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La Guerra e il Petrolio
by Sbancor Thursday January 30, 2003 at 02:48 PM mail: sbancor@hotmail.com 

La guerra rende nervose le persone per bene. Figuriamoci i Mercati. Il Petrolio sale, ma fa parte della truffa. Il Petrolio ha un potere esplicativo sulla Guerra pari a quello delle armi di distruzione di massa. Cioè "zero".

La Guerra rende nervose ed emotivamente instabili le perone per bene. Figuriamoci i mercati. Stiamo entrando nell'ultimo tratto di quella corsa infernale che ci porterà - si anche noi - a combattere. Non è bello, anzi, diciamolo, fra proprio schifo. E il fatto che l'europa di cui siamo in compagnia sia costituita da Inghilterra, Spagna, Portogallo, Danimarca, Ungheria, Polonia e Repubblica Ceca, fa pensare più a quelle sconclusionate alleanze antinapoleoniche dei primi dell'800, che a una cosa serie. Un Presidente del Consiglio plurindagato per quasi tutti i reati patrimoniali, escluso, forse il furto dalle cassette per l'elemosina. Un Ministro della Difesa che alla fine come unico curriculum ha quello di essere un allievo di Milton Friedman, un Presidente della Repubblica che canta inni, sventola bandiere e non sa che fare. Se l'Iraq non fosse guidato da Saddam Hussein, la guerra potremmo anche perderla!
E i risparmiatori (una volta si chiamavano avari) investono nell'oro. Gli altri investimenti calano, le borse si volatilizzano, i rendimenti dei Buoni del Tesoro assomigliano ormai ai libretti postali, solo che rendono di meno. Il petrolio sale, scontato, come in una scommessa Inter-Propatria al toto nero.
Bolsi e ignoranti i nostri economisti più di sinistra continuano a riptereci che questa è una guerra per il petrolio, come fossimo al tempo della "Guerra dell'Oppio". E magari lo fossimo, l'oppio fumato in sottili pipe cinesi, libera la mente dai pensieri idioti.
Invece no. Ultimo Cursio Maltese. Lunedì scorso a Miulano, a una riunione al circolo della Cultura con Cofferati. Sicuro il "maltese" informava il "cinese" che questa è una guerra per il petrolio. Il cinese, cortese, assentiva, come assente a chiunque gli possa portare voti.
E allora siccome per professione faccio il guastafeste ecco i miei dati sul petrolio.

- non vi è scarsità di petrolio attualmente sul mercato, né si prospetta in un futuro ragionevole l'esaurimento delle scorte. Le riserve accertate attuali, oltre 1.000 miliardi di barili, sono un multiplo delle riserve stimate all'inizio degli anni '70. La scoperta dei nuovi giacimenti dell'Asia Centrale dimostra come vi sia ancora abbondanza relativa di petrolio;
- non vi è da parte dell'OPEC la possibilità di politiche di cartello, al di fuori di un alleanza strategica con almeno due dei seguenti tre produttori: Russia, Norvegia, Venezuela, come si è dimostrato nel lungo periodo di prezzi bassi; non vi è, sempre da parte dell'OPEC o di tutti, o alcuni dei paesi mediorientali, la possibilità di modificare, in modo permanente, il prezzo del petrolio, come avvenne all'inizio degli anni '70, e i prezzi di riferimento, inoltre (Brent e West Texas) nonché il mercato dei derivati sul petrolio è allocato in Occidente; il mercato del petrolio è un mercato oggi dominato dalla domanda, e non dall'offerta;
- è la debolezza della congiuntura economica, e quindi della domanda mondiale a determinare i prezzi bassi del petrolio, occorre ricordare che prima dell'avvicinarsi del pericolo di guerra, ancora un mese fa i prezzi del greggio stazionavano nella parte bassa della forbice 22-28 dollari indicata dall'OPEC;
- La dipendenza dal petrolio mediorientale per gli U.S.A. è considerevolmente diminuita; dal 70,3% del 1977 al 40,6% attuale. E occorre ricordare, per quanto oggi appaia paradossale, che ancora nel 2001 le compagnie americane compravano il 41,2% del totale export petrolifero dell'Iraq;

Le importazioni nette di petrolio degli Stati Uniti, includendo quelle relative la Strategic Petroleum Reserve (SPR) ammontano a 10,4 milioni di barili di petrolio giorno (bpd) nel 2000; 10,90 (bpd) nel 2001, 10,5(bpd) nel 2002, e - se il PIL cresce di almeno il 2,6% - a 11,63 (bpd) nel 2003. Il prezzo, calcolato come costo di acquisizione per le raffinerie (RAC) è stato in media di 27,72 $ per barile nel 2000, di 22,01$ nel 2001 e sembra che l'anno in corso si chiuderà intorno ai 24 $ barile, nonostante il "rally" di questi ultimi giorni.
Ora proviamo a costruire delle ipotesi costo/benefici di una guerra.
In un anno gli USA importano circa 4 miliardi di barili di petrolio, poniamo che il prezzo del petrolio salga a 50 dollari barile, contro i 24 attuali cioè al massimo della media annua raggiunta nella crisi degli anni '70, la spesa aggiuntiva annua sarebbe circ di 104 miliardi di dollari all'anno.
Le ipotesi sulla spesa militare necessaria per la Guerra in Iraq variano da un minimo di 200 miliardi di dollari a un massimo di 2.000.
Morale: il petrolio costa meno comprarlo che rapinarlo. E infatti gli americani fino a tutto il 2001 compravano il 42% della produzione irachena. il petrolio è una truffa, come negli anni '70. I profitti del petrolio iracheno non basterebbero a pagare la sicurezza delle truppe americane in Iraq e a garanture il minimo di aiuto alla popolazioine

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Magari sbagli i presupposti
by Halls Thursday January 30, 2003 at 03:17 PM mail:  

Fermo restando che leggo sempre con attenzione i post di Sbancor potrei anche pensare che, come egli stesso suggerisce in fondo all'articolo, possano essere gli stessi presupposti ad essere errati. Forse, nonostante le previsioni da lui riportate, sulla questione petrolio c'è un problema di fondo, valutare cioè la effettiva disponibilità nel prossimo futuro in relazione agli elevati costi energetici per l' estrazione. Se è vera l'ipotesi secondo la quale l'estrazione del petrolio avrà una caduta verticale tra una decina d'anni i calcoli fatti sui costi/benefici della guerra sarebbe completamente da rifare.

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Gli Sbancor
by Straight Edge in your Face Thursday January 30, 2003 at 03:31 PM mail:  

La questione è che l'Iraq ha riserve di petrolio e gli Usa le hanno ormai finite, infatti dei loro 195 gbo ne hanno estratti 169. Ultimamente gli Usa si sono rivolti alla russia, ma i suoi giacimenti ammontano a 200 estratti 121.
L'area mediorientale è l'area con maggior riserve e riuscire a dominarla vuol dire fare funzionare l'economia.
Sbancor come molti economisti nn capiscono che esistono beni che esauriscono dopo un pò nn sono riserve illimitate.
Per misurare la ricchezza essi conteggiano solo quella consumata.
Ad es. uno Stato dà fondo alle sue risorse di legname, vengono abbattutti gli alberi, la ricchezza aumenta secondo il valore di scambio del legno, ma nn viene conteggiato che per quello Stato ora le riserve di legname sono diminuite. E per fare una foresta ci vuole più tempo che tagliare gli alberi della stessa.
Cambiate parametri di misura della ricchezza cari Sbancor.

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a sbancori'...
by Barbara Thursday January 30, 2003 at 03:42 PM mail:  

...stavolta non sono d'accordo!
da dove le prendi le info, dall' USGS?

leggiti le mie fantasiose teorie oggi esposte su:
http://www.italy.indymedia.org/news/2003/01/164313.php

poi ne parliamo! ;-)

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Il nucleo dirigente imperiale è petroliere
by salvatore Thursday January 30, 2003 at 05:12 PM mail:  

Stavolta Sbancor canna, di grosso. Così come recentemente disse che Bush si pappa l'Iraq in 10 giorni...a dargli retta, a quest'ora Cartago dovrebbe essere già fumante e polveroso!

Già ad aprile 2002, l'invincibile macchina da guerra imperiale, si fermò perchè per fare la guerra del petrolio...ci vuole combustibile!! E il golpe a Caracas, che doveva garantirlo SENZA LIMITE, fallì!

Eh si, anche gli imperi nascenti hanno i loro limiti!
Non dimenticare due cose:
1)TUTTA l'alta classe dirigente è stata trasferita al vertice dello Stato preelevandola dalle MULTINAZIONALI del PETROLIO.
Questa non è una semplice CASUALITÂ, qualcosa vorrà pur dire
2) tutta la politica estera yanqui, sviluppata finora, come oggetto le 3 RISDERVE MONDIALI del petrolio.

