editoriale di Maurizio Murell
editoriale di Maurizio Murelli
Ovunque si respira un'aria stanca. Questo inizio secolo pare segnato dall'inerzia, dalla mancanza di entusiasmo per le idee alte, i progetti globalmente alternativi rispetto a quelli che promuovono gli attuali modelli di sviluppo economico e "culturale". Il sistema economico che l'Occidente ha imposto al Pianeta pare abbia raggiunto il suo punto di crisi irreversibile. La crescita dei consumi, l'allargamento dei mercati hanno stretti margini di sviluppo per cui la dinamica economico-finanziaria non può più reggere il debito reale contratto dalle economie nazionali (o continentali che si voglia) e quindi le ricchezze virtuali, i crediti surrettizi che in passato si è riusciti a mascherare con vari accorgimenti oggi vengono allo scoperto. Di questa situazione è pienamente consapevole l'oligarchia planetaria, i cui maggiorenti di nazionalità americana si vedono costretti a tornare a servirsi di rinnovate ideologie imperialiste con il triplice scopo di dare ossigeno al processo economico-industriale attraverso l'economia di guerra; assicurarsi il monopolio geoenergetico; impedire che si sviluppino realtà geopolitiche concorrenziali. Tutto il mondo ben comprende che la voglia di guerra americana contro l'Iraq nulla ha a che vedere con la giustizia e il diritto internazionale; nulla ha a che vedere con la questione dei terrorismo; nulla ha a che vedere con l'autodifesa preventiva. Se ci riferisce ai diritto internazionale e si muove guerra all'Iraq perché non avrebbe rispettato le risoluzioni dell'ONU allora qualcuno dovrebbe spiegare perché il mancato rispetto, da parte di Israele, di circa 200 risoluzioni ONU non merita il medesimo rigore che merita l'Iraq. L'Iraq, stato laico, è tutt'altro che in linea con i principi islamici e
quindi tra i combattenti isiamici riconducibili alla rete di Bin Laden non può esserci alcuna "simpatia" reciproca. Non esiste alcun episodio, fatto o prova che attesti una qualsiasi continuità tra l'Iraq e il movimento armato di fede isiamica. E in ogni caso gli Stati che possiedono armi di distruzione di massa e che hanno un ambiguo rapporto con l'Occidente tanto da renderli sospetti e pericolosi si contano a decine. Ma questi stati non possiedono (o possiedono molto meno) petrolio rispetto all'Iraq. Infine l'Iraq non solo non è potenzialmente in grado di colpire gli USA ma non ne ha neppure l'interesse. Probabilmente l'Iraq, ne avesse l'opportunità, farebbe per conto degli USA non solo la guerra all'Iran o al Kuwait, ma anche a tutti gli altri paesi arabi a cominciare dall'Arabia Saudita, e stabilirebbe con i paesi occidentali schietti rapporti commerciali ad un livello impensabile con tutti gli altri paesi arabi. Ciò che l'Iraq non è disposto a fare è concedere lo sfruttamento petrolifero alle compagnie americane. In sostanza il senso di dignità nazionale iracheno impedisce l'accettazione di rapporti subordinati di sfruttamento. Tutte, ma proprio tutte le giustificazioni adottate per fare la guerra non hanno alcun fondamento. L'unica ragione valida è di tipo geopolitico ed economico. Agli USA serve una gigantesca economia di guerra, che funga da nuovo volano alla propria economia. Questa cosa è chiara a tutti, nessuno escluso. Nessun esponente politico di qualsiasi governo al mondo però può permettersi di dirla, tanta è la paura di finire sulle liste di prescrizione americane. Ma se è logico che i governi occidentali, orientali e medio-orientali tengano un comportamento dei genere, la posizione delle cosiddette sinistre movimentiste o istituzionali non solo è ipocrita ma è ancor più codarda di quella tenuta da quanti si assoggettano alla legge dei più forte (Berlusconi & C. per l'Italia). Ed è codarda oltre che ipocrita perché quelle compagini, data la loro concezione politica, la loro visione dei mondo e della giustizia sociale, non possono non individuare negli angloamericani e nella politica che essi impongono all'ONU una politica di aggressione, una politica che determina ingiustizia e squilibrio. Se quindi c'è un aggressore c'è anche un aggredito che potrà pure essere antipatico e magari crudele, ma ciò non giustifica che contro di lui si debba esercitare impunemente una prepotenza. Chiunque non sia un codardo, un vile o un impedito e sopra tutto ponga a base della propria giustificazione esistenziale il diritto alla giustizia, quando vede un soggetto prepotente aggredire un debole per impossessarsi dei suoi averi e diventare più forte non può che intervenire a favore dell'aggredito, quand'anche quest'ultimo non sia dei tutto un campione di moralità. Proclamarsi per la pace, per la non violenza, per il non intervento date le premesse ideologiche è un atto di viltà e diventa una viltà eclatante quando oltre a non intervenire fisicamente contro il prepotente si rinuncia persino a denunciarlo come tale scegliendo una pavida neutralità. Dal nostro punto di vista pacifismo e guerra imperialista sono il rovescio della medesima medaglia, frutto della medesima radice culturale. Si tratta di un'alternativa dentro lo stesso mondo di idee e principi adatto all'uomo moderno. In alternativa a quel mondo esiste il nostro, ove la pace (assenza di guerra) non esclude la possibilità della guerra (quando la pace è impossibile da sostenere) che non rigettiamo aprioristicamente come atto criminale contro l'umanità (tesi pacifista). Certo c'è guerra e guerra: e a rendere una guerra diversa dall'altra non è l'ideologia che muove lo Stato cui appartiene l'esercito belligerante, ma semmai il modo in cui viene fatta e condotta la guerra.
