato le spese, ma perché risultano il metodo più efficace per la "distruzione di capitale", unico metodo di soluzione delle crisi di sovrapproduzione, male endemico del capitalismo dalla sua nascita fino ad oggi. Le guerre servono inoltre per stabilire in modo diretto o indiretto, quale capitale deve essere distrutto, quali imprese, quali banche, quali gruppi finanziari.

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Tutto vero, nel 1914, però...
by sbancor Saturday, Dec. 28, 2002 at 10:25 PM mail:

La tua analisi non è sbagliata, ma guarda a una realtà, come dire un po' retrò. E cerramente la crisi e sempre crisi da sovrapproduzione di capitale. Questo capitale va distrutto, e mi sembra che Wall Street e Nasdaq, ne abbiano azzerato un bel po. La teria della guerra imperialista dice che meglio sarebbe distruggere il capitale degli altri, e compensare la spesa bellica attraverso la conquista di colonie e linee commerciali. Nel 1914 cioè nel mercato-mondo di sua Maestà Britannica ciò era ancora possibile. Con la fine della II° guerra mondiale il meccanismo cambia. Per la prima volta si era visto dopo oltre 10 anni di depressione e di fallimenti delle insulsaggini roosveltiane della Tennessee Valley cosa poteva fare la macchina industriale americana applicata alla guerra. la produzione dopo un decennio di ristagno ebbe un rialzo del 35%. La piena occupazione obbligo ad ampliare la forza lavoro donne, negri immigranti che quasi non sapevano una parola d'inglese entravano a centinaia di migliaia nella fabbrica fordista. Poi il 1945 e la vittoria, sporcata da quelle bombe di Hiroshima e Nagasaki che erano più una minaccia al nuovo nemico "rosso" che il colpo di grazia al vecchio nemico "nero". E nel 1946 si ricomincia Truman non consente il disarmo. Guerra di Corea, Vietnam Libano, Panama, Grenada e finalmente Iraq. La seconda metà del secolo breve è costellato di guerre (alcune puramente virtuali come le guerre stellari) che hanno come obiettivo il rilancio della spesa militare attraverso il complesso militare-industriale. Reagan, liberista, gestisce il più grande debito pubblico della Storia d'America. Può sembrare una follia ma la spesa miliatre funziona meglio della spesa sociale. Crea tecnologie nuove, e intersettoriale, ha effetti immediati e mantiene il suo effetto anche dopo il primo impatto. giustifica l'Impero. Certo si crea uno squilibrio sul deficit e sul debito pubblico. Ma se la ripresa ha successo ci sarà nuovo gettito fiscale e poi gran parte di quella tecnologia militare è rivendibile dopo un po'. Alla nato per esempio. E la Nato si allarga, Avete idea che cosa si guadagna su una bomba all'uranio impoverito solo come omesso smaltimento di un rifiuto nucleare? Dio ci scambi dalle economie dei militari! E' vero nel lungo periodo la spesa pubblica come integratore della domanda aggregata non funziona. L'ha dimostrato Paul Mattick e O'Connor ha scritto pagine indimemnticabili sulla crisi fiscale dello Stato. Nel lungo periodo, già, quando per Lord Keynes "saremmo tutti morti".

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discorsi seri
by rum Sunday, Dec. 29, 2002 at 12:47 AM mail:

il discorso si fa serio e andrebbe affrontato in un ambito un po' meno riduttivo... propongo di approfondire l' argomento in lista editorial.

Un primo appunto alla teoria di sbancor che mi sento in dovere di fare é che esistono altre teorie accreditate che affermano l' esatto contrario sulla disponibilità mondiale di petrolio. Non so dove stia la verità e penso sia molto difficile conoscerla rispetto ad un' informazione che ha così tante implicazioni strategiche. Ad ogni modo non mi fiderei ciecamente dei dati unilaterali di un sito .gov....

Sul fatto che esistano altre fonti di energia posso essere d'accordo solo in parte visto che senza petrolio aerei e navi si fermano e non esistono alternative neanche nelle menti dei futurologi alla Rifkin. Provate a fermare i 7000 cargo che ogni giorno solcano gli oceani e poi ditemi cosa rimane della globalizzazione.

Un altro grande assente del discorso di Sbancor mi pare la Cina e la sua forte dipendenza per la crescita economica dall' import di petrolio. Ad oggi, nonostante la strategia di diversificazione nelle fonti di approvigionamento, più del 56% del petrolio importato dalla Cina proviene dal Medio Oriente.

ora é tardi e il tasso etilico é alto... speriamo di continuare presto e con un po' più di portamento...








