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Indy financial Watch: economia di guerra
by sbancor Friday, Mar. 28, 2003 at 1:29 PM mail: sbancor@hotmail.com

Siamo in un economia di guerra, e l'uscita del tunnel non si vede. Un articolo interessante da Indymedia del North Carolina (USA) Saddam ha cambiato i fondi da $ in Euro...e la sta pagando cara.

Parlare di economia in tempo di guerra è come offrire un aperitivo a uno che muore di fame. Ciononostante proviamoci. Sfoglio annoiato i bollettini di borsa: i mercati hanno capito di non aver capito nulla. Hanno festeggiato una guerra-lampo e si ritrovano in trincea. Il prezzo del petrolio sale e scende, a secondo dei bollettini di guerra, ma comunque all’interno della “forbice” OPEC (22-28$/barile) . Solo il West Texas cerca degli spunti sopra i 30$, ma si sa è sul WT che operano i “derivati” sul petrolio, cioè quelle scommesse sui mercati che tanto angustiano la stabilità bancaria. Il vero problema è la Nigeria, di cui quasi nessuno parla. Lì gli scontri etnico-religiosi stanno bloccando la produzione. E senza Nigeria è dura mantenere le promesse produttive dell’OPEC. Per l’economia non si vedono segnali di ripresa. Né negli USA né in Europa. Anzi. In Europa stiamo ormai verso la stagnazione. E’ una guerra troppo piccola per rilanciare l’economia. Guardo sconsolato uno studio del F.M.I. impietosi pubblicano una tabella che riporta i dati del crollo finanziario dal picco che il mercato aveva raggiunto il 24 marzo del 2000, quasi un secolo fa. L’indice S&P 500 della Borsa americana, ha perso il 44,9%. Il Nasdaq il 73% le borse europee (FTSE Eurotop 300) il 53,7% quelle giapponesi il 50,1%. La ricchezza finanziaria in azioni si è praticamente dimezzata in tutto il mondo. Non è andata meglio per le obbligazioni: i Corporate Bonds americani con rating tripla A sono scesi di 180 basis points.. Sempre dal 24 marzo 2000 ilò dollaro ha perso contro l’Euro il 9,5% del suo valore. Non è poco. I capitali fuggono dall’America. Non si era mai visto in tempo di guerra.

Una nota interessante viene da Indymedia del North Carolina (USA). http://chapelhill.indymedia.org/news/2003/01/2177.php
Qui un mio collega economista ed indyano fa l’ipotesi che fra le cause della guerra non vada trascurata la sciagurata idea di Saddam Hussein di convertire in Euro i 10 miliardi di dollari del Fondo Iraq presso le Nazioni Unite del programma OIL for FOOD. Me ne ero dimenticato. Ora mi ricordo che a quel tempo girò uno studio della Morgan Stanley che prevedeva un calo del dollaro anche del 30% qualora i paesi produttori di petrolio avessero deciso che era meglio farsi pagare in Euro che in $. Allora l’Euro valeva 0,85 circa. Saddam fece un affare. Ma la sta pagando cara. E forse è un esempio. Se anche l’Iran, la Cina e Russia lo seguissero il dollaro potrebbe scendere di un altro 20-40$. Avvicinandosi così al suo valore reale. Ma la realtà, come è noto non piace a nessuno. Specialmente a chi è indebitato.
Amenità.

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sul dollaro-euro
by indica Friday, Mar. 28, 2003 at 1:58 PM mail:


LA VERA RAGIONE DELLA GUERRA ALL’IRAQ 'EURO

tratto da: THE REAL REASONS FOR THE UPCOMING WAR IN IRA

Macroeconomic and Geostrategic Analysis of the Unspoken Truth di W. Clark se. Files - in ingle


Sebbene completamente soppressa dai media USA, la risposta all’enigma Iraq
è semplice ma sconvolgente. La prossima guerra in Iraq è soprattutto su
come la classe dirigente a Langley e l’oligarchia Bush vedono gli
idrocarburi a livello geostrategico e le minacce macroeconomiche centrali
al dollaro USA da parte dell’euro. La Vera Ragione per questa guerra è
l’obiettivo dell’amministrazione Bush di prevenire un’ulteriore spinta
dell’OPEC verso l’euro come valuta standard per le transazioni
petrolifere. Comunque, per prevenire l’OPEC, hanno bisogno di guadagnare
il controllo geostrategico dell’Iraq con le sue provate riserve di
petrolio, le seconde maggiori al mondo.
In questo lungo saggio si parla della macroeconomia del “petrodollaro” e
della non pubblicizzata ma reale minaccia all’egemonia dell’economia USA
da parte dell’euro come valuta alternativa per le transazioni petrolifere.
Ecco come un astuto ed anonimo amico alludeva alla taciuta verità sulla
prossima guerra con l’Iraq…
“Il maggior incubo della Federal Reserve è che l’OPEC per le sue
transanzioni internazionali passi da un dollar standard ad un euro
standard. Effettivamente l’Iraq ha compiuto questo passaggio nel novembre
del 2000 (quando l’euro valeva circa 80 centesimi), ed ha realmente
guadagnato considerando il costante deprezzamento del dollaro nei
confronti dell’euro”. (Nota: il dollaro nel 2002 ha perso il 15% contro
l’euro).
“La vera ragione per la quale l’amministrazione Bush vuole un governo
fantoccio in Iraq, o, più propriamente, la ragione per la quale il
complesso militare industriale vuole un governo fantoccio in Iraq, è per
farlo ritornare al dollar standard e farcelo rimanere”. (Sperando anche di
impedire una più ampia spinta dei paesi OPEC verso l’euro, specialmente
dell’Iran, il secondo maggior produttore OPEC che sta attivamente
discutendo il passaggio all’euro per le sue esportazioni di petrolio).
Inoltre, nonostante l’Arabia Saudita sia un nostro ‘stato cliente’, il
regime saudita appare sempre più debole, minacciato da massicci disordini
civili. Alcuni analisti credono che una “Rivoluzione saudita” possa
ritenersi plausibile in seguito ad una impopolare invasione USA dell’Iraq
(come nel 1979 in Iran). Indubbiamente l’amministrazione Bush è
profondamente conscia di tali rischi. Dunque, il disegno neoconservatore
(il piano USA) implica una grande e permanente presenza militare nella
regione del Golfo Persico nell’era post Saddam, se vi fosse la necessità
di circondare e prendere i giacimenti di petrolio sauditi nel caso di un
colpo di stato da parte di un gruppo antioccidentale. Ma prima torniamo
all’Iraq.
“Saddam ha segnato il proprio destino quando alla fine del 2000 ha deciso
di passare all’euro (e più tardi ha convertito la propria riserva di 10
miliardi di dollari all’ONU in euro): a quel punto un’altra guerra del
Golfo fabbricata con Bush II è divenuta inevitabile. Solamente le più
estreme circostanze forse possono ora fermarla e dubito fermamente che
qualcosa possa farlo, a meno che Saddam non venga rimpiazzato da un regime
compiacente”.
“Prospettiva complessiva: Qualsiasi cosa esclusa dai temi della valuta di
riserva e del petrolio saudita/iraniano (cioè i temi politici interni e le
critiche internazionali) per questa amministrazione sono periferiche e
dalle conseguenze marginali. Inoltre, la minaccia dollaro-euro è così
potente che essi piuttosto rischieranno molte delle ripercussioni negative
a breve termine per evitare un crollo del dollaro dovuto al cambio dal
dollaro all’euro come standard delle transazioni dell’OPEC nel lungo
termine. Tutto ciò rientra nel più vasto Grande Gioco che include la
Russia, l’India e la Cina”.
L’informazione sulla valuta petrolifera dell’Iraq viene censurata dai
media USA ed anche dall’amministrazione Bush & Federal Reserve poiché la
verità potrebbe potenzialmente piegare la fiducia degli investitori e dei
consumatori, ridurre la richiesta di presiti e la spesa dei consumatori,
creare la pressione politica per formulare una nuova politica dell’energia
che lentamente distragga dal petrolio mediorientale e naturalmente fermi
la nostra marcia verso la guerra all’Iraq. Questo quasi “segreto di stato”
si può trovare nell’articolo di Radio Free Europe del 6 novembre 2000 che
discute del passaggio di Saddam dal dollaro all’euro per le sue vendite di
petrolio.
“Il cambio di Baghdad dal dollaro all’euro negli scambi è diretto a
rimproverare la linea dura di Washington sulle sanzioni ed a incoraggiare
gli europei a sfidarla. Ma il messaggio politico costerà all’Iraq milioni
in rendite perdute. Il corrispondente di RFE/RL, Charles Recknagel,
osserva ciò che Baghdad guadagnerà e perderà, e l’impatto della decisione
di andare verso la valuta europea”.
……………….
Cosa accadrebbe se l’OPEC facesse un improvviso passaggio all’euro invece
che una transizione graduale?
“Altrimenti, l’effetto di un passaggio dell’OPEC all’euro sarebbe che le
nazioni consumatrici di petrolio dovrebbero dar defluire i dollari dai
fondi di riserva delle loro banche centrali e rimpiazzarli con euro. Il
dollaro crollerebbe di valore ovunque dal 20% al 40% e le conseguenze
sarebbero quelle che ci si potrebbe aspettare dal crollo di qualsiasi
valuta e da una massiccia inflazione (pensate per es. alla crisi valutaria
dell’Argentina). I capitali esteri scorrerebbero fuori dalla mercato
borsistico USA e dai beni denominati in dollari, vi sarebbe sicuramente
una fuga dalle banche molto simile a quella degli anni ’30, non si
pagherebbero gli interessi sul deficit delle partite correnti, il deficit
di bilancio non verrebbe coperto e così via. Il classico scenario da crisi
economica del terzo mondo.
L’economia degli Stati Uniti è intimamente legata al ruolo del dollaro
come valuta di riserva. Ciò non significa che gli USA non potrebbero
funzionare altrimenti, ma che la transizione dovrebbe essere graduale per
evitare tali dislocazioni (e come risultato ultimo di questo probabilmente
vi sarebbe lo scambio dei ruoli nell’economia globale tra USA e UE)”.[

