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SULLE FOIBE
by sole rosso Saturday, Dec. 06, 2003 at 11:06 PM mail:

SULLA QUESTIONE DELLE FOIBE: ORIGINE, STORIA, CAUSE E RESPONSABILITA'


SULLA QUESTIONE DELLE FOIBE: ORIGINE, STORIA, CAUSE E RESPONSABILITA'
Recentemente sui principali organi di stampa così come nel dibattito e nell'azione politica, sono state riproposte alcune tematiche inerenti agli avvenimenti accaduti tra il 1943 e il 1945 nella Venezia-Giulia, in Istria e in Slovenia. E ancora una volta a emergere come dato caratterizzante di quegli avvenimenti, è stata la questione delle "foibe".
Non ci stupisce certo che proprio in questi tempi, segnati dalla volontà della borghesia e dei suoi accoliti politici di portare a compimento il processo di revisione e di riabilitazione del nero ventennio mussoliniano, di "pacificazione e riconciliazione nazionale", di cancellazione della storia e dei valori dell'antifascismo a cui fa da contraltare lo sviluppo di una violenta campagna anticomunista, torni in auge la questione delle "foibe", da sempre strumentale "cavallo di battaglia" della propaganda fascista. E, come tale, si è scelto di trattare questa questione astraendo sostanzialmente dal quadro storico che, a partire dalle cause che li hanno generati, segna lo sviluppo degli avvenimenti di quegli anni. Ciò che in buona sostanza si tenta di accreditare e contrabbandare come convincimento generale a livello di massa è che le "foibe" siano l'espressione diretta della ferocia antiitaliana e gli "infoibati", i "martiri" di un preordinato sterminio etnico perpetrato dalla resistenza, dai partigiani e dai comunisti jugoslavi.
Quelli che qui sono in gioco non sono i "sentimenti umani"; ma la responsabilità storica e politica di avvenimenti alla cui origine stanno lo snaturamento dell'identità nazionale del popolo jugoslavo e dei suoi diritti, le vessazioni a cui è stato sottoposto dall'imperialismo, dal nazionalismo e dal fascismo italiani prima e, in seguito, dall'aggressione e dall'occupazione nazifascista.
è, necessario quindi fare fronte alla campagna di disinformazione e smascherare lo stravolgimento di quegli avvenimenti, a cui si sono accodati e su cui si sono appiattiti nel tempo, tutti i partiti istituzionali. Quanto ciò sia indispensabile lo dimostra anche la recente decisione della giunta comunale di Firenze, di intitolare una via del capoluogo toscano ai "martiri delle foibe"; decisione che rappresenta una grave offesa a Firenze Medaglia d'Oro alla Resistenza e ai partigiani. (vedi Il Bolscevico n.23/01).
Sebbene sarebbe utile ripercorrere e intrepretare nella sua essenza le tappe fondamentali del conflitto italo-slavo le cui origini risalgono alla metà dell'800, ci soffermeremo qui su tre aspetti imprescindibili alla comprensione della questione che stiamo trattando.

LA POLITICA FASCISTA NEI TERRITORI SLAVI ANNESSI ALL'ITALIA ALLA FINE DELLA I GUERRA MONDIALE
La conclusione della I guerra mondiale mutò radicalmente gli equilibri politici internazionali e ridisegnò i confini geografici di numerose nazioni. I nuovi scenari geo-politici scaturirono dagli accordi e dai diktat emersi dalla Conferenza di pace apertasi a Parigi, nel palazzo di Versailles, il 18 gennaio 1919 ed alla quale parteciparono le rappresentanze di ventisette Stati. Dalla Conferenza emersero le nuove ambizioni imperialistiche e, con esse, i contrasti tra i paesi imperialisti emergenti e si delineò altresì, la supremazia di Stati Uniti, Francia e Inghilterra. L'Italia in particolare, vide ridimensionate le sue ambizioni espansioniste. Le richieste presentate a Parigi dal primo ministro Orlando in virtù di alcuni articoli segreti stabiliti nel Trattato di Londra del 1915 (Trentino, Tirolo, vaste zone balcaniche, colonie dell'Anatolia e dell'Africa), vennero osteggiate e rimesse in discussione da Wilson, Clemenceau e Lloyd George. Orlando, che in un primo tempo aveva abbandonato la Conferenza, rientrò a Parigi accettando quanto stabilito dalle tre maggiori potenze.
Con la firma del trattato di pace da parte dell'Austria il 10 settembre 1919 nel castello di Saint Germain, all'Italia andarono Trento, il Sud-Tirolo, Trieste e parte dei territori slavi meridionali. La mancata annessione di tutti i territori rivendicati fece crescere in Italia la protervia del nazionalismo e del nascente fascismo sfociata, il 12 settembre 1919, nella banditesca azione del manipolo guidato da D'Annunzio dell'occupazione di Rijeka (Fiume). La soluzione al contenzioso territoriale tra il Regno d'Italia e il Regno dei serbi-croati-sloveni (denominato Regno di Jugoslavia nel 1929) si ebbe con il Trattato di Rapallo firmato il 12 novembre 1920. Il confine orientale vedeva annessi all'Italia territori ad etnia mista italo-croata e italo-slovena (concentrate soprattutto nelle città), ma anche zone totalmente slovene comprendenti complessivamente una popolazione di circa mezzo milione di persone tra sloveni e croati.
Il fascismo al potere in Italia significò per tutte le minoranze nazionali presenti nel paese, l'inizio di una violenta campagna di discriminazione, di negazione di diritti fondamentali e di italianizzazione forzata. E questa campagna trovò l'apice più virulento proprio ai danni della minoranza slava, nei confronti della quale il regime manifestò una avversione dettata da un profondo disprezzo di natura razzista. Il programma di snazionalizzazione imposto dal fascismo portò alla soppressione totale delle istituzioni nazionali slovene e croate, al divieto dell'uso del serbo-croato e all'imposizione dell'italiano come unica lingua nelle scuole e negli uffici pubblici. Venne attuata l'italianizzazione delle principali città con il trasferimento in esse di popolazione italiana. Nelle scuole furono licenziati gli insegnanti di madrelingua e vi fu una forte limitazione all'assunzione di impiegati sloveni negli uffici pubblici. Scomparso ogni diritto a tutela della identità slava, si arrivò perfino alla italianizzazione forzata dei cognomi.
Anche la gerarchia ecclesiale vaticana aderì a questa politica rimuovendo dall'incarico i vescovi slavi di Trieste e Gorizia e abolendo l'uso della lingua slovena nelle funzioni liturgiche e nella catechesi.
Di pari passo all'attuazione del programma di snazionalizzazione, le squadracce nere avevano campo libero per compiere le loro azioni criminali. Vi fu uno stillicidio di attacchi e di devastazioni di sedi di circoli e di organizzazioni slave e di sistematiche aggressioni a persone che cercavano di opporsi alla politica del regime o che manifestavano un qualche dissenso verso di essa.
L'opposizione alla politica mussoliniana si sviluppò essenzialmente su due direttrici: una di tipo nazionalista e irredentista, basata su gruppi chiusi e su azioni dimostrative anche di tipo terroristico che il regime utilizzò per cercare di dare giustificazione all'inasprirsi dell'azione repressiva; l'altra che, accanto alla salvaguardia dell'identità nazionale, sosteneva la necessità dell'allargamento e del radicamento della lotta antifascista tra la classe operaia e le masse popolari delle diverse etnie presenti in quei territori.
La repressione dell'opposizione fu durissima e tuttavia il regime non riuscì mai a "normalizzare" la situazione in quei territori. Il Tribunale speciale iniziò la sua nefanda opera in quella zona nel febbraio del 1927. E tra il 1927 e il 1943, solo contro imputati sloveni e croati, ci furono centotredici processi. Le condanne furono sempre durissime. Trentaquattro antifascisti sloveni vennero condannati a morte, mentre ad altri 581 vennero inflitti complessivamente 5.418 anni di reclusione. Tra le vittime di questa spietata azione repressiva, moltissimi furono i militanti comunisti.