In Asia Centrale: invasione accidentatissima dell'Afganistan, per controllare i "corridoi"

In Medio Oriente: guerra contro la Palestina, e guerra contro l'Irak al fine di GESTIRE direttamente quelle riserve

Area Andina-bolivariana: Venezuela, Colombia, Ecuador e gas della Bolivia. Qui i gringos hanno in marcia il Plan Colombia per trasformare questo paese in una sorta di Israele, due golpe contro Chavez ed ora la destabilizzazione atraverso sabotaggio dell'economia, usando perfino la tecnologia satellitare!

Bush vuole il controllo delle riserve energetiche del pianeta, solo così potrá tenere a freno UE e Giappone.

I conti di Sbancor hanno la vista corta: Rmsfeld ha detto che -oer risarcirsi delle spese della guerra- il petrolio dell'Irak passerà dalla gestione sotto controllo ONU a quella di Wasington. Non ha specificato per QUANTO TEMPO.

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sbancor quantitativo
by rum Thursday January 30, 2003 at 07:14 PM mail:  

L' approccio esclusivamente quantitativo non dà ragione di nulla, qui stiamo parlando di una mossa geopolitica che intende plasmare il mondo per il prossimo secolo.
Gli USA vogliono controllare il petrolio e le sue vie perché sanno che dai rubinetti del Centro Asia si controllerà la crescita economica di Cina e India, paesi privi di risorse prorpie significative ma unici in controtendenza rispetto alla crisi economica globale.

Nella direzione della creazione di un Impero globale anche l' OPEC, per quanto meno potente rispetto ai decenni passati, é ancora un intralcio alla regolazione del prezzo del greggio. E il Venezuela é un paese OPEC a differenza di quello che sembri dire nel tuo post.

Sulla questione delle scorte rimanenti ci sono molti dati contrastanti e non so decidermi prima di uno studio approfondito. Ad ogni modo é certo che diversi studiosi autorevoli del settore affermano che ci si stia avvicinando al picco di estrazione.

Sulla controversa questione posto qua sotto uno stralcio tratto dal libro "IMBROGLI DI GUERRA" - Scienziate e scienziati contro la guerra -Odradek (1999)

http://www.uniroma2.it/rdb/torvergata/link/terrorismo/LeCrisiAmbientaliGlobali.htm

------

2.3 CRISI ENERGETICA

Già nel 1997, il problema del picco del tasso di estrazione in arrivo nella prossima decade era uscito dalle ristrette cerchia dei geofisici e geologi, con un famoso articolo apparso su Nature (apr.’97) con il titolo "Oil Back on the Global Agenda" e in cui si spiegava che le riserve erano state superstimate dall’OPEC e dall’ex-URSS a scopi puramente di vendita e di prezzo del barile. Nel 1998 la Petroconsultants di Ginevra - un istituto che fornisce le consulenze geologiche e geofisiche petrolifere a tutte le multinazionali del petrolio - mostrava che nei passati 50-60 anni il tasso di scoperta di nuove riserve (in Gigabarili/anno) era sceso costantemente, e da più di 40 anni è ormai trascurabile rispetto al tasso di produzione e di consumo. Dal 1997 ogni G7/G8 ha in agenda un rapporto dell’IEA sulla proiezione del tasso di estrazione di petrolio e gas naturale. Nel G8 di Mosca del Marzo 1998, l’IEA mostra grafici e dati complessivi, ritoccando in basso le riserve pretese dall’OPEC di fattori 4-5, prevedendo il picco del tasso di estrazione nel periodo 2010-2015 circa a livello mondiale (cioè il picco della somma dei tassi di estrazione massimi possibili di ogni pozzo o regione petrolifera, includendo ovviamente anche tutto il Medio oriente, l’Iran e il Caucaso). A marzo 1998 la questione viene pubblicata persino sulla rivista divulgativa scientifica "Scientific American", con riferimenti, oltre che al picco in arrivo e ai dati che lo avvalorano, anche alla previsione di King Hubbert, fatta 30 anni prima con sorprendente buona approssimazione. Sui media britannici e USA la questione fa rumore. Sui media italiani, nulla.

Nel maggio del 1998, l’allora capo esecutivo dell’ENI, il Dr. Bernabè, rilasciava un’intervista alla rivista di economia ed alta finanza Forbes, prevedendo il picco (geologico, non temporaneo) della produzione di petrolio e gas naturale a livello mondiale nel 2005 ± 5 anni, e prevedendo anche un potente shock economico causato dall’esplosione del prezzo del barile, visto che la domanda sarebbe per un pò continuata a crescere, mentre l’offerta avrebbe piccato. Sui media italiani, come sempre, niente.

Cosa avviene sul fronte negoziale circa la crisi energetica e le sue micidiali interazioni con la crisi climatica e le necessarie riduzioni di consumo di energia fossile? Nulla. L’unica sede in cui - sommessamente - si discute sono i meetings del G8, ma su questo aspetto l’eco sui media, di nuovo, è pari a 0.

Un cenno importante su un particolare aspetto dell’interazione di questa crisi con la crisi climatica, che così tanto è intrecciata con il problema dell’energia, fino a diventare quasi un tutto unico. Quando si verificherà il picco, come tutti gli analisti - scientifici ed economici - hanno previsto, i prezzi esploderanno. Anzi, si prevede - come ci spiega Bernabè dalle colonne di Forbes - che i prezzi comincieranno a salire quando la derivata seconda della curva del tasso di produzione diventerà negativa. Cosa ci si deve aspettare allora? Un violento shock economico, dai risvolti complicati, tranne per alcuni elementi facilmente prevedibili:


I militari diranno che la loro quota di carburanti non si tocca, in quanto "strategica";


Le quote dei bunker fuels - quelle per alimentare il grande trasporto marittimo - non si potranno toccare, in quanto non c’è proprio altro modo di trasportare i grandi carichi di fertilizzanti, acciaio, cemento, il petrolio stesso là dove l’oleodotto non può arrivare, etc., se non via cargo marittimo;


il trasporto aereo civile crollerà per motivi tariffari e di disponibilità di kerosene;


la quota di petrolio disponibile per il trasporto su gomma crollerà di una frazione superiore allo shortage totale, a causa dei primi due punti;


anche l’industria dell’auto e il suo indotto crollerà di conseguenza;


i prezzi di ogni trasporto e in particolare dei prodotti alimentari saliranno cospicuamente.

A questo punto, senza altre variazioni, le emissioni di anidride carbonica diminuiranno apprezzabilmente. Una "soluzione" per la crisi climatica? Purtroppo, no, e per due motivi:

1) Tranne per i trasporti aerei, in cui l’energia elettrica non è di aiuto, il sistema risponderà spostando l’uso di combustibile dal petrolio e gas naturale al carbone. Infatti quest’ultimo, estrapolando linearmente il tasso attuale di consumo si esaurirà tra circa 80 anni, e tenendo invece conto del trend si esaurirà tra 40 anni circa. Se si tiene conto della prossima crisi del petrolio e della sua graduale sostituzione con il carbone nel produrre energia, il periodo di disponibilità del carbone potrebbe ridursi a 20-30 anni dopo l’inizio della crisi del petrolio. La disponibilità del carbone per almeno 20-30 anni causerà un massiccio uso del carbone, e la sua caratteristica energetica di fornire meno energia per mole di carbonio rispetto agli idrocarburi, porterà il sitema a produrre circa 33-35% di CO2 in più rispetto al petrolio per unità di energia prodotta. Si stima che questo compenserà - approssimativamente - la diminuzione delle emissioni causata dal minor uso di petrolio. Il conto esatto dipenderà dall’entità della crisi economica indotta e dalla relativa contrazione dei consumi.

2) la seconda ragione è che il picco del tasso di produzione del petrolio, e perciò l’approssimativo inizio del calo potenziale delle emissioni avverrà tra 10-15 anni. In capo a questo periodo, la concentrazione di anidride carbonica - anche se Kyoto venisse applicato scrupolosamente - aumenterà molto probabilmente oltre le 400 ppmv, e nel periodo trentennale successivo - dominato dal carbone - supererà anche le 700 ppmv. Ciò è sufficiente per avere una crisi climatica ben più forte di quella descritta precedentemente, che faceva i calcoli usando una concentrazione tra 500 e 560 ppmv.

Cosa ci si può aspettare, a livello di schieramenti e a livello militare?

Questo è complicato, ma alcune strutture e trend si delineano all’orizzonte. Per esempio, se - come è probabile e prevedibile - gli Stati Uniti dichiareranno il Medio Oriente "strategico" per il loro fabbisogno energetico, finirà con ogni probabilità la lunga "amicizia" con l’Europa, in quanto quest’ultima riterrà il residuo petrolio Mediorientale altrettanto "strategico". Visto che la Cina e la Federazione Russa hanno un trattato militare per la mutua difesa nel secolo venturo, e che a questo trattato si è agganciata anche l’India, è lecito chiedersi se queste potenze lasceranno che l’ultimo petrolio sia monopolizzato dagli Stati Uniti. E’ inoltre interessante chiedersi che fine faranno le due ulteriori "amicizie" degli USA con Cina e Russia.

