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Medio Oriente. Annan condanna l'omicidio di Abu Shanab
by rainews24.it Thursday, Aug. 21, 2003 at 7:03 PM mail:

http://www.rainews24.it/Notizia.asp?NewsID=40338 http://www.rainews24.it/Notizia.asp?NewsID=40325

Medio Oriente. Annan condanna l'omicidio di Abu Shanab


Roma, 21 agosto 2003
Il Segretario Generale dell'Onu Kofi Annan ha condannato l'omicidio mirato con il quale Israele ha ucciso questa mattina a Gaza Ismail Abu Shanab, uno dei principali rappresentanti del gruppo estremista nella Striscia.

Pur riconoscendo il diritto di Israele alla propria sicurezza, il Segretario in un comunicato rilasciato questo pomeriggio ha aggiunto che lo Stato ebraico "non ha il diritto a ricorrere a misure extra-giudiziarie, come quelle utilizzate oggi nella Striscia di Gaza".

Il Segretario ha invitato Israele a moderare le proprie rappresaglie ed a porre fine alle operazioni militari in corso nei territori per permettere all'Autorità Nazionale palestinese di mettere sotto controllo i gruppi estremisti. In seguito
all'omicidio mirato di Abu Shanab, uno dei dirigenti maggiormente favorevoli alla tregua, le milizie palestinesi hanno dichiarato nullo il cessate il fuoco.

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FIGLI DI ISMAELE
by GO Friday, Aug. 22, 2003 at 10:13 AM mail:

Reportage negli ospedali di Gerusalemme e nel dolore
delle famiglie: i bambini uccisi nell'ultimo attacco sono sette
I piccoli angeli di Israele
"Ho visto morire mia figlia"
dal nostro inviato LEONARDO COEN


GERUSALEMME - Hadassah Mount Scopus, l'ospedale universitario di Gerusalemme, il più efficiente e moderno della città. Terzo piano, stanza numero 6. Una targhetta dorata dice che è un dono di Paul e Bella Potamkin di Filadelfia, Pennsylvania. Sul primo lettino, appena entrati, c'è nonna Malka Dishi, ha 60 anni. Vive a Givat Shaul, alla periferia ovest. Era sull'autobus della morte. Stava in piedi, all'altezza della piattaforma rotante: "Nonostante fosse un bus doppio, c'era tanta gente, e non ho trovato un solo posto libero. Tenevo per mano il mio nipotino. Tornavamo dal Kotel, il Muro del pianto dove vado quasi ogni sera a pregare. Non ho notato nulla di strano alla fermata di Shmuel Hanavi. Però non appena l'autobus ha chiuso le porte, ho sentito un'esplosione potentissima. Improvvisamente tutto è diventato buio. Appena ho ricominciato a vedere qualcosa, il mio primo istinto è stato quello di cercare Nethanel. L'ho visto in piedi, tra i cadaveri. Ricoperto di sangue e di brandelli di carne umana. Non piangeva. Cercava il suo copricapo religioso". L'anziana signora mostra la sua borsa: anche lì, grosse macchie di sangue rappreso.

Il settimo ed ultimo dei bimbi morti è deceduto all'alba di ieri. I medici dell'ospedale Ein Karem hanno lottato inutilmente per salvarlo: due schegge gli avevano perforato gli occhi ed erano penetrate nel cranio fino a ledere il cervello. Non sappiamo qual è il suo nome. Le famiglie ortodosse delle vittime rifiutano ogni pubblicità. Ogni contatto con lo straniero. Fanno parte di una società chiusa, diffidente, gelosa della propria autonomia e separazione: il quartiere di Mea Shearim, dove è avvenuto l'attentato, è il loro mondo, una città dentro la città. L'unica persona realmente benvenuta è il sindaco ortodosso di Gerusalemme, Uri Lupolianskji. Quando arriva all'ospedale Ein Karem, al presidente Moshe Katsav presentano solo una bimba col volto pieno di croste e minuscole ferite provocate dai frammenti di metallo della bomba che il kamikaze palestinese aveva imbottito di chiodi e bulloni. La bimba gioca con un telefonino di plastica. Il resto della visita è off limits per il seguito.
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"Il sangue d'Israele scorre come l'acqua", grida un altoparlante su un'auto che annuncia per le cinque del pomeriggio una grande preghiera penitenziale con i rabbini più famosi, "che Dio faccia la nostra vendetta, benedetto il giudice della verità", leggo sul manifesto che annuncia la morte del piccolo Shmuel Zargari di 11 mesi, la vittima più giovane: "E' con grande dolore e sofferenza nera che noi annunciamo l'assassinio di nostro figlio e di nostro nipote nell'attentato criminale perpetrato dai figli schifosi di Ismaele", ossia gli arabi.