L'ATTACCO NAZIFASCISTA ALLA JUGOSLAVIA
All'alba del 6 aprile 1941 l'aviazione della Germania nazista sferrava un violento bombardamento su Belgrado, radendo al suolo interi quartieri della città e provocando la morte di circa diecimila persone tra la popolazione civile. Contemporaneamente in più punti del Paese, truppe di invasione tedesche, italiane, bulgare e ungheresi violavano i confini dello Stato balcanico. Cominciava così, in quella tragica domenica di primavera, l'invasione nazifascista della Jugoslavia che, secondo le intenzioni di Hitler, doveva portare allo smembramento e alla scomparsa del regno jugoslavo come nazione. Il 15 aprile il re e il governo fuggirono in Grecia per rifugiarsi poi in Inghilterra, e dopo soli undici giorni di combattimento il 17 aprile i rappresentanti militari di Belgrado si arresero al generale Von Weichs. La spartizione del territorio jugoslavo tra gli occupanti portò la gran parte della Serbia e della Slovenia sotto il controllo tedesco, la Macedonia alla Bulgaria e la zona di Novi Sad all'Ungheria.
La Croazia fu formalmente eretta a regno indipendente. In realtà si creò uno Stato fantoccio con il duca Aimone di Savoia nominato re e la guida del governo assegnata all'ustascia fascista Ante Pavelic. L'Italia ricevette Lubjana e la zona meridionale della Slovenia, parte consistente del litorale della Dalmazia e alcune zone della Bosnia del Montenegro e del Kossovo.
L'occupazione nazifascista scatenò in Jugoslavia una vera e propria campagna di terrore e di oppressione che si avvalse anche dell'apporto dei gruppi collaborazionisti della destra nazionalista che approfittarono della situazione per fomentare e realizzare un sanguinario clima di odio etnico e religioso. Particolarmente efferati furono i massacri compiuti dagli ustascia di Pavelic contro le popolazioni di nazionalità serba e di religione ortodossa in Croazia e Bosnia-Erzegovina e quelli dei collaborazionisti cetnici contro i cattolici croati.
Nella Venezia-Giulia e nei territori annessi dall'Italia dopo l'invasione si inasprì ulteriormente la repressione poliziesca e giudiziaria, alle quali si aggiunse anche quella dei reparti militari. Nel dicembre 1941, ad esempio, dopo una sentenza del Tribunale speciale vennero fucilati a Trieste cinque esponenti del Fronte di Liberazione sloveno, ad altri cinquanta imputati vennero inflitti 666 anni di reclusione, mentre altri ancora non arrivarono neppure al processo perché morirono a seguito delle torture a cui furono sottoposti in carcere.
I reparti militari si dedicarono a sistematiche azioni contro i paesi e le popolazioni civili delle zone annesse.
Molti villaggi del retroterra delle province di Trieste, Gorizia e Rijeka (Fiume) vennero attaccati dai reparti militari, alcuni furono incendiati, migliaia di civili deportati, altri assassinati in esecuzioni sommarie e arrestati. I popoli della Jugoslavia pagarono con un altissimo tributo di sangue, circa un milione di morti, le nefande azioni degli invasori nazifascisti; mentre altre settecentomila furono le vittime della Lotta di Liberazione e della guerra. Se al regime di Belgrado mancò la volontà e la capacità di opporsi al nazifascismo, non così fu per il popolo jugoslavo. La classe operaia e le masse popolari infatti seppero organizzare una attiva e forte resistenza agli invasori che iniziò già nell'estate del 1941, immediatamente dopo l'attacco hitleriano all'Unione Sovietica. Fu una vera e propria guerra di popolo il cui esercito di uomini, donne e giovani delle varie zone del Paese composto all'inizio da circa quindicimila combattenti andò via via ad ingrossarsi fino a superare le ottocentomila unità. Una guerra di popolo che seppe anche sviluppare, attraverso la lotta di Liberazione, il processo rivoluzionario che portò il 29 novembre 1945 alla proclamazione da parte dell'Assemblea Costituente, della Repubblica Popolare Federativa di Jugoslavia. La forza principale nella organizzazione e nella direzione del Movimento partigiano e della Resistenza, specie dopo il tradimento operato dai militari nazionalisti cetnici del generale Mihailovic passati al collaborazionismo attivo, fu il Partito comunista jugoslavo che solo pochi mesi prima, nell'ottobre del 1940, aveva svolto a Zagabria la sua quinta Conferenza nel corso della quale venne eletto il nuovo CC e confermato Tito alla carica di segretario generale.

L'8 SETTEMBRE 1943
Abbiamo visto come il confine stabilito nel Trattato di Rapallo, avesse annesso all'Italia un territorio abitato da oltre un quarto della popolazione slovena. Le borghesie italiana e slovena avevano accondisceso a questa soluzione accettando l'una la piena legittimità del diritto italiano a quelle terre e l'altra a riconoscere l'annessione all'Italia per cercare di arginare l'avanzata della lotta rivoluzionaria in Slovenia. Radicalmente divergenti da questa posizione erano i sentimenti popolari e della classe operaia dei due paesi, specie dopo l'avvento al potere del fascismo in Italia e l'attuazione della feroce politica di snazionalizzazione contro la popolazione slovena.
Nell'aprile del 1934 i partiti comunisti italiano, sloveno e austriaco sottoscrissero una dichiarazione comune sulla questione slovena. In essa si affermava tra l'altro: "la violenta spartizione del popolo sloveno tra i due Stati imperialisti vincitori, la Jugoslavia e l'Italia, che è stata compiuta lasciando all'Austria una frazione degli sloveni, ha avuto come conseguenza che i territori sloveni sono diventati il teatro della lotta nazional-rivoluzionaria delle masse del popolo sloveno, e, in pari tempo, il campo dei più intensi intrighi e trame imperialistiche, strettamente collegate con la preparazione di una nuova guerra. Nel periodo del nuovo ciclo di guerre e di rivoluzioni, di cui siamo alla vigilia, la questione slovena può diventare, o una leva della rivoluzione degli operai e dei contadini, liberatrice dei popoli oppressi, oppure uno strumento della controrivoluzione imperialistica...". La giusta soluzione del problema, indicata nella dichiarazione, stava nella proclamazione del diritto di autodecisione del popolo sloveno fino anche alla separazione dalla Jugoslavia, dall'Italia e dall'Austria; lo stesso diritto veniva peraltro riconosciuto agli italiani, ai croati ed ai tedeschi presenti in Slovenia. La lotta per l'unificazione del popolo sloveno attraverso il diritto all'autodecisione deve collegarsi, si sottolineava nella dichiarazione, alla lotta contro la borghesia per l'instaurazione del potere socialista. "...Questo legame - continuava la dichiarazione - è indispensabile... perché il popolo sloveno potrà raggiungere la propria liberazione ed unificazione solo attraverso la lotta rivoluzionaria sotto la direzione della classe operaia e in alleanza con il proletariato della nazione dominante... Soltanto la lotta comune dei lavoratori della nazione slovena e della nazione dominante assicurerà il successo, la vittoria sui nemici e sugli oppressori". è su queste basi che il proletariato, gli antifascisti e i comunisti italiani e sloveni si mossero negli anni bui della tirannia fascista.

