Lettera inviata ad alcune entità dello Stato che
Vi autorizzo ad usare e trasmettere anche senza il mio nome, puché non muti la sostanza: Auguri!
Bertinoro, 13 dicembre 2003
Illustre Signor Presidente.
Sono nato il 25 marzo 1926, ex comandante partigiano, il Padre, lo Zio, un Cugino trucidati dai mostri repubblichini, tre ferite riportate in diversi combattimenti contro i nazisti, sei anni di carcere per avere continuato la lotta al fine di rendere giustizia ai nostri Caduti ed una infinità di persecuzioni poliziesche, tuttora perduranti, combattente contro il fascismo coloniale Portoghese, insieme al Presidente Samora Moisés Machel, ferito gravemente altre due volte quando esercitai le funzioni di amministratore giudiziario dei beni di due mafiosi in Maputo, dopo che il Presidente Samora fu assassinato e il marasma della corruzione travolse le istituzioni.
In Mozambico sono regolarmente iscritto negli albi dei commercialisti e degli avvocati.
Mio padre Antonio, nato nel 1883, fiero repubblicano mazziniano, ritornò dagli USA, dove lavorava come muratore, con alcuni suoi fratelli, nel 1914, per partecipare alla grande guerra, guadagnandosi una croce di bronzo; gestore nel post guerra di una cooperativa di consumo repubblicana, distrutta dai fascisti, si mise in proprio e conseguì il primato nel commercio, nella piccola Bertinoro, soffrì continue persecuzioni dai carabinieri, polizia e guardie di finanza, ma mai fu assalito dai fascisti, durante il ventennio, memori della sua forza fisica e coraggio leonino.
Nella decade 1930 organizzò, insieme a due comunisti, un attentato al duce in Riccione, da eseguirsi durante la stagione balneare, importò a sue spese una carabina di precisione dalla Svizzera, a richiesta dei suoi due compagni aderì al fascio per sottrarre, nei limiti del possibile, a rappresaglie i comunisti detenuti e al confino,se fosse stato scoperto, e quando giunse il tempo dell'azione, gli mancò l'indispensabile appoggio di quei due filistei, uno dei quali aveva la disponibilità della casa donde si sarebbe sparato, essendo l'attentato vietato dai maggiorenti del PCI che in quel tempo aveva elaborato la stolida teoria dello "ENTRISMO", consistente nell'aderire alle organizzazioni fasciste, incluso il partito, per conquistarle dal di dentro!
Era un badiale bufala, come tante altre, ma fu con quella e per quella fisima che si fece svanire l'ultima speranza di impedire che l'Italia precipitasse nel baratro verso il quale la megalomania e l'insipienza mussoliniana l'aveva incamminata.
Mi educò al coraggio, insegnandomi che la paura é fatta di niente e che poteva solo peggiorare qualsiasi situazione, senza migliorarne nessuna, che era meglio morire in piedi che vivere in ginocchio, che chi non ha paura di morire e padrone della vita dei re e muore una volta sola, mentre i vigliacchi ogni ora della loro vita.
Il 25 luglio 1943 dette un sonoro ceffone al segretario del fascio e con questo ritenne saldato ogni suo credito, quando giunse l'8 settembre e la prima colonna di blindati tedeschi transitò per Bertinoro, lasciando un bertinorese morto, schiacciandolo contro un muro, si arrabbiò; avrebbe voluto fare qualcosa ma era disarmato e malaticcio, quasi ogni anno si buscava una polmonite che lo mandava sull'orlo della tomba, ma mi diede i soldi per comprare armi dai soldati in fuga o dai contadini presso i quali le avevano abbandonate in cambio di stracci civili utili per la fuga.
Appena comparve il primo manifesto fascista, di notte tempo, vi scrissi sopra: "Bastone fascista l'Italia non doma!" e iniziai, svaligiando la casa del fascio e asportando, aiutato da un compagno più anziano, tutte le armi dei mostri, quindi la sarabanda che non doveva più fermarsi, con una bomba a mano incendiai una auto nazista, ma avendomi abbandonato tutti i miei compagni d'azione non potei fare di più, quindi disarmai due tedeschi senza ucciderli, essendo due ragazzetti più giovani di me..
Avendo appreso che sugli Appennini vi erano gruppi di "ribelli" sovietici, come venivano chiamati ai primordi i partigiani, mio Padre che mi aveva insegnato tutto quello che sapeva in materia di guerra, mi consigliò di contattarli e vi riuscii, partecipando con loro all'assalto ad una caserma dove furono annientati tutti gli otto fascisti che la presidiavano, poi fu una girandola di attacchi, in Toscana assaltammo e disarmammo una caserma di allievi ufficiali e sottoufficiali dell'aeronautica, rastrellando una quantità tale di armi e munizioni che a stento riuscimmo a trasportare anche coi mezzi sequestrati; nessuno aveva fatto resistenza e trattandosi di giovani di leva che non presentandosi correvano il pericolo di essere fucilati, gli ottenni clemenza dietro promessa di ritornare alle loro case ed alcuni si unirono a noi.
Dopo una decina di giorni ritornai a Bertinoro per organizzarvi la Resistenza, ma la paura faceva novanta, e raccolte altre armi ai primi di marzo, insieme a cinque bertinoresi, che ero riuscito a convincere, raggiunsi la costituitasi 8ª Brigata Garibaldi, dove fui nominato commissario politico della 9ª Compagnia in formazione, inizialmente composta di soli 32 compagni, armati di 6 vecchi moschetti con una decina di caricatori in tutto ed un mitra Berretta con 3 caricatori da venti colpi ciascuno; le armi che avevamo quando arrivammo ci furono requisite con la promessa che ci sarebbero state restituite appena saremmo stati assegnati alla compagnia in formazione, ma non avvenne; si trattava di arrangiarci e ritornammo a Bertinoro dove il 7 aprile '44 abbattemmo due tedeschi, infelicemente armati solo di baionette.
Di ritorno sugli Appennini incontrammo quasi due divisioni tedesche in rastrellamento, col seguito di fascisti in funzione di tirapiedi che dopo che i nazisti avevano sgombrato il terreno, stupravano, rapinavano torturavano e trucidavano uomini, donne e bambini: la nostra Brigata era composta di circa 800 uomini, di cui 400 male armati e gli altri inermi e con scarse munizioni, oltre duecento dei quali furono massacrati; solo la mia Compagnia uscì e rientrò due volte nel cerchio senza colpo ferire, per rifornirsi di armi intanto paracadutate dagli Inglesi.
Io solo rimasi ferito mentre, essendomi con altri quattro avviato in differenti direzioni in cerca di cibo e incontrato i compagni sovietici, ottenni una mitragliatrice leggera Lewis, usata negli aerei da caccia della prima guerra mondiale, con dieci caricatori perché gli coprissi la ritirata ed in quel compito per quattro ore impedii il passo a una forte colonna tedesca, riportando una ferita, essendosi surriscaldata e inceppata la mitragliatrice, quando tre tedeschi sopravvissuti alle mie raffiche e giunti nei pressi mi vennero contro sparando, riuscii ad abbatterne due con la pistola, ma il terzo giunse a sferrarmi un colpo col calcio del fucile alla regione ciliare sinistra, fortunatamente attutito dall'elmetto che avevo raccattato nei miei guizzi tra una sparatoria e l'altra e nel mentre si apprestava a sferrarmene un altro, per terra dov'ero caduto, lo abbattei con un colpo della mia P38, rimisi di nuovo in funzione la Lewis e, sanguinante com'ero, rintuzzai un altro attacco, cambiando spesso posizione, come mi avevano insegnato i russi nella guerra della pulce contro il leone, dopo di che si fece avanti un ufficiale con la bandiera bianca che mi parlò in russo, ritenendo che fossi un sovietico, abituato a non chiedere né a concedere quartiere, non ricevendo risposta provò a parlarmi in Italiano: " Il mio comandante, per il tuo valore, ti offre l'onore delle armi ed un salvacondotto." io mi alzai in piedi e con un colpo di pistola lo fulminai.