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novità
by Gennaro Sunday, Dec. 29, 2002 at 8:39 AM mail:

E no! E’ la solita solfa: il marxismo è “vecchio” , è retro’. Ma guarda caso i discorsi che si presentano come “novità” finiscono per rappresentare una regressione paurosa. Leggendo Indymedia sarà giunta voce a Sbancor che Negri gode del disprezzo di settori piuttosto ampi del movimento, e non certo solo di quelli “vetero”. Disprezzo ben meritato: “Gli Stati Uniti non sono al centro di un progetto imperialistico”, “l’imperialismo non esiste più”, sono le grandi novità annunciate nell’aprezzatissimo (da Time, che gli ha conferito il titolo di libro dell’anno) Impero. Resta da spiegare come mai gli Stati Uniti da dieci anni a questa parte sono stati impegnati in varie guerre riconducibili al controllo delle risorse energetiche (anche quella contro la Jugoslavia, questione del cosiddetto corridoio 8).

Se vogliamo ragione seriamente di ciò che è nuovo rispetto all’imperialismo della prima metà del secolo, discutiamo sul ruolo che svolge il controllo della moneta come perno di un sistema, il “dollar-wall street system” di cui parla Peter Gowan, libro realmente innovativo (il link alla versione .rtf della parte più interessante del libro si trova sul mio sito, linkato nel messaggio precedente). La crisi di questo sistema, che si presenta nella forma immediata del rischio di crollo del dollaro, di cui parla addirittura anche il Fondo monetario internazionale è all’origine della “guerra infinita”. E’ vero che le borse sono crollate del 20%, ma secondo il parere di molti (vedi financialsense.com, usemlab.com) devono crollare di almeno altrettanto per ristabilre un rapporto dividendi/valore nominale delle azioni minimamente equilibrato. In realtà non siamo che all’inizio della crisi, non esiste solo la bolla del mercato azionario, ma anche la bolla del mercato immobiliare, la bolla del mercato obbligazionario e il valore del dollaro è esso stesso una bolla. Il ruolo dello stato non è scomparso, ma anzi è aumentato: si pensi alla funzione svolta da Greenspan nell’alimentare le varie bolle attraverso la riduzione dei tassi di interesse e l’immissione di liquidità nel sistema.

L’imperialismo non è più quello di inizio secolo dopo le lotte di liberazione dei popoli colonizzati e dopo la bomba atomica. Il controllo delle risorse energetiche ha quindi una funzione strategica da giocare contro Europa e Cina in un contesto in cui la guerra non si può condurre nel vecchio modo. Ma nel caso dell’Iraq pur sempre guerra di conquista si tratta, o no?

Cmq spero che la discussione si possa continuare più approfonditamente da qualche altra parte.

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Sbancor, sulle cause della guerra
by magius Sunday, Dec. 29, 2002 at 8:55 AM mail:

Non comprendo perche' Sbancor non includa in questo suo Focus l'analisi che gia aveva indicato come prioritaria

nel suo articolo su Rekombinant
http://www.rekombinant.org/article.php?sid=1918

ripresa tra l'altro da Umanità Nova
http://www.ecn.org/uenne/archivio/archivio2002/un43/art2497.html

che cioe' una delle concause fosse la necessita di tenere a bada l'Arabia Saudita, formalmente alleata Usa, ma individuata come il principale finanziatore di Al-Qaeda, pericolosa detentrice di investimenti strategici in Usa e quasi monopolista della produzione di petrolio OPEC.

Come avverrebbe cio' secondo quell'analisi di Sbancor/Umanita Nova? La conquista manu militari dell'Iraq ed il controllo sui pozzi permetterebbe agli Usa di immettere grossi quantitativi di petrolio sul mercato, facendo cosi abbassare il prezzo del petrolio, specie di quello del cartello Opec.

Quanto poi all'ipotesi del Keynesismo di guerra, la cosa non mi convince un granche. Sbancor, se hai a disposizione dei dati in relazione ai possibili profitti di una ricostruzione post-guerra dell'Irak, si potrebbero confrontare con quelli dei costi della guerra..e vedere se quadrano i conti! Non mi pare che la prima guerra irakena o le guerre yugoslave abbiano inciso cosi grandemente sul riavvio della crescita.

