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Pisanu: "Br e antagonisti hanno gli stessi obiettivi" :)
by da repubblica Tuesday November 04, 2003 at 04:38 PM mail:  

Duro affondo del ministro degli Interni Giuseppe Pisanu: "C'è una violenza politica che favorisce azioni più cruente".

ROMA - C'è una "coincidenza di obiettivi" tra i gruppi dell'estremismo antagonista e le Br. Il ministro dell'Interno, Giuseppe Pisanu, nel corso della sua audizione in Commissione Affari Costituzionali della Camera, punta l'indice tra i possibili collegamenti tra il terrorismo e la vasta area movimentista.

Secondo Pisanu è necessario chiarire il rapporto tra le Br e la galassia di gruppi terroristici che commettono attentati di minore intensità eversiva. "Anche se emerge alcun coinvolgimento degli arrestati in precedenti episodi di terrorismo, alcuni di loro hanno militato nei settori più oltranzisti della sinistra antagonista" dice il ministro.

Pisanu pensa "alla gravità di forme di violenza politica diffusa", e vede un legame tra queste azioni e "forme più organizzate capaci di produrre risultati più cruenti". Sono fenomeni, continua il titolare del Viminale, che riguardano l'estremismo di destra come quello di sinistra ma, "l'attacco sistematico alle organizzazioni sindacali e alle agenzie del lavoro interinale appare oggettivamente in sintonia con gli obiettivi di fondo delle Br, che sembrano aver concentrato la loro attenzione sul mondo del lavoro e sulla difesa della classe operaia come sola forza rivoluzionaria".

Parlando ai parlamentari della Commissione, Pisanu, tratteggia la necesità di chiarire i rapporti tra Br e altri gruppi per quel che riguarda anche gli attentati minori avvenuti in questi anni. ''Si può ipotizzare - dice il ministro - una considerevole continuità di rapporti tra Br e gruppi minori''. Dai primi riscontri emersi dopo gli arresti dei militanti delle Br, spiega Pisanu, ''non emerge alcun coinvolgimento degli arrestati in altri precedenti episodi di terrorismo ma la loro appartenenza ai settori più oltranzisti della sinistra antagonista. Un fatto questo che deve far riflettere sulla gravità del fenomeno della violenza e della illegalità diffusa sia dell'estrema sinistra che dell'estrema destra che non sembrano placarsi ma, al contrario, crescere''.

Guai ad abbassare la guardia, dunque, anche perchè, nonostante gli arresti, sottolinea Pisanu, è stata "tagliata la radice principale delle Br", ma questa organizzazione ha "altre radici non molto distanti e pur sempre vive e non è detto che non possano crescere fino a rimpiazzare la principale".



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Personalmente
by Bela Kun Tuesday November 04, 2003 at 05:07 PM mail:  

Personalmente anch'io vedo alcune comunananze di obbiettivi: tra il governo Berlusconi e la loggia massonica P2 (di cui il presidente del consiglio e il ministro degli interni Pisanu erano/sono autorevoli membri); tra l'imputato ai processi IMI-SIR e Lodo Mondadori e l'attuale capo del gabinetto nazionale; tra il proprietario di Mediaset e la maggioranza parlamentare; tra il presidente del Milan e il presidente della Lega Calcio. Ecc...

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anche forza italia e la mafia!
by che scoperta Tuesday November 04, 2003 at 08:48 PM mail:  

anche il berluska ha gli stessi obiettivi della mafia, DI PINOCHET, della p2 e di tanti altri. un bel concentrato di merda, non sussiste dubbio

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traduzione
by traduttore Tuesday November 04, 2003 at 10:23 PM mail:  

"Prima si sono colpiti i veri brigatisti. Adesso si passerà ai centri sociali, poi ai disobbedienti, poi agli anarchici, poi ai sindacalisti, poi ai politici della sinistra, poi ai pacifisti, poi a tutti i volontari di tutte le associazioni che dissentono dal governo, poi a chi gestisce il commercio equo perchè attenta all'economia italiana: dissentire sarà considerato sinonimo di sovvertire.
Ci fermeremo solo quando chiunque dissenta da questo governo sarà in galera, e poco importa che abbiano commesso reati o no."