Eruppe un inferno di fuoco, dopo un buon tempo di salve di mortai e cannoni, vennero all'attacco in massa, decisi a farla finita, intanto avevo mutato posizione ripetutamente e quando giunsero a tiro iniziai il fuoco, ma dovetti abusare della magnifica Lewis che, quando stava per esaurire l' ultimo caricatore, scoppiò senza però ferirmi ed io me la detti a gambe.
Nella proposta di medaglia d'argento, mai ricevuta, è scritto che cagionai al nemico "centinaia di perdite", io so solo che sparai quasi un migliaio di colpi e ne vidi cadere tantissimi, senza prendermi la briga di contarli.
Il 30 aprile, rimasto al comando dell'unica compagnia sfuggita al rastrellamento, appresi da due mostri catturati che alla Rocca delle Camminate operava una banda di torturatori che usavano un cane lupo addestrato a sodomizzare i malcapitati che rifiutavano di tradire, i quali venivano drogati e fotografati e quindi si sentivano dire "Se continui a fare l'eroe, mostreremo questa bella fotografia ai tuoi famigliari perché comprendano perché ti abbiamo ammazzato."
Quelli che resistettero e si salvarono con riscatti in denaro, al quale quei mostri erano dediti come ad un Dio irresistibile, in maggioranza si suicidarono, una mia amica dopo dieci anni, nessuno conseguendo di resistere a quella stigmate.
La notte del 30 aprile '44, in Bertinoro conseguii di giustiziare quel mostro ed il segretario del fascio che lo accompagnava.
Nel pomeriggio precedente mio Padre si trattene per diverse ore con me, trasferendomi tutta l'esperienza di una vita e dandomi le istruzioni per non fallire il colpo, ma tenendomi nascosto che il gestore dell'Albergo Colonna gli aveva confidato che la notte del 7 di quello stesso mese, i mostri, come li chiamava mio Padre, avevano stilato una lista di antifascisti da uccidere per rappresaglia o prima di abbandonare il paese di fronte all'avanzata alleata, nella quale il primo nome era il suo.
Io prevedendo che potesse quanto meno essere arrestato lo pregai di farsi accompagnare presso la casa della staffetta dove saremmo passati dopo l' azione, ma egli mi tacitò: "Io non ti ho mai insegnato la vigliaccheria. Pretendi forse di insegnarla a me? Tu comandi molti uomini e fai la guerra con le armi, io nell'unico modo che ancora posso."
Poco prima mi aveva mostrato un ritaglio de "l'Osservatore Romano" dove si qualificavano come vittime i 32 nazisti abbattuti in via Rasella, come uccisi le vittime delle Fosse Ardeatine per colpa dei codardi che non si erano costituiti e lui, come bene intesi, volle dimostrare che i partigiani non erano affatto codardi.
Fu massacrato con oltre trenta colpi, insieme al fratello Gaetano ed altri tre, poi gli squarciarono il costato con una bomba e vi urinarono, ma nessuno di quei mostri che sfuggì alla giustizia partigiana, dopo essere stati condannati a morte da una Corte d'Assise Straordinaria fu giustiziato e dopo pochi anni furono rimessi in libertà.
Occorrerebbe un libro per narrare tutti i combattimenti in cui fui coinvolto: dirò solo di quelli citati nella proposta di medaglia d'argento: capo pattuglia con altri due uomini, incappammo, il 22 luglio '44, verso le 23, in due compagnie dell'esercito di Graziani, attestate attorno e dentro a Ranchio di Sarsina(FC); ne seguì uno scontro coi mie due compagni feriti da schegge di bombe a mano che quei mostriciattoli si lanciavano tra i piedi, rimanendo io solo e ferito da una proiettile di moschetto che prima aveva trapassato un mostro, sparatogli nella schiena da un suo camerata e poi anch 'io, liberandomi di lui, nel mentre stavo per abbatterlo con la pistola, essendosi inceppato lo Sten [una pistola mitragliatrice inglese] permettendomi di riarmarlo e di sparare tutti i 32 colpi rimasti sul gruppo che in preda al panico gridava "Mamma aiuto, aiuto", poi ritiratomi dietro l 'angolo della via, gridando "Stalin Urrà" che maggiormente terrorizzava i mostri nazifascisti ed in particolare i fascisti, lanciai due bombe offensive inglesi una tra i caduti ed una il più lontano possibile tra quelli in fuga.
Nel bollettino della Brigata vennero accreditati quattro morti e vari feriti, ma a me parvero molti di più, anche se, come sempre, non mi preoccupai di contarli.
Pirini, alla mia destra fu ferito, al petto da schegge di bomba e raggiunse la base prima di me, io cambiando il caricatore allo Sten, mi accorsi di essere ferito e sentendomi un sapore dolciastro in bocca mi preoccupai che una emorragia non mi impedisse il ritorno e mi diressi verso la base, se non che sulla strada che dovetti attraversare notai una mitragliatrice Breda abbandonata, con caricatore innestato e lo sparai verso il basso della via dal quale udii pervenire lo scalpiccio di passi, dopo di che estrassi la massa battente e ritornai alla base.
Fortunatamente il proiettile aveva leso di striscio il solo parenchima polmonare destro e dopo pochi giorni ero ancora sul sentiero di guerra.
Fantini, alla mia sinistra, ebbe gli occhi bruciacchiati, da una delle tante bombe Balilla, quasi inoffensive, lasciate cadere per terra dai mostri terrorizzati, e si rifugiò su un frondoso gelso, di mattino facendosi accompagnare da una ragazza in una casa, dove fu medicato dal parroco che lo convinse a consegnarsi per salvare dieci ostaggi dalla fucilazione ed il borgo dall'incendio, minacciato dal comandante della piazza di Forlì, giunto con rinforzi, sembrando che fosse rimasto ucciso anche un tedesco, ad opera delle truppe fasciste perché non rivelasse la loro pessima performance.
Fantini, dopo efferate torture, nel primo pomeriggio del 23 luglio, fu impiccato per lo scroto e per il collo, di fronte della popolazione forzata ad assistere, fornendo ad uno il destro di fotografarlo ed a me di recuperare l'istantanea, mezzo secolo dopo, che debitamente ingrandita costituisce un sanguinoso documento della mostruosità nazifascista.
A Fantini fu proposta e concessa la medaglia d'argento per fatti di cui non si era reso affatto artefice, essendo arrivato in Brigata, insieme al fratello, alcuni giorni prima, invece della medaglia d'oro che gli sarebbe spettata di pieno diritto per l'atto di eroismo effettivamente compiuto; io negli anni scorsi chiesi, inutilmente, la riparazione del torto fattogli, ma l'Italia non cambia mai!
Io mi scontrai duramente col Comandante della Brigata che si rifiutò di mandare alcune compagnie a recuperare la mitragliatrice e soprattutto il Fantini e dopo alcuni giorni apprendendo che il mio caro Compagno Aslan era stato ucciso per suo ordine, col barbino pretesto che non parlava bene il russo, mentre non lo poteva essendo un montanaro del Cuban che aveva trascorso tutta la sua vita a fare il guardia boschi prima che si scatenasse la tregenda della guerra, fatto che io a seguito della pregressa uccisione del suo predecessore Comandante di Brigata Libero e della Compagna Zita mi forzò a chiedere le dimissioni, con l'autorizzazione a portare con me le mie armi, scontro che fu risolto con l'intervento del Commissario della Brigata Compagno Bernardo e del Vice Comandante Battaglia, i quali, essendo pervenuta la richiesta di fornire un comandante di distaccamento alla 29ª Brigata GAP, in Forlì, mi proposero quel compromesso da me prontamente accettato.
Sorvolerò sui pericoli e le traversie occorsemi a cagione degli "attendisti" , una sottospecie bastarda di pseudo partigiani, che per evitare pericoli e rappresaglie, pretendevano di attendere, con le mani in mano, l'arrivo degli Alleati.
In agosto furono catturati dalla parti di Castrocaro ed impiccati prima lassù e poi in piazza a Forlì lo stato maggiore della Banda Corbari, dal nome del suo eroico Comandante, MEDAGLIA D'ORO, fui salvato mandandomi a riorganizzarne i resti, conseguendolo in parte, dato il poco tempo disponibile, ma in toto il più eclatante fatto d'armi riportato nel bollettino della Brigata, introducendomi, travestito da milite fascista ferito, nel posto radio che manteneva i contatti del fronte sulla Linea Gotica col comando della Wehrmacht, distruggendolo, dopo avere abbattuti un capitano e due tenenti.
