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Bugie di sangue in Vaticano
by MOVIMENTO ANTICLERICALE Monday, Aug. 16, 2004 at 12:37 PM mail:

Il duplice omicidio commesso dalla guardia svizzera Cedric Tornay, che poì si tolse la vita, fu liquidato come un raptus. Ma intorno a quel tragico fatto di sangue non tutta la verità è stata scritta.




Tra i mestieri che sognava qualche nostro avo c'era pure quello di diventare guardia svizzera in Vaticano indossando la divisa multicolore disegnata da Michelangelo o quella blu per i servizi di piantonamento. E non riusciva a capacitarsi che il requisito essenziale fosse il possesso della cittadinanza elvetica. Toccherà poi a noi nipoti scoprire che da qualche tempo scarseggiavano gli arruolamenti tra gli stessi svizzeri e che proprio quella guarnigione tra le più antiche al mondo, fondata da papa Giulio II nel 1506, accusava un malessere che aveva anche portato a episodi di indisciplina e a qualche grave fatto di sangue.

Nella tarda mattinata dell’8 aprile 1959 l'allora comandante della Guardia svizzera, il colonnello Robert Nunlist, era stato colpito da 4 colpi di pistola del caporale Adolf Ruckert, il quale aveva tentato poi di suicidarsi, ma l’arma s’era inceppata, cosicché entrambi alla fine erano rimasti in vita, era stato ferito da un alabardiere. Ma il 4 maggio 1998, poco dopo le 21, il comandante Alois Estermann, 44 anni e la moglie Gladys Meza Romero, 49 anni, furono assassinati dal vicecaporale Cedric Tornay, 23 anni, che poi si suicidò davvero, dopo aver mandato una lettera alla mamma che iniziava così: "Spero che tu mi perdonerai perché sono stati loro a costringermi a fare quello che ho fatto. Quest'anno dovevo avere l'onorificenza e il colonnello me l'ha negata. Dopo tre anni, sei mesi e sei giorni passati a sopportare tutte le ingiustizie, l'unica cosa che io volevo me l'hanno rifiutata...".

Si parlò di raptus, gesto di follia, psicosi di persecuzione..."Mio nipote Cedric era un bravo ragazzo. Ha trascorso con noi le ferie di Natale, era sereno, non aveva pensieri", raccontava Gratien Tornay, nonno di Cedric, nella sua villetta di Saint Maurice, la cittadina del cantone vallese dove il 24 giugno 1974 era nato l'omicida-suicida, in forza alla Guardia Svizzera da tre anni e mezzo. Ma proprio il fatto che quel ragazzone alto un metro e ottanta, ritenuto da tutti gentile e riservato, avesse firmato un vicenda di sangue così clamorosa rendeva il clima ancora più fitto di suspence. E a molti dava adito a pensare che anche le mura vaticane in fondo potessero essere un angolo dell'universo violabile dal Male.

Il comandante Alois Estermann, aveva fama di uomo "serio, semplice, compito, colto, attaccato al dovere". E nella sua carriera era stato molto più di un semplice "angelo custode" che aveva seguito il Pontefice in ben 30 viaggi. Il 31 maggio del 1981 in piazza San Pietro era stato il primo a proteggere con il proprio corpo Giovanni Paolo II, ferito dai colpi di pistola sparati da Ali Agca. Proveniente a Roma dal villaggio svizzero di Gunzwill e da una famiglia di contadini, era arrivato nel 1980, da semplice alabardiere. Quando montava di guardia alla Porta Angelica le turiste se lo mangiavano con gli occhi, tanto era alto, bello e biondo. Ma il suo orgoglio erano le fotografie scattate in occasione dei pellegrinaggi con il Papa, accanto ai potenti della terra, in quanto non c'era foto del Pontefice in cui, silenzioso e appartato come un'ombra, non apparisse anche lui. Allergico agli eventi mondani fuori dall'ufficialità, aveva anche la stoffa del diplomatico e la vocazione del teologo. Il salto al grado di colonnello aveva finito per portarlo al comando delle Guardie Svizzere. Ma formalmente era riuscito a ricoprire solo per poche ore quell'incarico, spezzato dal piombo del vicecaporale. E nel suo tragico destino s'era portato dietro la bella moglie Gladys Meza Romero, originaria di Urica, nona figlia di una media famiglia borghese, plurilaureata, posto di lavoro all'ambasciata del Venezuela presso la Santa Sede, in passato anche modella e donna poliziotto, da 15 anni a fianco di Alois, in una lunga storia d'amore. Proprio il fatto che il vicecaporale Tornay avesse accomunato anche lei in quel gesto di follia esploso per la rabbia di un'onorificenza negata e di presunte ingiustizie, agli occhi dei più diventò la dimostrazione più chiara che la tragedia s'era consumata in un attimo.