Il modo di fare la guerra degli angioamericani, che ha nel bombardamento aereo spesso indiscriminato il punto di forza, e il coinvolgimento della popolazione civile non come fatto accessorio o derivato dal complesso dell'azione bellica svolta, ma come punto centrale di una precisa strategia (per altro occultata e negata quando denunciata dalle vittime), è un sistema ributtante di fare la guerra. Ma contro questo modo di fare la guerra, anatemi, strali, moralismi e quant'altro l'anima pacifista è in grado di produrre non serve a nulla. E non serve a nulla la pilatesca neutralità. L'americanismo è un cancro al quale ci si deve comunque opporre, sia quando produce guerra, sia quando si limita a produrre modelli sociali, economici e culturali. E qui per noi viene in emersione un tema cruciale che dovrebbe essere posto al centro delle nostre future elaborazioni e riflessioni: americanismo e antiamericanismo. Ai vari disastri attribuibili alle compagini di sinistra che hanno imperversato in Occidente negli ultimi cinquant'anni è da ascrivere anche quello di aver deteriorato la "cultura antiamericana". Non sono prive di fondamento alcune osservazioni delle guardie bianche degli interessi americani. Dalle pagine dei quotidiani, dal piccolo schermo il fronte interno filoamericano fa osservare come sia stato difeso in modo acritico il terzomondismo in funzione antiamericana e come siano stati sostenuti regimi a socialismo reale chiamati in causa quali modelli politici da contrapporre a quello USA. L'implosione o i'esplosione dei regimi di oltre cortina (ma non solo, se si pensa per esempio all'etiopico Menghistu, mai condannato e dei quale tutti paiono essersi dimenticati anche se per tasso criminale stava molte spanne sopra il famigerato Pinochet) ha messo in luce tutta la loro perversione e per contrasto valorizzato il modello politico-culturale americano. Dal che oggi, nel prendere posizione contro il sistema targato USA, si viene guardati con sospetto e aria di sufficienza anche perché obbligatoriamente ricollegati a quel filone antìamericano di matrice socialcomunista o pacifista "stile anni '50" per dirla con Rutelli. Ma questo esser guardati con sospetto (spesso anche con aria di sufficienza e di commiserazione) è determinato dal fatto che il vecchio antiamericanismo era viziato già nella premessa, nel momento stesso in cui indicava come valida soltanto l'alternativa socialcomunista, elaborata sulla scorta dell'ideologia marxista, maoista o comunque terzomondista. Inoltre il partito imperialista americano (fatto di industrie, banche, apparati dell'esercito, uomini di cultura etc.) non è mai stato così scopertamente sostenuto dall'amministrazione presidenziale, dai parlamentari, dall'opinione pubblica ampiamente condizionata dall'intellighentia hollywoodiana. Oggi la volontà imperialista americana su scala globale conuso della guerra senza più neppure la copertura di un casus belli decente è totalmente scoperta. Qua e là, affogati da una marea di articoli filoamericani, compaiono pochi trafiletti che testimoniano di intelligenze ancora parzialmente indipendenti e che hanno ben chiaro il quadro d'insíeme. Per esempio io stesso Scott Ritter, ex capo degli ispettori Onu in Iraq ai tempi di Unscom dichiara in un'intervista al "Corriere della Sera": «"( ... ) Se l'Iraq rifiutasse di lasciar lavorare gli ispettori, allora sì che ci sarebbe motivo di agire militarmente. Ma la realtà è più preoccupante: la trasformazione degli Stati Uniti in una potenza imperiale, la realizzazione di una strategia dei neoconservatori in preparazione da anni. Basta leggere la strategia per la sicurezza nazionale presentata da Bush al Congresso il mese scorso.E' il frutto di lavoro di gente come Paul Wolfowitz, quelli che vogliono l'applicazione su scala globale del potere militare ed economico degli Stati Uniti in modo unilaterale. L'iraq sarà il laboratorio di questo nuova politica estera americana". "La guerra è inevitabile, quindi? E quando comincerà secondo lei?" "Quest'anno, probabilmente in dicembre. I soldati arnericoni in Iraq dovranno fare cose, in nome del loro Paese, che non credevo sarebbero stati costretti a fare: macellare civili innocenti". Il movimento pacifista antiamericano degli anni '60 era nato nella stessa America, nei campus universitari ad opera di una gioventù rincoglionita dalla marijuana, dalle nuove tendenze culturali e musicali. Erano gli stessi giovani americani che bruciavano la loro bandiera e si imboscavano per non essere arruolati. Oggi dagli USA non parte nessun segnale simile. Intanto perché gli orrori che le truppe USA stanno compiendo non vengono documentate dalla TV e l'Hollywood filo-israeliana