L'ESPLOSIONE DELL'ODIO POPOLARE CONTRO I CRIMINALI FASCISTI E I LORO LACCHE'
Quando l'8 settembre 1943 l'Italia firmava l'armistizio, vaste zone del Friuli, della Venezia-Giulia, della Slovenia e dell'Istria erano controllate dalle formazioni partigiane italiane, slovene e croate. Il disfacimento del regime portò allo sfaldamento degli organi di gestione e di controllo del potere mussoliniano a cui si sostituirono le prime forme embrionali di governo da parte del Fronte di Liberazione sloveno e croato. Il Movimento di Liberazione proclamò i territori delle province di Trieste e Gorizia e di Pola e Fiume annesse rispettivamente alla Slovenia ed alla Croazia. Fu in questa situazione, tutt'altro che stabilizzata sul piano della sicurezza e del controllo militare, che in Istria nel settembre 1943 alcune centinaia di persone: fascisti italiani (squadristi, gerarchi e funzionari delle istituzioni del regime); slavi (collaborazionisti e ustascia) e soldati tedeschi, molti dei quali già sul punto di scappare per non dover rendere conto del proprio operato, furono giudicati colpevoli di crimini contro la popolazione locale e quindi passati per le armi dai partigiani slavi e italiani e i loro corpi infoibati.
La propaganda fascista parlò allora come oggi, dello sterminio etnico di migliaia di italiani. Tutti gli Atti risultanti dalle indagini e dalle ricerche svolte nel dopoguerra, anche da parte occidentale, e suffragate da una puntuale documentazione, hanno stabilito che furono circa cinquecento le persone uccise e infoibate nel 1943 in Istria, senza poter altresì smentire in alcun modo quanto, su quegli avvenimenti, ebbe ad affermare il PC croato già nel settembre del 1944. "La reazione - si legge nella dichiarazione dei comunisti croati diramata il 29/9/44 - cercherà di sfruttare ancora le foibe affermando che allora si tentò di distruggere gli italiani dell'Istria e che quella fu la manifestazione di uno sciovinismo croato. Noi sappiamo benissimo che nelle foibe finirono non solo gli sfruttatori e assassini fascisti italiani, ma anche i traditori del popolo croato, i fascisti ustascia e i degenerati cetnici. Le foibe non furono che l'espressione dell'odio popolare compresso in decenni di oppressione e di sfruttamento, che esplose con la caratteristica violenza delle insurrezioni di popolo".
Una oppressione e uno sfruttamento fatti di crimini e atrocità che ancora e fino alla fine del II conflitto mondiale dovranno subire le popolazioni di quelle regioni da parte dell'esercito nazista, delle SS, dei fascisti della Rsi e dei reazionari slavi.
Immediatamente dopo l'8 settembre 1943 l'esercito tedesco puntò ad assumere direttamente il controllo delle zone precedentemente occupate dall'Italia. La costituzione il 1• ottobre 1943 della "Zona d'Operazione Litorale Adriatico" coincise con lo scatenamento di una brutale controffensiva nazista. Il comando della zona d'operazione fu affidato a Friedrich Reiner, mentre a capo delle SS e della polizia fu nominato il generale Globocnik, criminale nazista già responsabile dello sterminio di due milioni di ebrei polacchi. Fu questo uno dei momenti più tragici e sanguinosi del conflitto contrassegnato dalla violente offensiva militare degli invasori nazisti e dalla loro ferocia repressiva attuata con l'attiva partecipazione dei fascisti italiani riaggregati nella "repubblica di Salò", degli ustascia e dei cetnici a cui si aggregarono anche migliaia di cosacchi e caucasici, bande di traditori e di controrivoluzionari alleate dei nazisti nella guerra contro l'Urss, e che ora erano in fuga dopo essere stati sbaragliati dall'Armata Rossa sovietica. Innumerevoli furono le devastazioni e i saccheggi di paesi e villaggi, le distruzioni delle risorse economiche e del territorio, le torture e gli eccidi ai danni della popolazione civile, gli stupri contro donne e ragazze, per finire con i rastrellamenti e le deportazioni per lo più senza ritorno, nei campi di prigionia e nei lager, tra cui la Risiera di San Sabba a Trieste, tragico simbolo in Italia della barbarie nazifascista.

LA RESISTENZA ANTIFASCISTA ITALO-SLAVA
Ciò che permise di sconfiggere tutto questo fu la lotta comune del proletariato e delle masse popolari italiane e slave, l'azione congiunta della Resistenza antifascista italo-slava, il valore e l'eroismo dei combattenti delle Brigate Partigiane italiane e dell'Esercito Popolare di Liberazione jugoslavo, caduti a migliaia nella lotta di Liberazione, il cui spirito di sacrificio e i cui meriti rimarranno scolpiti per sempre nel cuore e nella memoria del proletariato e delle masse popolari antifasciste italiane e delle nazioni slave. Le principali forze e organizzazioni combattenti in queste regioni furono in campo jugoslavo il VII e IX Corpus sloveno e la IV Armata dell'EPLJ e in campo italiano: le Divisioni Garibaldi-Friuli e Garibaldi-Natisone, i Gruppi di Azione Partigiana (GAP) operanti in Friuli ed a Trieste, Monfalcone e Muggia. Nel corso del 1944 nacquero inoltre formazioni partigiane formate da combattenti cattolici, del Partito d'Azione e da reduci della divisione alpina Julia; nell'aprile del 1944 alcune centinaia di militari italiani formarono nell'area delle province di Gorizia e Trieste il battaglione triestino del Carso che dopo un accordo raggiunto con le Divisioni Garibaldi e il IX Corpus sloveno formerà la Brigata Garibaldi Trieste; in Slovenia dal dicembre 1944 è attiva alle dipendenze del VII Corpus la Brigata Fratelli Fontanat composta da circa 750 uomini in prevalenza operai dei cantieri navali, studenti e militari; mentre in Istria agiscono dall'aprile 1944 il Battaglione Alma Vivoda e il Battaglione Pino Budicin inquadrato nella brigata croata "Vladimir Gortan".
Furono queste forze e questi combattenti che ottennero la vittoria nella lotta di Liberazione contro il nazifascismo, affrancando i territori occupati. Tra la fine di aprile ed il 1• maggio 1945 i partigiani liberarono Udine e tutto il Friuli e il 1• maggio entrarono vittoriosi in Trieste il IX Corpus sloveno e la IV Armata jugoslava.
Il periodo che va dal 2 maggio al 12 giugno 1945 vede sui territori della Venezia-Giulia e dell'Istria la presenza militare delle truppe degli Alleati e quelle dell'Eplj e sul piano politico la rivendicazione dell'Avnoj (Consiglio antifascista di liberazione jugoslavo) di quei territori come parte integrante della Jugoslavia - dove era ormai consolidato sul piano della volontà popolare il processo rivoluzionario che porterà alla costituzione della Repubblica Popolare Federativa di Jugoslavia (Rpfj) -.
Una rivendicazione, che come precedentemente detto, era già stata esplicitata all'indomani dell'8 settembre '43. L'abbandono del principio del diritto all'autodecisione aveva generato contrasti, anche seri, nelle relazioni tra comunisti italiani e jugoslavi in un momento peraltro cruciale della lotta di liberazione. Contrasti ricomposti, anche se non in maniera definitiva, con gli accordi intervenuti il 4 aprile e il 7 maggio 1943, che stabilivano la necessità della comune lotta contro il nazifascismo e la soluzione delle problematiche politiche inerenti ai confini e ai rapporti statali alla conclusione del conflitto. Una posizione questa condivisa dal Movimento comunista internazionale. Ancora nel gennaio del 1945 il PCJ rivendicò l'annessione di Trieste, dei territori slavi e delle zone miste alla Jugoslavia in un incontro che Hebrang - membro dell'Up del PCJ e del Comitato di Liberazione Nazionale Jugoslavo - ebbe a Mosca con Stalin e Molotov soprattutto per concordare forme di aiuto economico e militare dell'Urss alla Jugoslavia. In quell'occasione i dirigenti sovietici ribadirono a Hebrang che tale questione poteva trovare soluzione solo sul piano politico-diplomatico sulla base della volontà espressa dalle popolazioni coinvolte nel problema e non sulla base di azioni di forza unilaterali.