vedere anche


http://www.contropiano.org/UltimoNumero/Inserto%20anno10-n3%20pag2-3.htm

http://www.brianzapopolare.it/sezioni/economia/euro_dollaro_potenze_2002giu30.htm


http://www.axiaonline.it/2002/M_O/0111_Euro_e_Petrodollari.htm

http://www.kontrokultura.org/archivio2001/165/multipolare.html


http://www.aljazira.it/02/12/03/monetaunica1.htm





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Mi sfugge
by karlse Friday, Mar. 28, 2003 at 4:51 PM mail:

Mi sfugge completamente il motivo per cui, non essendo più in un regime di cambi fissi, a qualcuno possa interessare in che valuta viene commerciato il petrolio (o qualunque altra materia prima). La moneta creditizia è moneta creditizia, sia che si chiami dollaro sia che si chiami yen sia che si chiami euro.

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cambi fluttuanti e cambi fissi
by sbancor Friday, Mar. 28, 2003 at 7:35 PM mail:

Perchè, appunto perche i cambi non sono fissi le variazioni di quantità negli scambi determinano il "prezzo" della moneta, cioè la sua ragione di scambio. Se i petrodollari scompaiono, il dollaro cala. Se il dollaro cala chi ha investito in titoli e azioni made in USA perde. Chi perde s'incazza e cambia investimento. Questo determina una "fuga di capitali" e ulteriore svalutazione della moneta. Essendo la bilancia commerciale in passivo, si fa fronte stampando ancora più moneta. Ciò per la teoria quantitativa della moneta genera inflazione e ulteriore svalutazione. In breve gli USA si trasformano nell'Argentina...Si quella della denominazione delle riserve petrolifere può essere un buon motivo per una guerra!

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Ancora non ci siamo
by karlse Friday, Mar. 28, 2003 at 9:40 PM mail:

Dunque, Hong Kong è stato tra i primi a passare all'euro, non mi risulta che gli Usa l'abbiano invaso. Il Giappone sta convertendo gran parte delle sue riserve da dollari in euro, suppongo che gli usa invaderanno anche il Giappone. Inoltre ho il fondato sospetto che le riserve monetarie dell'Iraq siano ben poca cosa rispetto alle riserve mondiali.
Ma il problema vero è che non si dà in nessun modo, ma proprio nessuno, che la moneta si possa semplicemente stampare. La moneta ha origine dal credito, si emette in cambio di qualcosa.
Se si potesse semplicemente stampare, mi spieghi perché euro e yen non potrebbero fare lo stesso, visto che sono divise accettate in tutto il mondo proprio come il dollaro?
Il trend discendente del dollaro dura dal 1971. Il valore relativo del dollaro è sostenuto dalla domanda speculativa, niente di più.
No, quella della denominazione delle riserve petrolifere non può proprio essere un buon motivo per una guerra!

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"euro", "dollaro" e petrodollari
by Gennaro Saturday, Mar. 29, 2003 at 12:51 AM mail:

Credo che la "lotta tra monete" debba la sua popolarità al fatto che esemplifica (troppo) alcuni processi. Moneta e sistema finanziario vanno considerati come un insieme, ciò che Peter Gowan chiama dollar-Wall Street system.  L'euro non costituisce un pericolo per gli Usa se non nella misura in cui si crea un mercato europeo di capitali che possa attrarre investimenti a discapito del sistema finanziario statunitense. Gli Usa non temono il passaggio all'euro ma piuttosto la fuga di capitali verso il mercato europeo di capitali. Attualmente il sistema finanziario europeo ancora non può competere per grandezza e liquidità con quello americano, ma ciò che gli Usa vogliono impedire è appunto che l'«euro» (mercato di capitali) diventi un concorrente effettivo. 

Secondo H. Oppenheim, ("Why oil prices go up? The past -- We pushed them," Foreign Policy, Winter, 1976-77) l'aumento dei prezzi del petrolio negli anni '70 fu, se non voluto, favorito dall'amministrazione statunitense, in ogni caso sembra che questa fosse più interessata più che altro che i petrodollari venissero investiti negli Usa. Secondo Soros così è nata addiruttura la "globalizzazione".

I petrodollari hanno giocato un ruolo storicamente importante nella costituzione del sistema di spoliazione finanziaria globale statunitense. Ricorderete la notizia dell'estate dell'anno scorso riportata dal Financial Times della fuga di capitali sauditi dagli Usa ...