ben si guarda dal mettere in circolo film antipatriottici che inevitabilmente condizionerebbero la politica di dominio di Sharon (abilissimo nello sfruttare la nuova linea imperialista americana). Poi perché i vecchi "figli dei fiori" compongono i quadri delle amministrazioni presidenziali e in loro la consapevolezza dell'inattendibilità e dello scarso peso specifico del pacifismo è pienamente presente. Il pacifismo europeo senza alcuna sponda nei media che contano è innocuo. E dal momento che persino Rifondazione comunista sta ben attenta a pesare le parole nei confronti della politica USA (per non parlare dei Ds e dei resto dell'Ulivo) ecco che il campo di un autentico ed originale fronte di contrapposizione all'imperialismo USA è totalmente sgombro. Il fatto da cui partire, secondo me, è quello per cui ai di là del contenuto ideologico, culturale e valoriale (quindi visione dei mondo, concezione dell' uomo etc.) gli USA in quanto Stato fanno quello che per sua natura fa ogni Stato che non intende abdicare alla propria sovranità ed essere messo nelle condizioni di pericolo dall' altrui sovranità. Democrazia, libertà, diritti, eguaglianza sono chiacchiere, cortina fumogena utile per diminuire il grado di reattività dei popoli che i'impero USA sta inglobando, con le buone (cultura) o con le cattive (guerra). Lo sta facendo sistematicamente, progressivamente ormai da un secolo. E lo schema è sempre il medesimo: loro sono il Bene, che porta nel mondo pace e giustizia democratica contro le forze del Male. Il nostro è un governo di pagliacci e gangster prestati alla politica che per predisposizione mentale sono incapaci di formulare strategie e tattiche a lungo termine, di vedere le cose nel loro complesso e valutare cosa, non solo nell'immediato o nel medio termine, ma anche nel lungo e lunghissimo periodo, è effettivamente nell'interesse dell'Italia. Nell' immediato la sguaiata e indecorosa adesione alla politica imperialista statunitense forse porterà qualche lieve beneficio. Considerata la presa di posizione della Francia e della Germania si potrebbe pensare che il "leccaculismo" italiota di Berlusconi & C. porti frutti. Ma nello stile USA non c'è solo la guerra imperialista ipocritamente mascherata da guerra di liberazione dalla tirannia: c'è anche la tattica di lisciare il pelo e blandire gli stati ostili. I semplici di spirito avranno modo di constatare presto di persona che gli americani non sposteranno alcun investimento e alcuna risorsa dalla Germania e dalla Francia per sostenere la nostra economia per il solo fatto che Berlusconi ha sbragato nel modo in cui tutti abbiamo visto. E' più facile che, volendo portare sulle proprie posizioni i due Stati recalcitranti, vengano loro concesse elargizioni e agevolazioni che non ci sarà bisogno di concedere all'italia. In quanto al medio e lungo termine non si vede di quale vantaggio l'Italia possa godere sposando una politica imperialista che fatalmente determinerà la catastrofe di chi l'ha promossa. Dunque l'America fa il suo interesse, con o senza armi. E fare la guerra è nelle normali corde degli Stati e dell'uomo. Il problema non è quindi tra guerra e pacifismo, ma come schierarsi e come stare dentro una guerra che ci coinvolge direttamente. Detto in parole povere: gli americani fanno bene a fare la guerra per curare i propri interessi - è normale che facciano la guerra e che aspirino a dominare il dominabile. Il nostro interesse qual è? Quello di assecondare gli interessi USA nella convinzione di ricavare beneficio o di trovare la nostra strada, una strada fatta di pace e civilizzazione quando si può coltivare la pace e alimentare civiltà e fare la guerra quando le circostanze lo richiedano e lo impongano (foss'anche solo per una questione di dignità)? Quello che fu il mondo della destra radicale, oggi imploso e in stato comatoso, frantumato in mille microrealtà, sarebbe bene che ricuperasse su questi temi almeno la dimensione di movimento politico-culturale autenticamente antagonista rispetto alle posizioni assunte dalla sinistra e ai movimenti pacifisti. E' dalla nascita di questa rivista che noi lanciamo l'allarme sul pericolo rappresentato dall'americanismo, ma di volta in volta il pericolo comunista, dell'immigrazione, della decristianizzazione o dell'islamizzazione sono stati ritenuti di più rilevante importanza.Se al punto in cui si è giunti ancora non appare chiaro che la questione americana oggi più che mai può essere il nostro minimo comun denominatore, la nostra più immediata e importante missione culturale e politica, allora significa che molto probabilmente siamo destinati a scomparire
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