L'inevitabile clamore richiamò l'attenzione del mondo sul minuscolo esercito che proprio in quei giorni celebrava il suo anniversario nel ricordo di quell'eroico 6 maggio del 1527 quando, durante il sacco di Roma, 127 guardie svizzere finirono scannate dai lanzichenecchi per coprire la fuga di Clemente VII che attraverso un passaggio segreto fortificato riuscì a mettersi in salvo a Castel Sant'Angelo. C'era dunque un alone di grande storia, sacrifici, leggenda e assoluta dedizione al Papa che accompagnava nei secoli la guarnigione di un piccolo Stato di 440 mila metri quadrati (260 mila coperti), in cui tra religiosi e laici abitavano o continuavano a operare circa 2 mila persone. E l'addestramento si susseguiva solo imparando a maneggiare l'alabarda, quella lancia arcaica da sei chili e lunga due metri da tirare in aria per riprenderla al volo con una mano sola. Quei giovanotti dal pennacchio solitamente di colore rosso che variava secondo il grado e con l'elmo d'alluminio per le udienze private e di ferro per le celebrazioni pubbliche con il Papa, avevano studiato arti marziali, si erano impratichiti nello judo e nel karatè, si erano esercitati con il fucile automatico mirando contro sagome di compensato, avevano studiato tattiche di controspionaggio e ultimato corsi di antiterrorismo. Che importava poi se nella dotazione, oltre alla spada e all'alabarda rimaneva innanzitutto la pistola calibro 9, modello Sig-Sauer, da portare solo durante i turni di notte o i servizi di sicurezza con la divisa blu?

La gloria di cui nel tempo si era coperta la Guardia Svizzera fu sempre tale che sino a qualche decennio fa per le famiglie cantonali era un onore fare arruolare i propri figli come soldati semplici di Sua Santità. Molti erano di origini nobili. Qualche casato, come quello degli Pfyffer von Althishofen, riuscì a fornire al Papato ben 11 undici comandanti e 30 ufficiali. Rigidi regolamenti medievali ressero sino alle soglie del Duemila. E sino al pontificato di Giovanni XXIII il soldato del Papa si genufletteva ogni volta in cui compariva al suo cospetto. Poi arrivarono diverse modernizzazioni ma anche uno sfoltimento degli organici sino a quello attuale, con un centinaio di elementi tra capitano comandante (grado di colonnello), cappellano, 4 ufficiali, 23 sottufficiali, 70 alabardieri e 2 tamburi. Nonostante per l'arruolamento fossero necessari i requisiti di sempre (età tra i 19 e i 30 anni, altezza non inferiore al metro e 74, essere stati battezzati e cresimati, certificato di buona condotta firmato dal parroco), negli ultimi anni la crisi di vocazioni si era sempre più accentuata. La colpa? Un po’ anche degli stipendi mensili irrisori: dal milione 200 mila lire per le reclute, al milione e mezzo per gli alabardieri, ai quattro milioni più alloggio per i comandanti. Vera l'esistenza di vari "fringe benefits" tra i quali forti sconti aerei, il diritto di andare in pensione dopo soli dieci anni, la disponibilità di palestre per il tempo libero, di una taverna detta "Il Bettolino" e di una mensa ben fornita, con vivandiere le suore della Divina Provvidenza di Baldegg (anch'esse dunque svizzere doc!), ma altrettanto vero che i parametri con quanto un giovane poteva guadagnare nella Confederazione da tempo facevano sì che le domande da una parte si assottigliassero e dall'altra vedessero in lizza soprattutto ragazzi mossi dalla fede o dalla tradizione. Il vicecaporale Cédric Tornay era stato tra quelli che aveva coltivato in sé la voglia di fare la guardia del Papa, arruolandosi il primo dicembre 1994. Ed era eccolo lì, cadavere, accanto ai corpi del comandante Estermann e della moglie Glady Meza Romero.

Una suora trova i corpi della guardia svizzera Tornay e delle sue vittime. Subito un comunicato fornisce la versione dei fatti. Ma qualcosa non convince, come in molti intrighi del passato tra le mura del Vaticano.