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obiettivi
by Nemo Tuesday November 04, 2003 at 10:47 PM mail:  

Quindi, secondo il ragionamento di Pisanu, chiunque sia contro l'America è complice di Bin Laden anche se non commette atti terroristici. Prendiamo atto che secondo la logica pisanica Arhundati Roy fa parte di Al Qaeda.......


Arundhati Roy: urla contro l'impero

La scrittrice indiana ne ha per tutti: combatte contro il proprio Paese e ora sfida l'America

È piccola, sorridente e fragile. Così fragile che sembra poter cadere da un momento all'altro. Ma è la donna che spaventa l'India, la combattente più temuta dal governo del colosso asiatico, quella il cui grido risuona per le campagne, dentro i vicoli, le bettole e si perpetua come un'eco forte, chiara e decisa. Arundhati Roy oggi è questo, ma è anche e soprattutto una scrittrice. Conosciuta nel mondo grazie al successo ottenuto dal suo primo romanzo, "Il dio delle piccole cose", la Roy si è successivamente impegnata in politica, scatenando una battaglia delle parole contro il governo del suo Paese. «Il pubblico mi ha conosciuta solo grazie a "Il dio delle piccole cose" - dice la Roy -, ma io ho sempre scritto di politica. È cominciato tutto quando avevo 3 anni. Al mio villaggio io e mia madre, in quanto donne, eravamo costrette a subire delle restrizioni. In quelle condizioni, sviluppare una coscienza politica è stato inevitabile».

Una metamorfosi dunque?
Quasi. Parlerei più di crescita interiore. Visto il mondo in cui sono cresciuta e il modo in cui si è evoluta la mia vita personale, la domanda che mi sono posta è stata: «Qual è il sottile legame tra potere e non potere?».

E qual è la risposta?
Potere o no, ci sono cose davanti alle quali non si può tacere. Sento che il mio Paese vive all'ombra di una specie di fascismo. Non mi sento affatto una persona straordinaria, come molto spesso mi hanno definito. Sono solo una delle tante voci del mio Paese, perché quando si vivono situazioni politiche come la nostra non si può stare zitti, come non sto zitta riguardo a quello che stanno facendo gli Stati Uniti nel mondo.

Si spieghi meglio...
Gli Usa, con la dottrina dell'attacco preventivo coniata da Bush, hanno invaso l'Iraq, lo hanno distrutto. Ma non hanno certo tentato di entrare in Corea del Nord, perché quel Paese ha l'atomica e quella fa paura. Non possiamo accettare le imposizioni dell'impero americano, dobbiamo reagire, resistere.

Ha parlato di impero... E la democrazia?
Il senso che di democrazia, oggi, ha il mondo intero, dall'America fino all'Italia, è paragonabile a un eunuco. Guardate quello che accade in Iraq. Non è mai stato un Paese fondamentalista eppure lo si è dipinto come tale. Ma quando si scatena una guerra come quella si tagliano viveri e acqua alla gente: allora non c'è più nessuna differenza con il terrorismo. Gli Usa ci vogliono far credere che la gente che abita nei Paesi musulmani è per forza gente cattiva, ma non è così. E poi, cosa credete: i ragazzi che muoiono in Iraq non sono americani.

Prego?
Gli Stati Uniti vengono da noi o vanno in Pakistan per reclutare ragazzi giovani che possano combattere per loro, che possano spalare, mi scusi, la loro merda. Ma che ci mandassero i loro figli, a morire, non i nostri!

Il potere letterario è una voce forte che risuona molto più di altre?
Sono perfettamente consapevole delle potenzialità sovversive della letteratura, ma non vendo repellente per insetti, non cerco un bersaglio da colpire. La narrativa sgorga dalla mia penna a passo di danza, la saggistica invece mi costa molto più sforzo.

Il tempo a nostra disposizione è terminato e la scrittrice ci saluta con un interrogativo che fa riflettere. «Sono cresciuta in un villaggio indiano - dice - con proibizioni e restrizioni; ho sempre sognato l'occidente e ogni cosa per me era una via di fuga. Ho creduto che l'occidente fosse la libertà, ma una volta arrivata qui mi sono resa conto che non è così. È meglio il burka o il silicone alle labbra?»