Nella ritirata riportai ferite ancora ben visibili al padiglione auricolare destro, al cranio ed alle gambe da schegge di bombe a mano, lanciate senza risparmio giù per il calanco dove mi buttai a rotta di collo ed i tedeschi non ebbero il coraggio di seguirmi, aggirando l'ostacolo ma finalmente andando a cozzare contro il fuoco dei mie compagni, attestatisi in un luogo da loro ritenuto più idoneo, mentre se lo era per loro, non lo fu per me.
Tale fatto risulta anche nella motivazione della proposta di medaglia d' argento che non mi fu concessa, nonostante che il regolamento delle medaglie al valor militare. sia per il fatto di Fregheto quanto per quello di Dovadola, prevedano la concessione di una medaglia d'oro per ciascuno, per chi arrivi per primo sulla trincea nemica e per chi, alla testa della sua unità, resista a preponderanti forze nemiche.
Immediatamente dopo, a seguito della minaccia di gravi rappresaglie ed essendovi la necessità del mio ritorno per programmare la liberazione di Forlì, fui richiamato.
Feci ancora del mio meglio ma non intendo parlarne non volendo attirarmi qualche altra indagine come quella in corso per l'eccidio di Schio al quale non partecipai, indagine per la quale il P.M. ha chiesto l'archiviazione "per infondatezza della notizia di reato", essendosi trattato di un abietto canard elettorale di certa stampa specializzata in materia..
Ritornai a casa il 28 dicembre '44, mentre la Brigata era stata smobilitata il 30 novembre '44, essendo stato contattato dalla Popsky Private Army, una unità speciale dell'8 Armata Inglese, che necessitava di un specialista che comprendesse l'Inglese, parlasse bene in Italiano ed in dialetto e che non avesse paura, quale capo degli esploratori: di notte, andavamo a rilevare i passaggi non minati, facilitati dai rilevanti movimenti notturni eseguiti di massima dalla truppe naziste, per evitare i tremendi attacchi a volo radente ed in picchiata degli onnipresenti caccia bombardieri Inglesi, e noi da bravi cani da riporto e da presa. come ci chiamavamo scherzosamente tra di noi, abbaiando e modulando i latrati come quei bravi animali, con grande sollazzo degli Inglesi, eseguivamo alla perfezione i nostri compiti, fornendo le coordinate delle fortificazioni, che alla mattina dopo venivano irrorate di bombe e cannonate, che io sorvolando il fronte a bordo di un Lisander, piccolo aereo da esplorazione, scortato da alcuni Spitfire, insieme ad un esperto direttore di tiro, che prima all'artiglieria e poi agli aerei, correggeva, a vista, il tiro, attingendo una accuratezza assoluta.
Agivamo in comunella con un Ebreo che, avendo assistito, nascosto in un finto camino, all'assassinio di tutta la sua numerosa famiglia, aveva i denti più avvelenati di un cobra, il quale, oltre ad altri marchingegni, inventò un adesivo con su scritto, in tedesco, "Il prossimo sarai tu" che applicavamo sull'elmetto o sulla fronte, a quelli che liquidavamo con un colpo del retro di un accetta da guastatore alla base della nuca o tagliandogli la gola con un affilato pugnale, raggiungendo in breve tempo un eccellenza tale che, quando ci fu ordinato di riportarne uno vivo, come, sporadicamente, accadeva, per interrogarlo, apprendemmo che di notte defecavano nei rifugi e nelle trincee per timore di incontrarci o uscivano solo in pattuglia, ma fu peggio la toppa del buco per loro, perché quando eravamo a caccia, fattore sorpresa aiutando, con qualche bomba a mano offensiva e raffiche continue, era facile annientare, in un batter d'occhio, anche una pattuglia di una decina di uomini.
Ma una volta ci rimettemmo un compagno, inciampato in una mina, essendo uscito dal retto sentiero segnalato, per schivare le salve di mortaio sparate a casaccio contro di noi, per cui, essendo il nostro lavoro troppo importante, ci fu ordinato di limitarci tutto al più alle morti silenziose, essendo la cagnara, come ci disse il Comandante Popsky, prerogativa dei caccia e delle batterie dei cannoni e mortai che sparavano a colpo sicuro sui bersagli da noi rilevati, uccidendo assai più all'ingrosso di noi.
Il 25 aprile ci fu fornita una jeep armata e bene equipaggiata, con patenti e denaro a bizzeffe, con l'ordine di catturare il duce e di portarlo, vivo o morto, al nostro comando od anche di trattenerlo, vivo o morto, sapendo che vivo non sarebbe certamente arrivato, in un nascondiglio, fornendo le coordinate perché potessero venire a rilevarci, in caso di difficoltà.
Riuscimmo, infelicemente, nella grande baraonda della Liberazione, a vedere Mussolini solo a Piazzale Loreto dopo che, via radio, ci informarono della sua ubicazione.
Di quello che ci apparve di fronte nelle nostre scorrerie, in cerca di altri possibili prede indicateci, posso solo dire che vedemmo lo spettacolo di folle immense ad assistere ai processi sommari ed alle esecuzioni di quelli che loro chiamavano "i boia", non i mostri come mio Padre ed io, tanto era l 'odio che avevano seminato dappertutto con gli assassini, le stragi, gli stupri, le rapine, le torture ed ogni specie di delitto, tanto che pure nei luoghi dove gli aviatori Americani avevano compiuto bombardamenti e mitragliamenti, a volo radente contro civili indifesi, insistendovi fino a quando glie lo permetteva l'autonomia dei loro aerei, la popolazione non gli mostrava nessuna repulsa, ritenendo, nel loro immaginario collettivo, che fosse dovuto a colpa dei nazifascisti, che avevano voluto continuare una guerra già perduta, essendogli rimasti impressi i ghigni mostruosi ed orrendi degli sgherri quando gli infliggevano sofferenze e soprusi terrificanti ed indimenticabili.
Solo per citare un esempio a me noto nei dettagli, in provincia di Forlì, dal 15 settembre '43 al 15 novembre '44 , durante 13 mesi, vi furono 55 assassini e stragi per un totale di 492 assassinati, una media di quasi 38 al mese, mentre nel Nord Italia, dove la carneficina durò sei mesi in più, il sangue dei martiri e degli innocenti fu infinitamente più copioso.
Quello continuo stillicidio di assassini rendeva incredibile l'abituale pretesto dei mostri di non averne mai saputo nulla e men che meno di avervi mai partecipato, come accade tuttora ai mostri ai quali viene permesso di pavoneggiarsi in televisione, tanto che un compagno incontrato in carcere, fratello di assassinati, mi raccontò che non li lasciava nemmeno aprire bocca, dicendogli: "Lo so, lo so bene, tu non hai fatto niente di male a nessuno, come tutti gli altri figli di troia, anzi ne hai salvati tanti. Ma stai tranquillo, tu sei capitato in buone mani, io uccido solo gli innocenti, ai criminali provvedono gli altri."
Se non vi avesse provveduto la sommaria giustizia partigiana e popolare, come del resto era previsto da un decreto legislativo luogotenenziale che consentiva l'esecuzione, previo un sommario giudizio che accertasse l' identità dei collaborazionisti, delle 870 condanne a morte, irrogate dalle Corti di Assise Straordinarie, solo 91 furono eseguite, mandando praticamente esenti da pena tutti i criminali collaborazionisti.
Se, poi, non fosse stato per l'intransigenza di De Gasperi che si oppose alla volontà del reazionario Pio XII che pretendeva, in occasione delle elezioni amministrative per il Campidoglio, di intruppare i missini e i monarchici, nella lista coi democristiani, ci saremmo ritrovati i mostri repubblichini, oltre che nel Campidoglio, anche nel governo nella decade 1950, invece che nel 1992.
In verità i mostri avevano fatto in ogni dove tutto il peggio possibile, astenendosene solo quando gli fu impedito da forza maggiore: anche quei giovani salodiani, tanto apprezzati da Violante, in una sua esternazione in Parlamento, quando era in corsa per l'elezione al Quirinale ed ora da un giornalista sedicente sinistrorso nella sua geremiade e panegirico, in un libro scritto per soli fini di cassetta, ma del tutto falso nelle statistiche, a favore di coloro che pagarono lo scotto dei loro crimini perché nessuno dei salodiani era innocente, tutti bene consapevoli e conniventi dei crimini mostruosi perpetrati dall'unità in cui militava, non certo per amore di patria.