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"euro" "dollaro e petrodollaro
by Carla Saturday, Mar. 29, 2003 at 9:56 AM mail:




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Che succederebbe se l’OPEC passasse all’Euro?
di Paul Harris, da Soberania.info - Traduzione di Tito Pulcinelli
tratto da http://www.informationguerrilla.org

L'idea ossessiva di Bush su Bagdad si basa su molte ragioni. In altri articoli che ho scritto per YellowTimes.org, feci allusione non tanto alle ovvietà delle ragioni addotte contro l'Iraq, bensì alla guerra di Bush contro l'Europa. Io credo che questa sia la ragione principale della fissazione con l'Iarq.
Quando un paese va in guerra, si preparano piani su chi sarà vittorioso e su chi perderà; nessuno scatena una guerra sperando di essere sconfitto, però non sempre l'obiettivo manifesto dell'aggressione é l'obiettivo vero della guerra. A volte non si tratta di quel che speri di ottenere con la guerra, bensì di quello che gli altri perderanno; e non deve per forza essere un tuo nemico dichiarato quello che ti aspetti che soffrirà le conseguenze maggiori della guerra.
In questo caso, Bush spera che la vittima sia l'economia europea, che é robusta e probabilmente sarà ancor più forte in un futuro vicino. L'ingresso della Gran Bretagna nell'Unione Europea é inevitabile; la Scandinavia lo fará in tempi ravvicinati. A maggio del 2004, entreranno dieci nuovi paesi e questo fará aumentare il PIL dell'UE a circa 9,6 trilioni di dollari e 280 milioni di persone, di fronte ai 10,5 trilioni di dollari e 280 milioni di persone degli USA. Questo, per i nord-americani, é un formidabile blocco concorrente; ma la situazione é molto più complessa di quel che indicano queste cifre. E molto dipende dalla piega che prenderanno gli avvenimenti in Iraq.
Come tanti altri, ho scritto che questa guerra che é alle porte si combatterà per il petrolio. Sicuramente vi sono altre ragioni, però il petrolio é la causa scatenante. Ma non per le ragioni che comunemente si adducono.
Non é per le enormi riserve ancora vergini che si ritiene esistano in Iraq, che non sarebbero state sfruttate a causa delle sue antiquate tecnologie; non é per le brame del governo USA di mettere le zanne su questo petrolio. E' piuttosto per le zanne che i nord-americani vogliono mantenere lontano da lì.
La causa di tutto questo non é l'11 di settembre, né l'improvvisa illuminazione che Saddam continuava ad essere un tipo ripugnante, né il cambio di governo negli Stati Uniti. Quel che ha accelerato le cose é stata la decisione presa dall'Iraq il 6 di novembre del 2000: sostituire il dollaro con l'euro nel suo commercio petrolifero. Allora, questo cambio sembrò uno stupido capriccio, perché l'Iraq stava perdendo una gran quantità di utili a causa di una dichiarazione politica di principio.
Però prese questa decisione, e il deprezzamento continuo del dollaro nei confronti dell'euro, sta a significare che l'Iraq fece un buon affare cambiando riserve monetarie e divise per il commercio del proprio petrolio. Da quel momento, l'euro si é rivalutato del 17% sul dollaro, cosa che si deve applicare pure ai 10 bilioni di dollari del fondo di riserva dell'ONU "petrolio per cibo".
Sorge una domanda che, probabilmente, si é posto anche Bush: che succederebbe se l'OPEC passasse all'euro?
Alla fine della seconda guerra mondiale, nella conferenza di Bretton Woods venne firmato un accordo che fissava il valore dell'oro a 35 dollari l'oncia e con questo divenne lo standard internazionale con il quale si misuravano le monete. Però nel 1971, Nixon cancellò tutto questo, e il dollaro divenne lo strumento monetario principale, e solo gli USA possono produrlo. Il dollaro oggi é una moneta priva di copertura, sopravalutato, nonostante il record del deficit di bilancio e lo status di paese più indebitato del mondo. Il 4 di aprile del 2002, il debito era di 6021 trilioni di dollari a fronte di un PIL di 9 trilioni di dollari.
Il commercio internazionale é diventato un meccanismo grazie al quale gli USA producono dollari e il resto del mondo produce quel che i dollari possono comprare. Le nazioni non commerciano più per ottenere "vantaggi comparativi", ma solo per ramazzare dollari da destinare al pagamento del debito estero, che é fissato in dollari. E per accumulare dollari nelle riserve monetarie con la finalità di preservare il valore delle monete nazionali. Le banche centrali delle nazioni, per prevenire attacchi speculativi alle proprie monete, sono costrette a comprare o trattenere dollari, in una misura equivalente all'ammontare del proprio circolante.
Tutto ciò crea il meccanismo del dollaro forte che, a sua volta, obbliga le banche centrali ad immagazzinare dollari, cosa che rende ancor più forte il dollaro. Questo fenomeno é conosciuto come "egemonia del dollaro" e fa sì che le merci strategiche -soprattutto il petrolio- siano quotate in dollari. Tutti accettano i dollari perché con essi si può comprare il petrolio.
Dal 1945, la forza del dollaro consiste nell'essere la divisa internazionale per gli interscambi petroliferi globali (petro-dollari). Gli USA stampano centinaia di migliaia di miliardi di dollari senza nessun tipo di copertura: "petro-dollari" che sono usati dalle nazioni per pagare la fattura degli energetici agli esportatori dell'OPEC. Ad eccezione dell'Iraq e, parzialmente, del Venezuela.
Questi petro-dollari sono poi riciclati nuovamente dall'OPEC negli USA, sotto forma di lettere del tesoro o altri titoli con denominazione in dollari: azioni, beni immobiliari ecc. Il riciclaggio dei petro-dollari rappresenta il beneficio che, dal 1973, gli USA ricevono dai paesi produttori di petrolio per "tollerare" l'esistenza dell'OPEC.
Le riserve di dollari debbono essere investite nel mercato nord-americano, cosa che, a sua volta, produce utili per l'economia USA. L'anno scorso, nonostante un mercato in netto ribasso, l'ammontare delle riserve USA é cresciuto del 25%. L'eccedente nei conti dei capitali finanzia il deficit commerciale.
Dato che gli USA creano "petro-dollari", loro controllano il flusso del petrolio. Siccome il petrolio si paga in dollari e questa é l'unica moneta accettata in questi scambi, si arriva alla conclusione che gli USA possiedono il petrolio del mondo gratis.
Di nuovo: che succederebbe se l'OPEC decidesse di seguire l'esempio dell'Iraq e cominciasse a vendere il petrolio in euro? Una esplosione economica. Le nazioni importatrici di petrolio dovrebbe mettere in uscita i dollari dalle rispettive riserve delle banche centrali, e rimpiazzarli con gli euro. Il valore del dollaro precipiterebbe, e le conseguenze sarebbero quelle di un qualsiasi collasso di una moneta: inflazione alle stelle (vedi Argentina), i fondi stranieri in fuga dal mercato dei valori nord-americano e ritiro dei fondi dalle banche come nel 1930 ecc.
Tutto questo non avverrebbe solo negli USA. Il Giappone ne uscirebbe severamente castigato, data la sua totale dipendenza dal petrolio straniero e l'incredibile sudditanza al dollaro. Se crollasse l'economia giapponese, crollerebbero quelle di molti paesi -non escluso gli USA- in un effetto domino.
Questi sarebbero gli effetti potenziali di un "improvviso" passaggio all'euro. Un cambio più graduale sarebbe più gestibile, ma altererebbe ugualmente l'equilibrio finanziario e politico del mondo. Vista la vastità del mercato europeo, la sua popolazione e la sua necessità di petrolio (ne importa più degli USA), l'euro potrebbe rapidamente diventare -di fatto- la moneta standard per il mondo.
Esistono buone ragioni perché l'OPEC -come gruppo-segua l'esempio dell'Iraq e adotti l'euro. Non vi é dubbio (dopo tanti anni di umiliazioni subite dagli USA) che potrebbero approfittare delle circostanze per emettere una dichiarazione politica di principi. Ma esistono anche solide ragioni economiche.
Il poderoso dollaro ha regnato incontrastato dal 1945 e negli ultimi anni ha guadagnato ancor più terreno con il dominio economico USA. Alla fine degli anni ‘90, più dei quattro quinti delle transazioni monetarie e la metà delle esportazioni mondiali, sono avvenute in dollari. L'obiettivo della guerra di Bush contro l'Iraq, naturalmente, é assicurarsi il controllo di quei giacimenti e porli sotto il segno del dollaro; successivamente passerà ad incrementare esponenzialmente la produzione e forzare i prezzi al ribasso. Alla fin fine, l'obiettivo di Bush é scongiurare con minacce di ricorrere alle vie di fatto, che qualsiasi paese produttore passi all'euro.
A lungo termine, il vero obiettivo non é Saddam, é l'euro e l'Europa. Gli USA non se ne staranno con le mani in mano ad assistere allo spettacolo di questi "ultimi arrivati" degli europei che tengono in pugno le redini del loro destino. E men che mai, che assumano il controllo della finanza internazionale. Naturalmente, tutto dipende dal folle piano di Bush e, soprattutto, che non scateni la terza guerra mondiale.