2 novembre 2003

Claudia Di Meo

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,,,
by AK-47 Tuesday November 04, 2003 at 11:02 PM mail:  

I veri terroristi sono gli immprenditori,bancari,manager,feccia parassita sfruttatrice
e igorante,gente di merda che andrebbe sputata in faccia 30 volte al giorno..ma i veri sfruttatori e terroristi come loro i galera non ci andranno mai...propongo di esercitare pressioni mediatiche affinchè entri nel sdentire comue il definire quelli che danno lavori in nero,o malpagati "terroristi"

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Ma de' ché?
by Meletta Tuesday November 04, 2003 at 11:07 PM mail: meletta@aconet.it 

Br e antagonisti (libertari) NON hanno gli stessi obiettivi e sostegno di ciò e a smentire Pisanu:

Comunicato di Vis-à-Vis Quaderni per l'autonomia di classe

DIETRO IL BACCANO MEDIATICO E LE PROVOCAZIONI,
UNA QUESTIONE DA NON LASCIARE ALLA CRITICA RODITRICE DEI TOPI

Le altisonanti dichiarazioni di Sergio Segio, già militante di Prima
Linea, poi "dissociato" ed infine riciclato nel cosiddetto (assai
malamente!) movimento dei movimenti, hanno scatenato un baccano
mediatico, alimentato dai soliti più o meno impresentabili addetti ai
lavori, cui hanno dovuto rispondere svariati esponenti del "movimento".

In merito alle "premurose" esternazioni di Segio, replichiamo anzitutto
che ai media NON si deve concedere mai l'opportunità di
spettacolarizzare singoli aspetti delle dinamiche implicite nei
movimenti sociali. Una simile generosità d'animo, alla fine, diviene
immancabilmente occasione per strumentali mistificazioni, direttamente
funzionali alla criminalizzazione che puntualmente lo stato tende, per
sua natura, a scatenare contro l'eresia, per esso insopportabile, di una
pratica diretta di massa.

In ogni caso, al di là dei suoi intenti specifici più o meno consapevoli
(e/o eterodiretti) e comunque difficilmente "spendibili" sul versante
del movimento, Segio ha fatto delle affermazioni che, malgrado lui,
impongono un approfondito ragionamento e non possono essere
semplicemente cestinate.

E' stato infatti toccato un nervo scoperto, non a caso quasi mai emerso
nella riflessione collettiva degli ultimi anni: il rapporto tra
movimento e l'uso della forza. Una simile questione può essere rimossa
soltanto da chi rinuncia alla radicale trasformazione dell'esistente, o
da chi si illude che un uso, per di più stravolto, del gandhismo possa
non condurre di fatto al "disarmo" unilaterale e preventivo della
critica anticapitalistica. Purtroppo non deve sorprendere che tale
ordine di problemi sia stato rimosso: per sciogliere nodi di tale
portata occorrerebbe definire in modo sufficientemente chiaro quale sia
l'opzione strategica complessiva del nostro agire politico, la natura
del nostro avversario e, conseguentemente, i mezzi necessari per
raggiungere i nostri fini.

Ovviamente non ci occuperemo di tutto ciò in questa sede. Cercheremo
piuttosto di fare chiarezza su alcuni punti, in certo senso preliminari.


In primo luogo rifiutiamo il ragionamento per cui in passato l'opzione
lottarmatista sarebbe stata, se non giusta, almeno giustificabile,
mentre solo oggi sarebbe diventata una follia perché "tutto è cambiato".
Cosa mai sarebbe cambiato, infatti? Il dominio capitalistico è in realtà
rimasto, nella sostanza, identico, sebbene gli aspetti fenomenici di
esso abbiano subìto rilevanti modificazioni, nel senso di un ulteriore
restringimento degli spazi di agibilità politica, sindacale, sociale
ecc. Da questo punto di vista, dunque, nessuna conferma può venire alla
tesi che stiamo criticando.

Ma c'è un altro aspetto che va considerato: l'espressione soggettiva
dell'antagonismo. In questo senso "la sconfitta storica di tutta
un'ipotesi rivoluzionaria" (per usare le parole di Barbara Balzerani)
avrebbe creato una cesura netta, non più recuperabile, tra i passati
movimenti e quelli presenti. Su questo punto, magari giustificandolo in
modo diverso, finiscono per convergere in molti. Tanto Bertinotti quanto
Casarini sostengono, infatti, che questo movimento sarebbe totalmente
estraneo alla storia della tradizione rivoluzionaria novecentesca.