LA QUESTIONE DELLE FOIBE E LA NASCITA DELLA NUOVA JUGOSLAVIA
Fu proprio nei giorni precedenti il raggiungimento degli accordi del 12 giugno tra il governo jugoslavo e gli alleati che stabilirono per la cosiddetta "zona A" (Trieste Gorizia e Pola) l'amministrazione "alleata" e il controllo della "zona B" (la parte restante della regione, l'Istria e Fiume) alla Jugoslavia, che si acutizzò lo scontro delle forze ostili al nuovo governo rivoluzionario nel tentativo di mettere in discussione la nascita della nuova Jugoslavia proprio mentre si insediavano e cominciavano a operare le nuove istituzioni del paese. E fu questo il momento in cui i fascisti, i nazisti, i collaborazionisti di ogni sorta e i controrivoluzionari jugoslavi, dovettero assumersi la piena responsabilità della loro politica e delle loro azioni. In questa azione di giustizia tanto necessaria quanto difficile, saranno sicuramente stati emessi verdetti errati per alcune persone così come si saranno verificati casi di vendette personali; ma questo non può assolutamente costituire un fattore di alterazione e di falsificazione di quegli avvenimenti.
Vi è una connessione stretta e ineludibile, un filo conduttore che lega particolari e contingenti avvenimenti quali le foibe, la detenzione dei prigionieri di guerra, l'esodo degli italiani d'Istria, alla politica fascista della snazionalizzazione, alla aggressione nazifascista della Jugoslavia, alla occupazione militare italiana, all'attività nazista nel "Litorale Adriatico", alla persecuzione antifascista e antiebraica.
è necessario quindi ribadire con forza verità e responsabilità sugli avvenimenti di quegli anni, fuori dall'ottica delle falsità prodotte dalla propaganda fascista sia sul piano quantitativo (il numero dei morti ritrovati nelle foibe) che su quello storico, e dentro, invece, allo sviluppo organico della politica nazifascista.
Sul piano dei rapporti fra Stati l'Italia ha disatteso alla salvaguardia dei diritti della minoranza slava e l'Italia ha fatto carta straccia del Trattato di Rapallo attaccando la Jugoslavia nel 1941 e annettendosi i territori della "provincia di Lubjana". Sul piano della responsabilità politica la snazionalizzazione delle popolazioni slave, l'invasione e lo smembramento di un intero Stato, l'oppressione sanguinaria delle popolazioni civili sono alla base della rivolta e della richiesta di giustizia delle masse popolari italiane, slovene e croate. Sul piano della verità le foibe non rappresentano affatto il simbolo del genocidio della popolazione italiana e dell'odio antiitaliano. Non ci fu nessuno sterminio etnico contro gli italiani, ma una comune rivolta contro gli aguzzini fascisti, nazisti, ustascia e collaborazionisti macchiatisi di ogni sorta di crimini. Una lotta di Liberazione contro la barbarie nazifascista e per la riappropriazione della libertà e dell'indipendenza nazionale. E l'esempio principale è dato proprio dalla lotta unitaria dei diversi popoli, dalla lotta unitaria delle diverse organizzazioni e formazioni partigiane, dall'aiuto generoso dato dalle popolazioni slave a migliaia di soldati italiani in rotta dopo l'8 settembre 1943 e braccati dai loro ex alleati tedeschi. Soldati che erano invasori ma che devono la loro salvezza e la loro libertà al popolo jugoslavo e a quanti mettendo a repentaglio la loro stessa vita, li hanno sottratti alla vendetta nazista. è nostro dovere impedire a chiunque di gettare fango sulla lotta di Liberazione e sui partigiani. Gli ideali e i valori della Resistenza e dell'antifascismo sono e devono rimanere un patrimonio indelebile della nostra storia, del nostro popolo e dell'intera umanità.


http://www.pmli.it

Articolo de "Il Bolscevico" organo del Partito Marxista-Leninista Italiano





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follia
by no nuke Sunday, Dec. 07, 2003 at 8:42 AM mail:

è pura follia.State facendo come quelli che dicono che la shoah è accaduta a causa delle potenze europee che,con le sanzioni economiche e territoriali,avevano esasperato la Germania,ve ne rendete conto?

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La guera,è guera
by rafgano Sunday, Dec. 07, 2003 at 12:16 PM mail:

Le guere so'tutte uguali:te ammazzi me,io ammazzo te.Perciò
nun parlamo de la guera dannoje giustificazioni diverse tipo:guerra contro er terorismo,guera pe' portà la democrazia,guera giusta,guera umanitaria,guera preventiva,
guera difenziva,e via de 'sto passo,fino a la guera permanente gangsteristica co' basi militari in tutto er monno.Le foibe?E che sò,de fronte a li massacri compiuti in tutta l'Italia da i nazi fascisti:12/7/44"S.Anna di Stazzena",560
trucidati,24/3/44"le Fosse Ardeatine" 332 trucidati,29/6/44"Civitella in Val di Chiana" 190 massacrati,4/5/44"Arcevia"(Ancona)65,fra donne e bambini,6/7/44"Massacro della "Benedicta"175 mitragliatiin piazza,
3/4/44"Opicina"(Trieste)72 uccisi a raffiche di mitra,10/3/44"Monchio"(Modena)130 civili uccisi.L'elenco sarebbe troppo lungo,e nun vojo tedià' più de tanto er lettore.Perciò,fascisti ripuliti alla Fini,fascisti nostargichi,lassate perde le foibe,i vostri eccidi superano e de molto quelli de li Sloveni e dei Croati.E poi:la guera è guera,nun se dovrebbe fà e basta.