A mio Padre, mentre traeva dal portafoglio la carta d'identità richiestagli, quando furono a prelevarlo per assassinarlo, chiesero la consegna di tutti soldi che vi avevano intravisti, impediti da un soldato tedesco presente, con la minaccia del mitra e un secco: "Solo papir, soldi lasciare signora", come mi ha precisato mia sorella Enrica, presente, diversamente da quanto mi fu detto da qualcuno di quei mostri, quando furono accalappiati, ritornati, quando il tedesco non c'era più, a rapinarci un autocarro, forzando mio cugino Pasini Giuseppe, tuttora vivente, a consegnarglielo con un mitra puntato nella schiena.
In una intervista apparsa su un quotidiano, il giorno 10 c.m. il solito giornalista fa il panegirico di un suo libro concernente "quei fascisti uccisi dopo il 25 aprile", morti delle quali piange l'orrore, aggiungendovi il dettaglio di uno stupro ed omicidio, assai probabilmente frutto di fantasia, essendomi nota la morale spartana e la draconiana giustizia partigiana contro gli stupratori ed ancor più la ripugnanza insuperabile per un partigiano di copulare con una troia, termine più eufemistico che io abbia mai sentito usare da un partigiano nei confronti delle così dette ausiliarie, fatto impossibile da consumarsi in presenza di altri perché avrebbe procurato, quanto meno, una valanga di calci allo sporcaccione che avesse osato tanto, con l'immediata disarmo e l'espulsione dalla brigata e la sommaria esecuzione se lo stupro fosse stato consumato; panegirico, quindi, comprovante che, esaurito lo sfruttamento del filone dei Caduti partigiani, revisionismo e trasformismo imperando, si tende a fare cassa coi mostri giustiziati nei giorni della resa dei conti.
Altro e morire e altro e parlare di morte e pancia piena non sa della vuota, come dimostra il nostro pseudo antifascista che, se invece di inventarsi un' accompagnatrice di fantasia per attraversare un inferno di sua invenzione, si fosse fatto guidare da uno che come me ha assistito alla fucilazione di tre Compagni, attraverso il binocolo che da 300 metri di distanza mi rese lo scempio chiaro come se fossi in mezzo ai morituri anch'io, prima ferocemente seviziati, nonostante si fossero arresi senza sparare, mentre ero impossibilitato ad intervenire, essendo solo e di guardia ad un tratturo minato, in prossimità del quale dovevo attendere il passaggio dei mostri per farlo deflagrare al loro ritorno, avrebbe nutrito sentimenti bene diversi da quelli espressi nella sua intervista.
Obiettivamente, senza avere come me tre Famigliari trucidati, visto compagni assassinati, uno seviziato e impiccato per i coglioni, del quale posso esibire le orrende fotografie, bambini bruciati vivi, solo che avesse posto mente a quegli spettacoli orrendi ovunque accaduti, ad opera di quei suoi beneamati fascisti giustiziati il 25 aprile, avrebbe usato maggiore ponderatezza e rispetto della verità storica, se non fosse stato mosso dalla ricerca del plauso dei nostri nemici di allora e di oggi ed anche di lucro.
Le brigate nere, almeno in provincia di Forlì, mai si scontrarono con gli Alleati, ma esclusivamente agirono a ridosso dei nazisti, quali tirapiedi di quei boia, anzi sostituendosi a quelli nelle esecuzioni, per permettersi gli stupri e le grassazioni di prammatica dopo che i rastrellamenti nazisti ci obbligavano a sgombrare il campo, disponendo essi di cannoni e mortai, contro i quali la difesa ad oltranza avrebbe costituito un inconsulto suicidio, permettendoci le armi leggere in nostro possesso solo le imboscate ed il mordi e fuggi, poiché un soldato che si ritira, a ragione veduta ed ordinatamente, è buono per un'altra volta, come ho esperimentato, quasi giornalmente, durante tutta la guerra, anche quando la continuai con gli Inglesi, servendo da esploratore e da incursore notturno.
Ogni volta che, sugli Appennini, ritornavamo ad occupare le precedenti posizioni, non ci restava altro che constatare gli orrori perpetrati dai repubblichini e morderci le mani, non potendo scendere ad attaccarli nei loro covi cittadini, difettando di armi efficaci per batterci contro la Wehrmacht in campo aperto, non forniteci dagli Alleati, nonostante le nostre pressanti richieste ed anche per deficienze di comando, avendo il PCI, i cui membri formavano il comando della nostra Brigata, sprecato il suo tempo ad ammazzare il quaranta per cento dei suoi aderenti, emigrati nell'URSS, invece di mandarli all'efficiente accademia militare sovietica o di organizzarne una in proprio perché apprendessero almeno in rudimenti della guerriglia; oltre, naturalmente, a impedire che si attentasse alla vita del duce, proibendo persino ai suoi emissari in Italia di portare armi e tanto meno di usarle. .
I repubblichini bene sapendo dove avrebbero potuto incontrarci, mai osarono confrontarci, con una sola eccezione, quando essendo stati informati da un delatore dove avrebbe pernottato Corbari, capo di una banda autonoma che aveva dato molto filo da torcere e ridicolizzato, con arditi colpi di mano, i mostri neri locali, lo circondarono con forze preponderanti, riuscendo a sopraffarlo insieme al suo stato maggiore e poi ad impiccarli a Castrocaro, feriti o morti com'erano, e di nuovo in piazza Saffi, nel centro di Forlì per diversi giorni.
Noi vedemmo lo scempio perpetrato dalle SS fasciste, a Tavolicci, con 69 bruciati vivi, tra i quali 19 bambini, a solo scopo di rapina e dietro pagamento da parte di chi si ritenne danneggiato da requisizioni effettuate dai partigiani, senza che quei poveri montanari nulla sapessero dell' accaduto lontano decine di chilometri, con l'unico responsabile, tratto a giudizio, dopo la Liberazione, condannato a morte, che la fece franca, come tutti gli altri mostri condannati a morte per altri eccidi, mediante 18 sentenze, tutte non eseguite.
Un recente esperimento condotto presso l'Università di Los Angeles, in California, ha evidenziato una base fisiologica nel dolore morale, la "ferita dei sentimenti" non è solo una metafora, perché il cervello reagisce provocando vere e proprie malattie somatiche in coloro che le hanno sofferte, come io ho constatato durante gli anni che fui il responsabile del Compitato Solidarietà Democratica della mia provincia, delegato all' assistenza delle vittime della guerra di Liberazione e della susseguente reazione contro le masse popolari e democratiche.
Anche a distanza di anni non pochi di coloro che soffrirono morti in famiglia o di compagni, soprattutto se furono soggetti a bestiali torture, riportarono gravissimi disturbi e malattie di natura psicosomatica fino alla morte, senza che mai ricevessero alcun aiuto dallo Stato anche perché rifiutarono sempre di denunciare, per incoercibile pudore, quanto patito negli antri di tortura della Rocca delle Camminate, castello del duce, allora trasformato in una delle tante ville tristi d'Italia.
Noi partigiani demmo sempre la precedenza ai nazisti nei nostri attacchi, avendo bene chiaro che, appena si sarebbero arresi agli Alleati, avremmo potuto, senza intermediari, fare i conti coi mostri locali, i quali, secondo quanto era avvenuto il 25 luglio 1943, quando una intera Divisione M, munita di carri armati pesanti, di stanza a Roma, non ebbe il coraggio neppure di starnutire, si sarebbero similmente comportati, appena rimasti orfani dei loro padroni nazisti e così fu il 25 aprile 1945!