Ma, in fin dei conti, in cosa consisterebbe questa cesura? Riteniamo
che, in sostanza, essa sia la testimonianza di un'arbitraria convinzione
o di una maliziosa speranza: in estrema sintesi, sarebbe venuta meno,
rispetto al passato, la possibilità che il sociale esprima autonomamente
e consapevolmente, al di fuori della mediazione astrattizzante della
politica, un'opzione strategica, di complessiva e radicale alterità
rispetto allo stato di cose presenti, ineluttabilmente destinata a
scontrarsi con quelle istituzioni che presiedono alla tutela dell'ordine
costituito.

Nessun dubbio che il "movimento" sospinto dal vento di Seattle non abbia
fin qui espresso tale opzione strategica. Ma ciò non significa ch'esso
non possa giungere a farlo. Riteniamo, anzi, che un simile salto di
qualità sia necessario, benché non scontato, se esso vorrà superare
l'attuale situazione di impasse e recuperare la capacità di incidere
nell'attuale contesto, segnato da una feroce offensiva capitalistica su
scala globale.

Se ciò accadrà, si riproporrà fatalmente ed in modo dispiegato il
problema del rapporto tra conflittualità sociale, pratiche di piazza e
uso della forza, in un'oggettiva intersecazione con l'area tematica
delineata dal pur delirante discorso del lottarmatismo. Quest'ultimo,
infatti, è comunque "ascrivibile" alla sfera della conflittualità
sociale, pur costituendone una perversa deriva degenerativa. Esso
prescinde dal materiale esprimersi dello scontro di classe, ma
oggettivamente vi allude e in qualche modo lo implicita, del tutto
strumentalmente, come fonte di legittimazione virtuale per la propria
stessa autodefinizione in chiave politico-progettuale.

D'altronde, riteniamo che, per orientarsi in tale coacervo di
problematiche, vada preventivamente ribadito un punto assolutamente
centrale, che troppo spesso viene dato sbrigativamente per scontato e/o
tendenzialmente rimosso tout court: ogni volta che la critica
pratico-teorica di massa pone in questione gli equilibri di potere fra
le classi, normativizzati negli istituti statuali del comando, si palesa
un'implicita ma sostanziale messa in mora del ciclo della
rappresentanza. Su di questo si fonda la legittimità stessa del
cosiddetto stato di diritto, basata sulla delega "democratica"
all'esercizio della "sovranità popolare", e proprio l'uso di tale delega
viene contestata nei momenti in cui i "cittadini" non agiscono più
singolarmente, attraverso la dinamica del voto, ma scelgono di attivarsi
direttamente, in una ripresa di parola dal basso e di massa, al di fuori
della mediazione politico-istituzionale.

In situazioni siffatte, il "sociale" riprende forma direttamente, fuori
dalla mediazione astrattizzante e disciplinatrice della politica: la
monade isolata del "cittadino" si dissolve e riemerge la materialità
delle determinazioni specifiche di classe degli individui. E in tale
momento di autentica "catastrofe", il proletariato tende ad
autodeterminarsi in un processo fusionale di ricomposizione del soggetto
collettivo rivoluzionario: tale nuovo soggetto si riconosce come
antitesi dell'esistente, come sua dirompente eccezione, e
nell'articolare il proprio percorso di lotta, è inevitabile che esso
"pratichi la piazza", ponendo in essere anche azioni di attacco, contro
oggetti ad alta valenza simbolica, in cui riconfermare l'autopercezione
di sé e, a maggior ragione, giunga a mettere in atto comportamenti di
autodifesa contro la scontata reazione statuale, più o meno "teppistica"
che sia.

In tale processo non può che riemergere la fitta trama di violenza che
impregna l'intera formazione storico-sociale capitalistica: quando la
finzione della mediazione astrattizzante della politica lascia il passo
alla reale valenza dispotica del dominio di classe, inverato nella
forma-stato, non può che riemergere la violenza incistata nel cuore
stesso dei rapporti sociali di produzione del capitale ed intrinseca al
rapporto capitale-lavoro . E tale rapporto, sul versante capitalistico,
infatti, tende immediatamente a dispiegarsi sotto le forme dell'opzione
militaresca, posta a fondamento dello stato stesso, da sempre
autodefinitosi come detentore del monopolio dell'uso della forza.