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che cazzo dite!!!!! leggete bene altrimenti vi porto qltre prove che non erano fascisti ma
by carlo Monday, May. 03, 2004 at 9:13 PM mail: missing@wooow.it

Prefazione: Un filo rosso che lega idealmente i fatti che vogliamo raccontare in queste pagine, con i giorni in cui il nostro lavoro è andato in stampa. Un filo rosso che unisce la storia di questi cinquant'anni, nel silenzio che l'ha accompagnata, nell'ignoranza che l'ha contraddistinta, nella subdola politica degli autori dello sterminio etnico, dei giudici conniventi e di chi ha sempre saputo ma ha preferito non parlare. Non stiamo dando la verità in pillole preconfezionate, vogliamo solo raccontarvi un pezzo di storia italiana che non troverete nei libri di scuola; vogliamo dare il via a un dibattito che attraverso la riscoperta di una memoria comune, ci può aiutare a trovare l'impervia strada della pacificazione di un popolo che ha smarrito il senso di appartenenza alla medesima vicenda nazionale. Abbiamo parlato di ignoranza, di silenzio, di politica subdola e giudici conniventi. Un esempio: a Novembre di quest'anno si è decretato il non luogo a procedere nei confronti di tre infoibatori. La scusa? I reati sarebbero stati commessi su parte del territorio nazionale successivamente ceduto ad altro Stato. Peccato, che l'esercizio della giurisdizione non viene meno in quanto si fonda sull’applicabilità della legge italiana, per essere stato il reato commesso in territorio nazionale al tempo della sua consumazione. Peccato per tanta ignoranza e malafede da parte di chi dovrebbe rappresentare ognuno di noi. Un’ultima considerazione: il giudice che ha istituito il processo e gli avvocati di parte civile continuano a ricevere minacce di morte per il loro interessamento alla vicenda dei tre assassini. Non aspettatevi di trovare queste notizie sulle prime pagine dei giornali. Per certa gente continuano ad esistere italiani, morti, assassini, avvocati e giudici di serie a e di serie b; anche per loro abbiamo scritto questa dispensa.

Genocidio:

Foibe, campi di sterminio, fosse comuni, tombe senza nomi e senza fiori, dove regna il silenzio dei vivi ed il silenzio dei morti.
Migliaia di scomparsi… dalla storia che attendono giustizia e verità. Scomparvero dalle loro case, dall'affetto dei loro cari, dalla loro terra, dalla Patria che tutti amavano al di là delle diverse ideologie politiche.
Insieme vittime di un disegno criminale basato sull'odio etnico degli slavi e sull'ideologia marxista-leninista, che saldarono il IX Corpus e le armate titine in un'unica fratellanza con i collaborazionisti italiani, rei di essersi macchiati del sangue dei fratelli, sacrificati sull'altare di un sogno utopistico di internazionalismo emancipatore dei popoli.
Tra il 25 luglio 1943 (caduta del Regime fascista) e l'8 Settembre 1943 (data della comunicazione dell'Armistizio, in effetti firmato il 3.9.1943) nelle zone del confine orientale (Friuli, Area giuliana-goriziana, Trieste, Istria e Dalmazia) tedeschi (slavi alleati dei tedeschi e partigiani slavi comunisti) preparano le contromosse alla prevista modifica di posizione dell’Italia nei confronti della alleanze.
In quel tempo nelle aree suddette, erano presenti, con i loro interessi nazionali o internazionali marxisti, le seguenti fazioni: i rappresentanti del Regio esercito italiano (che controllavano non solo le provincie italiane di Pola, Fiume e Zara, Spalato, ma anche l’acquisita provincia slovena di Lubiana e l'intera Dalmazia), i tedeschi (che ritenevano essenziale il controllo delle vie di comunicazione con i Balcani sia dal punto di vista strategico che per il transito delle materie prime), gli sloveni (divisi tra filo-tedeschi e filo-comunisti con sfumature nazionaliste), i croati (il regno di Croazia, più o meno affiliato alla Corona d'Italia, aveva in Ante Pavelic l'espressione nazionalista, filo-tedesca, anti-ebrea e anti-italiana), i croati filo-comunisti (inquadrati nelle forze della Resistenza, presenti in Istria e a contatto con italiani comunisti), i serbi cetnici, le formazioni volontarie slave inquadrate nelle SS (Bosniaci, Croati, ecc.).
L'area, inoltre, da sempre considerata di influenza britannica, collegava le sue mosse a rapporti stretti sia con Londra che con Mosca, attraverso le variegate componenti etnico-politiche.
Questo groviglio di gruppi non si fa trovare impreparato l'8 settembre, ad eccezione degli italiani, le cui Forze armate, abbandonate a se stesse, sono preda dei tedeschi e dei partigiani.
La creazione dell'Ozak (zona d’Operazioni del Litorale adriatico) da parte dei tedeschi e la nascita della RSI (Repubblica Sociale Italiana) che riprende in mano la guida delle istituzioni civili e di polizia (carabinieri, Guardia di Finanza, Pubblica sicurezza confinaria ecc.) contribuiscono a "bonificare" la zona, che però non è indenne da atti di guerriglia, prelevamenti di persone e sparizione, rappresaglie, deportazioni di natura etnico-politica.
Le autorità del Reich (nell'ambito delle quali si distinguono due ali: quella tedesca e quella austriaca, rappresentata dal commissario Rainer e dal comandante SS Globocnick) stringono nuove alleanze appoggiando le nuove fazioni che si sono create e rafforzate nell'area (in Slovenia: Bela Garda e Domobranci - milizie armate anti-comuniste e filo-tedesche; in Croazia: Ustascia - milizie filo-naziste, ultra nazionaliste e permeate di mito etnico) a discapito degli interessi italiani. Tuttavia il Governo repubblicano fascista riesce a far sopravvivere la struttura amministrativa e la presenza militari attraverso reparti come la Xª Mas, il Battaglione bersaglieri "Mussolini", il reggimento alpini "Tagliamento", la Mdt (Milizia difesa territoriale), naturalmente i corpi di Polizia (Carabinieri, Guardia di Finanza e Pubblica sicurezza) ed altri corpi militari e para-militari di vario spessore ed importanza (Guardia civica, Brigate nere, ecc.).
Va rafforzandosi anche la Resistenza italiana che però si presenta divisa in partigiani garibaldini comunisti che dal 1944 collaboreranno totalmente con la Resistenza slava rappresentata dal IX Corpus, rendendosi responsabili di collaborazione nei prelevamenti di italiani, come provato dalle testimonianze dei familiari dei deportati, e di eccidi di anti-comunisti (Porzus 7.2.1945), sono cioè, la parte più dura nella guerra civile (Gap) - e in partigiani osovani.
Dal 1944 sono presenti nell'area forti contingenti di cosacchi, caucasici e turkmeni, inquadrati in formazioni militari tedesche ai quali era stata promessa una terra ed una patria nelle zone dell'Ozak.
La presenza di numerosi militari paracadutati tra i partigiani (inglesi, americani, russi) e di incontri e missioni tra il Regno del Sud e reparti militari della RSI rendono sempre più complessa la situazione che esplode alla caduta del fronte ed al crollo della Germania.
È così che il primo maggio, truppe comuniste titine entrano in Trieste e Gorizia e, aiutate dai collaborazionisti italiani, fornite di liste di proscrizione, prelevano, deportano, infoibano e detengono in campi di sterminio circa 12.000 Italiani (secondo il Cln)
A Zara, erano entrate il 30.10.1944 mentre a Fiume e Pola entreranno il 3.5.1945.
Il disegno di genocidio fu condotto senza distinzioni politiche razziali ed economiche o di sesso ed età; furono arrestati fascisti ed anti-fascisti (anche partigiani), cattolici ed ebrei, industriali, dipendenti privati ma anche agricoltori, pescatori, donne, vecchi, bambini, e soprattutto, i servitori dello Stato (carabinieri, poliziotti, finanzieri, militi della Guardia civica, ecc.).
Le Foibe colpirono una parte dei prelevati e furono la tomba di alcuni centinaia di italiani, ma la maggioranza finì in campi di sterminio ed in fosse comuni.