http://www.disinformazione.it

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Finalmente si ragiona!
by sbancor Saturday, Mar. 29, 2003 at 10:52 AM mail:

Sono veramente soddisfatto del livello della discussione. Veloci risposte. La moneta viene prima del credito. Su questo non ho dubbi dal punto di vista logico-formale. Senza moneta il concetto di credito è impossibile. Detto ciò è vero quello che dici: altri paesi usano l'Euro e non per questo ci sono guerre. Nel caso dell'Iraq, come nel caso dell'Iran e della Russia però l'uso dell'euro sconvolge una sub-area monetaria: quella del petrodollaro. Ora qui la questione è davvero complicata perchè ha a che fare con la "storia segreta" delle monete. Bisogna tornare al 1971 e alla fine degli accordi di Bretton Woods. Lo sganciamento del dollaro dall'oro fu una operazione "militare". Se qualcuno ha tempo di leggersi le Memorie di Guido Carli, pubblicate da Laterza, e che non ho sottomano adesso, troverà una descrizione impressionante di quello che accadde nel 1968, quando si manifestò "l'insolvibilità" americana. Il capolavoro di Henry Kissinger fu trasformare questa bancarotta in una vittoria, agendo proprio sul prezzo del petrolio, come ha raccontato Yamani sull'Observer e creando il mercato dei petrodollari. Ciò consentiva agli USA di stampare moneta (e secondo Triffin ne stamparono più di quella in circolazione da Adamo al 1971) senza che ciò provocasse immediatamente inflazione e svalutazione del dollaro. I capitali sauditi e in genere dei paesi del Golfo venivano reinvestiti in America (Beirut, l'unica piazza finanziaria araba era distrutta dalla guerra) Citygroup la seconda banca americana è praticamente in mano ai sauditi.

Non era mai successo nella storia dell'economia che una moneta divaricasse tanto dal suo valore reale, neanche ai tempi dell'imperatore Tiberio, che come è noto, sottraeva oro dai sesterzi. Qui nascono le "relazioni speciali" fra America e i Saud. Qui nasce anche il "pasticcio" di Osama bin Laden. Qui i petrolieri americani si arricchiscono.

Ora i prezzi del petrolio sono da anni sottoposti a una corrente ribassista, derivante dal risparmio energetico, dal debole ciclo dell'ecoomia mondiale, che inizia con la crisi asiatica del 1997-1998, dalle nuove tecnologie. La fazione a cui Bush appartiene invece è rialzista, interpretando gli interessi delle compagnie.Se il petrolio va sotto i 20$ al barile si blocca la ricerca e lo sfruttamento dei pozzi "profondi" e si creano le premesse per un futuro shock petrolifero. Di petrolio c'e ne è anche troppo, ma i nuovi pozzi costano. Ovviamento nessuno può giustificare un rialzo del petrolio se la corrente del mercato è ribassista. Il "rialzo" deve essere giustificato. Ecco perchè Bush nll'Energy Act del 2000 si "inventa" una crisi petrolifera nel futuro, mentre tutte le statistiche danno il prezzo del petrolio sostanzialmente piatto.

La situazione è diversa dunque dal "vecchio imperialismo" che mirava solo a controllare le materie prime. Qui si tratta di controllare il mercato e l'opinione pubblica occidentale che vorrebbe un prezzo del petrolio basso. Qui ci vuole una "guerra". Pensate: nonostante la guerra, in questi giorni il prezzo del petrolio sta ancora dentro la "forbice Opec" (22-28 dollari). Che succederebbe se invece ci frosse la pace?

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mah
by karlse Monday, Mar. 31, 2003 at 5:13 PM mail:

A me sembra che dire che “la moneta precede il credito” sia un po’ come sostenere che dio precede il mondo. Stiamo parlando della moneta nel sistema capitalistico, non dell’astrazione moneta. Mi rendo conto che a questo punto dovrei ricorrere a centinaia di citazioni. Forse non è il caso, mi limito a questa ripresa da Augusto Graziani, introduzione a un testo che seppure scitto da un keynesiano è un qualche interesse, Minsky, Potrebbe ripetersi?, Einaudi: “In un’economia monetaria, qualsiasi scambio viene regolato in moneta. Il problema iniziale dell’analisi è dunque di spiegare come i pagamenti vengono finanziati, o in altre parole, come venga creata la moneta necessaria allo svolgimento degli scambi. Nelle economie moderne, il finanziamento puo’ essere descritto sommariamente come segue. Il sistema bancario finanzia le imprese con un’apertura di credito, che consente loro di acquistare la forza lavoro necessaria mediante pagamento dei salari…”.
E se dovessi ricorrere a citazioni da Marx, dovrei attingere al secondo libro del Capitale, quello in cui si analizza il processo di circolazione, perché è proprio qui che si crea sia la necesità sia l’esistenza del credito reciproco tra capitalisti, processo in cui la moneta assume tutte le sue funzioni.
Ripeto che l’affermazione di una moneta che si stampa a piacimento è del tutto priva di senso, ancora più privo di senso supporre che tramite la stampa di moneta si perseguano obiettivi politici. Semplicemente stampando moneta oltre la domanda esistente provoca inflazione e svalutazione (anni settanta, Usa) .Tra l’altro se c’è una cosa su cui gli stati hanno perso completamente il controllo è proprio sull’offerta di moneta, che è prodotto dell’indebitamento speculativo. La domanda di dollari è per il 99 per cento sorretta dalla speculazione, e teniamo presente che il dollaro si sta svalutando con un trend di lungo periodo proprio dalla fine di Bretton Woods. Sarebbe interessante indagare l’origine storica dei capitali che sono usciti dal circuito produttivo per entrare in quello speculativo, generando l’attuale situazione., e perche’ ciò è accaduto.
Credo che scopriremmo che i “petrodolalri” c’entrano solo in minima parte.
L’accenno poi alla situazione che sarebbe diversa dal “vecchio imperialismo” mi sa un po’ di litania da ripetere ogni volta, senza specificare poi in che cosa sarebbe diverso., o se è mai esistito uno stadio con caratteristiche specifiche definibile “imperialismo”.