Sono le parole dure del necrologio appeso sui muri di Mea Shearim. Tuttavia, in un altro volantino distribuito dagli ortodossi ai passanti, l'attentato viene considerato una "punizione divina" per i peccati di Israele, "domani i giornali di fine settimana annunceranno la certa e forte reazione di Sharon contro i terroristi e come al solito tutti continueranno a parlare dello stato d'animo nazionale. Ma non su chi ci colpisce veramente, ossia il nostro Padre che sta nei cieli".

Dove hanno trovato il corpicino di Shmuel c'è un kindergarten, Navat Israel, e dall'altra parte della strada, al numero 31, una piccola sinagoga degli ebrei del Caucaso: forse era quella che frequentava la sua famiglia. "Assassinio dei bambini", titola a caratteri cubitali il quotidiano Ma'ariv, uno dei più popolari. Scendendo verso la fermata fatale dell'autobus numero 2, ci dicono che lì erano in attesa assieme al kamikaze travestito da ortodosso una dozzina di ragazzini che avevano appena finito di festeggiare il "bar mitzvah" (al compimento del tredicesimo anno d'età, gli ebrei celebrano il loro ingresso da adulti nella comunità dei fedeli) di un loro compagno. Si sono salvati per miracolo perché l'autista gli ha impedito di salire, facevano troppo chiasso. Pure Haim Katz è vivo per caso: "Mi mancava uno shekel per pagare il biglietto, sono rimasto a terra. Ho visto il finimondo".

E ha visto una bambina di due anni e mezzo. Tutta la sua faccia sanguinava. Singhiozzava seduta sul marciapiede. I volontari della Zaka l'hanno soccorsa immediatamente. Appena salita sull'ambulanza perde conoscenza. Non respira quasi più. Morirà poco dopo. Quando quelli della Zaka cominciano ad occuparsi dei cadaveri da sgombrare, sentono il vagito di un neonato. Ma non vedono da dove viene. Poi capiscono che il neonato è sotto quei corpi. I morti lo hanno salvato. Ha tre, quattro mesi. Illeso. Arriva l'alba. Arriva anche una telefonata disperata al pronto soccorso dell'ospedale universitario del monte Scopus. La voce di una donna. Si chiama Ora Cohen. Un altro passeggero del maledetto bus numero 2. E' rimasta ferita leggermente. L'hanno soccorsa e trasportata all'ospedale Sharei Zedek, vicino al centro.

Sull'autobus con lei c'erano due dei suoi cinque figli: Shira, di un anno e mezzo ed Elhanan di appena un mese. La figlioletta più grande è al sicuro. Ma di Elhanan non sa più nulla. Tranne che è stato trovato un neonato di cui non si conosce il nome: lo ha sentito al notiziario radio delle sei. Lo speaker suppone che i genitori siano morti nell'attentato.

"L'abbiamo tranquillizzata - racconta l'infermiera - suo figlio era arrivato da noi col volto irriconoscibile. Ma vivo. L'abbiamo trasferito all'ospedale Ein Karem, per le cure più immediate. Abbiamo chiesto alla signora Cohen quanto pesava suo figlio. Ci ha risposto: tre chili e mezzo. Come il bimbo che avevano portato". Fuori, per strada, riecheggia una preghiera: "Uomo, perché sei addormentato?". La si recita nel cuore della notte, tra le due e le tre, quando sono i giorni di Ellul, il mese della penitenza. Ci sono altre parole, in questa preghiera: "Perdonaci, padre dell'Universo, in nome dei neonati che non hanno colpa verso di te".

(21 agosto 2003)

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