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Di imperialismi e d'altre cose...
by Sbancor Sunday, Dec. 29, 2002 at 1:34 PM mail: sbancor@hotmail.com

Dunque vediamo le crtiche: dovrei leggere di più Marx e Lenin. Del primo credo di aver letto, con piacere, quasi tutto quello che ha scritto. Del secondo ho letto solo le "Le due Tattiche" e "Stato e rivoluzione". E non mi ha convinto.
CMQ
1. Non credo che l'attuale guerra in Irak sia una guerra imperialista, nel senso classico, appunto leniniano del termine;
2. L'analisi dell'Impero è appena iniziata, e vorrei invitarvi tutti a leggere Tony come un contributo importante al dibattito, con tesi condivisibili o meno, ma che non sono, almeno ad oggi e per fortuna, le "tesi di un partito"
Le differenze fra l'imperialismo dei primi del 900 e l'attuale politica dell'Impero ci sono, evidenti differenze.
3, In questo pezzo volevo polemizzare con la tesi del petrolio !Casus Bell"i. Vi sono anche altre linee di ricerca, non ultima il tentativoi di infilarsi nella "guerra" per la Successione Saudita. Ciò che però poco mi convince in questi obiettivi è raggiungibile senza guerre E qui siamo arrivati invece alla minaccia nucleare!
4. sul keinesimo militare stiamo lavorando con un gruppo di compagni. Appena possibile vi invierò dei materiali.
Grazie a tutti.

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Ancora sulla guerra
by karlse Tuesday, Dec. 31, 2002 at 2:43 PM mail:

Perché scoppiano le guerre?
Ricorro a un intervento, reperibile su internet, di Sergio Finardi, che sarà vetero marxista ma, forse proprio per questo, fa accurate analisi concrete di situazioni concrete.
La materia di base dei conflitti è la concorrenza e lo scontro per il controllo dei settori economici strategici. Questi settori sono quelli il cui controllo mette in grado di detenere le leve sul mantenimento della vita e su tutti gli altri settori economici.
Sono:
- la grande produzione agricola per l’alimentazione umana e animale e per la produzione di fibre naturali per l’industria
- le fonti di acqua a uso umano agricolo o industriale
- l’estrazione, produzione e commercializzazione dell’energia
- l’estrazione e la preparazione commerciale di metalli e minerali critici per le produzioni industriali, ossia quelli senza i quali non si possono produrre o far funzionare i macchinari industriali, i mezzi di trasporto, gli armamenti, i beni intermedi come i pc ecc. (alla faccia dei teorici dell’immateriale)
- la ricerca tecnologica avanzata a uso militare e il connesso apparato militare-industriale
- il settore del trasporto merci internazionale, il cui controllo è fondamentale per la circolazione dei beni.

Io credo che i punti 3, 5 e 6 siano quelli decisivi per comprendere l’attuale fase di preparazione di guerra contro l’Iraq.
Di sicuro nulla c’entra il cosiddetto keynesismo militare, che se pure esiste, appartiene al lontano passato. Le spese militari Usa sono crollate da 382 miliardi dell’89 a 281 del 99 (meno 26 %). In percentuale sul Pil si va da un 37,9 del 1944 al 14,1 del 53 (guerra di Corea), 9,4 del 68 (Vietnam), 5,2 del 90 (Golfo) al 3,9 del 2002. Per avere un qualche effetto sull’economia complessivamente, la guerra dovrebbe essere una cosa seria, dovrebbe essere rivolta contro l’Europa o il Giappone, con la distruzione completa di queste economie in modo da alimentare la domanda verso gli Usa. Stante le previsioni di quanto costerà questa operazione militare, si tratterà solo di un aumento della spesa pubblica, o meglio di un trasferimento di essa da alcuni settori verso quelli miltari. E infatti, trattandosi di spesa pubblica da finanziare o tramite imposte o tramite titoli, Wall Street non è molto d’accordo.
E io ho anche qualche riluttanza a usare il termine “guerra” per le ultime mattanze militari dal Panama in poi. Si tratta di spiegare questa tendenza complessiva degli ultimi anni, non solo il singolo episodio. Io credo che semplicemente ci sia un tentativo del settore militare-industriale di contrastare il declino di cui sopra. Molto banalmente, i generali devono giustificare la loro esistenza, le industrie devono vendere missili, elicotteri, sistemi informatici.
Personalmente ritengo che ci sia poi un motivo molto serio di politica interna Usa. L’economia usa è traballante, la pletora di capitale fittizio creato (derivati ecc.) sta esplodendo, il debito che gli Usa hanno verso il mondo intero è difficilmente sostenibile ancora a lungo, il rischio di un collasso in stile Argentina (con le debite proporzioni) è molto alto. In questo quadro abbiamo un esponente dei settori militare-industriale e di quello petrolifero, Bush, quindi di una parte del capitale, che non fa gli interessi del capitale in generale ma il proprio, che si impadronisce della presidenza con un colpo di mano, e che attua un vero colpo di stato con l’11 settembre, eliminando con la scusa del terrorismo qualunque possibilità di opposizione interna, attuando una gigantesca ristrutturazione del settore pubblico, eccetera.
Nel caso dell’Afghanistan è abbastanza evidente il ruolo di questa alleanza tra settore petrolifero e settore miltare. Il piano di normalizzazione dell’area, per consentire la costruzione delle vie di transito delle materie prime, era antecedente di un anno a qundo poi è stato attuato.
Quanto conta il petrolio nel caso dell’Iraq? Qua le indagini empiriche dovrebbero essere accurate. Perché da un lato la dipendenza degli Usa non tanto dal petrolio in generale ma da quello di provenienza mediorientale è sicuramente minore di quella europea e giapponese. Dall’altro il controllo di una risorsa ancora strategica e che rimarrà tale ancora per molti anni è un elemento comunque importante.
Mi pare strano che Sbancor non applichi all’attuale situazione l’ipotesi da lui riportata per la cosiddetta crisi del 1973, e cioè che uno degli obiettivi di questa operazione militare possa essere non una diminuzione del prezzo del petrolio, ma un suo aumento. Nell’immediato, ciò significherebbe la fine di qualunque speraznza di ripresa economica per Europa e Giappone, e forse un po’ di fiato per le imprese Usa. Ciò significherebbe nel medio periodo l’arresto della tendenza in atto al ritiro dei capitali speculativi mondiali dagli usa. Però sinceramente i meccanismi della formazione del prezzo del petrolio sono talmente complessi che non so quanto questa ipotesi possa reggere, e soprattutto non credo che nell’ambito della spietata concorrenza tra stati e tra capitali ci sia nessuna forza in grado di determinare alcunché.