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Scusate se insisto...
by Sbancor Tuesday, Apr. 01, 2003 at 11:06 AM mail:

Scusate se insisto. Ma se volete dei conti eccoli. Nel 2000, prima della crisi, gli investimenti esteri negli USA erano pari a oltre 500 miliardi di dollari. Oggi sono 196 miliardi. C'è stato un movimento di capitali, o meglio, una fuga dei capitali stranieri dal mercato americano. In parte è dovuto alla crisi da q1uotazioni, ma in parte anche a motivi geopolitici: molti di questi capitali sono arabi, e in particolare sauditi. Nel 2000 l'Euro valeva 0,85 dollari. Oggi ne vale 1,09. siccome nonostante tutto l'economia americana va meglio di quella europea, a cosa è dovuto questa improvvisa forza dell'Euro? Una ipotesi è che sia sempre la fuga di capitali "geopolitica". Oggi il 65% delle riserve delle Banche Centrali sono denominate in dollari. che succede se si scende, poniamo al 50%? Il dollario si indebolisce, l'euro sale e i capitali continuano a muoversi. Ora sono daccordo con te che stampare moneta è una idiozia sin dai tempi di Pancho Villa. Ma è stato fatto. Con lo sganciamento del dollaro dall'oro (1971, fine degli accordi di Bretton Woods) siamo entrati in un'epoca di monete virtuali. I dollari stampati in parte hanno provocato inflazione, ma non hanno provocato svalutazione. Il dollaro nel 1971 valeva 625 lire, oggi ne vale circa 2000. Ma a me pare che in termini di potere d'acquisto il rapporto fra USA e Italia abbia registrato una convergenza e non un divario rispetto al 1971. Come si spiega dunque il valore del dollaro?. Nelle tre funzioni della Moneta dell'articolo di Krugman viene dimenticata una: la moneta come valuta di riferimento internazionale. Questa quarta forma (che tradizionalmente era dell'oro) negli ultimi 33 anni è stata del dollaro. Cosa accade se il dollaro perde questa funzione di mezzo di pagamento internazionale? Probabilmente che torna al suo valoe al empo dela parità aurea. Cioè una svalutazione del 50%, E di questo che si discute.

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Insisto anch'io
by karlse Tuesday, Apr. 01, 2003 at 9:06 PM mail:

Insisto anch'io...
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Dunque, ammetterai che se l'obiettivo degli Usa è trattenere i capitali dell'area medioorientale il fatto di bombardarli non appare un granché come strategia, o no? Ricordo anche io la notizia di un ritiro di ingenti somme da parte dell'Arabia Saudita, ma non ne ho sentito più parlare, e se non ricordo male era dovuto al timore di un blocco di molti conti in odore di "terrorismo". Inoltre, considerando che sono le banche giapponesi a detenere in massima parte asset usamericani, mi spieghi che senso ha fare la guerra all'Iraq?
Infine allego un grafico sulle riserve Usa in valuta estera. Mi spieghi, se il dollaro ha questa funzione di valuta di riferimento internazionale, perché dovrebbero detenere riserve non in dollari?
Poi che l'economia usa sia un colabrodo lo sappiamo. E' un trend iniziato 30 anni fa, che ha portato a questa situazione . Possiamo discutere di questo, mi interessa molto. Ma io non credo che questa tendenza gangsteristica dei vari governi usa ad aggredire Grenada, Panama eccetera sia spiegabile con la paura dell'euro.

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Come si spiega allora ...
by Gennaro Tuesday, Apr. 01, 2003 at 10:29 PM mail:

Molto velocemente, perché adesso non riesco. Un argomento non economico, ma esclusivamente politico: come si spiega allora che ad opporsi sono stati maggiormente i paesi guida europei, anche se poi è stata decisiva la presa di posizione chiara della Russia per creare un fronte politico di opposizione?

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Mia opinione
by karlse Wednesday, Apr. 02, 2003 at 12:05 PM mail:

Secondo me, perché Francia, Germania e Russia sanno perfettamente che dietro l'11 settembre e Bin Laden e le altre fandonie stanno i settori più criminali degli usa, e non vogliono in nessun modo farsi coinvolgere in una cosa che non si sa che cosa provocherà né se avrà fine.
Però sarei prudente a parlare di "fronte di opposizione", perché in realtà a parte bei discorsi di opposizione ne hanno fatta poca.

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...
by Gennaro Wednesday, Apr. 02, 2003 at 1:17 PM mail:

Anche se fronte di opposizione è forse parola grossa, cmq c'è stato un dissenso attivo con la ricerca dell'alleanza della Russia, al fine di ottenere il voto contrario dell'Onu. Ci sono state a un certo punto parole grosse tra politici inglesi e francesi, e sembra che la "crisi" tra "Blair" e "Chirac" non si sia ancora "ricomposta".
Se fosse stato un semplice dissenso politico si sarebbero limitati alla "non partecipazione", astensione ecc.
Ma se l'opposizione della Francia si può spiegare anche solo con il fatto con il fatto che la TotalElfFina vedrà annullato i contratti che aveva in corso, e non parteciperà ai futuri, meno spiegabile in questo senso l'opposizione della Germania, che cmq è stata meno attiva.
Io credo che la creazione di un mercato finanziario effettivo europeo che possa competere con quello statunitense sia un motivo di conflitto reale.

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Le cause della guerra...
by sbancor Wednesday, Apr. 02, 2003 at 7:19 PM mail:

Proviamo a riprendere il filo del discorso. Le cause della guerra sono molteplici. Ce ne sono di strategiche e tattiche, di dirette ed indirette. Io personalmente ritengo che il capitalismo americano abbia bisogna della guerra per alimentare una sorta di keynesismo militare (credo che l'inventore del termine sia Gore Vidal ne l'Età dell'Oro) La Grande depressione degli anni '30 fini non già grazie alle utopie del New Deal ma quando la macchina americana incominciò a produrre per la Guerra in sostegno degli inglesi. E d'altra parte il "secolo Americano" era nato dopo il 1914, quando L'impero britannico perse il primato finanziario e il mercato delle accettazioni si trasferì a Wall Street. La guerra fredda è stato il business del secolo. Un nemico dipinto come terribile da rapporti falsi che ne sopravvalutavano fino a 5 volte la forza, la corsa al riarmo, iniziata da Truman in violazione di Yalta e non da Stalin, e poi le guerre: Corea, Vietnam ecc. ecc. Questo a mio avviso è il trend di fondo. Arbatov, che di queste cose ne capiva, sosteneva che il maggior danno fatto dall'URSS agli USA era di scomparire come nemico. Oggi finalmente hanno di nuovo un nemico universale: l'Islam. Su questo trend di fondo agiscono gli interessi più da bottega, il petrolio per il petrolieri USA, quando di petrolio è pieno il mondo a prezzi bassi, ma il pazzo voleva cercarlo pure nei parchi naturali dell'Alaska. L'eroina per le bande di ex agenti CIA, guarda caso gli uomini di Osama si trovavano e si trovano proprio sul corridoio che dall'Afghanistan la porta in Europa. Guardatevi gli ultimi dati della DIA: la produzione di oppio in Afghanistan è tornata ai livelli di tre anni fa. E poi le commesse militari e l'Halliburton.
Credo anch'io che il mondo viva su una vergognosa menzogna sull'11 settembre. Nessuno dice che questi sono pezzi del sistema di "counterinsurgency" americano. E anche Saddam, Noriega, Milosevic lo erano. L'impero deve fare guerra a se stesso. E in fondo se per cinquant'anni ha retto la balla su Pearl Harbour perchè stupirsi?

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Per tornare a Sbancor
by karlse Wednesday, Apr. 02, 2003 at 8:19 PM mail:

...e alle sue osservazioni su Krugman: questi tra le funzioni del denaro indica "store of value"; questo mi pare implichi che una particolare divisa, per esempio il dollaro, possa avere la funzione di mezzo di riserva internazionale. O no?
Questa funzione secondo Sbancor sarebbe stata svolta dal dollaro negli ultimi 30 anni. A me pare proprio l'opposto: nel 71 con la fine degli accordi di Bretton Woods il dollaro smise di avere questa funzione. Da allora (ma anche prima in realta', ossia anche durante Breeton Woods, ma tralasciamo) nessuna divisa ha funto da riserva internazionale, ossia tutte hanno svolto tale funzione.
Nessuna divisa ha nessuna "superiorita'" da qualsiasi angolo si osservi il processo.