E l’Islam? Come si collocheranno i tanti paesi a popolazione islamica? Nei negoziati sul clima i paesi Islamici sono schierati con la Cina... Per lo schieramento dei paesi islamici sulla contesa del petrolio, bisogna sapere un fatto fondamentale circa la prossima crisi energetica. Si tratta del fatto che, prima del picco globale del tasso di estrazione - in pratica tra 5-6 anni - il tasso di estrazione OPEC supererà il tasso di estrazione dei paesi non-OPEC. Tale dato può essere visto sul sito di Petroconsultants di Ginevra o su quello del King Hubbert Center. Questo dato è al centro delle preoccupazioni ormai di ogni G8. Ora, tutti sanno che l’OPEC è controllato praticamente del tutto dal mondo islamico. Ciò sarà probabilmente il dato principale per la decisione dello schieramento concreto del mondo islamico nella prossima crisi del petrolio.

Siccome un serbatoio quasi intatto, anche se perturbativo rispetto al giacimento Mediorientale, è quello intorno al Mar Caspio, una linea prioritaria di alimentazione di petrolio per l’Europa è quella che passa nei Balcani. Questa circostanza, unita alla ancor più importante fattore costituito dalla strategia della dominance totale, è senza dubbio alla base del conflitto nei Balcani. Altro che guerra "umanitaria".





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...E allora parliamo di politica...
by sbancor Thursday January 30, 2003 at 10:36 PM mail:  

Dai commenti mi sembrate poco convinti. Io sono testardo e ci proverò ancora. Intanto cerchiamo di capire perche la "teoria della guerra petrolifera", piace così tanto a sinistra (da giorgio Bocca a rifondazione). Ho un sospetto: la teoria del petrolio ci permette di risfoderare tutto il vecchio armamentario marxista-lenista. Leggete qui: "…il monopolio sorse dalla politica coloniale. Ai numerosi antichi moventi della politica coloniale, il capitale finanziario aggiunse ancora la lotta per le sorgenti delle materie prime , quella per l'esportazione di capitali, quelle per le sfere d'influenza, cioè per le regioni di profittevoli affari - concessioni, profitti monopolistici, ecc. e infine la lotta per il territorio economico in generale. Quando, per esempio, le potenze europee occupavano con le loro colonie una decima parte dell'Africa, come era il caso ancora nel 1876, la politica coloniale poteva allora svolgersi in forma non monopolistica, nella forma, per così dire, di una libera presa di possesso di territorio. Ma allorchè furono occupati già nove decimi dell'Africa, (verso il 1900), allorchè fu terminata la divisione del mondo, allora com'era inevitabile s'iniziò l'età del possesso monopolistico per la spartizione e ripartizione del mondo."

Per chi non l'abbia riconosciuto è Vladimir Ilic Ulianov (detto Lenin). E' un'analisi dei primi del '900. Ma davvero pensiamo che funziona ancora? Dall'economia delle materie prime si è passati al fordismo, dal fordismo al toyotismo, fino all'economia dei servizi. E noi ancora pensiamo alle materie prime? Ma se le materie prime e i loro bassi prezzi sono la rovina del III° mondo!

Il reddito pro-capite in Arabia Saudita è sceso da 20.000 $ anno a 8.000. Sempre tanti per i cammellieri dei Saud, ma insomma è una bella botta. Il petrolio ha un prezzo di "convenienza all'estrazione" a 18 $ barili. sotto questa cifra non conviene cercare nuovi pozzi. Le principali compagnie petrolifere due anni fa temevano il petrolio a 15 dollari il barile (guardate il bilancio della Shell) Bernabè può dire quello che vuole, ma di petrolio ne capisce quanto del resto. Quasi zero.

Insomma, il petrolio è un mito. Lo è stato negli anni '70 quando quei testoni del Club di Roma, dicevano che era finito. Oggi le riserve sono appunto 1.000 miliardi (Centro Asia escluso). Certo in America non c'è più petrolio, o meglio tutti i nuovi giacimenti nvanno alla Riserva Strategica. Ma l'Alaska, purtroppo per l'ambiente, ne è piena.. In America non c'è nenache cacao, banane caffè e frutta tropicale. Non mi sembra che questo costituisca un problema per i ristorantini del West village. E se volete la verità tutta, anche la crisi del '73 è stata una beffa, la più bella truffa del '900. Organizzata da quel buontempone di Henry Kissinger per rispondere alla bancarotta del dollaro (fine accordi di Bretton Woods)

Eccovi un'altra chicca. Ma mi state facendo saccheggiare tutti i miei prossimi articoli e libri (uffa)