Insomma, per concludere:
1) credo che quelle degli ultimi anni non siano “guerre”, ma operazioni economico-militari di tipo “imperialista”
2) penso che il libro Impero sia una noiosa opera di fantascienza del tutto mancata, non avendo neppure il pregio della fantascienza cioè di partire da elementi comunque latenti nell’attualità; di esso libro non vale proprio nemmeno la pena parlare
3) il petrolio è una risorsa strategica e quindi vale la pena indagare l’industria collegata
4) il keynesismo militare resta un oggetto un po’ misterioso, come gli ufo e come il keinesismo in generale

ciao e buon anno
Sergio

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petrolio e dintorni
by versus Wednesday, Jan. 01, 2003 at 2:48 AM mail:

il sistema finanziario è fallito ben prima dell'11 settembre e credere alla favola di bin laden è come credere a babbo natale .
nell'analisi di sbancor manca un elemento fondamentale che gennaro invece ha rilevato ,avere il controllo dei pozzi irakeni mentre ci si appropia delle pipeline afgane ,e si estromette chavez dal venezuela significa distruggere il monopolio opec e di conseguenza rimanere i soli a determinare il prezzo di questa fondamentale fonte energetica , in sostanza una magnifica arma di ricatto nei confronti del resto del mondo......il chè per una nazione finanziariamente fallita è un ottimo risultato.

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E' proprio su questo che non siamo daccordo
by Sbancor Wednesday, Jan. 01, 2003 at 7:05 PM mail:

E proprio su questo che non sono daccordo. Secondo me il controllo "materiale" dei pozzi è secondario rispetto al controllo del "mercato" che è sempre stato fra Londra Rotterdham e Dallas. La concezione della guerra imperialista come guerra di rapina non spiega perchè non è stato fatto nel '90. Inoltre presuppone che il rialzo dei prezzi del 1973 fosse contro l'America, mentre Yamani dice che Kissinger era a favore. Per un impero come quello americano non c'è bisogno di conquistare i pozzi di petrolio. L'impero ha bisogno della guerra per alimentare la spesa pubblica militare. Il nemico è quasi ininfluente. Infatti possono fare guerra anche alla Corea del Nord dove sinceramente non c'è nulla da rapinare. la geopolitica, i corridoi, le questioni energetiche ecc. vengono "dopo" la decisione di politica economica in favore della guerra. Esse disegnano il terreno tattico dello scontro, ma non dicono nulla sul motivo che spinge il capitalismo in guerra: la necessita di sopravvivere a se stesso.