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....e no!
by sbancor Wednesday, Apr. 02, 2003 at 9:16 PM mail:

Che "store of value" possa significare una valuta di riferimento internazionale ho i miei dubbi. CMQ io negli anni 70 e 80 ho viaggiato parecchio nei paesi "in via di sviluppo". L'unica moneta che ci si portava appresso erano dollari. Accettati ovunque, dall'Algeria all'Argentina, dalla Turchia al Centroafrica. Alla Russia, ovviamente. E ancor oggi l'Eni se deve pagare una fornitura di petrolio lo fa in dollari. Negli anni '80 ci fu una svalutazione, ricordo, dovuta solo al fatto che ENI e Alitalia avevano cambiato dollari nello stesso giorno. Per cui ritengo che finito il Gold exchange siamo entrati in un Dollar exchange. P.S. E' ovvio che la Federal Reserve detenga altre monete.Come tutte le banche centrali del mondo. La differenza però è fra "valute pregiate" che entrano a far parte delle Riserve e "valute spregievoli" che circolano solo nei paesi terzi. Non mi risulta vi siano riserve in Rubli.

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Per quanto riguarda il keynesismo
by Gennaro Wednesday, Apr. 02, 2003 at 9:26 PM mail:

Paul Mattick in merito al "keynesismo" ha portato degli argomenti decisivi. In estrema sintesi il suo ragionamento è questo: la crisi deriva dalla caduta dei profitti, la spesa pubblica è una soluzione se rilancia l'accumulazione, altrimenti si traduce in un continuo incremento della spesa pubblica. I fatti, a vent'anni da quando scriveva, gli hanno dato ragione. Ora, non vi è più spazio per le politiche keynesiane di redistribuzione del reddito. 

Inoltre, è difficile che la cricca che si è impadronita del potere agisca sulla base di teorie economiche, o per dirla con karlse, sulla base di un piano razionale, più facile invece che agisca sulla base degli interessi immediati. Non trascurerei il tentativo di uscire dalla crisi appropriandosi dei superprofitti derivanti da una merce speciale quale il petrolio. Ho trovato questo articolo, e un capitolo (html, pdf) del libro di Shimshon Bichler e Jonathan Nitzan,  The Global Political Economy of Israel, entrambi estremamente interessanti. Gli autori dicono che negli anni ottanti i profitti derivanti dal petrolio erano il 20% dei profitti globali. La guerra in corso sarebbe un tentativo della "Weapondollar-Petrodollar Coalition" di ritornare a questi fasti.

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Link html
by G. Wednesday, Apr. 02, 2003 at 10:37 PM mail:

The Weapondollar-Petrodollar Coalition
The Global Political Economy of Israel, Chapter 5

http://www.bluegreenearth.us/archive/article/2003/nitzan_bichler1.html

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Conoscevo Paul Mattick
by sbancor Thursday, Apr. 03, 2003 at 9:22 AM mail:

Conoscevo Paul Mattick, ricordo lunghe chiacchierate con lui in una casa vicino Bari, quando con Enzo Modugno stavamo facendo una rivista che si chiamava "Marxiana". La sua critica di Keynes è ancora insuperata. La critica di Mattick a Keynes è però una critica sul "lungo periodo", quello che appunto John Maynard rifiutava dicendo "che nel lungo periodo saremmo tutti morti". Il keynesismo nella versione di sostegno alla domanda attraverso la spesa pubblica è ovviamente una politica "congiunturale". La tesi su cui sto lavorando è che con la seconda guerra mondiale si passa a un "keynesismo militare.Cioè la spesa pubblica militare sostituisce la spesa pubblica civile. Stiamo ancora elaborando un modello econometrico, ma sem,bra già dalle prime elaborazioni esservi una correlazione fra spesa militare e andamento del PIL americano dal 1945 ad oggi. E d'altra parte molti economisti hanno già studiato il "caso coreano" cioè l'effetto positivo della guerra di Corea sul primo rallentamento del PIL USA nell'immediato dopoguerra. Se è di interesse fra qualche giorno posso pubblicare qui una anteprima dello studio.

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E invece si' :-)
by karlse Thursday, Apr. 03, 2003 at 6:03 PM mail:

Per esperienza personale direi che accettavano anche travellers cheque e in altre aree i marchi tedeschi. Comunque è ovvio che il dollaro sia accettato ovunque,ma qui non si sta parlando del mercatino di Marrakesh ma degli scambi mondiali! Poi non confondiamo il fatto che una merce sia denominata in una valuta, p. es. dollari, con la valuta con cui effettivamente viene scambiata, che può essere una qualunque delle monete accettate internazionalmente. Guarda che i paesi europei mica comprano dollari per comprare petrolio: lo pagano in euro (se gli conviene in quel momento), anzi non lo pagano affatto, lo prendono a credito. Le cambiali secondo te non sono un mezzo di pagamento accettato? Quando tu compri un libro da Amazon, il cui prezzo è denominato in dollari, mica vai in banca a comprare dollari: usi la carta di credito. Se lo facciamo noi, ti pare che non lo facciano le imprese?
Mi permetti di dubitare fortemente che una svalutazione possa avvenire perché Eni e Alitalia, due scorregge nel panorama mondiale, decidono di cambiare dollari nello stesso giorno? Ma hai idea delle quantità di denaro che viene scambiato giornalmente a fini speculativi? Hai idea dell'ammontare degli strumenti finanziari cosiddetti derivati? Hai idea della quantità di credito che viene creato quotidianamente non dalle banche centrali, che non controllano più una mazza ammesso che l'abbiano mai fatto, ma dalle imprese stesse?
Poi: se siamo in un Dollar Exchange, spiegami perché mai la Fed dovrebbe tenere riserve in altre monete. Se il dollaro è tutto e può tutto, al massimo terranno riserve in oro, sicuramente non in altre monete: che cosa mai se ne farebbero?.
E' ovvio poi che tengono riserve in monete accettate mondialmente, che corrispondono alle aree economiche che hanno maggior peso mondialmente. Dato che il Camerun conta nulla, difficilmente qualcuno deterrà la moneta del Camerun; dato che lo yen conta assai, è legittimo attendersi che nella composizione delle riserve lo yen conti un po' di piu'. Considerando poi lo sviluppo del credito negli ultimi venti anni, è anche lecito attendersi che le riserve non siano poi così grandi, cosa che mi pare si evinca dal grafico che ho mandato. E se le riserve aumenterannno, è perché sanno che il castello di speculazione costruito sta traballando paurosamente!
Sono invece d'accordo con te quando dici che hanno bisogno di crearsi a tutti i costi un nemico, ora che l'Urss non c'è più: ne va della loro sopravvivenza! L'esercito Usa e tutta la sarabanda di delinquenti e criminali che ci girano attorno correvano il serio rischio di scomparire, e hanno letteralmente creato un Nemico, l'Islam fondamentalista, che semplicemente non esiste o se esiste è impersonato da loro agenti diretti (e pessimi attori) come Bin Laden. Ma per il motivo opposto a quello che dici: questo avviene proprio perché la spesa militare è clamorosamente crollata negli ultimi venti anni! Gente come Wolfovitz, Perle, lo stesso Bush e tutto l'elenco impressionante di banditi che ho letto riportato in un messaggio cosa vuoi che facciano se non i criminali?

