Il 25 Aprile 2001 è una giornata di fortissima tensione segnata dalle provocazioni dei naziskin e dalla forte reazione dei compagni. Tutto comincia in mattinata con un presidio antifascista in Piazzale Loreto dove Forza Nuova ha espresso l’intenzione di deporre una corona di fiori in memoria di Mussolini. Inutile dire che la volontà di deporre dei fiori in onore del dittatore in una piazza teatro di un eccidio nazi-fascista nella giornata della Festa della Liberazione non può che risultare provocatoria. I nazi, puntualmente si presentano, ma vengono allontanati con la forza dalla piazza. La giornata non è finita. Mentre alcuni militanti si stanno spostando in tram a San Vittore dove è previsto un presidio, al Carrobbio, alcuni nazi assaltano il tram lanciano lattine, bottiglie e sedie. La reazione dei compagni è immediata e dura ed anche questa volta i fascisti hanno la peggio. Per i fatti del 25 Aprile nel Settembre dello stesso anno sono stati arrestati 3 compagni. Al processo di primo grado del Gennaio di quest'anno due sono stati condannati a 2 anni di carcere.
Un articolo del giorno dopo apparso sul Corriere della Sera:
25 Aprile, corteo di festa e di scontri.
Incidenti in piazzale Loreto e al Carrobbio, sei naziskin arrestati e due autonomi indagati. Sfilano in trentamila fra slogan e striscioni. I centri sociali fischiano il ministro Fassino. 25 Aprile, corteo di festa e di scontri.
Incidenti in piazzale Loreto e al Carrobbio, sei naziskin arrestati e due autonomi indagati. Attaccano sabato notte, un tricolore strappato dalla sede Ds di via Conte Verde. La finiscono domenica pomeriggio alle sei, botte e coltellate al Carrobbio. Ventiquattr' ore di tensione per un Venticinque aprile di memoria. Da una parte, trentamila in pacifica marcia da piazza Oberdan al Duomo, per evocare una Liberazione dal «piattume» e «contro chi propugna l' ide a di seppellire i vivi dicendo che la Resistenza non è servita a niente» (Dario Fo). Dall' altra, i presìdi e i picchetti, le provocazioni e le aggressioni, in una città strapiena di poliziotti e in una festa guastata (parole del diessino Fabio Mussi ) da «quattro stronzi che hanno cercato di far casino»: due neofascisti e un autonomo all' ospedale, sei skin arrestati per rissa, due leoncavallini indagati per lesioni gravi. AVANTI POPOLO - Canti e slogan, ma senza esagerare. Un fiume di persone, perlopiù in silenzio: 50mila, dicono i sindacati; 30mila, per i vigili. Si parte alle tre da Porta Venezia, dov' è la casa di Stendhal. Canzone popolare e Bella ciao, l' Internazionale e 99 Posse, tutti a coprire i clacson del traffico bloccato. Gli ex deportati e le medaglie al valore. Striscioni divertenti («Berlusconi è matto»), allusivi («La libertà non ha Casa») e cattivisti («c' è un rigurgito antifascista, se vedo un basco nero gli sparo a vista»). Palloncini bianchi delle Acli e rossover di per Rutelli, bandiere del Pkk curdo e dell' Olp palestinese («Intifada fino alla vittoria»), amarcord per Rom e Sinti sterminati, foto di Gramsci e di Onofrio Amoruso Battista, un trattore «contro i nuovi tiranni». Un tizio che si carica d' odio e di zeta contro i «nazziskin». I simboli dell' Unione atei e agnostici vicino agli «Assicuratori e bancari». In testa l' ironia «patafisica» di dieci mimi mascherati - subito tenuti alla larga dai vecchi partigiani - che ballano, rullano i tamburi e cantano «per fare un buon tiranno, ci vuole un bell' inganno». Il Comune ha mandato la banda civica, ma dimezzata. Subito dietro, il cordone che cintura nuovi e vecchi leader: Piero Fassino, Sergio Cofferati, Patrizia Toia, Antonio Pizzinato, Milly M oratti, Giuliano Pisapia, Antonio Panzeri, Alberto Martinelli, Gianni Cervetti. Ci sono don Gino Rigoldi, Ilda Boccassini senza scorta e un Sergio Cusani che tira seco una grande bomba di cartapesta su rotelle, la scritta «depleted uranium». Manca, o hibò, il candidato sindaco del centrosinistra, Sandro Antoniazzi: arriva tardi e il corteo finisce per farselo in macchina. Quando si ricongiunge ai compagni, in piazza Duomo, spiega imbarazzato d' aver voluto fare la marcia al contrario, «per incont rare più gente». Ovazione all' arrivo di Dario Fo e Franca Rame. I FISCHI - Più di tutti, li piglia il candidato vicepremier, Piero Fassino. Appena apre bocca, scoppia un megapetardo e parte il rap del Coordinamento studentesco, lasciato arrivare coi suoi amplificatori vicino al palco di piazza Duomo. C' è qualcuno del Deposito Bulk ed è una vera contestazione: «Vergogna, vergogna!», «servi dei servi!», «non si usa la Liberazione per far campagna elettorale!». Luca Corradini, 24 anni, spiega che il vero obbiettivo è Albertini, ma siccome il sindaco non parla... Fatto è che, come parla il presidente partigiano Arrigo Boldrini, gli studenti rifanno silenzio assoluto. «Quattro stronzi», li liquida Mussi. «Sono ragazzi - è magnanima Milly Morat ti -, troppo giovani per conoscere le persone sul palco». Anche Ombretta Colli si prende la sua parte d' insulti da un gruppo di donne («vattene a Canale 5!») e ricambia con plateali baci. Defilato Albertini mentre stringe la mano all' avversario Ant oniazzi («vorrei vedere più bandiere italiane che rosse»), criticato per l' assenza mattutina a piazzale Loreto, dove preferisce mandare l' assessore Martella: «Il sindaco brilla come sempre per la sua assenza», il commento del rifondarolo Filippo Ma raffi. La mattina, sempre a Loreto, il «buuuu!» di turno tocca a un camion che propaganda il faccione d' Ignazio La Russa: una saggia sgommata, per scansare problemi. NE' FIORE, NE' FIORI - Proprio sul piazzale della discordia, come si temeva, i prob lemi maggiori. I neri spuntano a sorpresa intorno alle 10 del mattino. Cinque «pettinati» di Varese, giubbotto nero e saluto romano nel luogo sacro ai partigiani e vietato dal questore ai forzanovisti. «Non c' entrano con noi - preciserà più tardi Ro berto Fiore, leader di Forza Nuova -, ma hanno tutta la nostra simpatia e solidarietà». Sono hooligans del basket, ultrà della Rooster' s, bravi ragazzi noti per gli slogan contro gli ebrei e la caccia ai negri. I cinque escono dal metrò, un mazzo di fiori da deporre dove Mussolini e la Petacci furono appesi per i piedi. Come li vedono, si scatenano i centri sociali venuti a «controllare» la piazza: Torricelli, Vittoria, Viadeitransiti, decine di rifondaroli ad avventarsi sul quintetto. Sprangat e e cazzotti, sotto gli occhi dei poliziotti che tentano di salvare i neofascisti. Tre scappano, due finiscono al Fatebenefratelli: D. A., 39 anni, con la gamba sinistra fratturata e il naso rotto (due mesi di prognosi); A. M., 28 anni, con ferite li evi (sette giorni). In zona Stazione Centrale, all' hotel Michelangelo, c' è il raduno di Forza Nuova e 200 autonomi vanno là, pronti a menare le mani. Serve la mediazione di Giovanni Occhi e di «Atomo» Tinelli, consiglieri bertinottiani, a evitare i l peggio. Commento di Giovanni Pesce, medaglia d' oro della Resistenza: «E' un insulto, non capisco perché lascino andare questi fascisti di Forza nuova di qua e di là». Aggiunta di Antoniazzi: «Spero che finalmente Albertini abbia capito la natura d i questo movimento, una cosa è la pietà per i morti, un' altra riconoscere che i partigiani hanno combattuto per la libertà e gli altri per il contrario». Chiosa di Dario Fo: «Non mi piace mai quando delle persone vengono picchiate, ma questi sono an dati a cercarsela. E' stata una provocazione stupida. Facevano meglio a restarsene a casa loro». RISSA CONTINUA - La «risposta» degli skin agli autonomi nel tardo pomeriggio, in largo Carrobbio. Passa il tram 3, carico d' una quarantina d' autonomi d el «Gola». Da un bar, sette-otto teste rasate lanciano lattine di birra, tavolini, sedie. Dal tram, scende l' orda: due vetrine della cremeria sfasciate, tegole che volano fra i passanti, inseguimento e botte in via Del Torchio. Un «fascio» ha un col tello, recuperato dalla Polizia, e ferisce all' ascella un leoncavallino. Altri piccoli episodi: un sacco di semi di canapa lasciato davanti alla sede di Radio Popolare, qualche tafferuglio a Rho per uno striscione che inneggiava alla Repubblica di S alò. «Episodi tutto sommato contenuti e marginali - commenta il prefetto Bruno Ferrante -, che però dimostrano come i nostri timori, alla vigilia, fossero fondati». Francesco Battistini IL SINDACO Albertini: volevo vedere più tricolori Palazzo Marino , la Loggia dei Mercanti, il sacrario di piazza Sant' Ambrogio. Tante corone di alloro davanti ai monumenti ai caduti, per non dimenticare i sacrifici della guerra e per celebrare la Liberazione. Il sindaco, come molti milanesi, si ferma per un istan te davanti a ogni lapide, riflette sui valori della Resistenza avvolto nella fascia tricolore. Ricordare i caduti republichini? «Si potrebbe farlo, per esempio, nel giorno dei morti, come mi sono permesso di fare io - osserva - Però questo è il giorn o in cui ricordiamo un evento dello storia diverso da quello della pietà: ricordiamo il recupero della democrazia