Toccò a un suora, della quale non si saprà mai l'identità, scoprire i tre cadaveri e dare l'allarme. L'intervento per il trasporto nel vicino obitorio della chiesa di Sant'Anna sarebbe avvenuto manualmente, senza neppure adoperare i tradizionali guanti e le abituali sacche per il trasporto. E prima ancora che partissero le indagini, venne resa nota una versione ufficiale: "Da una prima sommaria ricognizione, è possibile affermare che il comandante Estermann, la moglie e il vicecaporale Tornay sono stati uccisi con un'arma da fuoco. Sotto il corpo del vicecaparale è stata trovata la pistola d'ordinanza del medesimo". Per farla breve, verso le 21 Tormay si sarebbe recato nell'appartamento del nuovo comandante della Guardia Svizzera e "in un momento di follia" avrebbe ucciso i coniugi Estermann, per poi suicidarsi. Solo un'ipotesi? Macché! Un comunicato affermava come il Vaticano avesse "la certezza morale" che i fatti si fossero svolti così.

Alois Estermann era stato promosso comandante della Guardia Svizzera appena 9 ore prima della strage. Tre morti dunque solo per un raptus del vicecaporale, frustrato per qualche mancato riconoscimento? Di certo, anche se il fattaccio s'era svolto in Vaticano e godeva di una sua extraterritorialità, quella notte tra il 4 e il 5 maggio carabinieri ed agenti del Sismi (il servizio segreto militare italiano) si attivarono per sapere cosa fosse realmente accaduto, poco convinti che la vicenda si fosse svolta proprio come accreditava la versione ufficiale. Sul corpo della Guardia Svizzera, pur glorioso e carico di storia e di allori, spesso si giungeva ormai a parlare di crisi. O quantomeno di qualche situazione di disagio sin dal 1970. Hughes de Wurstemberger, un fotografo, era riuscito a superare la selezione e ad arruolarsi per un anno con lo scopo di documentare la vita di caserma. E Bernhard Dura negli anni Ottanta aveva prolungato la ferma di due a quattro anni per poi convertirsi al protestantesimo e scrivere un libro polemico dal titolo: "Non più guardia ma cristiano". Ma gli episodi con nomi e cognomi erano isolati. E allora non restava che vedere il fenomeno anche sotto l'aspetto del costume. Lo sapevate che il termine "nostalgia", da "nostos" (ritorno) e da "algos" (dolore) era stato usato già tre secoli fa per i soldati elvetici? Aveva incominciato ad adoperarlo il 22 giugno del 1688 un giovane alsaziano, tale Johannes Hofer, studente all'Università di Basilea, nella sua "Dissertatio medica de nostalgia": veniva per l'appunto definito "nostalgia" il malessere dei soldati svizzeri che per motivi diversi si allontanavano dai loro villaggi di montagna e si mettevano a inseguire i loro sogni in una città lontana. Finché restava un sentimento dolceamaro, esso corazzava cuore e cervello di sensibilità... e rendeva dolcissimo ogni ritorno per la vacanze. Ma in qualche caso poteva trasformarsi in una vera e propria malattia, persino mortale.

Sarà comunque nostalgia, sarà malessere, sarà che ogni caserma abusa di nonnismi e goliardismi vari, sarà la vita monacale mentre davanti sfilano le tentazioni di una Roma godereccia, fatto sta che pochi anni prima a Castel Gandolfo un alabardiere ubriaco fradicio si era tuffato nudo nella fontana del Bernini, urlando un misto di insulti italiani e tedeschi. Nel 1983 due guardie, nonostante il regolamento prevedesse che dovessero indossare pantaloni lunghi anche in agosto, erano state fotografate in costume sulla terrazza della Torre di Alessandro VI. E nel 1995, per festeggiare lo scudetto della squadra di calcio del loro Cantone, una decina di guardie alticce si erano messe a sfasciare nella notte le auto parcheggiate in piazza Risorgimento. Insomma, neppure la guarnigione all'interno della cinta sembrava vaccinata a rancori e screzi, sino ad esplodere in episodi di violenza. Ma un episodio come quello dei tre morti del maggio 1998 non s'era mai verificato. Inevitabilmente le voci sul malessere superarono per la prima volta le Mura Leonine alimentando spiegazioni e racconti. Si disse, per esempio che, all'interno della guarnigione, gli alabardieri appartenevano simbolicamente a due gruppi: quelli dei "santos" (o degli "abatini", per usare il termine dei romani), i quali amavano le sane ricreazioni, lo studio, la musica classica, le passeggiate portandosi dietro il cliché di soldati modello, e quelli dei "killer", specie di Rambo che alle biblioteche preferivano le discoteche e che compensavano la rigidità dei regolamenti tuffandosi di gran lena nei piaceri della Roma by night.