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Keynesismo?
by karlse Thursday, Apr. 03, 2003 at 6:15 PM mail:

Gennaro, non so se ringraziarti per tutto il materiale interessante che scovi e posti o odiarti per tutto il materiale che mi costringi a leggere! :-)
Per quanto riguarda la spesa militare: è tutta spesa improduttiva. Non si tratta né di beni di consumo, né di mezzi di produzione, ma (ironia dei termini) di beni di lusso. Per cui ogni suo aumento tende, a parità di altre circostanze, a deprimere l'accumulazione. Sto parlando della produzione di armi.
Che non ci sia nessun keynesismo militare, ammesso che ci sia mai stato, lo si evince chiaramente dal grafico che avevo mandato a Gennaro e che manderò anche qui che mostra il crollo delle spese militari Usa dal dopoguerra a oggi. Un crollo impressionante. Avevo anche trovato - e manderò anche questo - una correlazione tra spese militari e Pil, che ovviamente mostrava una correlazione inversa.
Per cui caro Sbancor sono molto interessato a qualunque studio che mostri il contrario.
Un'ultima cosa che mi preme sottolineare: non mi pare che il modo di produzione capitalistico sia meno detestabile se è pacifico piuttosto che militare. Mi spiego: non è che mi fa schifo se fa stragi e se non le fa va bene. Anche se si dimostrasse che non c'è nessuna connessione necessaria tra capitale e guerra non per questo verrebbe meno la necessità di superarlo. Se poi un sistema come quello Usa crea questo gruppo dirigente, il mio odio aumenta, ma è già grande di suo!

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alla fine
by rossana Thursday, Apr. 03, 2003 at 7:06 PM mail:

oh che bello alla fine, dopo tutti questi economisti, posso dire la mia piano piano

ma che si credono che sia la produzione miltare?

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Keynesismo militare?
by magius Thursday, Apr. 03, 2003 at 7:22 PM mail:

Non mi convince proprio la tesi di Sbancor sul keynesismo militare. Che la guerra sia un fattore attivante di produzione militare e' chiaro, d'accordo. Industria pesante, ricerca, etc.. Ma che la produzione militare riattivi a catena il circolo virtuoso della produzione civile e del consumo, meno molto meno. L'annello di congiunzione tra militare e civile e' forse l'high-tech? E da solo basta?

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ehi, magius
by rossana Thursday, Apr. 03, 2003 at 8:35 PM mail:

mi fai ritornare?
a volte si usano categorie vecchie riprendendole pensando che il tempo non sia passato....
sembra tutto così uguale...
noi italiani (oh! nulla di patriottico eh!) siamo bravi a copiare: qual'è la politica della ricerca?
coinvolgere nell'impresa tutte le risorse intellettuali....sfruttando le sinergie con un approccio "trasversale", basato sulla possibilità di utilizzare per applicazioni diverse - civili, militari e duali - basi tecnologiche derivanti da una matrice di ricerca comune.
Questo è quanto dice la Defence Procurement in Italy.
Nel Quadrennial statunitense del 2001 si dà la priorità a:
potenziare l'HUMINT cioè gli strumenti dell'informazione, dell'"intelligence", le nanotecnologie, tecnologie stealth da applicare a piattaforme di raccolta informazioni, tecnologie di processazione parallela e calcolo quantistico, biometrica, ecc...

Se andiamo a vedere il bilancio del Pentagono 2003, troviamo aspetti che riguardano il bioterrorismo, il terrorismo informatico, applicazioni nucleari . E' chiaro che l'armamento detto "hard" costa ed è visibile, ma quello "soft", invisibile, è alla base.

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Primo grafico
by karlse Thursday, Apr. 03, 2003 at 9:53 PM mail:

Primo grafico...
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Il grafico seguente comprende l’andamento di tre grandezze (valori annuali) dal 1946 al 2001.
La prima è il rapporto % fra spese lorde per la difesa e il Pil. Come si vede, dopo la grande ascesa della guerra di Corea inizia il declino, contraddetto dall’escalation della guerra in Vietnam, e dal periodo di riarmo reganiano (1980-1986). Dal 1986 il calo è considerevole toccando il minimo nel 2000 (3.79%), valore che è la metá del picco del 1986.
La seconda, ancor più impressionante, è il rapporto fra investimenti netti per la difesa e il Pil - rapporto che oscilla attorno allo zero dal 1966 in poi, con valori negativi in due intervalli: 1969-1980 e 1993-2001.
La terza è l’andamento delle spese assolute (in dollari correnti) per investimenti netti nel campo militare, che dopo l’ascesa notevole del periodo di Reagan cade a precipizio divenendo ovviamente negativa dal 1993 in poi

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Secondo grafico
by karlse Thursday, Apr. 03, 2003 at 9:57 PM mail:

Secondo grafico...
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Il secondo grafico espone l’andamento trimestrale della spesa militare lorda in percentuale del Pil dal I trim 1986 al IV trim 2002, in modo da permetterci di stimare l’effetto dell’11 Settembre.
Ebbene, l’effetto c’è ma sinora è assai modesto. Dal valore minimo del IV trim 2000 (3.82%) si è saliti al 4.40% del IV trim 2002 che è pur sempre inferiore del 43% al picco del III trim 1986 (7.67%). In termini di Pil il recupero dovuto al 911 è stato finora dello 0.58 % del Pil.

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scusate
by . Thursday, Apr. 03, 2003 at 10:00 PM mail:

zzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzz
ma proprio non potevo farne a meno.
a partire da rossana che non riesco mai a decifrare
scusate è un limite mio, ma dovevo esprimerlo
zzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzz

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Non trovo il terzo grafico
by karlse Thursday, Apr. 03, 2003 at 10:15 PM mail:

però ho trovato un breve testo di Monacelli, che di quel grafico era a commento. Vero che il tizio lavora in Bocconi,però mi sembra interessante lo stesso.

Cosa dicono i dati?

Visto che vi sono argomenti validi a sostegno di entrambe le tesi, vale la pena di chiedersi che cosa dicono i dati e l’esperienza del passato sul legame tra crescita delle spese militari e ciclo economico.

In rapporto al Prodotto Interno Lordo (PIL), mentre la spesa pubblica complessiva degli Stati Uniti è sostanzialmente stabile (circa il 20%), la spesa militare mostra un chiaro andamento decrescente (dal 15% del PIL durante la guerra di Corea a circa il 4% attuale, vedi grafico qui sopra). Le variazioni della spesa militare sembrano dissociate dalle fluttuazioni cicliche del PIL, e molto più ampie e persistenti.

Dal 1947 a oggi, gli Stati Uniti hanno affrontato tre principali conflitti: la guerra di Corea, quella del Vietnam e quella del Golfo. Solo la guerra del Golfo ha avuto inizio durante una recessione. È perciò un laboratorio interessante per la nostra analisi, visto che anche oggi l’economia statunitense si trova in una fase di rallentamento. I dati mostrano che quella guerra non portò ad un aumento significativo delle spese militari, al contrario dei due precedenti conflitti. Dopo il 1992, in particolare, la spesa militare non può aver contribuito all’uscita dalla recessione. Infatti, mentre il PIL riprendeva a crescere, la spesa militare continuava a contrarsi. Inoltre, i dati mostrano che negli anni ’80 la crescita delle spese militari si è avuta in assenza di un effettivo conflitto. E’ comunque impossibile che la spesa militare abbia contribuito all’espansione degli anni ’90, visto che in tale periodo non ha fatto che contrarsi.

Di recente, gli economisti hanno studiato con attenzione il legame tra variazioni della spesa militare e ciclo economico. La loro conclusione è stata che un aumento della spesa militare determina un’espansione del PIL e delle ore lavorate ma anche una caduta dei salari reali. Tuttavia, quando si guarda alla componente privata del PIL questo effetto positivo è molto modesto: il grosso dell’espansione è proprio quella della spesa pubblica. Non solo. Una crescita della spesa militare comporta una caduta della produttività nel settore manifatturiero, e invariabilmente una successiva crescita delle imposte, ampia e persistente. Se ci si aspetta che le imposte aumentino in futuro, si tenderà a lavorare un po’ di più oggi e relativamente meno domani. Questo può forse spiegare l’iniziale, seppur modesto, aumento del PIL che si osserva nei dati, poi compensato dall’effetto recessivo combinato dell’aumento delle imposte e della caduta della produttività.



Causalità inversa?