MOMENTI DI UNA TRAGEDIA

La storia non è solo lo studio di date, di fenomeni, di battaglie, di interpretazioni, ma la visione di quell'eterno mosaico composto da milioni di tasselli che parlano di uomini e donne con i loro dolori, le loro tragedie, i loro sogni, i loro affetti. È per questo che i flash che accendiamo nel buio della galleria scura dell’ipocrisia e del silenzio creata in cinquant’anni di falsa storia vi sembreranno scarni, crudi, duri, ma vogliono ricondurre l'interpretazione della stessa alla lettura della vita, dei drammi e delle tragedie di migliaia di italiani.

Zara: "… Nelle giornate del 7 e 8 novembre 1944 (Zara cadde in mano partigiana il 30 ottobre 1944) furono fatti uscire dai sotterranei della caserma "Vittorio Veneto" una ventina di agenti ed una trentina di civili ivi rinchiusi, e quindi, trasportati assieme ad altri venticinque civili nell’isola di Ugliano. Dopo che i partigiani accompagnatori hanno consumato il pasto e bevuto abbastanza, vengono invitati i primi venticinque a lasciare i loro abiti e rimanere solo con le scarpe, pantaloni e camicia. Dopo tale operazione vengono avviati lungo un sentiero terminante in un precipizio a picco sul mare e qui massacrati come cani. I cadaveri finiscono nel burrone h vicino. Liquidati i primi, i partigiani tornano indietro per eseguire la stessa operazione con gli altri. Difatti anche questi vengono invitati a togliersi i vestiti e a rimanere solo con gli stessi indumenti dei primi; inoltre, raccolti tutti i documenti ed ogni carta tenuta dagli agenti, si procede alla loro distruzione col fuoco…" (doc. 12 Ministero Esteri)

Fiume: "… avvennero arresti di antifascisti e fascisti, purché italiani. Per non fare lunghi elenchi di nomi voglio notare alcuni tra quelli completamente fuori da ogni movimento fascista. L'architetto Pagan, il quale, per essere dissenziente al movimento fascista, fu arrestato il giorno 3 maggio. Fu arrestata pure la moglie di un ufficiale della Marina Italiana, combattente a fianco degli Alleati, nata Sennis. In seguito venne arrestata anche sua madre, la direttrice didattica Sennis. Altra persona arrestata fu Riccardo Bellandi, amatissimo per il suo buon cuore da tutti i fiumani…"

Spalato: "… Le nefaste giornate vissute dagli italiani di Spalato durante la temporanea occupazione delle bande serbo-comuniste resteranno dolorosamente scolpite nella mente di quanti hanno avuto la triste sorte di esserne testimoni oculari. Integerrime figure di patrioti italiani vennero barbaramente seviziate ed uccise. Oltre quattrocentocinquanta furono le vittime cadute nell'eccidio compiuto dai banditi contro cittadini che altra colpa non avevano se quella di essere italiani. Le notizie che giungono dalla dolorante terra di Dalmazia sono quanto mai angosciose. Oltre all'eccidio dei maestri delle scuole di Spalato e di altri paesi dell’interno della Dalmazia, risultano uccisi il conte Silvio de Micheli Vitturi e l'avvocato Matteo Mirossevich, commissari comunali alla Castella, nonché il fiduciario del Fascio di Castel San Giorgio Mario Valich, gli squadristi Vincenzo Bilinich, Ben Radovnicovich, Antonio Biuk, Simeone Segnanovich, Antonio Bonacci, Stefano Zocchich, tale Craglich, i fratelli Vittorio e Michele Fiorentino e tanti altri. Pure, sotto il piombo della furia omicida dei banditi, sono caduti vari commissari di Pubblica sicurezza, assieme ad una ottantina di agenti. Tra gli scomparsi figura anche il dottor Popov, il dottor Maiano, il dottor Castellini e il dottor Sorge. A Lissa è stato ucciso lo squadrista Petrossich. Giuseppe Trzich e la figlia del viceprefetto Lugher, che da Zara si recavano a Spalato, sono stati anch'essi barbaramente assassinati.


Numerosi sono gli italiani i quali prima di essere uccisi hanno dovuto sottostare a crudeltà inaudite. A taluni sono stati strappati con delle tenaglie roventi gli orecchi, altri, rinchiusi in gabbie di ferro, sono stati esposti al ludibrio della plebaglia. A stroncare tale scempio di vite umane sono sopraggiunte le truppe tedesche, che sono state costrette a combattere aspramente prima di aver ragione dei banditi che si erano asserragliati a Salona, la quale - data la violenza della lotta - è stata completamente distrutta…

NORMA COSSETTO:

