In piazza senza frontiere.
In Italia Manifestazioni colorate in tutto il paese per chiedere il rispetto dei diritti degli immigrati: «permesso di soggiorno, casa, salute e lavoro». A Roma il corteo più grande: 10.000 persone hanno sfilato per le vie del centro storico. Iniziative e presidi contro i centri di permanenza temporanea anche a Torino, Bologna, Caltanissetta e Crotone Aldilà di ogni aspettativa, la giornata europea del 31 gennaio per i diritti e la libertà dei migranti lanciata al Forum sociale di Saint Denis, in Italia è andata benissimo. All'inizio sembrava che le manifestazioni sarebbero state scarse, complice un'inispiegabile rigidità che coglie le realtà politiche e associative italiane quando si prospetta l'idea di scendere in piazza per protestare contro la violazione dei diritti dei migranti. La giornata di ieri lancia un segnale politico inequivocabile: gli immigrati iniziano a autorganizzarsi, e sono in grado di dettare un'agenda politica. D'altrondel'appuntamento del 31 era scaturito proprio dal tentativo dei migranti di tutta Europa di darsi un coordinamento in occasione del Social Forum.
Roma, la capitale degli stranieri
A Roma ieri pomeriggio sono scese in piazza tra le 5mila e le 10mila persone. Delegazioni del «Comitato immigrati in Italia», che aveva chiesto una manifestazione nazionale a Roma, sede del governo, sono arrivate anche dal nord - come Brescia e Milano. Pochi gli italiani, come poche sono state le sigle nazionali che hanno aderito, fatta eccezione per l'Arci, Rifondazione e i Cobas. «Diciamo grazie a tutte le realtà che ci hanno appoggiato - dice Abdoukabar Soukhamoro, del Comitato immigrati della Campania - ma diciamo anche che questa di oggi è un grande risultato raggiunto dall'autorganizzazione dei migranti. E adesso, continuiamo a lavorare». Dalla Campania è arrivato il gruppo più numeroso, ingigantito dalla presenza dei richiedenti asilo di Caserta. Una realtà esplosiva, al riparo dai riflettori dei media. Si tratta di almeno 600 persone, tutte africane, che aspettano da mesi di essere ascoltati dalla Commissione nazionale per lo status di rifugiato. C'è una persona che aspetta da due anni. Per loro l'appuntamento di ieri era cruciale: chiedono un impegno preciso sulla loro situazione, non solo qualche lacrima di circostanza quando affondano le barche nel Mediterraneo. Ieri notte hanno dormito a piazza San Pietro, e oggi il papa dovrebbe dire qualcosa sulla loro situazione durante l'Angelus. «Non ce ne andremo da Roma finché non avremo una risposta», dicono ghanesi, liberiani, congolesi, sierraleonesi, testimonianza vivente del dramma africano. Per loro «fortezza Europa» vuol dire la negazione dei principi fondanti di democrazia e accoglienza; ma anche il ruolo ambiguo giocato dall'Ue nei territori delle ex colonie e nei rapporti con i paesi candidati all'ingresso. Da lunedì 29 kurdi sono in sciopero della fame e ci resteranno finché non avranno ragione sul diniego che ha toccato ciscuno di loro. La risposta della Commissione italiana (su mandato europeo) è ormai standardizzata: la Turchia è in via di democratizzazione. E la questione kurda scompare. Per loro, il Comune di Roma non ha concesso neanche una piazza dove poter installare dei gazebo «l'iniziativa non è compatibile con il contesto sorico-monumentale» di piazza Santa Maria in Trastevere. Ma accanto a queste situazioni - che chiamano in causa il concetto di democrazia e di accoglienza - convivono storie e biografie che parlano di un'Italia anni luce più avanti rispetto a una legislazione come quella disegnata dalla Bossi-Fini, che prima di essere razzista è una legge che regola il mercato di lavoro in un'ottica di precarizzazione totale. «Prima il permesso di soggiorno durava quattro anni, oggi uno, al massimo due», dice una signora egiziana mentre squilla il suo telefonino. Lei la cittadinanza italiana non la vuole, «mi tengo la mia», ma la sua amica - egiziana anche lei - l'ha chiesta da tre anni «e ancora non mi arriva, mi chedo perché». Vite spezzate in quanto stranieri, lavoratori oppure studenti, come Elizabeth, peruviana, che studia al liceo classico ma non può ottenere una carta di soggiorno «perché secondo il governo italiano dovrei avere un reddito mio». Gli immigrati esisotono solo in quanto lavoratori. Tutti loro vivono in case occupate, alcuni - come quelli nelle occupazioni di Action, l'agenzia dei Disobbedienti - con il problema del mancato riconoscimento della residenza che rende impossibile il rinnovo del permesso di soggiorno. E così la questione del diritto alla casa, alla sanità, che riguarda anche tantissimi italiani, per gli immigrati diventa una questione di sopravvivenza. Una precarietà fatta quotidianità, che mal si attaglia a una persona come Onjona, bangladese di 16 anni, fan di Totti e Montella, che adesso fa la barista ma intanto studia informatica. Lei all'espulsione non ci pensa, anche se sa che nei centri di permanenza temporanea c'è un sacco di gente come lei.