I risultati discussi fin qui si basano sull’ipotesi che sia la variazione della spesa militare a causare variazioni del ciclo economico e non viceversa. Ma una interpretazione alternativa può essere che durante periodi di espansione il governo in carica si avvantaggi del clima politico favorevole e riesca a far approvare aumenti della spesa. Cioè, che sia il ciclo economico a causare variazioni della spesa militare. Possiamo chiedere ai dati di dirci quale tipo di relazione vi sia tra una variazione del PIL oggi e le variazioni della spesa militare nei trimestri successivi. Quello che emerge è che dopo che il tasso di crescita del PIL ha raggiunto il suo picco ci vuole circa un anno perché la spesa militare raggiunga il proprio. È perciò plausibile che sia in realtà il ciclo economico a determinare l’andamento delle spese militari, e non viceversa.



Concludendo…

In conclusione, la spesa militare non sembra avere effetti espansivi sul ciclo economico. È perciò azzardato prevedere che una guerra degli Stati Uniti all’Irak allontanerà l’economia americana e mondiale dalle secche della recessione.

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zzzzzzzzzzzz
by rossana Thursday, Apr. 03, 2003 at 10:42 PM mail:

zzzzzzzzz
dormi o sei desto?
premetto e ripeto che di economia so nulla, ma proprio nulla.
So che il terrorismo è stato paragonato, dopo l'11 settembre, alla forza esercitata dal ricatto petrolifero del 1973. Che Bush subito dopo ha portato il budget della Difesa a 380 miliardi di dollari di cui ben 122 destinati a investimenti, ricerca, nuovi sistemi d'arma. Innovazioni insomma maggiori a quelli apportati da Reagan. Già queste sono state riconosciute da Greenspan come base della produttività record dell'intero decennio che si ha alle spalle.
Ma come vengono individuate le spese militari? Nel periodo di Clinton non c'è stata una loro diminuzione, ma una loro trasfomazione. E' questo che vorrei capire.

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bene karlse
by mooooolto limitato Thursday, Apr. 03, 2003 at 11:01 PM mail:

Non sono naturalmente riuscito a leggere tutto e a capire il benché minimo stretto necessario, ma se karlse conclude dicendo che non v'è pericolo che l'america si riassesti (ho capito bene, vero?) io condivido questa conclusione (fiuuuuu!) ed applaudo.
Volevo memorizzare la pagina tra i preferiti per riguardarla di tanto in tanto, ma non lo farò, invito gli economisti a scendere dal loro ramo e cercare un altro punto di vista, un altro ramo

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e vabbe'
by ... Thursday, Apr. 03, 2003 at 11:20 PM mail:

povero il nostro Sbankj.
se parla di politica gli chiedete di occuparsi di economia.
se parla di economia, dormite.
Ma che volete?

"Fate con me ciò che volete fare
Fatelo con me.
Combatterete un segreto, per un mondo migliore
riuscirà rafforzato il senso del vostro pudore
Dai, fatelo con me
ciò che volete fare
provate con me, smettete di sognare, dai, fatelo con me"

E' una canzone di Nonna Jole, noi non c'entriamo nulla
Un bacio a Sbankj

...

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zzzzzzzzzzzzz
by rossana Thursday, Apr. 03, 2003 at 11:36 PM mail:

e ci mancavano le litanie
delle parche


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rossana!
by ... Thursday, Apr. 03, 2003 at 11:38 PM mail:

siamo ancora sveglie, fra un po' Nonna Jole ci manda a ninna.
ma che sono le parche, erudita che non sei altro?
ce lo dici?
baci
tue

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Siete le uniche che mi capiscono....
by sbancor Friday, Apr. 04, 2003 at 3:49 PM mail:

Beh per fortuna che ci sono le "bambine di Satana e nonna Jole"! Cmq rispondo solo su un punto: conoscevo Mattick e negli anni '70 ho passato diverse sere a parlare con lui, in una bella casa di campagna vicino Bari. Allora fecevamo una rivista chiamata (non ridete) "Marxiana". Fra una orecchietta con le cime di rapa e l'altra discutemmo anche a lungo di Keynes. LPaul aveva sicuramente ragione: nel lungo periodo la soluzione di Keynes provocava uno squilibrio nei conti pubblici e determinava la "stagflation" come era chiamata allora. Ma Keynes aveva implicitamente risposto dicendo che "nel lungo periodo saremo tutti morti". Vi sono stati poi contributi importanti di Sweezy, Baran e Magdoff sul problema dell'uso della spesa militare. Sto proprio in queste settimane provando un po' di correlazioni fra spesa militare, PIL produzione industriale, occupazione e crisi di Borsa. Qualcosa si vede. Non appena avrò i risultati ve li invio. sono un sonnifero potentissimo!

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Domanda
by Gennaro Friday, Apr. 04, 2003 at 6:14 PM mail:

Ma scusa Sbancor, se stai ancora provando le correlazioni come fai a sostenere in anticipo questa tesi del keynesismo di guerra?

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....oooopss
by sbancor Friday, Apr. 04, 2003 at 6:19 PM mail:

Ho postato per due volte quasi lo stesso testo! effti dell'età o dell'alcol? Mah!?

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Per Gennaro
by sbancor Friday, Apr. 04, 2003 at 7:32 PM mail:

Esistono già degli studi in materia, v ad es. O.Blanchard e R.Perotti “An empirical characterization of the dynamic effect of changes in government spendig and taxes on output, “paper” versione Aprile 2001. (Se digiti i nomi su un motore di ricerca lo trovi)
Io volevo ricontrollare i dati evitando l'uso di troppe dummies per spiegare i "lag" temporali e stimare gli effetti su cambi e Borsa, cosa che Blanchard e Perotti non fanno. Sono invece interessanti i risultati sul moltiplicatore del PIL che essi trovano: investimenti militare e investimenti in Welfare hanno un moltiplicatore quasi uguale, intorno al 2,5 ma la spesa militare risulta più incisiva in quanto non ha bisogno di essere ripetuta come le politiche di Welfare. Poi ci sono le ricadute tecnologiche, poi c'è il fatto che la spesa militare si ripartisce fra i soliti amici...guarda caso sovvenzionatori del Presidente...ecc. ecc..

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piccola precisazione...per sbancor
by johnso Friday, Apr. 04, 2003 at 11:29 PM mail:

ciao a tutti. volevo solo precisare che le industrie della difesa USA non sono generose sovvenzionatrici delle campagne elettorali, nè repubblicane, nè democratiche.Di fronte a finanziamenti del settore della difesa di 70 mln $ negli ultimi 12 anni il settore finance, securities e real estate ha contribuito con 160mln$ solo negli ultimi 3 anni.Per avere un'idea di chi paga le campagne elettorali negli USa visitate il sito http://www.opensecrets.org
I legami tra queste industrie e la leadership repubblicana stanno piuttosto nel Center for Security Policy, agenzia che fa un lobbying molto pesante a favore del programma missilistico nazionale (programma in cui sono coinvolti le maggiori aziende della difesa - Nothrop Grumman, Raytheon, Lockheed Martin).Donald Rumsfeld è stato, negli anni passati, "fidato consigliere e fedele sostenitore" del Center, secondo gli stessi rapporti annuali del medesimo.Ha anche contribuito a finanziarlo con soldi propri. Nel board del center siede anche un rappresentante della Lockheed Martin e sia essa che le su menzionate aziende finanziano generosamente il Center.
Se lo scrivo è anche per mettere in evidenza che le aziende belliche fanno soldi soprattutto giocando e appoggiando ideologie capestri come quelle perseguite dal Center e altri illustri componenti dell'amm.ne bush (Perle, Wolfowitz - quest'ultimo anche firmatario del documento programmatico che troverete al sito http://www.newamericancentury.org - e lo stesso Rumsfeld).

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