… Norma Cossetto era una splendida ragazza di 24 anni di S. Domenico di Visinada, laureanda in lettere e filosofia presso l'Università di Padova. In quel periodo girava in bicicletta per i comuni dell'Istria per preparare il materiale per la sua tesi di laurea, che aveva per titolo "L'Istria Rossa" (Terra rossa per la bauxite).
Il 25 settembre 1943 un gruppo di partigiani irruppe in casa Cossetto razziando ogni cosa. Entrarono perfino nelle camere, sparando sopra i letti per spaventare le persone.
Il giorno successivo prelevarono Norma. Venne condotta prima nella ex caserma dei Carabinieri di Visignano dove i capibanda si divertirono a tormentarla, promettendole libertà e mansioni direttive, se avesse accettato di collaborare e di aggregarsi alle loro imprese. Al netto rifiuto, la rinchiusero nella ex caserma della Guardia di Finanza a Parenzo assieme ad altri parenti, conoscenti ed amici tra i quali Eugenio Cossetto, Antonio Posar, Antonio Ferrarin, Ada Riosa vedova Mechis in Sciortino, Maria Valenti, Umberto Zotter ed altri, tutti di San Domenico, Castellier, Ghedda, Villanova e Parenzo. Dopo una sosta di un paio di giorni, vennero tutti trasferiti durante la notte e trasportati con un camion nella scuola di Antignana, dove Norma iniziò il suo vero martirio. Fissata ad un tavolo con alcune corde, venne violentata da diciassette aguzzini, ubriachi e esaltati, quindi gettata nuda nella Foiba poco distante, sulla catasta degli altri cadaveri degli istriani. Una signora di Antignana che abitava di fronte, sentendo dal primo pomeriggio gemiti e lamenti, verso sera, appena buio, osò avvicinarsi alle imposte socchiuse. Vide la ragazza legata al tavolo e la udì, distintamente, invocare la mamma e chiedere da bere per pietà…
… Il 13 ottobre 1943 a S. Domenico ritornarono i tedeschi i quali, su richiesta di Licia, sorella di Norma, catturarono alcuni partigiani che raccontarono la sua tragica fine e quella di suo padre. il 10 dicembre 1943 i Vigili del fuoco di Pola, al comando del maresciallo Harzarich, ricuperarono la sua salma: era caduta supina, nuda, con le braccia legate con il filo di ferro, su un cumulo di altri cadaveri aggrovigliati; aveva ambedue i seni pugnalati ed altre parti del corpo sfregiate. Emanuele Cossetto, che identificò la nipote Norma, riconobbe sul suo corpo varie ferite d'arme da taglio; altrettanto riscontrò sui cadaveri degli altri".
Norma aveva le mani legate in avanti, mentre le altre vittime erano state legate dietro. Da prigionieri partigiani, presi in seguito da militari italiani istriani, si seppe che Norma, durante la prigionia venne violentata da molti.
Un'altra deposizione aggiunge i seguenti particolari: "Cossetto Norma, rinchiusa da partigiani nella ex caserma dei Carabinieri di Antignana, fu fissata ad un tavolo con legature alle mani e ai piedi e violentata per tutta la notte da diciassette aguzzini. Venne poi gettata nella Foiba.
…La salma di Norma fu composta nella piccola cappella mortuaria del cimitero di Castellerier. Dei suoi diciassette torturatori, sei furono arrestati e obbligati a passare l'ultima notte della loro vita nella cappella mortuaria del locale cimitero per vegliare la salma, composta al centro, alla luce tremolante di due ceri, nel fetore acre della decomposizione di quel corpo che essi avevano seviziato sessantasette giorni prima, nell'attesa angosciosa della morte certa. Soli, con la loro vittima, con il peso enorme dei loro rimorsi, tre impazzirono e all'alba caddero con gli altri, fucilati a colpi di mitra…

LE FOIBE:

Foiba di Basovizza e Monrupino - Oggi monumenti nazionali. Diverse centinaia sono gli infoibati in esse precipitati. Sul massacro di Basovizza il giornale "Libera Stampa" in data 1.08.1945 pubblicava un articolo dal titolo: "Il massacro di Basovizza confermato dal Cin giuliano. Piena luce sia fatta in nome della civiltà. Una dettagliata documentazione trasmessa alle autorità alleate della zona ed al Governo italiano".
L'articolo riportava un documento sottoscritto da tutti i componenti del Cln e di quelli dell'Ente costitutivo autonomia giuliana, che così denunciava i crimini accaduti a Trieste tra il 2 ed il 5 maggio: "Centinaia di cittadini vennero trasportati nel cosiddetto "Pozzo della Miniera" in località prossima a Basovizza e fatti precipitare nell'abisso profondo duecentoquaranta metri. Su questi disgraziati vennero in seguito lanciate le salme di circa centoventi soldati tedeschi uccisi nei combattimenti dei giorni precedenti e le carogne putrefatte di alcuni cavalli. Al fine di identificare le salme delle vittime e rendere possibile la loro sepoltura abbiamo chiesto consiglio agli esperti che hanno collaborato, a suo tempo, al recupero delle salme nelle Foibe istriane.
L'attrezzatura a disposizione dei nostri esperti non è sufficiente data l'eccezionale profondità del pozzo, il numero delle salme e lo stato di putrefazione delle stesse…".
Davanti alle accuse che vengono fatte da alcuni organi di stampa, di uccisioni indiscriminate, che avrebbero interessato anche esponenti antifascisti, il giornale "Pílinorski Dnevmk" in data 5.08.1945, smentendo l'uccisione di patrioti italiani, ammette l'infoibamento di italiani a Basovizza e particolarmente di poliziotti e finanzieri.
Così scrive: "… Questa nuova Jugoslavia del maresciallo Tito, che per il numero delle vittime, per la vittoria comune occupa senza dubbio il secondo posto dopo l'Unione sovietica e che è rispettata ed onorata dalla popolazione slovena, croata e italiana di questa regione, non è possibile che abbia oltre alla Guardia di frontiera fascista, ai poliziotti, gettato nelle Foibe anche i combattenti che hanno combattuto da fratelli per la nuova Jugoslavia e dieci soldati Neozelandesi…"
E, proseguendo con la definizione cinica dell'alibi che ancora oggi alcuni storici sloveni e croati sottolineano, giunge a dire: "… sulla terra che ha sofferto per venticinque anni il terrore snazionalizzatore italo-fascista si è combattuto per anni contro i nazi-fascisti assieme ad onesti italiani ed antifascisti non è questa la prima e nemmeno l’unica grotta dove si polverizzano le ossa dei criminali italiani e tedeschi e di quelli che si sono opposti…"
Tra i responsabili degli infoibamenti a Basovizza può essere indicata la Banda Zoll-Steffè che presso le carceri triestine dei Gesuiti imperversò sotto la denominazione della Guardia del popolo.

Foiba di Scadaicina: sulla strada di Fiume.

Foiba di Podubbo: Non è stato possibile, per difficoltà, il recupero.
"Il Piccolo" del 5.12.1945 riferisce che coloro che si sono calati nella profondità di 190 metri, hanno individuato cinque corpi - tra cui quello di una donna completamente nuda - non identificabili a causa della decomposizione.

Foiba di Drenchia: Secondo Diego De Castro vi sarebbero cadaveri di donne, ragazze e partigiani dell’Osoppo.

Abisso di Semich :"… Un'ispezione del 1944 accertò che i partigiani di Tito, nel settembre precedente, avevano precipitato nell'abisso di Semich (presso Lanischie), profondo 190 metri, un centinaio di sventurati: soldati italiani e civili, uomini e donne, quasi tutti prima seviziati e ancor vivi. impossibile sapere il numero di quelli che furono gettati a guerra finita, durante l'orrendo 1945 e dopo. Questa è stata fina delle tante Foibe carsiche trovate adatte, con approvazione dei superiori, dai cosiddetti tribunali popolari, per consumare varie nefandezze. La Foiba ingoiò indistintamente chiunque avesse sentimenti italiani, avesse sostenuto cariche o fosse semplicemente oggetto di sospetti e di rancori. Per giorni e giorni la gente aveva sentito urla strazianti provenire dall’abisso, le grida dei rimasti in vita, sia perché trattenuti dagli spuntoni di roccia, sia perché resi folli dalla disperazione. Prolungavano l’atroce agonia con sollievo dell’acqua stillante. Il prato conservò per mesi le impronte degli autocarri arrivati qua, grevi del loro carico umano, imbarcato senza ritorno…" (Testimonianza di Mons. Parentin - da La Voce Giuliana del 16.12.1980).

Foibe di Opicina, di Campagna e di Corgnale: "… Vennero infoibate circa duecento persone e tra queste figurano una donna ed un bambino, rei di essere moglie e figlio di un carabiniere …"(G. Holzer 1946).

Foibe di Sesana e Orle: Nel 1946 sono stati recuperati corpi infoibati.

Foiba di Casserova: sulla strada di Fiume, tra Obrovo e Golazzo.
Ci sono stati precipitati tedeschi, uomini e donne italiani, sloveni, molti ancora vivi, poi, dopo aver gettato benzina e bombe a mano, l’imboccatura veniva fatta saltare. Difficilissimi i recuperi.