e della libertà nel nostro Paese». Ma a pesare sulle celebrazioni, oltre alle polemiche dei giorni scorsi, ci sono quei volantini ritrov ati all' Atm, c' è l' allarme per il terrorismo. E su questo punto Albertini rispolvera un concetto già espresso in passato e basato - è lui a ricordarlo - «su una segnalazione del comitato provinciale per l' ordine e la sicurezza». «Alcuni centri so ciali di chiara matrice eversiva e l' estremismo sindacale - sostiene il sindaco - sono il terreno di coltura del terrorismo. Sono argomenti che possono essere desunti dal piano di contiguità ideologica». Anche stavolta non mancano le reazioni. «Non mi sentirei di vedere nei centri sociali il possibile terreno di coltura del terrorismo - commenta il procuratore generale Borrelli - E non credo ci siano le condizioni culturali e politiche perchè si possa avere un' esplosione come negli anni ' 70». Contro il sindaco Milly Moratti, candidata dei Verdi. «Ma figuriamoci, i centri sociali sono l' unico luogo di cultura, non coltura, e di aggregazione - afferma - Pensi lui, piuttosto, a non sfrattare le associazioni, rivendicando affitti esosi, da tutti i luoghi in cui si trovano». Replica anche il segretario della Cgil lombarda Nicola Nicolosi: «Albertini è un estremista di Confindustria perchè criminalizza il democratico conflitto sindacale». «Quando c' è un clima di rilancio della propagand a terroristica - aggiunge - occorre tenere i nervi saldi e richiamare alla vigilanza attenta». Assente alla cerimonia più significativa della mattinata (quella in piazzale Loreto, dove si è fatto sostituire dall' assessore Giancarlo Martella), il sin daco come l' anno scorso sottolinea l' invadenza dei partiti: «Vorrei vedere più bandiere italiane che rosse», dice. E, dopo il richiamo alle istituzioni di don Gianfranco Bottoni, stretto collaboratore del Cardinale, Albertini non manca di ricordare : «Con Martini mai un dissidio, mai un contrasto in questi quattro anni». Rossella Verga LO SPETTACOLO E all' ex Paolo Pini va in scena la Liberazione degli artisti «I comandanti, che su questo punto non si facevano illusioni, alla vigilia della cala ta avevano dato ordine che le partigiane restassero assolutamente sulle colline, ma quelle li avevano mandati a farsi fottere e s' erano scaraventate in città...». Marco Paolini, l' autore dell' «orazione civile» sul Vajont, legge un passo gioioso di Beppe Fenoglio, «I ventitré giorni della città di Alba», la liberazione della città, e nel parco dell' ex Paolo Pini può cominciare la festa, quella vera. Sarà che i veri pazzi stanno altrove e qui non c' è gente che si mena ma solo migliaia di pers one intente ad ascoltare e divertirsi. E pazienza se un pulviscolo di pioggia attacca a cadere, con invidiabile puntualità, alle sei del pomeriggio in punto, proprio mentre Moni Ovadia apre le danze (yiddish) cantando l' inno del ghetto di Varsavia, sul palco in fondo al campo di pallone. Si aspetta Dario Fo in un clima che ricorda gli anni eroici della Palazzina Liberty, quando il commediografo si guadagnava il Nobel rappresentando il Mistero Buffo con un prato per platea. E il programma di «Ap punti partigiani» salta, perché la gente continua ad arrivare, a gruppi di ragazzi e famiglie, e da via Ippocrate s' allunga chilometrica la coda delle auto che blocca pure artisti, musicisti e scrittori. Giuseppe Cederna, sulle variazioni jazz di Um berto Petrin, non fa caso all' influenza e con gli occhi lucidi di febbre grida un Bob Dylan versione rap, quasi un inno all' impegno: «Nelle parole che sto pensando / nelle parole che sto gridando / in quest' oceano d' ore che da sempre sto bevendo / chi sto aiutando, che sto ottenendo, cosa sto dando, cosa sto prendendo?». Fino a notte arrivano Lella Costa, Athina Cenci, Ottavia Piccolo che legge le lettere degli italiani sulla Resistenza con Paolini e Piero Pelù. E ancora Alessandro Baricco, Gianfranco Bettin, Giovanni e Giacomo senza Aldo, «Non è venuto perché gli abbiamo dato un indirizzo sbagliato: è a una convention di La Russa». Finalmente arriva anche Dario Fo, raccontando barzellette irripetibili su Berlusconi. Finché il composito re Filippo Dal Corno, accompagnato al piano da Carlo Boccadoro, riassume il senso della serata leggendo una poesia che Allen Ginsberg scrisse nel ' 66 a invocare la pace in Vietnam: «Innalzo forte la mia voce/ della mia lingua americana faccio un Man tra ora/ e qui dichiaro la fine della Guerra!».
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