Appeso, con un lenzuolo intorno al col
5 settembre 2002, alle 16:00 entriamo al centro.
L'atmosfera all'interno sembra molto tesa. Ci viene subito chiesto di incontrare prima le persone trattenute nel settore dei carabinieri. Nel settore della polizia ci sono stati dei problemi: un ragazzo si e' sentito male ed e' stato portato giu' in infermeria.
Iniziamo a percorrere il ballatoio e notiamo che nella cella di isolamento ci sono due ragazzi, seduti per terra con il piatto del pasto a fianco. Attraverso le sbarre, chiediamo loro perche' sono rinchiusi li' in quelle condizioni. Ci dicono di non saperlo. Sono sbarcati, in cinque, a Marsala, sono stati in ospedale e da allora non sanno piu' nulla degli altri tre compagni. Ci facciamo dare i loro nomi per poterli fare chiamare.
Procediamo lungo il ballatoio. Appena arrivati nel settore dei carabinieri sentiamo delle urla provenire dall'interno. Corriamo dentro. Davanti a noi, appeso con un lenzuolo alle sbarre del cancello del corridoio, c'e' un ragazzo che sta tentando di impiccarsi; altri, arrampicati, tentano di toglierli il cappio dal collo.
Quel ragazzo e' Kamel: ha saputo che suo fratello, che sta in Francia, ha avuto un incidente; pensa che sia morto.
I poliziotti aprono il cancello e trascinano Kamel nella stanza in cui di solito facciamo i colloqui.
E' in preda ad una crisi isterica; viene portato in infermeria, al primo piano, in braccio a due suoi compagni scortati dai poliziotti.
Noi ci fermiamo a parlare con i ragazzi che stanno dall'altra parte del cancello. Sono molto agitati, sconvolti; minacciano di imitare il gesto del loro compagno.
Alcuni raccontano di essere sbarcati il 21 agosto a Lampedusa; di essere stati portati al centro della isola e di essere rimasti li' per tredici giorni. Scopriamo pero' dal decreto di espulsione che il loro fermo e' stato convalidato solo il 2 settembre e che i trenta giorni di trattenimento partono da quest'ultima data; i tredici giorni a Lampedusa non contano.
Cerchiamo di calmarli, ma non abbiamo molto da dire.
Andiamo a chiedere notizie di Kamel, ma sul ballatoio altri ragazzi ci chiamano dalla cella; dicono di essere molto preoccupati: i loro compagni stanno preparando una rivolta; loro, invece, stanno tutti terminando i trenta giorni e non vogliono essere coinvolti; ormai non escono piu' dalla loro cella neanche per andare al bagno.
Mentre parliamo con loro, torna Kamel, sempre in braccio ai suoi compagni, addormentato: gli hanno iniettato dei sedativi. Viene portato nella sua cella e disteso sul letto.
Poco dopo l'ispettore di polizia ci chiede di lasciare il centro e di rimandare ad un altro giorno la nostra "visita".
La mattina seguente telefoniamo al Vulpitta: uno dei ragazzi trattenuti ci racconta che la notte c'e' stato un tentativo di rivolta, che sono intervenuti polizia e carabinieri, che ci sono dei feriti finiti in ospedale.
Sabato 7 settembre entriamo di nuovo al centro, ma non ci viene permesso di parlare con Kamel.
Riusciamo a vederlo, pero', attraverso le sbarre: ha i bicipiti e una gamba bendati: la notte della rivolta ha tentato di tagliarsi le vene. Verremo a sapere in seguito che Kamel ed un altro ragazzo, subito dopo il nostro arrivo, sono stati portati al piano di sotto e sorvegliati dai poliziotti per tutta la durata della nostra visita.
Ritorniamo al Vulpitta il 10 settembre, accompagnati dall'on. Giuseppe Di Lello, parlamentare europeo. Alla presenza di numerosi funzionari della Questura di Trapani stavolta ci viene permesso di parlare con Kamel e con gli altri che hanno preso parte alla protesta.
Alcuni hanno le braccia pieni di ferite che si sono procurati con degli oggetti appuntiti. Quelli che parlano solo in arabo chiedono di essere tradotti dai loro compagni e non dall'interprete del centro. Raccontano cio' che e' accaduto la notte della protesta e nei giorni seguenti: il ragazzo che insieme a Kamel era stato portato al piano di sotto durante la nostra visita sostiene di aver ricevuto una manganellata sul viso perche' protestava; altri si lamentano dell'ingiustizia per quei tredici giorni supplementari di detenzione a Lampedusa e delle condizioni di vita al Vulpitta.
I loro racconti sono drammaticamente "normali": scene di ovvia quotidianità dentro un CPT.
Kamel uscira' alla fine del periodo di trattenimento e cerchera' di raggiungere la Francia per stare vicino al fratello. Agli altri verra' consegnato in anticipo il foglio di via per bilanciare il periodo trascorso a Lampedusa.
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