Brunelleschi da chiudere
A Torino la chiusura dei cpt è stato il centro della manifestazione, che ha visto sfilare oltre tremila persone per chiedere la chiusura del centro di permanenza temporanea di corso Brunelleschi. Un corteo colorato e rumoroso, ricco della presenza di numerosi extracomunitari, ha raggiunto uno dei cpt più contestati del nostro paese scandendo a gran voce lo slogan «siamo tutti clandestini». Alla manifestazione torinese hanno partecipato delegazione provenienti da tutto il nord Italia. A evidenziarlo striscioni quali «Rete del lavoro Migrante Veneto» e «Dilaghiamo i flussi, allarghiamo i confini e chiudiamo i cpt», firmato C.S. Leoncavallo di Milano. A testimoniare una partecipazione di varia natura la commistione delle bandiere presenti nel corteo: quella di Rifondazione comunista accanto a quella palestinese, drappi marocchini insieme a quelli algerini e iracheni. In apertura della manifestazione un grande striscione giallo con lo slogan della giornata europea di lotta contro i cpt: «per contare e non essere contati». Nel corteo forte è la presenza di Disobbedienti e centri sociali, primo fra tutti il torinese Askatasuna. Presenti anche la Cgil e la Fiom di Torino. All'interno del centro di corso Brunelleschi, alla periferia della città , sono al momento ci sono 42 persone, tra di cui quattro donne. Solo alcuni giorni fa, testimoniano i consiglieri regionali Rocco Papandrea e Mario Contu di Rifondazione comunista e Marisa Suino della Sinistra Ds, gli ospiti del Cpt erano 59, di cui undici donne. Non è la prima volta, infatti, che in concomitanza con una manifestazione pubblica il centro viene svuotato per evitare tensioni. «Come consiglieri regionali - spiega Marisa Suino - siamo riusciti a visitare, insieme al senatore dei Verdi Francesco Martone, il centro, dopo mesi di richieste non esaudite, ed abbiamo di nuovo riscontrato delle condizioni di vita terribili per gli ospiti. Problemi quali una mensa poco appropriata, per qualità e genere di proposte, tempi di permanenza troppo lunghi e l'assenza totale di assistenza legale. Una questione, quest'ultima, molto sentita da alcuni immigrati provenienti dalla Costa d'Avorio che stanno disperatamente cercando di rivendicare il diritto all'asilo politico». Al termine della manifestazione è stato consentito di visitare il Cpt di corso Brunelleschi solo alla senatrice Ds Chiara Acciarini.
Bologna sfila in catene
«Chiudere i Cpt senza se e senza ma», diceva lo striscione in apertura della manifestazione - organizzato dal Bologna social forum - che nel pomeriggio ha sfilato numerosa (circa 5000 persone) per le vie del centro di Bologna, passando sia davanti alla questura in Piazza Roosevelt (dove ogni giorno i migranti si devono mettere in fila per fare le carte per ottenere il permesso di soggiorno e dove giovedì sera c'era stata una proiezione di un filmato sulle situazioni assurde che si vengono a creare), sia a fianco della sede della Croce rossa italiana, accusata di essere complice dei cibi arricchiti di barbiturici dentro i centri di permanenza temporanea, su cui la magistratura ha aperto un'inchiesta. Si diceva a fianco, perché l'accesso era ben protetto dalle autoblindo e dai poliziotti, mentre sull'asfalto dell'adiacente via Marsili c'erano i resti di un'azione dei Senza frontiere compiuta la mattina: scatolette e bottigliette di medicine, qualche scritta sui muri che diceva «Croce rossa di sangue». Il clima del corteo - clemente persino quello meteorologico - era festoso e gioioso: i rumeni inquilini dello stabile occupato in Via Casarini ballavano ai ritmi gipsy, alcuni senegalesi suonavano i tamburi, uno striscione reclamava il diritto d'asilo politico per i profughi iracheni, ma c'erano anche tanti cittadini e cittadine per denunciare il disaccordo sul Cpt in via Mattei. Erano arrivati inoltre centinaia di disobbidienti (ora chiamati Invisibili for Action) dal nordest e dalle altre province della regione Emilia Romagna per dire no alle catene del nuovo millennio. E per dirlo più chiaramente alcune decine di persone sono sfilate legate da una lunga catena ai piedi e alle mani. Dai microfoni del soundsystem si potevano ascoltare storie vissute in prima persona da migranti, esperienze dall'interno delle nuove prigioni, ma anche un deciso «no» al voto di qualsiasi politico che non espliciti nel suo programma di aderire alla richiesta espressa esplicitamente dal corteo: no ai Cpt.
Caltanissetta, divieto d'entrata
A Caltanissetta ieri mattina alcune centinaia di persone si sono ritrovate davanti al cpt di Pian del Lago. In programma un volantinaggio, ma anche il tentativo di andare a vedere cosa succede dietro quelle mura. Ma ai manifestanti, a sorpresa, è stato vietato l'ingresso sulla base della circolare che riguarda i cpt. «Questa è la dimostrazione che i centri di identificazione verranno gestiti con lo stesso criterio dei centri di permanenza», denuncia l'avvocato Fulvio Vassallo Paleologo. La manifestazione, comunque, ha ottenuto la «scarcerazione» dei quattro somali che erano rinchiusi nel centro e che ieri pomeriggio hanno partecipato all'assemblea che si è svolta nel consiglio comunale. Di loro si è preso carico ufficialmente il sindaco della città.
Crotone: «Un carcere»
A Crotone il nuovissimo centro di permanenza costruito all'interno del centro di identificazione di Sant'Anna (a riprova della continuità tra i due sistemi) è stato visitato dal parlamentare Ds Nuccio Iovene, che ha dato un giudizio durissimo sulla struttura: «E' un carcere a tutti gli effetti - ha detto - i centri rappresentano un meccanismo punitivo», annunciando l'intenzione in futuro di «modificare la legge» e intanto di spingere affinché si vada verso « un miglioramento nella gestione». I manifestanti di Crotone ieri mattina hanno bloccato il traffico sulla statale 106.
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