Le brigate nere sorte in armi, a loro dire, per difendere il sacro suolo della patria e per salvaguardare il loro onore di soldati, mai si cimentarono contro gli Alleati, ritirandosi al Nord ancora prima di udire il lontano rombo dei cannoni Alleati, per persistere nelle loro abituali rapine e stupri, lasciando ai nazisti di sbrogliarsela da soli; spingendosi tanto oltre nella loro codardia ed infamia che nel caso della Decima Mas, al loro capo, principe Borghese, furono inflitti 60 giorni di fortezza per non avere saputo impedire alla sua marmaglia, in Milano, di dedicarsi a grassazioni, stupri e rapine quotidiane, mentre altri stupratori, grassatori e torturatori furono direttamente arrestati dagli stessi comandi nazisti, avendo superati anche i loro orridi standard, e trovati in carcere il giorno della Liberazione.
Appena avvenne la resa mi fu permesso dall'unità Inglese, in cui servivo da responsabile delle guide ed esploratori italiani, di precederla con una jeep armata e non ho mai visto e nemmeno appreso di donne stuprate e poi abbattute e neppure negli anni di carcere, durante i quali divenni una specie di Almanacco di Gotha di tutti gli atti di giustizia partigiana, ricorrendo a me gli altri condetenuti politici antifascisti per farsi aiutare nella redazione di istanze e lettere, diventando il loro confidente.
Vero fu che dopo la Liberazione, ovunque gli si offerse l'occasione, il popolo si fece giustizia, quanto più feroce e assatanato era stato il collaborazionismo dei mostri locali, tanto più tenace era la volontà popolare di una giusta retribuzione, in relazione all'odio seminato in tutto il mondo, avendo al servizio dell'invasore massacrato gente inerme, donne, bambini, vecchi, spesso bruciati vivi, lasciando un sentiero di morte e distruzione di oltre sedicimila vittime, alle quali, per decisione dei governi che si avvicendarono dal 1946 in poi, fu denegata, totalmente, giustizia, complice e pronuba anche una sinistra interessata solo a fare bottino di voti, prebende e sinecure, in forsennata contesa con la DC, nell' arraffare bustarelle, come poi Mani Pulite doveva ampiamente dimostrare.
Se il popolo avesse minimamente previsto che, dopo un anno dal 25 aprile, un 'amnistia, con il suo codazzo di "sentenze suicide", avrebbe mandato esenti da pena tutti i mostri, una rivolta inarrestabile avrebbe posto a ferro e a fuoco l'Italia che neppure gli eserciti Alleati avrebbero potuto prevenire e tanto meno soffocare senza una dura e sanguinosa campagna.
Nonostante tutto quanto noi partigiani avevamo sofferto, un'ipotesi del genere era incredibile anche a me che, pure a conoscenza degli intrallazzi di Togliatti con la monarchia ed il Vaticano, avevo in parte creduto alle sue assicurazioni che quegli approcci fossero espedienti per gettare polvere negli occhi agli avversari, contrariamente a quanto dovetti constatare in seguito, avendo egli, pedissequamente, seguito, anche in Italia, la politica staliniana di compromesso ad ogni costo coi poteri forti, a pregiudizio dei deboli, seguita poi dai suoi emuli bastardi a tutt'oggi.
In tutte le altre nazioni Europee, dove la retribuzione dei crimini nazifascisti non è stata mercificata in cambio della laida rincorsa ai voti dei mostri neri e dei loro parenti, nessun partito fascista è andato al governo; in Italia non è stata sconfitta una illusione, come opinò un giornalista di mia conoscenza, bensì il tradimento e la corruzione ci hanno condotti dal 25 aprile 1945 al 13 maggio 2001, mutando una folgorante vittoria sul campo di battaglia in una lunga serie di sconfitte e di mercimoni a tavolino; non per niente la Resistenza Italiana fu seconda in Europa solo a quella Iugoslava!
E voglio smentire la diceria dei mostri sopravissuti che senza gli Alleati non li avremmo sconfitti, ed è vero, perfettamente vero, essendo però altrettanto vero che senza i nazisti non ce ne sarebbe stato alcun bisogno, dato che a loro non sarebbe nemmeno passato per l'anticamera del cervello di tentare di risorgere, come dimostrarono innumerevoli fatti ai quali assistetti dopo il 25 luglio 1943, quando si lasciarono scazzottare e prendere a calci nel sedere dalle loro vittime, singolarmente, senza che nessuno reagisse minimamente; inoltre nel Nord Italia si arresero ai partigiani, quando gli Alleati erano ancora distanti, senza osare abbozzare alcuna difesa e morirono con dimostrazioni di codardia estrema, della quale fu esponente il federale torinese Solaro che, nel tentativo di evitare il capestro, denunciò uno per uno tutti i franchi tiratori appostati in città, per suo ordine, al fine di causare perdite ai partigiani in arrivo, indicando con cura i passaggi dai quali prenderli alle spalle, causandone la morte..
Manzoni, fervente cattolico, riteneva che: "I prevaricatori non solo sono responsabili del male che fanno ma anche delle reazioni indignate che provocano." Ed i mostri si ebbero solo una piccola parte di quanto avevano seminato sia in Europa, che in Italia ed in Africa!
Quel giornalista avrebbe dovuto, per essere imparziale, almeno un poco, trattare anche la storia dei 219.481 collaborazionisti amnistiati, dei 30.000 scarcerati e delle 2.979 sentenze relative a sevizie particolarmente efferate, vanificate dall'amnistia del 22 giugno1946, in simbiosi con lo sconcio unico, a livello planetario, delle "sentenze suicide", sfornate a getto continuo dai giudici togati per sabotare la volontà dei giudici popolari ed infine la vergogna tutta italica della parti lese costrette a comparire a testimoniare contro gli assassini dei loro parenti, irrise e svillaneggiate dalla difesa, sotto lo sguardo corrivo dei giudici togati e l 'impotenza dei giudici polari, oramai succubi di quelle tragiche farse.
Sarebbe pure stato opportuno e più democratico investigare come e chi dispose l'occultamento, nel famigerato "Armadio della Vergogna", dei 690 fascicoli relativi alle stragi nazifasciste e le conseguenze che ne derivarono alla debole e malferma nostra democrazia, come gli artifici usati per non consegnare, come ci obbligava il trattato di pace, i criminali di guerra nostrani alle nazioni Alleate che ne avevano fatto richiesta.
Infine non doveva passare sotto silenzio che quelle esecuzioni di collaborazionisti erano state previste e legalizzate, previa identificazione, da un decreto luogotenenziale emanato, in precedenza della Liberazione, dal Governo Italiano.
Quel signore pontificante dall'alto di uno dei più diffusi giornali Italiani, avrebbe dovuto documentarsi anche in relazione alla costante carneficina fratricida dei mostri su scala nazionale; nella lapide sul Municipio di Bertinoro sono scolpiti i nomi di dodici antifascisti caduti in combattimento o trucidati dai mostri, ma da nessuna parte risultano i nomi di tre mostri eliminati dai loro stessi camerati bertinoresi e nemmeno quello di un vecchio mendicante abbattuto, tanto per provare la pistola appena l'ebbe ottenuta, da uno quei mostri, poi abbattuto, non dai partigiani, ma dalla giustizia popolare.
Se si moltiplica 4.000 circa, quanti sono i comuni italiani da Roma in su, per 3, essendosi quel pranzo di Crono ripetuto dappertutto, si avrà un totale dei mostri uccisi da abbassare grandemente il numero di quelli giustiziati dai partigiani e dal popolo per sua propria mano.
Tutti i nostri massimi criminali di guerra, in violazione del trattato di pace sottoscritto da De Gasperi a Parigi e della giustizia internazionale, alle varie nazioni, quali l'URSS, la Iugoslavia, la Grecia ed altre che ne avevano fatto richiesta, non furono consegnati dai nostri "padri della patria", medianti artifici e raggiri, da Badoglio, a Roatta, al quale fu procurata la fuga dall'Ospedale del Celio, con la complicità dei servizi segreti e del Vaticano, a Graziani, a Robotti, a Magaldi, a Sorrentino e a tutti gli altri generali e ufficiali, in numero di circa 1.500, accusati di crimini di guerra all'estero, non minori di quelli commessi dai mostri nazifascisti in Italia, nel tentativo di cancellare la memoria storica e l' infamia di uno Stato che aveva condiviso, almeno fino al 1943,le scelte e i crimini dell'alleanza coi nazisti, dopo averne commessi in proprio, in Europa ed in Africa, ancora prima di Hitler.