Stupirsi significherebbe però essere fuori dal tempo e dimenticare vicende del passato. Semmai la tragedia del 4 maggio 1998 riapriva anche capitoli a ritroso di una Roma papale che nei secoli aveva visto anche ben altro. A ripercorrere certi fatti dalla notte dei tempi ad Ali Agca non basterebbe un'enciclopedia. Basti ricordare che nel 974, appena eletto, Bonifacio VII fece strangolare il predecessore Benedetto VI per essere detronizzato meno di un anno dopo e assassinato. Il periodo di Papa Borgia vide tra i nefandi protagonisti il figlio Cesare, il quale fece ammazzare in piazza San Pietro il marito della sorella Lucrezia e gettare nel Tevere il fratello Giovanni. Il cardinale di S. Onofrio votò in ben cinque conclavi, si vantò d'essere stato determinante nell'elezione di un paio di papi ma tutto ciò non gli impedì di fare uccidere un mastro di posta e suo padre, chiudendo gli ultimi giorni tra un carcere e un convento.

E intorno alla metà del secolo scorso, proprio in Vaticano, il cappellaio De Felici tentò di assassinare il Segretario di Stato, cardinale Antonelli. Anche il succedersi di antichi fatti di sangue e di tanti vecchi intrighi era la dimostrazione di come nulla fosse riuscito nei secoli a fermare il cammino della Chiesa di Roma, insostituibile guida per oltre un miliardo di cattolici sparsi nei cinque continenti. E che importava anche il fiorire di voci su intrighi e misteri? Proprio a vent'anni dalla scomparsa di Giovanni Paolo I, il cardinale brasiliano Aloisio Lorscheider rilanciava qualche sospetto persino sulla sua morte in un'intervista a "Trenta Giorni", il mensile diretto da Giulio Andreotti. Albino Luciani aveva regnato solo 33 giorni, dal 26 agosto al 28 settembre 1978. Le fonti ufficiali avevano dichiarato che era stato stroncato da un attacco cardiaco fulminante. Non era stata fatta l'autopsia poiché il collegio dei cardinali si era rifiutato di autorizzarla. E il Segretario di Stato Jean Villot aveva dichiarato che Luciani aveva gravi problemi di circolazione trascurati. Per il cardinale Lorscheider invece Luciani non era malato: "Lo dico con dolore: il sospetto rimane nel nostro cuore, è come un'ombra amara, un interrogativo cui non è stata data piena risposta". Ma si era anche trattato di voci, chiacchiere, indiscrezioni in libertà, sulle quali si erano succedute innanzitutto strumentalizzazioni e speculazioni che non avevano fatto inciso sul prestigio del Vaticano, né avevano intaccato la sua storia.

E quel doppio omicidio-suicidio del 4 maggio 1998 era oltretutto una storia che non c'entrava affatto con la Chiesa, con la sua struttura, con il carisma dei suoi stessi organici. Però non ci si poteva non chiedere coma mai un bravo vicecaporale, in un amen, da bravo ragazzo fosse diventato sterminatore di un bravo comandante e della sua brava moglie. Forse la causa era da identificarsi in un intreccio sentimentale? "Assolutamente da escludere - precisò ancora la versione ufficiale - Conoscevamo i coniugi Estermann: erano una coppia modello e il fatto che non avessero figli non era importante poiché entrambi si dedicavano a opere di carità. E' stato un gesto di follia, un improvviso raptus del vicecaporale Tornay". Ma ecco che Valeria, 22 anni, impiegata in uno studio grafico, ultima fidanzata del vicecaporale, non faceva che ripetere: "Cedric era così allegro, pieno di vita, rideva sempre. Non posso credere che abbia voluto uccidere". Si erano lasciati un mese prima ma erano rimasti amici. Le aveva telefonato quella mattina invitando lei e altri amici a una festa, proprio per quella sera, in camera sua, visto che una volta l'anno era permesso. Invece della festa, ecco invece una stanza del Vaticano trasformarsi in camera della morte. Ma anche per Alois Estermann e la moglie Gladys i ricordi e gli encomi si sprecavano: "Erano come due gocce d'acqua, persone insomma che avevano qualcosa in più rispetto agli altri".

Il caso viene archiviato dalla giustizia vaticana per la morte dell'omicida. La dietrologia però si scatena. Si parla di un bossolo mancante e di una lettera mai consegnata. E dell'ultima telefonata di Tornay.