C'è chi crede che il prezzo del petrolio sia come il prezzo di qualsiasi merce: determinato dall'offerta e dalla domanda. Bene, anzi Male. Malissimo. Domanda e Offerta al massimo spiegano un 20% del prezzo. Qualcuno di voi sa quale era il prezzo del petrolio nel 1950? era di 2 dollari al barile circa. E nel 1955, nel 1960, nel 1965? Sempre di 2 dollari al barile. E per di più la curva della domanda cresceva in quegli anni di boom economico. C'era la grande industrializzazione, c'erano i frigoferi, le radio, le lavatrici gli aspirapolveri, tutti quei maledetti aggeggi infernali che oltre a fare rumore consumano energia. E poi c'erano le automobili. Un numero che mai la terra aveva visto. E le automobili allora non avevano neanche la 5°. Sapete con un pieno quanto si faceva su una BMW dell'epoca? - (Silenzio) - meno di 100 km!.La domanda di energia cresceva e il prezzo del petrolio rimaneva fermo. Perché?
Perché se ne estraeva sempre di più, ma sempre allo stesso prezzo: 2 dollari. E quanto andava agli arabi di "royalties"? (Silenzio) Fra lo 0,2 e lo 0,5%. Poi venne Enrico Mattei e propose 50/50 per rompere il "cartello delle 7 sorelle". Mattei dirigeva l'ENI, una società di Stato. La fine di Mattei è uno dei "Misteri d'Italia". La storia del petrolio bisogna conoscerla.
"C'era una volta un re" . Il re voleva formare una dinastia. La dinastia saudita era stata fondata da Muhammad bin Saud. Emiro della città i Najd, nell'altipiano dell'Arabia Centrale, nel 1700. Qui il beduino si convertì alla predicazione di Muhammad bin Abdul Wahab. Un fanatico che aveva fatto dell'Islam, che già non era di suo, religione, come dire, tollerante, un vero e proprio inferno puritano. Quello che ci voleva, comunque per un programma di conquista. I Turchi se ne accorsero e nel 1818 dopo che i Saud avevano conquistato mezza Arabia, gli fecero guerra. Abdullah, l'allora capo saudita fu portato a Costantinopoli e decapitato. Ma a quell'epoca i Turchi era già stirpe decaduta: permisero al figlio di ristabilire il regno con capitale Riyadh. Varie lotte intestine alla famiglia regnante costrinsero il nipote di Abdullah a fuggire in esilio presso l'emiro del Kuwait. Mubarak, l'emiro del Kuwait scelse il giovanissimo Ibn Saud, figlio del nipote di Abdullah come un leader, e lo addestrò di conseguenza. Gli insegno, come lui stesso, anni dopo disse "a considerare il vantaggio e lo svantaggio". Fu messo alla prova presto. I turchi incitarono i Rashid, una tribù nemica, ad invadere il Kuwait, che era sotto protettorato britannico. Abd al Aziz ibn Saud fu mandato dall'emiro kuwaitiano a conquistare Riyadh. Il giovanotto compì la missione affidatagli, uccise il Governatore dei Rashid e nel 1902 venne proclamato governatore del Najd e imam dei wahabiti. A ventun anni restaurò la dinastia dei Saud.
Durante la I° Guerra Mondiale il Saud manovrò con mediorientale efficacia, evitando di mettersi contro i Turchi, ma nello stesso tempo blandendo gli inglesi. Il Colonnello Lawrence lo odiava. Probabilmente i Saud intascavano soldi sia dai Turchi, sia dagli Inglesi. Nel 1925 le truppe dei Saud, gli Ikhwan, guerrieri di rara ferocia conquistarono l'Hijaz. I vecchi alleati degli inglesi, gli Haschemiti della rivolta del deserto contro i turchi, vennero sconfitti Lawrence cercò din tornare in Arabia per combattere al fianco dei vecchi alleati, ma il comando inglese glielo impedì. Mecca e Medina caddero sotto il controllo dei wahabiti. Ibn Saud dovette far fuori anche gli Ikhwan, troppo fondamentalisti - odiavano anche il telegrafo, il telefono la radio e le automobili. Nel 1930 i sauditi erano i padroni dell'Arabia. Ma proprio allora sorse una nuova minaccia: i soldi scarseggiavano. Chi conosce il mondo arabo, sa che potere e mancanza di denaro difficilmente riescono a coinvivere a lungo. Fu allora che il sovrano ricordò ciò che gli aveva detto un suo vecchio compagno di viaggio. Un inglese, commerciante a Gedda e convertitosi all'Islam con il nome di Abdullah. Il suo vero nome era Harry St.John Bridger Philby. Jack per gli amici. Sarebbe divenuto famoso grazie a suo figlio: Kim Philby il capo dei servizi segreti inglesi che passò ai sovietici. Comunque "l'amico inglese" ghi aveva detto che nel sottosuolo dell'Arabia, forse c'erano immense ricchezze. "Oh Philby, disse Saud, se qualcuno mi offrisse un milione di sterline gli darei tutte le concessioni che mi chiedesse." Inizia qui una complicatissima storia di trattative in cui Philby gioca su almeno quattro tavoli diversi, anticipando così le poco eleganti virtù del figlio. Comunque nel 1933 la bozza di accordo con la Socal Americana era pronto. 35.000 sterline in oro, come anticipazioni e prestiti per il primo anno e altre 20.000 per il secondo.. Infine un bonus di 100.000 sterline alla scoperta del petrolio. La concessione si estendeva su 800.000 kmq di territorio arabo. Ibn Saud disse al suo fidato ministro delle finanze Abdullah Sulemain: "Confida in Allah e firma". Così iniziarono i rapporti fra i sauditi wahabiti e gli wasp americani. Ma Roosvelt poco capì dell'importanza dell'evento. Il primo ambasciatore americano in Arabia Saudita arrivò solo nel1939, e la prima legazione fu istituita nel 1942.
Quando il petrolio divento un "bene raro".
Per chi non è della mia generazione è difficile capire tutti gli intrecci che stanno dietro la cosiddetta "truffa petrolifera del 1973". Correva l'anno di grazia 1973. Anno orribile per l'economia americana, e quindi per l'economia mondiale. Gli americani stavano perdendo la guerra del Vietnam, ma il pericolo maggiore non erano i viet. Era l'oro che per la prima volta nel "secolo Americano" cominciava a scarseggiare. Nel 1969 gli Yankees si erano accorti di aver i forzieri vuoti. Eh si, a Fort Knox non c'era oro sufficiente per, come dire <onorare i biglietti verdi>. Oggi che siete abituati amonete "pezzi di carta" potreste anche dire: "E chi se ne frega?" allora no. La gente pensava che portando alla Federal Riserve un mucchietto di dollari avrebbe avuto in cambio dell'oro. Poi quello che faceva con l'oro erano cazzi suoi, magari un "cadot alla moglie". Altri tempi, d'accordo, oggi anche le puttane le paghi con l'American Express, ma allora, come dire, insomma, ci si teneva a questa storia della parità aurea. E ammettere che si era battuta moneta senza copertura aurea allora era ancora "unfair". E qui che gli Americani fondano il loro Impero: su una bancarotta. Non è il primo caso, non sarà neanche l'ultimo. Ma l'abilità nell'occasione è superba. Non solo si convincono i paesi europei ed il Giappone a continuare ad usare il dollaro come se nulla fosse avvenuto (solo De Gaulle protestò un po') non si fa di meglio. Si prende una merce denominata storicamente in dollari, il petrolio, e se ne fa crescere a dismisura il prezzo. A guardarlo ora quel picco che porta da 2$ al barile a 50$ il barile il prezzo del greggio, fa ancora paura! Qual'è il vantaggio immediato della "truffa"? Inanzitutto i paesi industrializzati sono costretti a comprare dollari per pagare le importazioni di petroli. Nonostante la bancarotta il dollaro inizia a crescere. Pochi ricordano che con la parità aurea un Dollaro valeva 625 lire e la Sterlina 1750. Per gli americani, svincolati dalla parità aurea, potevano stampare quanti dollari volevano. Questi dollari avrebbero avuto per molti anni l'odore del petrolio. Qualche buontempone s'invento il termine petrodollari. Non solo, gli USA sono sempre il terzo produttore mondiale di petrolio, le loro riserve - anche se in gran parte destinate alla difesa strategica - le conservavano, rivalutate. Si dirà, ma come controllare tutti questi "petrodollari in circolazione"? Semplice: gli arabi disponevano di una sola "piazza finanziaria": Beirut, la Svizzera del Medioriente, il rifugio di tutti i "peccatori", il paese dei Cedri, da cui proveniva una delle spose di Salomone, lodata anche dall'"Ecclesasite" per la sua avvenenza. Nel 1975 una fazione palestinese uccide dei ragazzi cristiano-maroniti dell'organizzazione falangista di Gemayel che si erano rifugiati in una Chiesa. I maroniti, che non hanno mai avuto un buon carattere, mitragliano un pullman carico di palestinesi, in gran parte donne e bambini. Cecchini maroniti sparano dall'Holiday Inn, nella zona degli Alberghi, i mussulmani si organizzano e contrattaccano. Scendono i Drusi dalle montagne dello Chouf. Il Presidente del Libano ordina all'esercito di intervenire. La brigata mussulmana si rifiuta e si schiera con i palestinesi. Beirut è in fiamme. A Tal al Zhatar i maroniti prima assediano e poi massacrano i rifugiati palestinesi di un campo profughi. Nei villaggi del Libano del Sud le milizie sunnite e i palestinesi danno la caccia al cristiano. La Siria interviene a favore dei maroniti, (si miei cari, andò proprio così), che rischiavano di prenderle dai mussulmani e dai palestinesi. La guerra del Libano è iniziata. Durerà oltre vent'anni. I capitali arabi volano a Londra, Zurigo, New York.
Ma torniamo alla "truffa del petrolio". Uno degli artefici della grande beffa fu l'allora ministro Saudita Yamani. Un articolo uscito sull'"Observer" un paio di anni fa racconta la storia vista da Yamani. "Sono sicuro al 100% che gli Americani erano dietro il rialzo del prezzo del petrolio Le compagnie petrolifere navigavano in cattive acque, avevano un mucchio di soldi in debiti e necessitavano di un alto prezzo del petrolio per salvarsi." Sempre secondo l'Observer - Yamani fu convinto di questo interesse americano da un incontro con lo Shah dell'Iran. Yamani era preoccupato che un incremento dei prezzi avrebbe potuto generare pericolose conseguenze per l'OPEC, perché gli avrebbe alienato le simpatie americane. Re Faisal gli consiglio di sentire il parere dello Shah di Persia.
"Perché sei contrario all'aumento del prezzo del petrolio - gli disse lo Shah - Non è proporio quello che vogliono? Chiedi ad Henry Kissinger: è il primo a volere alti prezzi del greggio!".
Non avevo mai dubitato delle caratteristiche di "Suk" del mercato petrolifero internazionale, ma quasi mi bruciai il naso con il sigaro, quando lessi le dichiarazioni di Yamani all'Observer! Già, perché poi l'articolo proseguiva riferendo che Yamani era sicuro delle sue affermazioni anche perché le aveva ritrovate nelle 'minute' di un incontro segreto svoltosi su un Isola Svedese, dove Inglesi e Americani avevano deciso un rialzo del prezzo del greggio del 400%. Avevo già sentito parlare di quell'Isola. Si chiama Saltsjoeband, c'è una meravigliosa residenza dei Wallenmberg, i banchieri. Nel 1973 ci si tenne un incontro del Bilderberger Group".
Non ve la raccontano così la storia nelle facoltà di "economia" eh?, neanche nei "Master". E allora qualcuno di questi benedetti Professori mi spieghi per una volta almeno i prezzi del petrolio con la teoria dell'equilibrio generale. O l'andamento del dollaro con il monetarismo. "