Graziani, Borghese e tutti i generali repubblichini, sfuggiti alla giustizia partigiana, trascorsero solo qualche anno in carcere e Leto, direttore dell' OVRA, a seguito degli intrallazzi con Togliatti, Nenni e De Gasperi, ognuno interessato a salvaguardare i suoi delatori, rimase in carcere solo pochi mesi per assurgere a direttore della scuola di polizia ai tempi di Scelba al Ministero degli Interni.
Nel 1946 le esecuzioni di tutte le sentenze di morte transitate in giudicato furono sospese in favore di tutti i mostri neri, ma nella seconda metà dell' anno tre siciliani, condannati a morte per avere assassinato un'intera famiglia a scopo di rapina, avendo però risparmiato un bambino, a differenza dei mostri neri che li bruciavano sempre vivi, insieme ai loro famigliari, furono fucilati, a dimostrazione dell'insondabile bassezza dei nostri politicanti.
Nella patria del diritto e di Cesare Beccaria, se bruci vivi 69 persone, tra cui 19 bambini, a scopo di lucro, come a Tavolicci, o centinaia come in tante altre località, se sei un mostro nazifascista i "padri della patria" ti risparmino la vita e dopo qualche anno ti rimandano a casa, se invece sei un criminale comune, anche se ti sei limitato ad ammazzarne solo qualche sfortunata vittima, ma risparmiando un bambino,loro ti mandano all'inferno, subito e senza pietà, come avvenne a Torino, nel 1946, dove furono fucilati tre siciliani che a scopo di rapina avevano trucidato una famiglia, lasciando però indenne un fanciullo, quando quel grande giurista di De Nicola rifiutò la grazia, su proposta naturalmente, di un guardasigilli comunista, rivoluzionario di professione!
La miope, becera, infame e stalinista politica di Togliatti col suo trasformismo, e ovviamente dei suoi colleghi di merende, noi partigiani, i lavoratori e l'Italia l'abbiamo pagata con decine di migliaia di anni di galera e le classi lavoratrici con la repressione sistematica da essa subita che, solo tra il 1948 e il 1953, costò 93.000 lavoratori processati e di questi 61.243 condannati a 20.426 anni di carcere, mentre 75 lavoratori furono sommariamente uccisi dalle "forze dell'ordine" e 5.104 feriti, notando che i morti ammazzati, i feriti, i lavoratori arrestati e condannati, nel corso di quei sei anni, mentre, durante il ventennio della dittatura fascista le condanne a morte del Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato furono 38, della quali 31 eseguite, le vittime circa 3.000 e le condanne detentive e al confino circa cinquemila, con 27/28.000 anni di galera.
Dal 1956 in poi vi furono le stragi fasciste e di stato che provocarono 144 morti e 744 feriti, con lo zampino dei nostri servizi secreti, in collaborazione con quelli americani; stragi sulle quali non è stato ancora tolto il segreto di Stato, prolungato anzi per altri venti anni dal governo D'Alema, che Fini promise di abolire senza però degnarsi di farlo, in maniera che ingiustizia eterna sia garantita anche a quelle vittime, com'è prassi costante nella terra di Maramaldo.
Un'altra truce conseguenza del regime democristiano e del trasformismo delle sinistre, confermata, certificata ed evidenziata dalla statitistica, è che, in soli cinque anni, dal 1948 in poi, uccise, ferì, imprigionò e processò, se si considera quanto era accaduto dal 1946 al 1948 e dal 1954 in poi, un numero di lavoratori assai maggiore di quanto non fece, durante un ventennio, il regime del "male assoluto", sfruttando le masse lavoratrici in maniera non meno infame, facendo ricadere esclusivamente su di loro il peso della ricostruzione e delle perduranti crasse merende degli oligarchi e dei poteri forti, potendosi concludere che: "quod non fecerunt barbari, fecerunt barberini!"
Senza contare i morti in ragione di ben oltre 1.000 ed i feriti in ben oltre 100.000 all'anno sul lavoro: il costo di una guerra perduta e tuttora imperversante ed i feriti, peggio che in Irak, nel silenzio complice di tutti i partiti, sindacati inclusi, chiesa e poteri forti!
Le Brigate Rosse furono e sono, quindi, una logica conseguenza di un tale marasma, non tutti gli Italiani, specialmente i giovani, sono disposti a sopportare, nel nome della democrazia dei "signori del vapore" e della "condivisione della storia", tutto ed il contrario di tutto, come ha riconosciuto apertamente anche il Presidente Cossiga.
I "padri della patria" italioti, infatti, violarono anche le più antiche leggi dell'umanità, dato che i nostri lontani progenitori furono, naturalmente, portati a condannare l'omicidio, lo stupro, il ladrocinio, anche se ciò non toglieva che stragi, violenze e saccheggi fossero permessi, anzi addirittura premiati (anche oggi!) se commessi nei riguardi dei nemici, le stesse leggi che regolano la vita degli animali.
Ebbene quei signori, i cui nomi infestano tutta la toponomastica del Bel Paese, ad alcuni dei quali furono innalzati monumenti, fecero di molto peggio, amnistiando e condonando le stragi, gli stupri, le violenze, le torture e i saccheggi non perpetrati a danno del nemico, ma a nostro danno e insulto, spingendosi, nelle loro assolta corruzione, turpi e laide ammucchiate, fino a confondere ogni idea di etica del popolo Italiano, già abbastanza appestato dal fascismo, tanto da fargli accettare mostri collaborazionisti quali ministri e la iena ridens di Arcore quale primo ministro!
Le canagliate dei mestatori, corrotti e falsari nostri "padri della patria" possono essere meglio evidenziate da sei fatti, tre, fra i tanti, di responsabilità dei sinistri e tre dei centristi: Togliatti fece purgare i "Quaderni dal Carcere" di Gramsci di tutto quanto a lui dispiaceva, e non era poco, poi, nel 1948, fece pubblicar, su "il Progresso d'Italia", giornale di sinistra, edito a Bologna, un articolo nel quale si sosteneva, con dovizia di particolari, che gli Americani non avevano sganciato sul Giappone bombe atomiche, bensì mastodontiche bombe convenzionali, ognuna trasportata da una troica di fortezze volanti [ io mi trovavo detenuto nel Carcere di San Giovanni in Monte, a Bologna, ora mutato di destinazione, dove i giornali erano proibiti ed io lo pagavo un pacco di sigarette alla guardia che me lo portava, clandestinamente, che da quel giorno mi risparmiai ] ed infine si rifiutò di renderci edotti del "Rapporto Kruscev " circa i crimini di Stalin, sostenendo che non esisteva.
Dal canto loro i suoi fratelli siamesi democristiani vollero superarlo in infamia, nascondendoci: "l'armadio della vergogna", gli accordi con gli Americani per lo stazionamento nei nostri porti e aeroporti di sommergibili, navi ed aerei con ordigni nucleari, mentre erano proibite, per volontà popolare, le centrali nucleari per usi pacifici e ci nascondono, a tutt' oggi, i fascicoli dei servizi segreti, a partire dalla strage di Portella della Ginestra, fino alle stragi di Stato, allo stragismo fascista e Nato in connivenza con i servizi segreti locali e la CIA.