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korea
by rum Thursday, Jan. 02, 2003 at 4:57 PM mail:

Le minacce di guerra alla korea del nord sono finalizzate ad arrestare il processo di pacificazione e possibile riunificazione appena iniziato fra le due koree (apertura ferrovia e scambio prifionieri).
Se questo avvenisse armoniosamente verrebbe meno la legittimazione per gli USA a tenere le proprie truppe nella korea del sud dove il nazionalismo antiamericano é crescente. Gli americani vogliono evitare con qualsiasi mezzo una korea unificata e privata delle truppe USA perché essa entrerebbe naturalmente nella macro-area di influenza cinese escludendo gli USA da un grande gioco dell' economia asiatica.

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Impero?
by Gennaro Thursday, Jan. 02, 2003 at 7:10 PM mail:

È la categoria di impero che risulta fuorviante, perché induce ad es. trascurare il conflitto tra Europa e Usa. La creazione di un'area stabile dell'euro, magari in espansione, è un grosso rischio per gli Usa, in quanto il principale pericolo in questo momento è la fuga dei capitali, e relativo crollo del dollaro. L'area dell'euro è l'unica per dimensioni che potenzialmente può sfidare il mercato dei capitali americano.
Si tratta di qualcosa di ben più importante che una guerretta per stimolare l'economia. È in gioco il mantenimento del predominio economico-finanziario statunitense.
È un fatto che in seguito alla guerra contro la Jugoslavia l'euro ha perso del 20% in cambio contro il dollaro.
Non conta che alla fine i politici europei finiranno per allearsi con gli Usa, in base al principio secondo cui se non puoi sconfiggere il tuo nemico alleati con lui. La loro contrarietà è stata ben netta (perfino Berlusconi è esitante a seguire l'"amico Bush").
È un periodo in cui i capitali europei e americani sono diventati "fratelli nemici", e questo l'Impero, "la notte in cui tutte le vacche sono nere", non lo contempla.

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Riguardo al concetto di imperialismo
by Gennaro Thursday, Jan. 02, 2003 at 7:28 PM mail:

Sbancor ha buon gioco ad applicare la concezione di imperialismo, o almeno quello che lui crede che sia, sviluppata all'inizio del novecento, ai fatti di oggi, facendo così apparire questo termine antiquato e inadatto a spiegare i fenomeni odierni.
È ovvio che il capitalismo odierno non è quello di inizio secolo, e che lo stato-nazione non è più quello europeo, ma prevalgono le aggregazioni più grandi. Tuttavia alcune cose ricorrono. Ad es. è innegabile che una delle caratteristiche salienti dell'imperialismo secondo Lenin, il predominio del capitale finanziario su quello industriale, conservi una sua validità. Giovanni Arrighi sul predominio dell'uno o dell'altro vi ha fatto addirittura una sorta di teoria dei corsi e ricorsi storici.
Ma Sbancor non ha letto l'Imperialismo, il che non gli impedisce di polemizzare contro questo concetto.

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Una precisazione
by Sergio Finardi Thursday, Feb. 20, 2003 at 3:11 AM mail:

Cari amici, ringraziando per la citazione (non so pero' cosa voglia dire vetero-marxista, ho letto con serieta' e spendendo un paio di anni cio' che mi sembrava utile di Marx, cosi' come di tanti altri in tanti altri anni che hanno scritto critica dell'economia politica e dopo tutto questo ritengo che per fare buona ricerca e buona analisi politica serva semplicemente essere grandi osservatori del reale, avere buon senso ed onesta', non escludere niente, affrontare tutto a mente libera guardando i dati senza forzarli mai), vorrei invitarvi a spendere il vostro tempo a fare appunto "analisi concrete di situazioni concrete", la testa dentro gli scenari internazionali che esistono, analizzati punto per punto. Lasciate perdere le teorie. Non importa come si potrebbe chiamare una cosa, se sta dentro o fuori un certto schema: serve descriverne i contenuti al meglio per quello che e' oggi in base ai dati che abbiamo (nella scienza vero e' solo quello che offre agli altri i dati per la sua contra-dizione e assume che contraddicendoli non si riesce a spiegare cio' che si vorrebbe). Servono analisti, non commentatori. Al proposito di petrolio, vi invito a vedere una breve sintesi scritta sul numero di SocialPress in distribuzione il 15 febbraio: un dato forse interessante e' che e' il Canada, e non l'Iraq, a detenere la seconda, e di gran lunga, posizione per riserve. Un caro saluto, Sergio Finardi

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appunto
by non geologo Saturday, Mar. 05, 2005 at 1:14 AM mail:

Mi sorprendo di un banchiere che crede ciecamente alle informazioni sulle riserve fornitegli da grandi debitori..

io non ho la benche' minima idea di quanto petrolio ci possa essere sul pianeta, ma ho la forte convinzione che ne se consumi piu' di quanto madre natura ne crei.

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