"Quella del petrolio del Caspio è una sorta di "leggenda petrolifera" nata nel 1997. Ma nella storia del petrolio le leggende sono sempre più vere della realtà. Prima o dopo si avverano, ma spesso con alcune piccole differenze rispetto alla versione originale. Queste differenze fanno la ricchezza o la povertà di molte nazioni. Dunque nel 1997 il dipartimento di Stato amricano fa filtrare la notizia che ci sarebbero 200 miliardi di barili/giorno di riserve nell'area del Caspio. Il Caspio avrebbe potuto quindi competere con i paesi OPEC. Stiamo attenti alle date però. Proprio nel 1997 siamo al culmine del tentativo USA di isolare l'Iran. Immediatamente risuona il "mantra" della "Caspian policy". Oleodotti e Gasdotti che dal Sud dell'area del Caspio portano il Petrolio via Turchia! E' il sogno di quasi 30 anni di politica energetica americana: un petrolio non OPEC, non Mediorientale e neppure Russo, che passa al di fuori dei confini dei paesi OPEC e della Russia. Qualche anno dopo lo scenario è mutato. Il petrolio del Caspio esiste, ma esiste molto più a nord: nelle piattaforme offshore di Kashagan, nel nord del Kazakhstan. Secondo l'E.I.A., l'Agenzia Governativa Americana per l'Energia, solo a Kanshan ci sarebbe un "campo2 da 40 miliardidi barili. A sfruttare Kanshan attualmente è un consorzio l'Offshore Kazakhstan International Operative Compani (OKIOC) Dentro, dopo una lunga battaglia, è riuscito ad entrare anche l'ENI. La storia del petrolio del Caspio dunque non è completamente falsa, ma è anche molto diversa da come fu raccontata nel 1997. Il vero problema è come trasportare il petrolio e il gas Kazacho. Per ora la direzione è verso il Mar Nero. Sia l'oleodotto Tengiz-Aktau, che porta 160.000 barili/giorno, sia il nuovissimo Tengiz-Novorossik che nel 2015 raggiungerà la capacità di 1,34 milioni di barili/giorno passano per la Russia. Non solo, il petrolio va poi imbarcato sul Mar Nero e deve traversare il Bosforo e i Dardanelli. La Turchia si oppone, si rischia il collasso delle vie commerciali marittime. A metà degli anni '90 si affaccia un progetto "innovativo": una pipeline, o meglio due pipe-line, che puntano a Sud, traversano l'Afganistan e sboccano in Pakistan, a Muiltan sul Golfo. Petrolio e Gas non OPEC, non mediorientale che non passa per la Russia. Ecco di nuovo il sogno del 1997! MA c'è un problema. Nel 1995-96 l'Afghanistan è un paese in piena guerra civile. Le varie fazioni dei Moujhaddin da Al Masud, A Dostum, A Rabbani a Hekhmatjar si massacrano allegramente fra di loro. I "promoters" del progetto, l'americana Unocal e la Delta Oil Company, di proprietà della famiglia Saud, decidono di giocare la carta dei Talebani. Il Pakistan non aspettava altro. Inizia così la "resistibile" ascesa degli "studenti di religione.
Fino a qalche mese prima dell'11 settembre c'era in America una lobby fortissima a favore dei Talebani. Una lobby legata a Unocal. E sapete chi era il capo-lobbysta: Il vecchio Harry, si proprio lui Henry Kissinger!

Buona notte! Il vero motivo economico che spinge alla guerra è il tentativo di rilanciare l'economia americana con la spesa militare. Keynesismo militare. E poi che la guerra si fa per il petrolio lo dice Cheney. E io a Cheney non ci credo per principio!

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non vedo contraddizione
by usker Thursday January 30, 2003 at 11:09 PM mail:  

innanzitutto chapeau a sbancor e agli altri partecipanti a questa -una tantum- seria e composta discussione.

non trovo contradditori, se non nel tentativo di individuare quale sia IL motivo, i due scenari.
Innanzitutto le ragioni di sbancor.
Che l'ecomonia e la finanza americane siano in difficoltà è cosa certa - anche oggi tonfo delle borse - ed è altrettanto vero storicamente che una bella guerrettina con tutte le sue implicazioni può rivelarsi una mano santa sotto molti punti di vista. Anzi, la mia paura è che ci si trovi di fronte ad un tentativo di passare da una guerra locale a qualcosa di più grosso, come già forse era stato tentato in Afghanistan provocando a più riprese l'Iran che però seppe rintuzzare questi attacchi in qualche modo. Non mi spiego altrimenti questa goffaggine da cerebrolesi con cui si cerca di sostanziare le motivazioni dell'intervento militare. Con tutti i media a disposizione -
non indy però ;-) - pronti ad ingollare e a far digerire al mondo intero qualsiasi balla, questa manfrina mi puzza troppo: invece una strategia di provocazione, che vuole che altri, sentendosi in diritto di farlo, compiano un passo incauto che li faccia precipitare nel conflitto, farebbe agire proprio così.
Ora però l'altra bandiera.
La precisione micrometrica con cui l'establishment USA dirige le sue azioni in aree comunque di enorme interesse petrolifero lascia adito a pochi dubbi. Riserve o non riserve, il controllo diretto o mediato delle fonti e dei "canali" non può certo dispiacere ai nostri carissimi amici texani.
difficilmente, penso io, le cose accadono per una sola ragione ed hanno un solo punto d'inizio; forse per i primi millimetri, ma a volte questi millimetri non hanno l'importanza che vorremmo attribuirgli.

grazie per l'attenzione.

usker

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Petrol oil
by Petro Thursday January 30, 2003 at 11:45 PM mail:  

Petrol oil...
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Petrolier*

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Sbancor vola
by Bambine di Satana Friday January 31, 2003 at 12:37 AM mail:  

"Nell'universo della mia pazzia, ho una nuova teoria
per me la gente....vola!
So cos'è che non va, disabitudine alla realtà...laralillalillallà"

Ci consenta usker il nostro epifenomeno musicale, ma Sbancor non fuma solo la pipa, tira pure dei bei pipponi, dovevamo spezzare con un gingle MP3 questo tormento.

Sempre Vostre
Bambine di Satana

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Fantapolititica....spero
by Morgana Friday January 31, 2003 at 01:41 AM mail:  

Ricordo una notizia ascoltata alcuni mesi fa:che la compagnia petrolifera referente a Bush padre aveva speso una montagna di dollari x avviare la ricerca sull'idrogeno.
A me sembra semplicistica l'idea di una guerra solo x il petrolio
Condivido le tesi di Sbancor
Credo che ci sia tutta la grande industria USA da rilanciare.
Bush comunque ha anche qualcos'altro in testa.
Il potere USA non è mai stato immenso come in questi ultimi anni e Bush vorrebbe ,forse ,farlo pesare di + al resto del mondo(alleati compresi).
Dal punta di vista dell'arsenale bellico forse Bush anche se controlla meno territorio effettivo, credo sia il leader di tutti i tempi(Alessandro,Cesare,Napoleone,Hitler)
ad avere la conquista del mondo....quasi a portata di mano.
Se in 10 giorni conquista l'Iraq ,quanti x conquistare il mondo(escusi magari alcuni potenti alleati come GB,Italia,Spagna e qualche altro paese scelto dell'Asia)???
Quanti giorni?
ciao

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oltre il petrolio...
by ernst Friday January 31, 2003 at 08:26 AM mail:  

Passi pure quest'idea: "chi pensa che la guerra sia fatta per il petrolio, sa di marxista-leninista".

Passi pure, ma mi sembra una grande e banale sciocchezza.
Cos'è, il solito modo per distinguersi dalle masse beote, sbancorino?
Ma sì, ne hai il diritto, puoi benissimo dichiarare di aver capito tutto, tu. Indymedia serve anche a questo.

Fatto sta che le guerre sono sempre esistite, a prescindere dalle elene di troia, dalle risorse naturali o dai territori da controllare.

E' anche questo un modo di ragionare da marxisti-leninisti?

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inoltre
by c's f Friday January 31, 2003 at 08:50 AM mail:  

Non è del tutto stupida l'idea avanzata da Giulietto Chiesa (marxista anche lui?).
Ha parlato in modo più che completo: di petrolio, dunque di economia, ma anche di t-e-r-r-i-t-o-r-i-o.

Ricapitoliamo:
-terrorismo (tesi ufficiale)
-petrolio (tesi ufficiosa, ma non troppo)
e dunque
-controllo del settore asiatico del pianeta (tesi più ufficiosa).

E sempre a proposito di economia, a pensarci bene, gli USA non potevano fare di meglio, un investimento di lunga, se non di media durata, visto che la zia Cina abita a poche decine di metri dalla piazza del mercato.

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UFFA UFFA
by bennato Friday January 31, 2003 at 08:57 AM mail:  



Uffà Uffà ma che scocciatura
questa guerra non mi piace, non la voglio fare
non m'importa del petrolio, sarò un vile, un'anormale
ma questa volta alle Crociate
non ci voglio, non ci voglio, non ci voglio andare

Uffà Uffà lanciate i vostri strali
dite pure quello che volete, per televisione, sui giornali
dite che son disertore, traditore, svergognato
ma questa volta alle Crociate
non ci voglio, non ci voglio, non ci voglio andare

Uffà Uffà e fateli sfogare
nella sabbia e nel petrolio fateli sguazzare
fanno i prezzi troppo alti, fanno quello che gli pare
ma questa volta alle Crociate
non ci voglio, non ci voglio, non ci voglio andare

Uffà Uffà quelli erano già stran
forse per eredità o per costituzione
ma con i miraggi del pese delle meraviglie, li avete
incattiviti, e allora adesso andate tutti a piedi
e non mi, e non mi, e non mi ricattate

Perché non provate a sfruttare l'energia del sole?
oppure provate a prendere l'energia del mare
o da dove diavolo vi pare io mi dissocio
dall'affare, ma questa volta alle Crociate
non ci voglio, non ci voglio, non ci voglio andare.

