articolo su Davos uscito su il manifesto del 26 gennaio
Davos, finisce male Palle di neve contro manganelli nella città blindata che ospita il Forum economico. Molti manifestanti, respinti dai check point, si riversano in serata su Berna. E scoppiano gli incidenti: lacrimogeni e pallottole di gomma, vetrine in frantumi, incendi
Serena Tinari Davos. Una lunga giornata di attesa e trattativa e infine, la repressione. Alcune migliaia di persone hanno raggiunto ieri il Cantone dei Grigioni per partecipare alla manifestazione «contro la guerra, contro il World economic forum». Ma sono rimaste deluse le aspettative della vigilia e si è rivelata una farsa l'autorizzazione concessa dal governo locale alla mobilitazione. Dopo mesi di parole e promesse di dialogo, l'unico confronto che si è visto a Davos è stato quello fra forze dell'ordine e manifestanti: dinamica amara da «guardie e ladri», fra palle di neve, scudi e manganelli. E si ritrovano spaccati il movimento e la sinistra istituzionale: il Partito socialista non ha perdonato all'Alleanza di Olten, il cartello di ong, sindacati, partiti e collettivi che ha promosso la manifestazione, di avere rifiutato i controlli severi previsti al check point di Fideris. E l'Alleanza rinfaccia ai socialisti «di aver distrutto in due giorni un lavoro di confronto e mediazione durato due anni». Dalle prime ore del mattino a Landquart, stazione di cambio obbligata per raggiungere Davos in treno, un camion musicale aspettava i manifestanti. E meno male: senza, l'attesa sarebbe stata probabilmente insostenibile. Presidiava il concentramento la polizia di Ginevra: il meglio del «robocop» made in Switzerland. Protezioni dalle caviglie alle spalle e un po' ovunque accessori di ogni genere: manganelli tonfa, radio e auricolari, gas in bombolette, manette di plastica. Uomini di grande taglia, dall'attitudine militare e dall'atteggiamento poco conciliante, che al lancio di palle di neve rispondevano schierandosi minacciosi. Alle transenne si affacciava curiosa la popolazione di Landquart e nel piazzale della stazione uno stand distribuiva zuppa e the caldo per fare fronte al freddo e alla neve. Striscioni ironici: «Grigioni: the bunker feeling». Lo spezzone pink ballava la samba e distribuiva post-it naturalmente rosa, che inneggiavano alla rivoluzione delle Radical Cheerleaders: ragazze pon-pon, ma radicali. C era anche un gruppo black, molto giovane e poco incline al clima disteso che dominava la piazza. Alle dieci cominciavano le estenuanti trattative sul passaggio a Fideris, dove i manifestanti dovevano attraversare un corridoio di gabbie, metal detector e telecamere. Alle 13 infine è raggiunto l'accordo: controlli sui bagagli, mentre alcuni agenti sarebbero saliti sui pulman e sui treni accompagnati dai giuristi democratici svizzeri. Al microfono si svolge un dibattito appassionato: l'Alleanza di Olten chiede alla piazza di esprimere consenso sulla scelta di non sottoporsi ai controlli, ma di accettare il compromesso della polizia. Un esperimento interessante di politica partecipativa dove fra fischi, interventi e applausi la piazza ha detto sì a Davos. Ma la promessa delle autoritá dura giusto il tempo di impacchettare il camion e risalire sui treni. Quando il primo convoglio arriva a Fideris, la beffa è evidente: file di robocop schierati attendono il treno, con limperativo categorico di sottoporsi alle gabbie. A Landquart rimane un solo treno fermo in stazione, circondato dalle forze dell'ordine. E quando un piccolo gruppo di persone si avvicina troppo allo sbarramento ed a colpi di palle di neve tenta un improbabile blocco della vicina autostrada, partono le cariche. Gas lacrimogeni, idranti, pallottole di gomma. C'era anche il nostro Paolo Cento, venuto in visita «in cerca di conflitto». Che invece rimane sconvolto dalla violenza dei robocop elvetici, si becca un lacrimogeno e riparte annunciando un'interrogazione al ministero degli esteri. E mentre a Fideris va avanti il braccio di ferro, attivisti si spostano da un paese all'altro, in cerca di amici dispersi. Solo alle 16 a Davos inizia il corteo, con le duemila persone che sono riuscite a superare i check point. E fra scenografie fantasiose, compie un atto simbolico: riconsegnare al comune di Davos l'autorizzazione ottenuta in mesi di negoziati e vanificata dal dispositivo di polizia. Poi sfila all'indietro, per raccontare «che qualcosa di serio non ha funzionato: sono state violate le promesse e gli accordi». Da Fideris e Landquart i manifestanti, acciaccati e frustrati, salgono sui treni per lasciare il Cantone dei Grigioni. A Zurigo li aspettano centinaia di robocop schierati con funzione preventiva e dunque si riversano a Berna, per una manifestazione non autorizzata. La polizia della capitale federale intanto diffondeva un appello alla popolazione: state a casa. In serata violento scontri sonos ccopiiti nel centro storico della città: ingenti i danni, molte vetrine distrutte e danneggiato un hotel di lusso.
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