Sempre dal 1948 al 1953 il costo del lavoro fu mantenuto alla metà degli altri paesi industrializzati; da tale orrenda macelleria all'ingrosso e al minuto, in tutti i sensi, e abietto sfruttamento sorse il "miracolo economico" di cui si usa dare vanto ai vari "padri della patria" che su quel sudore forzato,lacrime e sangue permisero ai "padroni del vapore" di ricostruire e ingigantire le loro fortune, alla base delle quali, sosteneva Marx, vi è sempre una grande rapina, come avvenne particolarmente nel caso dell'Italia, rapina che continuò fino ad oggi per la corruzione della classe politica e dei bonzi sindacali, tutti senza esclusioni, dato che nessuno ebbe mai il coraggio di dimettersi, della sinistra, del centro e della destra, tutti attaccati alle greppie del nostro capitalismo straccione, come dimostrano, apoditticamente, i seguenti dati, pubblicati dal settimanale "Famiglia Cristiana", quasi l'unica rivista, ironia della sorte, a bandire le verità scomode, che comprovano un'altra affermazione di Marx "la storia prima è tragedia, poi si ripete in farsa": Alti e bassi degli scioperi dal 1974 al 1995 Anno e Tasso di assenza dal lavoro per agitazioni. La tabella indica la percentuale di assenza per sciopero del singolo lavoratore dell'industria manifatturiera sul totale annuo delle ore lavorabili (circa 1.750). Il 2,44 del 1979 significa che quell'anno il dipendente industriale ha scioperato 42 ore, mentre nel 1995 furono (0,10) le assenze per protesta sindacale e non hanno raggiunto le due ore. 1974 2,12 1975 1,37 1976 2,12 1977 1.37 1978 0,76 1979 2,44 1980 1,80 1981 0,66 1982 1,60 1983 1,36 1984 0,52 1985 0,62 1986 0,47 1987 0,36 1988 0,41 1989 0,47 1990 1,20 1991 0,40 1992 0,46 1993 0,39 1994 0,40 1995 0,10
Ciò evidenzia, statisticamente, come le sinistre italiane, quando sono al potere, sappiano buggerare le classi lavoratrici, nell'interesse dei loro sfruttatori, meglio di chiunque altro e quanto fosse poco avveduto e meno lungimirante l'avv. Agnelli quando, ai suoi colleghi di crasse merende, disse di Berlusconi: "Lasciatelo fare, se vincerà, vincerà anche per noi, se perderà, perderà lui solo."
Mentre invece sta perdendo per tutti, lui escluso, aiutato, a tutt'uomo, dai sinistrorsi suoi precursori, sotto gli occhi di tutti, svergognatamente.
Dato che a chi accusa compete l'obbligo di produrre le pezze giustificative e non esiste miglior prova delle confessione dei rei, quando corroborata da certi altri indizi e fatti, io riporto le del tutto volontarie confessioni dei responsabili di tali fatti e conseguenze: Togliatti, il 20 giugno 1947, all'Assemblea Costituente, ebbe a piatire la benevolenza del nemico di classe dichiarando: "Gli operai hanno moderato il loro movimento.... Hanno accettato la tregua salariale senza che vi fosse la corrispondente sospensione dell'aumento dei prezzi.... Nulla si può rimproverare agli operai, ai lavoratori, e quei partiti che li rappresentano non possono essere oggetto della manovra di cui sono stati fatti oggetto."
Il 21 dicembre 1948, De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri, alla Camera dei Deputati, concesse alle sinistre una specie di laurea in trasformismo e tradimento dei loro rappresentati, affermando: "E ringrazio anche l'opposizione, per la parte oggettiva che essa ha avuto nelle commissioni. Direi che l'opposizione, vista nei settori delle commissioni, ha un aspetto più costruttivo di quello che si possa vedere nell'Assemblea".
Al che Francesco Cacciatore della sinistra, ribatté: "Anche la maggioranza."
Come risulta dagli atti Parlamentari e riportato in un libro scritto dall'
ineffabile Giulio Andreotti.
Non certamente per sentimenti cristiani, quando Pallante sparò a Togliatti, nel 1948, la FIAT mise a disposizione di suo figlio un aereo per trasportarlo da Genova a Roma, mentre coi suoi lavoratori si comportava con assai meno fair play.
Maggioranza e opposizione, destra e sinistra, da sempre, si accapigliano in pubblico, poi, a somiglianza dei ladri di Pisa che di giorno litigano e di notte vanno a rubare insieme, nel privato delle commissioni, lontani da occhi indiscreti, collaborano al ristabilimento, puro e semplice, del dominio incontrastato ed egemonico dei "padroni del vapore ", sulla pelle degli sfruttati e degli oppressi, ora continuando la lottizzazione ed il sacco d'Italia, che Mani Pulite doveva poi tentare di esorcizzare inutilmente, come hanno dimostrato Fassino, D'Alema e Berlusconi, viribus unitis, contro l'articolo 18!
Un'altra truce conseguenza del regime democristiano e del trasformismo delle sinistre, confermata, certificata ed evidenziata dalla statitistica, è che, in soli cinque anni, dal 1948 in poi, uccise, ferì, imprigionò e processò un numero di lavoratori assai maggiore di quanto non fece, durante un ventennio, il regime del "male assoluto", sfruttando le masse lavoratrici in maniera non meno infame; dal che si può concludere:"quod non fecerunt barbari, fecerunt barberini!"
Mio Padre, un mazziniano, nel pomeriggio del 30 aprile 1944, sapendo che quella stessa notte avrebbe affrontato, inerme, i mostri che sarebbero andati ad ucciderlo, nel tentativo di trasmettermi tutta la sua esperienza della vita e della storia, mi ammonì:" Chi fa una rivoluzione a metà si scava la fossa con le proprie mani; i nemici d'Italia sono tre: il fascismo il papato ed il re; con l'ultimo Togliatti è già venuto a compromesso, contro il papa, complice di Hitler, di Mussolini e dei criminali Cardinale Stepinac e Monsignor Tiso, non ha detto neppure una sola parola e alla fine troverà il modo di accordarsi anche coi mostri; fai attenzione perché vi tradirà, come ha fatto sempre e con tutti. Se il papa ed il re non saranno processati come criminali di guerra, vorrà dire che tutti i nostri sacrifici saranno stati vani."
Julius Fucik , uno dei più grandi martiri della Resistenza Europea, nel suo immortale libro "Scritto sotto la forca" ci lasciò un sacro mandato: " Li hai visti ogni giorno, eri obbligato a essere quotidianamente in contatto con loro e a sopportare la loro presenza, che riempiva l'atmosfera di sangue e di rantoli di agonia; solo la tua fede profonda ti ha sostenuto, la fiducia che essi non possono sfuggire alla giustizia anche se assassinano tutti i testimoni dei loro delitti."
Mio Padre, il pomeriggio del 30 aprile '44, mi disse, prima di accomiatarsi, sapendo che andava a morire: "Ai mostri dagli tutto quello che meritano, senza risparmiare niente a nessuno."
Noi continuiamo a pagare il prezzo di non avere saputo recepire il mandato e l'esempio dei nostri Martiri, né di trarre tutte le dovute conseguenze dai loro ammaestramenti profetici, restandoci come sola attenuante la nostra mal riposta fiducia nei nostri capi fedifraghi.
Se noi partigiani avessimo omesso di rendere un minimo di giustizia ai nostri Compagni Caduti ( il Ministro Scelba indicò in Parlamento in circa 2.500 i collaborazionisti giustiziati dai partigiani, nel cosiddetto "triangolo della morte" contro i 16.000 trucidati dai mostri e i nostri 44.720 Caduti) come avremmo potuto convivere coi loro assassini, senza fare karakiri per la vergogna?
La canzone" Ma Pippo, Pippo non lo sa, ma quando passa ride tutta la città" ci sarebbe convenuta come un guanto nuovo, se avessimo attesi inerti la scarcerazione di tutti gli assassini fascisti.
In provincia di Forlì i partigiani veri, non quelli spuntati come i funghi dopo la pioggia a Liberazione avvenuta, non superarono i 1.200, mentre i caduti furono 489, oltre il 40% del totale, come avvenne più o meno in tutta Italia.
Quando furono a prelevare i Cinque Martiri di Bertinoro, i mostri locali mandarono dentro alle case dei giovinastri di un'altra provincia, mentre loro attesero, rasenti i muri, nella notte, per eseguire l'esecuzione; lo stesso avvenne sempre e dappertutto, individuare gli assassini non fu, quindi, facile e anzi spesso impossibile, anche se tutti i membri di qualsiasi brigata nera parteciparono ed appoggiarono le stragi sempre e dovunque e tale partecipazione a norma dell'articolo 422 Codice Penale comportava la pena di morte.
Gli Alleati giustiziarono, in Italia, due generali tedeschi e ad uno italiano accusati di avere procurato la morte a pochi prigionieri di guerra, perché non avrebbero dovuto farlo i partigiani per le decine di migliaia dei loro Compagni trucidati? Forse i nostri morti erano figli di un Dio minore di quello degli Inglesi?