Abisso di Semez: Il 7 maggio 1944 vengono individuati resti umani corrispondenti a ottanta - cento persone. Nel 1945 fu ancora "usato".

Foiba di Gropada: Sono recuperate cinque salme.
"… Il 12 maggio 1945 furono fatte precipitare nel bosco di Gropada trentaquattro persone, previa svestizione e colpo di rivoltella "alla nuca". Tra le ultime: Dora Ciok, Rodolfo Zuliani, Alberto Marega, Angelo Bisazzi, Luigi Zerial e Domenico Mari…

Foiba di Vifia Orizi: Nel mese di maggio del 1945, gli abitanti del circondario videro lunghe file di prigionieri, alcuni dei quali recitavano il Padre Nostro, scortati da partigiani armati di mitra, essere condotte verso la voragine. Le testimonianze sono concordi nell'indicare in circa duecento i prigionieri eliminati.

Foiba di Cernovizza (Pisino): Secondo voci degli abitanti del circondario le vittime sarebbero un centinaio. L'imboccatura della Foiba, nell'autunno del 1945, è stata fatta franare.

Foiba di Obrovo (Fiume): È luogo di sepoltura di tanti fiumani, deportati senza ritorno.

Foiba di Raspo: Usata come luogo di genocidio di italiani sia nel 1943 che nel 1945. Imprecisato il numero delle vittime.

Foiba di Brestovizza: Così narra la vicenda di una infoibata il "Giornale di Trieste" in data 14.08.1947.
"… Gli assassini l'avevano brutalmente malmenata, spezzandole le braccia prima di scaraventarla viva nella Foiba. Per tre giorni, dicono i contadini, si sono sentite le urla della misera che giaceva ferita, in preda al terrore, sul fondo della grotta."

Foiba di Zavni (Foresta di Tarnova): Luogo di martirio dei carabinieri di Gorizia e di altre centinaia di sloveni oppositori del regime di Tito.

Foiba di Gargaro o Podgomila (Gorizia): A due chilometri a nord-ovest di Gargaro, ad una curva sulla strada vi è la scorciatoia per la frazione di Bjstej. A una trentina di metri sulla destra della scorciatoia vi è una Foiba. Vi furono gettate circa ottanta persone.

Capodistria - Le Foibe: Dichiarazioni rese da Leander Cunja, responsabile della Commissione di indagine sulle Foibe del capodistriano, nominata dal Consiglio esecutivo dell'Assemblea comunale di Capodistria:
"… Nel capodistriano vi sono centosedici cavità, delle ottantuno cavità con entrata verticale abbiamo verificato che diciannove contenevano resti umani. Da dieci cavità sono stati tratti cinquantacinque corpi umani che sono stati inviati all’Istituto di medicina legale di Lubiana. Nella zona si dice che sono finiti in Foiba, provenienti dalla zona di S. Servolo, circa centoventi persone di etnia italiana e slovena, tra cui il parroco di S. Servolo, Placido Sansi. I civili infoibati provenivano dalla terra di S. Dorligo della Valle. I capodistriani, infatti, venivano condotti, per essere deportati ed uccisi, nell'interno, verso Pinguente. Le Foibe del capodistriano sono state usate nel dopoguerra come discariche di varie industrie, tra le quali un salumificio della zona…"

Foiba di Vines: Recuperate dal Maresciallo Harzarich dal 16.10.1943 al 25.10.1943 cinquantuno salme riconosciute. In questa Foiba, sul cui fondo scorre dell'acqua, gli assassinati dopo essere stati torturati, ftirono precipitati con una pietra legata con un filo di ferro alle mani. Furono poi lanciate delle bombe a mano nell'interno. Unico superstite, Antonio Radeticchio, ha raccontato il fatto.

Cava di Bauxite di Gallignana: Recuperate dal 31 novembre 1943 all'8 dicembre 1943 ventitré salme di cui sei riconosciute.

Foiba di Terli: Recuperate nel novembre del 1943 ventiquattro salme, riconosciute.

Foiba di Treghelizza: Reciìperate nel novembre del 1943 due salme, riconosciute.

Foiba di Pucicchi: Recuperate nel novembre del 1943 undici salme di cui quattro riconosciute.

Foiba di Surani: Recuperate nel novembre del 1943 ventisei salme di cui ventuno riconosciute.

Foiba di Cregli: Recuperate nel dicembre del 1943 otto salme, riconosciute.

Foiba di Cernizza: Recuperate nel dicembre del 1943 due salme, riconosciute.

Foiba di Vescovado: Scoperte sei salme di cui una identificata.
Altre foibe da cui non fu possibile eseguire recupero nel periodo 1943 - 1945: Semi - Jurani - Gimino - Barbana - Abisso Bertarelli - Rozzo - Iadruichi.

Foiba di Cocevie: a 70 chilometri a sud-ovest da Lubiana.

Foiba di San Salvaro.

Foiba Bertarelli (Pinguente): Qui gli abitanti vedevano ogni sera passare colonne di prigionieri ma non ne vedevano mai il ritorno.

Foiba di Gropada.

Foiba di San Lorenzo di Basovizza.

Foiba di Odolina: Vicino Bacia, stilla strada per Matteria, nel fondo dei Marenzi.

Foiba di Beca - Nei pressi di Cosina.

Foibe di Castelnuovo d'Istria: "Sono state poi riadoperate - continua il rapporto del Cln - le foibe istriane, già usate nell'ottobre del 1943".

Cava di bauxite di Lindaro.

Foiba di Sepec (Rozzo).

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Bravo
by Tito Monday, May. 03, 2004 at 11:45 PM mail:

Bravo sole rosso bel articolo!
Quanto a quel fascistello di Carlo,io ci vivo in Istria da
generazioni e generazioni e come me migliaia di Italiani,
che non sono mai stati perseguitati in nessuna maniera e non
ce mai stata nessuna pulizia etnica come dici tu,qui vivono
ancora siciliani,calabresi,sardi ecc,erano soldati italiani
che doppo la guerra non hanno mai voluto ritornare ne loro
paese fascista.
E ricordati che se anche ce stato qualche massacro,eravamo
in guerra! a diferenza di voi quando non eravamo in guerra
avete massacrato durante 20 a 25 anni.
E finalmente con Tito abbiamo respirato.
I miei nonni e bisnonni,hanno vissuto soto l'Austria soto
Napoleone e ne l'uno ne l'altro non hanno fato neanche la
meta degli orrori che avete fato voi fascisti.
Napoleone per l'epoca ha fato delle riforme sociali e
democratiche che voi italiani ancora oggi ve le sognate.
Saluti da un compagno onesto a un camarata disonesto.

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COJNE
by COJONE RAFGANO Tuesday, May. 04, 2004 at 9:56 AM mail:

X RAFGANO..

A LA GUERA E GUERA?? E ALORA NUN TE LAMENTA' SE LE SS APPENDEVANO(GIUSTAMENTE)AI LAMPIONI GLI AMICI TUA BANDITI TITINI....LA GUERA E'GUERA NO?? E ALORA PE'VINCE NOI FAMO QUELO CHE CE PARE...A COJJJJJJJONE!!!FATE RICOVERA'

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