Ed è qui che, appunto, si biforcano le strade fra i seguaci
dell'autonomia del politico e quelli dell'autonomia di classe. Laddove i
primi pretendono di surrogare quelle che considerano deficienze
costitutivamente intrinseche al sociale, autoerigendosi a rappresentanti
del proletariato e impegnandosi come una élite d'avanguardia
iperspecializzata nell'"arte della politica". E in tal senso essi hanno
due alternative: o la socialdemocratica via del compromesso, abilmente
contrattato con l'avversario, o l'opzione pseudorivoluzionaria che porta
fino agli estremi esiti il "proseguimento della politica con altri
mezzi", di clausewitziana memoria. Dall'autonomia della politica
all'autonomia del militare il passaggio è solo formalistico, dal momento
che nella "sostanza" permane l'astrattizzazione della società della
merce e la conseguente drastica negazione di qualsivoglia capacità di
autodeterminazione da parte di quel proletariato oggi fattosi infine
universale, in forza della stessa globalizzazione del capitale.

Purtroppo, anche oggi questo passaggio può di nuovo indurre in
tentazione. La ristrutturazione dei processi produttivi, incessantemente
attuata dal capitale da più di un ventennio, ha scomposto la classe e
l'ha gettata in una condizione di atomismo forse mai così diffuso e
penetrante. Oggi più di ieri, quindi, le deficienze soggettive del
proletariato possono apparire insormontabili e bisognose di un
intervento "esterno" da parte degli specialisti della politica e del
militare. Altro che "tutto è cambiato" !

Non ci possiamo dunque esimere da un'aspra battaglia contro
l'avventurismo ipersoggettivistico degli specialisti dell'autonomia del
politico, così come del militare. Ma tale battaglia NON deve mai in
alcun modo "servirsi" delatoriamente della repressione statuale, per
eliminare dalla scena della conflittualità sociale quelli che risultano,
oggettivamente, avversari dell'autonomia di classe. La necessaria
conseguenza sarebbe infatti un rafforzamento oggettivo dello stato, dal
quale non si potrebbe poi certo sperare di ottenere in cambio una
qualche assurda "legittimazione" al proprio preteso antagonismo,
rispetto ad esso e al suo vero padrone, il capitale.

Lo stato infatti pretende l'abiura, non già delle metodologie adottate
dai lottarmatisti, ad esso sostanzialmente omologhe, ma della critica
pratico-teorica di massa cui l'opzione comunista tende, dentro i
processi di autodeterminazione del soggetto collettivo rivoluzionario,
fuori e contro la mediazione alienante della politica, laddove davvero
si gioca la partita storica per l'estinzione dell'astrattizzazione della
merce e dello stato stesso.

A questo punto un'ultima considerazione si impone, sebbene assai
scomoda, quasi indicibile.

Fermo restando che lo stato sempre e comunque, per chi si pretenda
comunista, NON ha legittimità alcuna ad incarcerare e reprimere
chicchessia, rimane il fatto che la solidarietà a tutti i costi, "senza
se e senza ma", con chiunque si autodefinisca "compagno rivoluzionario",
è un retaggio mistificante da abbandonare: esso è infatti
sostanzialmente omologo al perverso strumentalismo per cui "il nemico
del nostro nemico ha da essere comunque nostro amico" !

Rimaniamo invece convinti che i compagni di strada si debbano scegliere
sulla base di discriminanti saldamente ancorate alla definizione dei
fini e delle pratiche prescelte. Fini e pratiche che noi individuiamo
nell'opzione comunista libertaria e nell'autodeterminazione del soggetto
collettivo rivoluzionario. Coloro che propugnano di fatto un "socialismo
da caserma" e lo vogliono raggiungere espropriando l'autonoma
decisionalità dei movimenti sociali non possono che essere nostri
avversari.

Quindi, pur di fronte alla ferocia repressiva dello stato, non possiamo
scordare il prezzo politico che costoro ci hanno fatto e ci faranno
pagare, e riserviamo loro esclusivamente la solidarietà dovuta a tutti
gli uomini e le donne privati della propria libertà in quella disumana
istituzione disciplinare chiamata carcere, del tutto indipendentemente
dal motivo per cui ci sono stati sbattuti dentro.

4 novembre 2003

Vis-à-Vis

Quaderni per l'autonomia di classe

<http://web.tiscalinet.it/visavis>




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