Fedeltà, diligenza e riservatezza sono stati da sempre i pilastri della giustizia in Vaticano. I giudici della Santa Sede hanno continuato a prestare giuramento con un rito antico. Una vera struttura giudiziaria, modellata su quella italiana e con pochissime differenze, nacque solo all'indomani dei Patti Lateranensi nel 1929. L'assetto prevedeva un tribunale di prima istanza composto da tre giudici, competente per cause penali e civili, con la possibilità di presentare ricorso al Tribunale della Rota. Fu Pio XII che nel 1946 modificò l'assetto istituendo la figura del Giudice Unico e aggiungendo una Corte d'Appello e una Cassazione di soli cardinali. Poi nel 1987 il segretario di Stato Agostino Casaroli fece aggiornare lo schema, specificando per esempio che il Giudice Unico, nominato dal Papa, deve essere cittadino vaticano. E il segreto d'ufficio restava tra i cardini di quel giuramento.

Circa i "tre morti in Vaticano", il 5 febbraio 1999, il Giudice Istruttore del Tribunale dispose "l'archiviazione degli atti" , accogliendo quindi la tesi del Promotore di Giustizia il quale aveva chiesto " il non doversi procedere l'azione penale" poiché era giunto alla conclusione che i coniugi Esterman erano rimasti uccisi dal vicecaporale Cèdric Tornay, il quale subito dopo si era tolto la vita. E per dimostrare come l'indagine fosse stata svolta con rigore e pignoleria, venne sottolineato come prima del verdetto di archiviazione fossero stati portati a termini numerosi atti, tra cui "dieci perizie necroscopiche, anatomo-istopatologiche, tossicologiche, balistiche, grafiche e tecnico-telefoniche affidate a illustri specialisti; cinque rapporti di polizia giudiziaria affidati all'ispettore generale del Corpo di Vigilanza; trentotto audizioni di persone informate sui fatti; numerose richieste di informazioni e rapporti a uffici pubblici dello Stato della Città del Vaticano e della Conferenza episcopale svizzera, nonché diversi servizi fotografici e rilievi tecnici".

Caso chiuso dunque? Per le cronache sì. Per la dietrologia invece tanti strascichi mai cancellati, al punto che le "Kaos Edizioni" subito dopo l'archiviazione ci hanno anche fatto un libro dal titolo "Bugie di sangue in Vaticano - Il triplice delitto della Guardia Svizzera", a firma di un gruppo di ecclesiastici e di laici, racchiusi dalla sigla "Discepoli di verità", i quali - secondo una nota di precisazione - hanno ritenuto di non poter più avallare, con il loro silenzio la verità ufficiale", muovendosi "in quanto credenti e secondo l'imperativo dell'Ottavo Comandamento". Ma al di là dello stesso libro-dossier, molti dubbi e interrogativi hanno continuato a rincorrersi dalla stessa sera della tragedia. Per esempio: se la pistola d'ordinanza del vicecaporale sparò cinque colpi, come mai nella stanza vennero trovati quattro bossoli? E se fosse vero che al momento degli spari il comandante Estermann stava parlando al telefono con qualcuno, chi era e che incarico ricopriva questo presunto "testimone acustico"? L'ufficiale sarebbe stato colpito da due proiettili, la moglie da uno solo. E il vicecaporale si sarebbe poi sparato con un colpo in bocca. Ma ammesso che i colpi dunque furono effettivamente quattro e non cinque, come mai il corpo dell'omicida-suicida sarebbe stramazzato a terra bocconi sulla pistola nel frattempo caduta? Insomma, non sarebbe stato più plausibile che stramazzasse all'indietro anziché in avanti?

In Svizzera, una delle prime reazioni di Mèlinda Tornay, sorella del vicecaporale, si rivelò improntata a toni di questo tipo: "Penso che il Vaticano non ci dirà mai tutta la verità. I giornali parlano di una lettera che Cèdric ci avrebbe scritto per spiegare tutto, ma noi familiari questa lettera non l'abbiamo mai vista, non ne sappiamo niente, nessuno ci dice niente. Noi vogliamo vedere questa lettera...Abbiamo sentito dalla radio che è stata organizzata per le prossime ore una cerimonia funebre, ma nessuno da Roma ci ha avvertiti...".

