26.03.2004 «Non si batte il terrorismo senza dialogo con l’Anp»
GERUSALEMME L'uomo che abbiamo di fronte ha tutte le carte in regola per aiutarci a capire la logica, di intelligence prima che politica, che ha spinto Israele all'eliminazione dello sceicco Ahmed Yassin, il leader di Hamas: ex generale, oggi parlamentare laburista, Dani Yatom è stato per lungo tempo a capo del Mossad, il servizio segreto dello Stato ebraico. Nell'ufficio dove avviene l'intervista, stazionano tre agenti dei servizi di sicurezza: Yatom è una delle personalità minacciate di morte da Hamas. L'eliminazione dello sceicco Ahmed Yassin ha creato inquietudine nell'opinione pubblica tanto per la personalità dell'obiettivo, quanto per il sistema usato. Può aiutarci a capire come un governo democratico può prendere una tale decisione? Sono presi in considerazione gli svantaggi, oltre ai vantaggi? «Israele si trova nel pieno di una lunghissima e crudele lotta in cui il terrorismo ha avuto un forte peso ma che ne è diventato l'elemento centrale e quasi esclusivo negli ultimi anni. Per combattere questa lotta si deve far uso sia di strumenti militari che di iniziative civili e politiche. Ma fin quando il terrorismo ne rimarrà componente centrale, lo strumento militare non potrà venire messo da parte. Gruppi terroristici del genere di Hamas, sono generalmente di dimensioni numeriche limitate, un'infrastruttura non sempre individuabile difficile da colpire e facile da cambiare. Israele è giunto alla conclusione che per combattere il terrorismo efficacemente, non è sufficiente organizzare difese e attendere il kamikaze sulla soglia del ristorante o del centro commerciale colmo di gente, ma si devono colpire tutti gli anelli della catena: i capi, i reclutatori, gli istigatori e ovviamente gli esecutori o i candidati all'esecuzione materiale degli attentati. Lo sceicco Yassin, sarà anche stata una figura religiosa islamica, ma era innanzi tutto un capo terrorista che aveva il comando di Hamas a Gaza e in Cisgiordania, e che aveva sulla coscienza la morte di centinaia di persone e il ferimento di altre migliaia. Averlo eliminato non significa aver eliminato Hamas, ma è senz'altro un duro colpo all'organizzazione. Il fatto che cercheranno di compiere attentati, "mega, super o normali", non è nuovo; così è stato anche in passato. Ma una volta imboccata la strada della lotta senza tregua al terrorismo, non si può allentare la morsa. Esercitando sulla leadership questa continua pressione e costringendoli alla fuga costante e al cambiamento continuo di abitudini, sistemi di comunicazione e via dicendo, si potrà disturbare la messa in atto di parte degli attentati che hanno in programma». Ma Israele ha il diritto, la legittimità legale e morale di compiere tali atti contro i quali si levano proteste da tutto il mondo? «Ciò che dirò ora non sarà forse popolare, ma il dilemma che si pone di fronte a chi deve prendere decisioni come quella di lunedì, non è morale: chi può definire immorale premere il grilletto contro chi ha già mandato a massacrare centinaia di civili israeliani e ha come unico scopo della sua vita di continuare ad ucciderne quanti più possibile? Il dilemma, semmai è sulle conseguenze di un'operazione del genere. La scelta del quando, come, di cercare di evitare il più possibile il coinvolgimento di innocenti. Io sono, come lei sa, all'opposizione, ma per quanto riguarda l'operazione contro Yassin, non mi sento di condannare l'operato del governo. Il motivo per cui dissento fortemente dall'attuale esecutivo, è perché ignora altri due elementi, senza i quali la lotta per il raggiungimento della pace, non potrà mai essere vinta: completare la costruzione della "barriera di sicurezza" sul nostro territorio e lanciare una iniziativa politica indirizzata ai palestinesi». Lei è oggi un uomo politico, ma nel passato recente è stato capo del Mossad. Che scenario può prevedere per il periodo post-Yassin? «Le variabili sono troppe per fare una previsione fondata e sicura. Nell'immediato, vedremo senz'altro un aumento dei tentativi di eseguire attentati terroristici, soprattutto per dimostrare che l'organizzazione non risente della perdita avuta. In tempi più lunghi, ridurrei forse le possibilità a due tipi di scenari: il primo è che Hamas si rafforzi sull'ondata della protesta della morte di Yassin. Il secondo è contrario e cioè che l'Anp si scrolli dalla sua apatia e comprenda che se non arriverà ad un confronto con Hamas, perderà il potere sulla strada palestinese. Non dimentichiamo che Hamas non è solo contro Israele, ma intende combattere tutti coloro che le vogliono impedire di fondare uno stato fondamentalista basato sulle leggi dell'Islam e i cui confini vanno dal fiume Giordano al Mediterraneo. Vuole quindi cancellare Israele dalla mappa geografica, ma - se necessario - combatterà anche contro l'Anp e la sua leadership laica». Questi ultimi giorni hanno cancellato le polemiche sul piano di separazione di Sharon. È prematuramente morto prima ancora di nascere? «Il piano di Sharon - almeno come viene presentato - è unilaterale. Nasce dall'assenza di una controparte con cui avviare un processo di separazione. Per metterlo in atto, è necessaria una seria e coraggiosa decisione del governo israeliano. Una volta presa una tale decisione, la morte di Yassin o di qualunque altro capo palestinese non avrà un vero peso. Quello che mi preoccupa, è il fatto che Sharon, per il momento si limita a parlare del suo piano ma ho forti dubbi sulle intenzioni di prenderla, questa decisione. Saranno i prossimi mesi a dirci come stanno veramente le cose».
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