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La UE libera e autonoma università europea
by SapienzaPirata Monday, Feb. 24, 2003 at 11:36 PM mail:

fuga nell'europa della formazione e dei conflitti sui saperi, fuori dai "parametri" delle accademie per il reddito e l'autoformazione

C’è una cosa che più di altre ci rincorre ossessiva da quando siamo ribelli nelle
università italiche: equiparazione, allineamento, “stare al passo” con i modelli
formativi europei. O meglio le nostre università sono indubbiamente in grado di
fornire strumenti culturali validi ma improduttivi, i laureati sono pochi rispetto
ai partner europei, velocità, funzionalità e flessibilità devono, al pari
dell’Europa, diventare i criteri orientativi del sistema formativo italiano.

Dal libro bianco di Delors, per tutti gli anni novanta, una pedante illusione
riformistica ha perseguito con convinzione un tentativo di connessione e di
sincronia tra mondo del lavoro (new-economy e economia dei “beni relazionali”) e
processi formativi. Va da se che si è trattato per la maggior parte di un
asservimento ambiguo e mal riuscito. Il 3+2, in particolare il triennio, ventilate
come le soluzioni vincenti per un’università seriamente al passo con un mercato del
lavoro flessibile, centrato sull’innovazione e sulle competenze comunicative, già
most
r
ano le prime falle: troppi corsi triennali poco frequentati, specializzazioni ancora
incerte. Inutile dire poi che l’inseguimento forzato di “chi” procede sulle gambe
della creatività, della mobilità, del cambiamento continuo dei paradigmi epistemici
e tecnologici, dell’impreve dibilità delle relazioni , del problem solving
cooperativo, o meglio il modo di produrre contemporaneo, non è per nulla destinato
al successo. Si profila già da tempo un rischio tutt’altro che irrealistico:
precarietà e obsolescenza delle competenze!



1. Sconvolta e trasformata da questa illusione riformistica è stata l’università
europea e non solo quella italiana, con tempi e modalità indubbiamente diversi,
mettendo in gioco modelli non del tutto coincidenti ma filosofie simili, spesso
omogenee. L’Italia, come sappiamo è arrivata tardi e male equipaggiata, con una
spesa pubblica ridotta all’osso (non sappiamo se sia facilmente traducibile il buono
scuola pubblico che destiniamo a quelle famiglie desiderose di mandare i propri figli a
scuole private, per la maggior parte cattoliche) e con un modello sociale e
culturale che continua a fare degli studenti o dei piccoli parvenu in cerca di
professione o dei quattrocchi oziosi, parassitari e ri belli, entrambi comunque a
ricasco delle proprie famiglie, senza reddito autonomo, senza servizi.

Sono quindi assolutamente disomogenee le forme di vita, le trame di immaginario, le
condizioni materialissime, degli studenti europei: da una parte le aree nord europee
dove difficilmente si rimane fino a trent’anni a casa da “mammà” per concludere gli
studi, dove si ha per la maggior parte un reddito, servizi dignitosi, sostegno alla
ricerca, dall’altra l’Italia e la Spagna dove le cose assumono tinte assolutamente
diverse.

In via di progressiva uniformazione i profili didattici, tempi di studio, modalità
d’apprendimento, con i limiti già sopra accennati per
l
a “via italiana alla riforma”: licealizzazione dei percorsi universitari,
dismissione di saperi critici e generali. Elemento indubbiamente centrale e
tutt’altro che negativo delle modalità di insegnamento e conseguentemente di
apprendimento e di ricerca in gran parte delle università nord europee, forse meglio
non italiane, e il ruolo preminente assunto dalla comunicazione, dalla produzione (e
non solo dalla trasmissione) cooperativa di sapere, dalla dinamicità relazionale tra
studenti e docenti e tra gli studenti tra loro. Preminenza del seminario sulla
lezione, della pratica laboratoriale, dell’elaborazione continua di materiali
scritti, della rela tiva autogestione di per corsi di ricerca. Questo a volte assume
i toni dequalificanti di un sapere privo di solidi strumenti teorici generali e di
fondo ma costituisce indubbiamente un’etica avanzata non solo dell’apprendimento ma
dell’agire di concerto e del produrre cooperativamente, elementi fino a adesso
completa
m
ente assenti nell’ingessato panorama accademico italiano.



2. Se quest’idea ricorsiva della comparazione europea ci ha inseguito negli echi
apologetici degli accademici riformatori o nelle fortunate esperienze Erasmus di
alcuni di noi, è nostra intenzione, adesso, dare vita a un’anomala quanto inedita
università europea, costituita dalle relazioni, dagli immaginari, dai saperi e dai
conflitti dei gruppi che nelle università d’Europa sperimentano nuove forme di
ricerca e di cooperazione. Di quei gruppi, cioè, che fanno delle lotte sul sapere e
sul reddito nuovi modi di abitare non solo le università ma le capitali europee e i
loro conflitti. Crediamo infatti che la possibilità di costruire un’Europa politica
dei movimenti risieda nella capacità di fare in primo luogo dell’Europa uno spazio
di libera circolazione dei saperi e della ricerca, un luogo dove ci sia reddito per
chi vive nei flussi della formazione permanente.

Per in
i
ziare a fare esto vorremmo provare a costruire assieme a altri una Libera Università
Europea che abbia come atto di inizio una tre giorni dove ricercatori e studenti
provenienti da Madrid, Malaga, Berlino, Parigi, Lubiana, Copenhagen, Helsinki,
Londra si incontrino all’università La Sapienza di Roma nella sua Facoltà di Fuga
con i gruppi di studenti e ricercatori italiani che poco hanno a che fare con le
euforie riformistiche e che vogliono un reddito per vivere e studiare. Questo
incontro lo immaginiamo anche come un primo passo per dare vita a un nuovo modo di
relazione tra gli studenti europei, a una sorta di Erasmus autonomo e permanente che
sia costitutivo di una nuova prassi di ricerca e di autoformazione nello spazio
europeo e produca i nessi per la costit uzione di conflitti comu ni intorno ai
saperi.

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