Le esequie dei due coniugi si tennero la mattina del 6 maggio nella chiesa dei santi Martino e Sebastiano. Il giorno dopo, per il rito funebre del vicecaporale, il colonnello Roland Buchs, fatto tornare in Vaticano per prendere ad interim il comando delle Guardie Svizzere, ordinò che la salma venisse vestita con l'alta uniforme e che le venissero resi gli onori militari da un picchetto di 40 alabardieri. Ma Cèdric Tornay era ritenuto assassino-suicida, insomma quasi un traditore in quanto soldato, forse dunque il colonnello Buchs era tra quelli che restavano scettici davanti alla "verità" diffusa dai comunicati ufficiali? E alla fine le tre bare non solo finirono per trovarsi nella stessa camera ardente, ma Muguette Baudat, cioè la madre del vicecaporale, gli anziani genitori del colonnello Estermann e una sorella della moglie, prima si scambiarono un segno di pace, poi si abbracciarono. Solo un perdono cristiano oppure anche tra di loro non c'era l'effettiva convinzione che la vicenda si fosse svolta così come veniva accreditata?

Muguette Baudat sin dal primo momento non accettò l'ipotesi che il figlio potesse aver sparato per certe punizioni che gli erano state inflitte dal comandante, che ai suoi occhi si sarebbe reso anche colpevole di avergli negato una medaglia al merito. E arrivava ad arrabbiarsi non appena si chiamavano in causa affaticamento e stress. Giurava che quel giorno il figlio era serenissimo, che al telefono le aveva comunicato d'aver trovato un posto in una banca svizzera, che la notizia della sparatoria l'aveva dunque lasciata letteralmente senza parole, che dal Vaticano le era giunto l'invito a non recarsi a Roma per vedere la salma perché il colpo alla bocca l'aveva ridotta in uno stato pietoso, che alle sue insistenze avevano evocato il troppo caldo e lo stato di decomposizione come se lei non sapesse dell'esistenza delle celle frigorifere e davanti alla sua irremovibilità si era giunti a dirle che gli alberghi erano pieni e che era praticamente impossibile trovarle un posto...

E invece, cocciuta e irremovibile, eccola a Roma. Durante la funzione, sulla soglia sarebbe stato visto un affranto sacerdote francese, tale "padre Ivano", presunto padre spirituale del vicecaporale, il quale avrebbe detto a un giornalista che intorno alle 20.30 di quel tragico 4 maggio la segreteria telefonica del suo cellulare aveva registrato la voce di Tornay che gli chiedeva una sorta di aiuto, senza però specificarne il motivo. A suo avviso insomma anche il vicecaporale sarebbe caduto in una trappola e ora pure lui, in quanto latore di questo sospetto, correva grave pericolo. Solo disinformazione quella di "padre Ivano" con inevitabile riflesso di paura sulla sua incolumità?

Tra le voci c'era però anche quella secondo cui non erano mancati ostacoli alla promozione di Estermann a comandante delle Guardie Svizzere. Semplice il motivo:l'ufficiale era ben visto dall'Opus Dei. Il fatto dunque che salisse al vertice di quanti controllavano il Palazzo apostolico e seguivano tutti i movimenti del Santo Padre, poteva tradursi in un'ulteriore crescita del potere dell'Opus Dei all'interno del Vaticano. Ma ad accrescere l'atmosfera di suspence c'era anche dell'altro. Per esempio, mentre nella cittadella pontificia si celebravano i funerali, in Germania il quotidiano "Berliner Kurier" usciva con una notizia che aveva del sensazionale: Alois Estermann, forse coperto dal nome in codice "Werder", sarebbe stato un informatore della Stasi, la polizia segreta della ex Germania dell'Est! Subito sdegnata e vibrante la reazione della Santa Sede: "Sono tutte bugie. E' un'assoluta falsità che non merita neppure di essere presa in considerazione".

Che in effetti si trattasse di una bufala fu convinzione generale e non ebbe alcuna eco. Solo l'ammiraglio Fulvio Martini, capo del Sismi dal 1984 al 1990, parlò di "ipotesi possibile" e spiegò che "in quegli anni i servizi segreti di Germania Est, Polonia e Cecoslovacchia erano interessatissimi a tutto quello che succedeva in Vaticano". E il Sismi sapeva "che il Vaticano sospettava la presenza di una spia al proprio interno". Il che non voleva però affatto dire che si trattasse di Estermann, ritenuto da sempre devoto alla Santa Sede e per sua natura estraneo a ruoli ambigui di doppiogiochismo. Comunque in molti ambienti italiani l'ipotesi che l'integerrimo Estermann potesse essere stato vittima di "un complotto" per mantenere inalterati equilibri di potere che correvano il rischio di essere minati dalla sua nomina a comandante delle Guardie Svizzere, ricorse in ripetute occasioni.