Uffà Uffà meglio tutti al buio
meglio tutti al freddo e senza benzina nel motore
si lo ammetto, son dolori, non si scherza, son guai seri
ma andateci voi in Terra Santa
a scacciare, a scacciare, a scacciare i mori

Uffà Uffà ma che fregatura
prima o poi sarò coinvolto, ma almeno fatemi sputare
addosso a quelli che sono addetti alla preparazione
di questa maledetta
di questa maledetta
di questa stramaledetta terza guerra mondiale

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cioè..
by harak. Friday January 31, 2003 at 12:27 PM mail:  

non è che si fa una gran scoperta.
petrolio, economia e quindi dominio t-e-r-r-i-t-o-r-i-a-l-e
mi sembrano strettamente e palesemente connessi

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altra opinione
by cusani Friday January 31, 2003 at 12:38 PM mail:  

dal manifesto di oggi 31-1-03

La guerra è un pessimo affare
I trent'anni di azioni belliche annunciate da Bush sono una diseconomia, uno spreco di risorse a vantaggio di lobbies in crisi, la resistenza degli stati-nazione alla globalizzazione
SERGIO CUSANI
Sul proscenio, il mondo impaurito dalle minacce di attacchi proditori da parte dei diversi nemici ampiamente evocati, annunciati, propagandati, è pronto ad attaccare, a scendere in guerra preventiva per difendersi dal terrorismo internazionale inafferrabile e pervasivo, e dall'attacco batteriologico e chimico con mezzi tanto rudimentali quanto efficaci, anche mediaticamente. E per paura incomincia preventivamente a spendere cifre enormi: massiccia mobilitazione di uomini e mezzi, esercitazioni militari, acquisto di ingenti quantitativi di armi e servizi connessi senza preoccuparsi dei costi sociali della paura. Altre immense risorse è disponibile, sempre per paura, a dissipare nei prossimi decenni; il solo scudo stellare sottrarrà enormi risorse alla prossima generazione. Ma dietro le quinte la storia è un'altra. Dietro il proscenio dello sbandieramento minaccioso, ossessivo e giornaliero delle armi che alimenta ansie e paure, è già iniziata la vera guerra duratura che oppone un modello desueto di fare economia a un altro che tende a soppiantarlo in ogni angolo del pianeta: il passaggio dall'economia dello stato nazione all'economia globalizzata. La distanza tra questi modelli è simile a quella che c'è stata tra l'economia del baratto e quella monetaria, tra l'economia schiavistica e quella capitalistica. Questa concreta e realissima duratura guerra è in atto nel mondo intero e avrà esiti sconvolgenti per l'intera economia mondiale.

Il governo Bush ha deciso di proporre al Congresso lo stanziamento di 675 miliardi di dollari di sgravi fiscali in dieci anni ai detentori di redditi alti, abbattendo le tasse sui dividendi azionari, e di sostegno alle imprese. Questa detassazione a favore dei ceti più abbienti e il sostegno alle imprese accelereranno la finanziarizzazione del sistema, favoriranno i prodotti americani, ridurranno ai minimi termini lo sviluppo delle infrastrutture e il welfare, mentre si allargherà il divario tra ricchi e poveri, ai quali verranno elargite solo e sempre briciole: poveri che non contano, non pesano, non hanno lobby, e che disertano il voto. Allo stesso tempo si riducono a un guscio vuoto i nuovi organismi di controllo della trasparenza del mercato varati, dopo i grandi scandali - dalla Enron alla Worldcom - che hanno sconvolto l'opinione pubblica americana e mondiale, con il malcelato obiettivo di tranquillizzare il risparmio soltanto su di un piano meramente comunicazionale, come correttamente rilevato dal Prof. Ugo Mattei a proposito dell'importante quanto inoperante Public Company Accounting Oversight Board.

I venti di guerra esorcizzano la paura e sotterrano gli scandali. In più, la svalutazione del dollaro in atto, pilotata dalla Federal Reserve, è una misura di guerra commerciale che favorisce l'esportazione di prodotti americani, armi comprese, ma che ha l'obiettivo strategico di scardinare le principali monete ed economie potenzialmente competitive, in particolare l'Euro e l'Unione Europea. Questa miscela di misure, detassazione più svalutazione del dollaro, come del resto le risposte che va preparando l'Europa e non solo, è il prodotto della sopravvissuta logica dei blocchi contrapposti per piegare a proprio favore i rapporti di forza geoeconomici nel mondo. E laddove le guerre commerciali non risultassero sufficienti per piegare i più recalcitranti, perplessi o preoccupati anche per il crescente deficit dei conti pubblici Usa, c'è sempre lo spettro della guerra delle armi contro i tanti nemici alle porte.

Questa orrifica messinscena che tiene incessantemente il mondo con il fiato sospeso nell'attesa dell'evento apocalittico, produce grandi e redditizi affari solo per quell'economia ormai priva di ragioni e parametri sociali. Insomma, incessante spauracchio di guerra armata all'orizzonte, intanto vera guerra commerciale a tutto campo. Questa è l'opzione dell'Amministrazione Bush per mettersi anche al riparo dai nemici interni, dalle masse dewelfarizzate e dall'opinione pubblica, che ne chiederebbero la testa senza possibilità di sconti per le difficoltà dell'economia pure a seguito dei grandi scandali di cui sono attori protagonisti e che hanno gettato letteralmente in miseria milioni di risparmiatori.

Ma finché i nemici della guerra saranno armati solo di sacrosante ragioni morali e di ipotesi operative ancora deboli, il crepitìo delle armi continuerà. Soltanto quando i nemici della guerra riusciranno a mostrare le superiori ragioni economiche della pace e proporranno comportamenti conseguenti, allora si potrà pensare che le armi possano tacere. D'altronde, buffo cinismo, alla fin fine il business della guerra può con indifferenza fare a meno dell'effettivo scatenarsi dell'evento bellico; che potrebbe anche accadere se la macchina in armi, lanciata, continuasse per inerzia la sua folle corsa. Ma non è qui il suo business. Anzi, l'accadimento bellico crea enormi problemi: diffonde immagini terribili, suscita forti emozioni popolari difficilmente gestibili e pericolose sul piano del consenso politico. In più non divide ma compatta il movimento globale per la pace. Inoltre le altre grandi lobby delle transazioni finanziarie, dell'interscambio globale delle merci, insomma del business quotidiano - lobby cui non difettano strumenti e capacità di pressione - soffrono del fibrillante clima di guerra e della tensione continua: frena la propensione al consumo, si riducono gli investimenti, aumentano i costi delle coperture assicurative, si limitano o si chiudono le frontiere, si genera diseconomia. Il commercio internazionale (circa 6.000 miliardi di dollari all'anno) ha subìto un calo significativo in termini sia di quantità che di valore (dati Wto). Sono crollati di oltre il 50% gli investimenti tra paesi, da 1300 miliardi di dollari a poco più di 620 (dati Unctad/Onu). Sui mercati finanziari integrati e globali, l'emissione netta di titoli a reddito fisso è crollata del 40% (dati Banca dei Regolamenti Internazionali). Situazione difficilmente sostenibile a tempo indeterminato, soprattutto se la guerra divenisse effettiva.

In definitiva, il mercato della paura non ha bisogno che qualcuno realmente muoia per colpa dei nemici. Che ci sia o no la guerra e, in ogni caso, non penso proprio ad una guerra estesa, all'incendio della prateria, quanto piuttosto ad azioni e provocazioni militari cinicamente circoscritte. Ma non è questo il punto. Il punto essenziale è che tutti abbiano paura di irragionevoli nemici. Evocare il pericolo del nemico e agitare di conseguenza le armi di attacco per la difesa preventiva, costituisce preventivamente già un bottino di guerra, senza colpo ferire. Il mercato della paura alimenta un mercato che senza nemici, paura, guerra, non avrebbe diritto né ragione d'esistenza nel mercato. L'economia della guerra oggi, diversamente da altri periodi storici, non si identifica con l'economia in generale. È solo un settore dell'economia che mantiene la sua forza non in virtù della capacità di creare redditi e consumi diffusi, ma unicamente per gli storici rapporti privilegiati di pochi grandi gruppi industriali con sistemi bancari elefantiaci e iniqui, e poteri politici totalmente invischiati. Un intreccio che rappresenta la causa più genuina della crisi internazionale, e su cui lo stato nazione, nei due secoli precedenti, ha costruito le sue fortune, oggi irreversibilmente incise dai processi di globalizzazione. Gli interessi della guerra sono contrari all'economia della globalizzazione: ogni volta che l'Amministrazione Bush ha urlato il peana di guerra, le borse e i mercati hanno sofferto. È di tutta evidenza che le guerre dell'ultimo quindicennio hanno distrutto più mercati di quanti ne abbiano costruiti. L'economia della guerra non è più un'economia, ma una diseconomia, che si accompagna ad una riduzione di spazi di democrazia e di welfare. La pace non è più soltanto un imperativo morale ma è diventata un'esigenza economica anche perché le ragioni della guerra non riguardano l'economia in generale, ma quella parte che senza la paura della guerra potrebbe continuare a vivere solo con trucchi di bilancio, con truffe alle masse dei piccoli azionisti, con sovvenzionamenti statali privi di ragione, con improbabili ingegnerie finanziarie garantite dalla protezione del potere politico cointeressato. Diseconomie che ci sono in Usa, come in Germania, in Italia, in Giappone e in altri paesi. Ogni stato ha il suo Bush e le sue Enron. Il grande business del futuro é la creazione di un mercato davvero globale in cui più grande impresa economica consista nel curare profittevolmente le terribili ferite inferte finora al pianeta terra e ai suoi abitanti.