Sugli Appennini noi avevamo promesso ai quei montanari, servi della gleba, forzati da sempre a vivere come all'età della pietra, che non vi sarebbero più stati padroni, come compenso dei sanguinosi sacrifici sostenuti per appoggiarci contro i nazifascisti e non ebbi più il coraggio di mostrarmi, se non in un caso, quando uno venne a casa mia, minacciato di imminente sfratto perché i mostri gli avevano macellato i figli e non aveva più le braccia sufficienti per condurre il podere e corsi ad impedirlo.
I contadini erano sfruttati e vilipesi assai peggio delle bestie, spesso i padroni erano stati i ras fascisti della zona, durante il ventennio, poi, furbescamente, astenendosi dall'aderire alla repubblichina salodiana, nel tentativo di far dimenticare i loro soprusi e delitti; in tali casi che cosa vi fu di riprovevole se l'asino infine si mutò in leone?
Secondo Brecht: "Violento si dice il fiume che tutto spazza via, ma nessuno dice violente le rive che lo comprimono."
Io, classe 1926, minorenne nel 1946, avevo proposto, facendo anche la voce grossa, presso Togliatti e Amendola, affinché fosse concesso il diritto di voto a tutti i partigiani, a prescindere dall'età, invece di traccheggiare coi repubblichini per ottenere i voti dei parenti dei collaborazionisti in carcere, almeno nel referendum per la repubblica.
Il Segretario della Federazione Comunista di Forlì era stato costretto dalla Direzione del Partito a venire a Bertinoro(FC) a tenere una conferenza a quei "benemeriti" concittadini, tentando di convincerli che il PCI non era loro nemico; ed allo spoglio dei voti, il 2 giugno 1946, avendo io istruito gli scrutatori a consegnare delle schede segnate ai suddetti, constatammo che tutti avevano votato per la monarchia, mentre, come avevo assicurato Togliatti, sarebbe stato sufficiente fare circolare la voce che era rischioso per loro andare a votare, per ridurre di oltre un centinaio, quanti erano all'incirca i repubblichini in Bertinoro, i 630 voti dati alla monarchia, contro i 4.815 per la repubblica.
Nel 1952, in occasione delle elezioni per la così detta "Legge Truffa", non essendo il MIS incluso nel calderone coi partiti di governo, gli fu permesso di appendere, all'inizio del paese, dove il 1 maggio 1944 erano stati assassinati i Cinque Martiri dalla sbirraglia fascista bertinorese, come sta scritto nella lapide sul monumento, un grande striscione col suo stemma e slogan che io, di nottetempo, rimossi, insieme a tutti gli altri apposti in altri siti, bruciandoli nella piazza del Municipio, retto da una giunta PCI/PSI, che aveva autorizzato quello sconcio.
Si noti che in quel tempo io ero il segretario comunale del PCI di Bertinoro, con funzione di coordinatore delle cinque sezioni esistenti, per comprendere l'inenarrabile sofferenza che mi dovetti imporre per resistere e non farmi scoprire ed estromettere, perdendo ogni contatto con le masse beote e potere continuare a trovare qualcuno che, come quella notte della defissone della propaganda missina, mi desse una mano in caso di bisogno.
Il governo Milazzo in Sicilia col MIS ed il PCI fino all'invio dell'ex comandante partigiano Pecchioli, a Fiuggi, a concedere la patente di democrazia ad Alleanza Nazionale ed una sequela infinità di fatti analoghi, occorrendo una enciclopedia per elencarli tutti, ci hanno tratto ai mali passi odierni, propedeutici ad altri peggiori, essendo Berlusconi l'effetto della corruzione insondabile dei partiti tradizionali che l'hanno reso accettabile agli Italiani, disconoscendo le masse quel minimo della nostra storia sufficiente per sapere che al peggio non vi è mai limite e che se lo stavano procurando coi loro stolti voti.
Quando sorse la " Casa della Libertà" io suggerii ai suoi avversari sinistrorsi di additarla qual "Casa del Fascio" per evocare negli anziani che ricordavano quei luoghi come antri di sopraffazione e di torture, ma fu inutile, avendoli il bonismo, il cretinismo parlamentare e la corruzione oramai resi tutti dissennati.
Giacomo Ulivi, diciannovenne, martire della Resistenza, mio coetaneo, nella su ultima lettera prima della fucilazione, scrisse: "Dobbiamo rifare noi stessi."
Evidentemente non ci siamo riusciti, soprattutto a causa dei politici trasformisti e corrotti, principali responsabili della nostra posteriore débâcle.
Ernesto Rossi, uno dei pochi sinceri antifascisti del secolo scorso, che non monetizzò la sua fede inconcussa, nel luglio 1945, quando ancora regnava la generale euforia della Liberazione, disse: "Non bisogna farsi illusioni. Il fascismo non era Mussolini e una piccola cricca di delinquenti. Era il popolo italiano."
Nel 1965 rincarò la dose:"Col letame nessuno, per bravo che sia, può costruire un bel palazzo. Quando dicevamo che il popolo italiano non si meritava Mussolini, avevamo ragione.... perché meritava di peggio."
Oggigiorno strani fenomeni si verificano: non è molto tempo fa che un beota, in Bertinoro, inveì contro una banda che suonava bandiera rossa al funerale di un vecchio comunista che era morto senza rendersi conto di quale mastodontica buggeratura fu vittima, pagando per oltre sessant'anni le quote ed altri balzelli ad un partito che di comunista aveva appena il nome ed in ultimo neppure più quello, ma nessuno dei presenti e ve n'erano parecchi di diessini ebbe il coraggio di reagire a quell'oltraggio alla salma di un loro compagno defunto. .
Saputolo, la settimana dopo, alla stessa ora, nell'identico posto, io suonai, con un gira dischi la stessa canzone, a tutta volume, quel babbeo era presente, ma nulla ebbe da eccepire; in questi ultimi giorni "il Riformista", di dalemiana progenie, non pubblicò questa mia lettera, preferendo pubblicare non so se una lettera o una intervista di donna Almirante (perché donna poi io non l'ho compreso, non essendo mai stata consorte nemmeno di un ministro, opera buffa o mistero gaudioso italiota?!
Antonio Gramsci, ma chi lo ricorda più tra i sinistrorsi? e chi se ne frega più di un galantuomo morto in prigionia? scrisse: " Io non sono mai stato un giornalista professionista, che vende la sua penna a chi gliela paga meglio e deve continuamente mentire, perché la menzogna entra nella qualifica professionale. Sono stato giornalista liberissimo, sempre di una sola opinione, e non ho mai dovuto nascondere le mie profonde convinzioni per fare piacere a dei padroni o dei manutengoli."
A contraddirlo un sinistrorso estremo da opera buffa, in una sua intervista a "la Repubblica" ha preconizzato un comunismo "gentile", ad uso e consumo dei "padroni del vapore", dimenticando che quelli, e lui pure, alle spalle dei gonzi e dei beoti, se lo sono già creato ed abbisognano solo che le masse di mediocrità e di stolti continuino a sognarselo, semmai nell'aldilà.
Domenica 13 dicembre quel baldo parolaio rosso è apparso in televisione, dopo avere partecipato ad un convegno, a Venezia, dal titolo "La guerra è orrore", sorvolando, nel cianciare di foibe e di errori partigiani, bellamente su delle piccolissime inezie, quali i lager italiani di Gonars (Udine) e Rab (Dalmazia), dove perirono migliaia di donne e bambini slavi di fame e di stenti, tra il filo spinato guardato dal Regio Esercito Italiano che, sia confuso chi pensa male, era composto da brava gente che, guarda caso, uccideva donne e bambini, esattamente come i nazisti.
Un'altra stigmate indelebile sempre del Regio Esercito fascista, prima del 25 luglio 1943 fu il campo di concentramento di Renicci, nei pressi di Arezzo, differente dai lager nazisti solo per la mancanza dei forni crematori, sparendo tuttavia i morti nel nulla, senza lasciare tracce, non essendo riuscito un mio Compagno che era riuscito a fuggire dopo l'8 settembre, congiungendosi con noi partigiani, di ritrovare, dopo la Liberazione le tombe di alcuni suoi paesani deceduti in quell'inferno, essendogli stato assicurato che non esistevano, non ostante vi fossero sicuramente deceduti in sua presenza e transitati e morti migliaia di deportati, tutti Iugoslavi, ma in gran parte sloveni, costretti ad affrontare
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