E venne anche alimentata dalla stessa Muguette Baudat, convinta che il figlio, forse di guardia alla stanza dei due coniugi, potesse essere rimasto vittima incolpevole e occasionale di vero e proprio "complotto" contro il comandante. Cosicché l'archiviazione del "caso" da parte degli inquirenti della cittadella pontificia non solo suscitò nella donna molto malumore, ma la indusse a rilanciare la possibilità di controperizie e a parlare di due "importantissimi documenti" che aveva messo al sicuro in banca. Insomma, secondo la donna "in Vaticano c'è qualcuno in grado di spiegare la verità sulla strage ma questo qualcuno è scomparso": ecco il perché,a suo dire, di pressioni e avvertimenti per indurla a tacere. Anche qui solo l'esasperazione del dolore di una madre? Ecco infatti la replica del Vaticano: "Comprendiamo il dolore della madre, ma le risultanze dell'inchiesta sono quelle che sapete. I fatti sono stati accertati,la realtà non si può cancellare. Il suo dolore è comprensibile e va rispettato, così come va rispettato il dolore molto silenzioso e molto dignitoso delle famiglie dei coniugi Estermann......"

La famiglia Estermann chiede la fine delle voci e il rispetto del loro dolore. Per un altro mistero irrisolto. Anche se qualcuno dice ancora che il killer, Cedric Tornay, era stato appositamente "suicidato".




L'archiviazione ufficiale dell'inchiesta portò le famiglie Estermann e Meza Romero a rivolgersi ai mezzi di comunicazione affinché venisse rispettato il loro dolore, rifiutando di polemizzare "con quanti hanno lanciato una valanga di insinuazioni infamanti e di calunnie, il cui risultato è stato solo di creare una grave confusione nell'opinione pubblica e soprattutto di rendere ancor più profonda la nostra sofferenza". E l'appello offriva anche l'occasione per respingere "categoricamente le informazioni apparse su aspetti morali della vita" dei due coniugi e per rifiutare " i minimi sospetti su presunte ipotesi o fomentate storie d'amore o di spionaggio con le quali si è voluto macchiare Alois Estermann, impegnato solo nel servizio della Chiesa e nel compimento fedele della sua missione, vissuta come vocazione...". Insomma, "con informazioni capovolte o inventate si riesce solo a sconvolgere la società. Rafforzando al tempo stesso un mercantilismo scandaloso e dando luogo a manifestazioni di pessimo gusto, poiché si trae profitto dalla morte di persone oneste e degne". E lasciando intravedere "una realtà nascosta all'interno di alcune ipotesi", le famiglie sottolineavano che "l'unico obiettivo è colpire non solo le persone, ma anche la Chiesa cattolica e le sue istituzioni...". E nell'uscire definitivamente di scena, chiedevano con fermezza "che tacciano una volta per tutte le voci prive di scrupoli che invece di ridare speranza, desiderio di vivere e di lottare, non fanno che seminare depressione, delusione, sfiducia e tristezza".

Atteggiamento comprensibile nel respingere voci e calunnie. Non solo: parole pronunciate con grande coerenza, evidente sincerità e assoluta buonafede da parte due famiglie irreprensibili che si erano viste colpire nei loro affetti e per le quali ogni voce e ogni brandello di ipotesi al di fuori della ricostruzione e delle conclusioni cui era pervenuta l'inchiesta, non faceva che provocare in loro ulteriore dolore. Ma ognuno doveva pur fare il suo mestiere. E allora come non vedere in quei tre morti in Vaticano qualcosa che comunque sfuggiva alla logica e che si trascinava dietro più di un velo di mistero?