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Il sociale prima di tutto
by Straight Edge in your Face Friday January 31, 2003 at 01:49 PM mail:  

Un ottima analisi quella di Cusani che dimostra l'assoluta mancanza d'"intelligence" della classe dirigente attuale.
Io nn riesco a capire gli economisti, i quali nn fanno altro che proporre "mani invisibili" o "warkeynesism" alla Sbancor.
Un'utile alternativa delle dinamiche economiche è quella proposta da Karl Polanyi.
Secondo Polanyi il capitalismo aldilà di ogni rappresentazione ideologica che ne offre il liberismo è una società costituita da comunità ed individui che agiscono sotto la spinta di motivazioni extraeconomiche. Gli individui usano o tentano di usare l'economia per realizzare obiettivi di altro genere.
La critica Marxista d'altro canto rappresenta la realtà come relazioni tra cose e nn tra persone.
Polanyi viceversa è convinto che nessuna foglia di fico ideologica possa nascondere il carattere "contro natura" di una società governata con la mano invisibile.
Quindi il"laissez-faire", la "flessibilità del lavoro" non è mai stato un metodo per conseguire un obiettivo, ma l'obiettivo da conseguire. In altre parole il libero mercato come lo conosciamo nn è una legge evolutiva, ma perchè si è costruito artificialmente. E' un utopia, un esperimento sociale.
Ciononostante, i motivi fondamentali dell'agire umano sono sociali e nn economici (liberisti, keynesisti, marxisti che siano). L'utopia liberista è destinata a fallire e che tale fallimento non avverrà per tramite una classe, bensì tramite l'insieme di forze che la società tutta mette in moto per proteggersi dalle catastrofi culturali ed antropologiche provocate dai meccanismi di mercato.

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dall'interno degli USA
by Seba Friday January 31, 2003 at 02:02 PM mail:  

...mi son fatto l'idea che l'attacco all'Iraq sarebbe dovuto partire molti mesi fa, diciamo ad Ottobre, ma che sia stata proprio una opposizione interna agli usa ad impedirlo (non di certo l'Onu, le cui mozioni sono state "sospinte" dall'asse usa-gb). Forse il provvedimento di sgravi fiscali sui dividendi e alle imprese è da vedersi come contentino per quelle aziende non legate alla produzione bellica od al petrolio che temono danni più che opportunità da questa guerra. E' il prezzo che la finanza non bellica non petrolifera statunitense ha chiesto a Bush per lasciarlo fare...sospetto...

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Beh, la discussione si fa interessante.
by sbancor Friday January 31, 2003 at 09:03 PM mail:  

E' vero siamo riusciti a creare uno spazio di discussione seria. continuiamo così. Dunque in non sono un economista quantitativo. A parte che sono laureato in filosofia con una tesi sul linguaggio di Nietzsche, ho tirato fuori tutti questi dati perchè di fronte a un coro sulla guerra per il petrolio ho sentito la curiosità se era vero o no. Giuro che non avevo preconcetti. I dati sono in prevalenza dell'EIA l'Energy Information Administration. Che come tutte le agenzie ogni tanto le spara grosse, ma questi dati sono sotanzialmente confermati anche da siti sul petrolio arabi.
E non volevo insultare gli m-l, qualunque cosa ne pensi in privato. Trovo il passo che ho citato di Lenin di un raro acume teorico (purtroppo il resto dell'Imperialismo è copiato da Hilferding). Ma si riferisce appunto a un'epoca che non è quella attuale. Non apro un dibattito su Polany, se no finiamo a parlare di Steiner e dell'unico amico sinceramente reazionario che ho, Geminello Alvi. Ma certo si può pensare che macro-motivazioni della guerra a parte, ci saranno rapine e saccheggi. Come in tutte le Guerre. Ed essendo l'unica ricchezza irachena il petrolio si ruberanno anche questa. Che il governo Bush sia fatto da petrolieri e uomini delle compagnie petrolifere è noto. Ma il governo Bush non è il potere negli Stati Uniti. e il pitere vero, quello delle grandi famiglie wasp, che con l'esclusione di Rockfeller si occupano di altri settori economici (sopratutto banche e finanza) sono preoccupate molto dalla crisi finanziaria e poco da quella petrolifera. Insomma tant'è. A proposito delle Bambine di Satana, sappiate carine che in biblioteca ho il Malleus Maleficarum, le opere di Cornelio agrippa di Nettesheim e di Johmn Dee. Oltre, ovviamente alle opere complete di Bruono. Possiedo testi di demonologia araba da far accaponare la pelle....stateve accuorte!

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by ernst Friday January 31, 2003 at 09:22 PM mail:  

Va bene Sbancor, ammettiamo che la tua analisi abbia colto nel segno. Fatto sta che ci sarà la guerra, ma anche se non ci sarà, questi qui fanno ciò che gli pare (nel senso che hanno dispiegato uomini e mezzi in abbondanza in ogni dove del pianeta).
Dunque, come fare a impedire la guerra? Come fare ad impedire che questi facciano ciò che vogliono?

Non so se conosci questa storiella, che credo di aver già scritto in indy.

Un viandante cammina tranquillo x la sua strada, quando ad un certo punto del suo percorso si trova davanti un uomo col bastone. Questi fa col bastone una riga sul terreno, poi dice al viandante: "Se superi la riga ti bastono, se stai fermo ti bastono, se torni indietro ti bastono".

Insomma, che deve fare il viandante???????

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Che fare?
by sbancor Friday January 31, 2003 at 11:05 PM mail:  

Bella domanda Ernst. Io sono preoccupatissimo della manifestazione del 15 a Roma. Dalle poche cose che ho potuto sentire e capire mi sembra che stiamo indietro e che non abbiamo capito l'importanza dell'Italia nel disegno geopolitico USA. Noi siamo trattati come una "regione di confine" di una area potenzialmente non amica: lEuropa continentale, l'asse franco-tedesco. In queste regioni di confine si usano normalmente politiche di destabilizzazione e governi fantoccio. Appunto. Ora io credo che dovremmo usare la guerra e la lotta contro la guerra per far cadere Berlusconi. Non è che a me personalmente interessi poi molto sostituire Prodi a Berlusconi. anzi. Ma se capiamo cosa significherebbe nelle prossime settimane far cadere il Governo Berlusconi, spacciato per il principale alleato di Bush, anche e sopratutto sul tema della guerra, allora capiamo perchè il movimento pacifista in Italia oggi è il più importante del mondo (dopo ovviamente quello USA). Se questo semplice ragionamento politico lo capissero milioni di persone e lavorassero di conseguenza, questa sarebbe la famosa "insurrezione repubblicana" di cui parlavo un po' di tempo fa. Io sceglieri una piazza. Con cura. E poi ne farei una piazza in cui tutte le sere si incontrano gli "insorti"(esperienza che dopo la tragedia Di Tien an Men è stata usata in molti paesi dell'Est). MA BISOGNA ORGANIZZARLA SUBITO! Così come bisogna far partire:
- NO WAR TELEVISION;
- Una rivista stile Espresso con obierttivo a 30-50 mila copie
- preparare materiale per campagne di informazione/comunicazione (i volantini per dio!)

Proporrò un po' di queste cose sulla lista Interna di Indy.

Speriamo bene!

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dunque
by ernst Saturday February 01, 2003 at 12:41 AM mail:  

L'ho già detto più volte, ma ripeterlo non è mai inutile (si spera).
Qui bisogna veramente bloccare l'Italia, dai trasporti al lavoro, dalle scuole al traffico.

E' una cosa che si fece nel '94 per buttare giù berlusca (io c'ero), ma mi ero convinto che non l'avrei più fatto dopo che nel periodo del governo di centro-sinistra furono denunciati degli operai in Piemonte per aver occupato una stazione ferroviaria.

Ma ora c'è questo cazzo di problema della guerra, qui si deve fermare tutto, anche a costo di mangiare radicchio per un mese!!!

Sarebbe una buona cosa fare qualcosa subito, anche prima del 15-2, giusto per sperimentare.
Chiaramente il problema riguarda le adesioni. Da parte del centrosinistra c'è la tradizionale cautela e moderazione (certo che se gli arrivassero dei missili in testa si muoverebbero subito), poi i cattolici sanno fare solo fiaccolate... Insomma, mancano i numeri.

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bloccare tutto
by Morgana Saturday February 01, 2003 at 01:37 AM mail:  

Cosa succede che mi trovo perfettamente daccordo con Ernst?
Ma bisogna però usare
intelligenza.
Tattica.
Non sono necessarie manifestazioni oceaniche....
in 10 ti incateni alle rotaie (tenendo come punto d riferimento i pendolini).ti incateni 1 ogni 30 km (non simultaneamente chiami stampa tv e avvisi le ferrovie.E aLLORA O PIANTONANO le ferrovie con l'esercito oppure si blocca tutto
In 10 blocchi la VE-MI in 20 la MI-RO
e così via.
Studiare come bloccare le autostrade ,sempre stando attentissimi a non recare danno alle persone.

.

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una piazza?
by usker Saturday February 01, 2003 at 01:47 AM mail:  

una piazza io ce l'avrei: Camp Darby, a metri da Livorno e Pisa, arsenale terrestre per tutte le azioni militari americane in questo pezzo di mondo (da qui sono partite il 60% delle armi per la 1^ guerra del golfo). Camp Darby ha 4 entrate: rinchiudiamoli dentro, ostacoliamo, sabotiamo, insomma facciamo in concreto qualcosa contro la guerra, non sfilate folkloristiche... quest'idea a livello locale sta prendendo forma, anche se è difficile mantenerla al di fuori delle convenienze di questa o di quella parte del movimento (l'abbronzato agnoletto ne ha parlato persino da porto alegre...). non esiste il concetto di fare una cosa perché ha un senso in sè, ci deve sempre essere il tornaconto dietro; nemmeno di fronte a una guerra abbandoniamo le logiche utilitaristiche! In questo senso io la penso come ernst: mancano i numeri per le azioni vere, se sono/siamo solo 4 gatti ne buscano, vanno in prigione, martiri insomma, e di martiri non ce ne deve essere bisogno. se c'è da fare passerella mediatica, invece, tutti in prima fila con le loro bandierine e le loro tutine, altrimenti quattro gatti e amen.
però magari, continuando a ragionare...

grazie per l'attenzione

usker

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tattica...
by ernst Saturday February 01, 2003 at 11:01 AM mail:  

Grazie morgana, ma usker ha spiegato bene: in pochi si fa poco e i rischi (repressivi) sarebbero totalmente a carico di quei pochi. Potrebbe anche servire, ma chi è disposto a rischiare?

Al limite si potrebbe anche tentare, ma è necessaria una rete di solidarietà che coinvolga tutt*, in modo che al primo arresto tutt*, ma veramente tutt* si muovano.
Ma, sarà possibile?

Piuttosto, che ne pensano i leaders, quelli che "vedono e prevedono"?

Quanto agli indyani, mi piacerebbe sapere, inltre, cosa ne pensano Fantom, Straight Edge in your Face, okkio kliniko, ecc.

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X Ernst
by Morgana Saturday February 01, 2003 at 01:15 PM mail:  

ciao ti rispondo qua

http://italy.indymedia.org/news/2003/02/166415.php


ho iniziato un nuovo threads di là x aprire maggiormente lo spazio di discussione

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se ti incateni farai bene...
by puk Saturday February 01, 2003 at 02:15 PM mail:  

se ti incateni alle rotaie farai bene si' ad avvertire tutti che stai li'...

ma io mi sentirei un buffone al posto tuo a fare na cosa del genere... nn e' il luogo adatto a dare spettacolo.
te lo dice uno che se ne intende.
e poi... guarda che se esageri col numero di rappresentazioni ... rompi il cazzo e passi di moda con un secondo.
passare da "diretta con intervista" a "liberata e processata per direttissima" ci metti un secondo.

concordo sui cani sciolti e sui piccoli gruppi d'azione... ma d'azione... grazie.
(e nn dar retta all'indiano digiunista... quello si
s edeva insieme ad un fracco di persone... noi qui se blocchiamo i treni faremo meglio a sparire rapidi e innominati... prima che un fracco di persone ci mandi a fare in culo chiedendo al buon governo di togliere i freni ai convogli ferroviari...)
A CHI CONVIENE FERMARE IL PAESE?
a chi nn ne fa un discorso di convenienza.
e se nn facessimo discorsi di convenienza... avremmo la rivoluzione servita su un piatto. e nessuna guerra preventiva.
nn trovi?
ps
fermiamoli i treni
ma ti prego.. nn ti incatenare a nulla e nn chiamare la stampa.
pps
noto con disappunto che avete parecchia fiducia nella visibilita'...

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ci sono stato a novembre a camp d...
by puk Saturday February 01, 2003 at 02:31 PM mail:  

ci sono stato a novembre alla base livornese.
una esperienza da scompisciarsi dalle risate... se rendo l'idea...
la manifestazione era prevista per le 14 (almeno il concentramento a tombolo)
ma siccome ero con un mio amico sfasato quanto me.... siamo arrivati 12 ore prima!
uno spasso.
solo noi c'eravamo.
fino alle 14 e' stato cosi'.
siamo stati gli unici a svegliarsi all'interno di una vasta area che la pula aveva intanto chiuso al traffico civile.
in pratica per 6/7 ore io e il mio socio siamo stati due tizi con kefia zaini e chitarra in mezzo a uno schieramento allucinante di sbirri.
con la pretesa ingenua di trovare un cazzo di bar... siamo anche arrivati davanti all'ingresso della base.
UNICI SENZA SCORTA
ci si e' parato d'avanti un carabiniere solo e terrorizzato. noi gli abbiamo riso in faccia e gli abbiamo chiesto del bar...
cmq e' stato pazzesco... da 6km prima della base da livorno fino a nn so quanti verso pisa vedevi solo carovane di macchine e camionette sbirresche.
il top e' stato quando, ancora nn identificati, io e il mio collega fantozziano siamo stati intercettati dall'elicottero della pula.
chissa' come siamo venuti in video.
e poi nn si erano passati l'informazione gli imbecilli.
tant'e' che ognoi tanto passava una fila di tre-4 macchine sbirre e ... inchiodavano sorpresi del vederci.

poi alle 14 sono arrivati i primi bus di manifestanti.
sembrava pasquetta.
tutti a farsi tubi e panini.
uno s'e' portato una croce di compensato. col "un altro mondo e' possibile" scritto sopra.
al desiderio di inchiodarcelo frustrato dalla presenza oltremodo esagerata degli sbirri (che tra le altre cose erano d'accordissimo con chi voleva gli americani fuori dall'italia... forse per meglio fare gli stronzi loro) abbiamo deciso di tornarcene a piedi a livorno.

volete un suggerimento livornesi?
il custode del ponte che dalla statale immette alla base...
quello ha amici sbirri, com'e' ovvio che sia.
e secondo me e' uno spione.

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......
by M Saturday February 01, 2003 at 03:07 PM mail:  

<<noto con disappunto che avete parecchia fiducia nella visibilita'...>>>

il bb a Genova ha vinto perchè ha spaccato + di tutti oppure perchè ha avuto + visibilità sui media?

zione è azione.
Non stare fermo.
Fare una cosa.
Variare in continuazione gli obbiettivi
è spiazzante x l'avversario.

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a proposito della visibilita'
by puk Saturday February 01, 2003 at 03:19 PM mail:  

te dici che i bb hanno vinto a genova
a me nn sembra

e per quel che riguarda il fare... e chi siamo, merlino? possediamo la magia del fare?
io credo piuttosto che questa mania del fare cmq sia da rivalutare.

la confusione regna solo in basso. e favorisce chi ha un sordido ma semplice scopo.

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a proposito della visibilita'
by puk Saturday February 01, 2003 at 03:20 PM mail:  

te dici che i bb hanno vinto a genova
a me nn sembra

e per quel che riguarda il fare... e chi siamo, merlino? possediamo la magia del fare?
io credo piuttosto che questa mania del fare cmq sia da rivalutare.

la confusione regna solo in basso. e favorisce chi ha un sordido ma semplice scopo.

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SUL PETROLIO SBANCOR SBAGLIA
by brunius Monday February 03, 2003 at 10:29 PM mail:  

1.La questione non è l'abbondanza di petrolio. Ma il fatto che le riserve extra asiatiche non dureranno molti anni.
Dunque gli Usa vogliono ora controllare geopoliticamente quell'area, per impedire l'accesso privilegiato dell'Europa ai giacimenti e porre la prima pietra per il controllo futuro del petrolio saudita.
2.A Gennaio 2002 i prezzi del petrolio hanno ricominciato ad aumentare grazie ad un accordo dell'Opec con Messico, Norvegia e Russia. Bush immediatamente ha pensato ad una pressione politica sugli Usa.Dunque la tensione su questo versante esiste.
3. Gli Usa rimangono i primi importatori di petrolio, nonostante siano i secondi produttori mondiali dopo l'Arabia Saudita. l'aMERICA SETTENTRIONALE consuma il 28% dell'energia mondiale, comtro il 19% dell'europa.
4.La copertura del fabbisogno energetico è scesa dall'85,7% del 1980 al 74,4 % del 1999 (quando nel 1998 era del 77% circa; quindi la diminuzione è preoccupante)
5. Gli Stati Uniti non vogliono una riduzione del prezzo del greggio o cose contingenti. Vogliono il controllo geopolitico dei giacimenti mondiali più ricchi; quindi nemmeno il tuo calcolo economico incide sulla discussione a tal proposito.

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su su su
by sheherazade Tuesday February 04, 2003 at 10:03 AM mail:  

volevo riportare su questo articolo...

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e a questo punto?
by method Monday March 31, 2003 at 02:28 PM mail:  

e a questo punto cosa mi dite?

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