D'altronde Alois Estermann non era una guardia svizzera qualsiasi, era appena diventato il comandante del Corpo. E non solo aveva seguito tutti i viaggi del Pontefice, ma quel 13 maggio 1981, quando Giovanni Paolo II era stato ferito da Alì Agca in piazza San Pietro, i giornali lo avevano accomunato tra gli "eroi" che si erano catapultati verso la jeep, pronti a far scudo contro quel presunto e misterioso commando di attentatori. E di quel pomeriggio intorno alle 17 era rimasta anche una foto che per l'appunto ritraeva Estermann accanto al Pontefice ferito. Il 27 ottobre 1982 ecco la promozione a capitano. E nell'aprile 1983 quella a maggiore, con la dispensa a potersi sposare, pur non avendo ancora ultimato i cinque anni di servizio richiesti dal regolamento. Il rito civile era stato celebrato il 7 marzo 1984 a Urica, in Venezuela, ma quello religioso due mesi prima aveva avuto l'imprimatur a Roma nientemeno che del vescovo venezuelano Josè Rosalio Castillo Lara, in piena scalata di potere, ritenuto in buoni contatti per ragioni di apostolato con alcune logge massoniche, impegnatissimo altresì nella carica di Pro-presidente della Pontifica commissione per le revisione del Codice di Diritto Canonico. Sarebbe infine persino puerile dimenticare che erano gli anni in cui le finanze vaticane, dopo la "cura Sindona" erano passate alla "cura Calvi" e che c'erano già tutte le avvisaglie di quel crack, ben oltre lo stesso Ior-Ambrosiano, in cui si sarebbe contata una voragine di quasi 4 mila miliardi di lire.

Al di là dunque della straordinaria bravura, delle ottime referenze e del comportamento cristallino di Alois Estermann, chi può escludere che proprio da uomo ligio ai regolamenti, avesse incominciato ad annusare o fors'anche a respirare un'atmosfera che non lo lasciava proprio tranquillo? E possiamo mai credere che non conobbe personaggi potenti come monsignor Marcinkus? Vero che in quel 1998 in cui Estermann avrebbe assunto il comando delle Guardie Svizzere quelle nubi addensatesi sul Vaticano intorno agli anni Ottanta si erano completamente dissolte, ma è altrettanto vero che a Estermann era stato comunque impossibile non intravederne e leggerne alcune anche nei periodi in cui era stato prima capitano, quindi maggiore, infine sposo felice. E poi forse che, anche sul fronte estero, i coniugi Estermann non avevano avuto modo di intrattenere ottimi rapporti politico-finanziari, diplomatico-militari per esempio in Austria, in Liechtenstein (con i membri della famiglia regnante, molto vicina all'Opus Dei), in Svizzera, in Francia, in Germania? E quale ufficiale della Guardia Svizzera, forse che non era routine, anche per sacrosante ragioni di servizio e di immagine, incontrare periodicamente addetti militari di varie ambasciate estere in Italia?

Tra i particolari apparentemente insignificanti ma strategicamente interessanti, non dimentichiamone però uno: i coniugi Estermann crebbero in splendore e considerazione tra le mura vaticane e altrove sino a quando il loro padre putativo e padrino monsignor Rosalio Castilio Lara (ottenne poi la porpora nel 1985) incalzò in potere diventando uno dei pupilli dell'allora Segretario di Stato cardinale Agostino Casaroli e impadronendosi delle maggiori leve amministrative della cittadella pontificia. E poiché la scalata di Castilio Lara fu consistente e prolungata con incarichi vari (membro della Segnatura apostolica, presidente dell'Amministrazione del patrimonio e in sostanza "ministro del Tesoro" e capo supremo di tutte le finanze vaticane), di riflesso i coniugi Estermann, i quali comunque sfoggiavano vera bravura, intelligenza e tanto savoir faire, vissero anni splendidi e sereni, dedicandosi oltretutto a molte iniziative di solidarietà e cultura. Ma non appena la stella di Sua Eminenza Castilio Lara incominciò a declinare già con l'avvento del cardinale Angelo Sodano alla Segreteria di Stato, anche i coniugi Estermann sembrarono trovarsi senza santo protettore. Però l'ufficiale aveva ormai altri appoggi solidi. E comunque, a dar retta a quanto si raccontava, c'era sempre l'Opus Dei che lo sponsorizzava quale nuovo comandante delle Guardie Svizzere. Che poteva lui saperne di eventuali scontri di potere pronti a scatenarsi al di fuori delle Sacre Mura per invisibili motivi strategici? E perché anche l'Opus Dei, pur così ricca di storia e di benemerenze, non doveva dunque avere i suoi avversari, ai quali non era certo gradito vedere quell'uomo "primo guardiano" del Soglio Pontificio?

Sicuramente è stata solo una dannata coincidenza, ma occhio alle date: il 4 settembre 1997 il cardinale Lara, raggiunti i 75 anni d'età, si congedò dalla Santa Sede. E poiché non risultò che avesse ottenuto, o quanto meno avesse chiesto proroghe di sorta, a novembre se ne tornò in Venezuela. Il 4 maggio 1998, la strage in Vaticano, i tre morti. Abbiamo visto in che scenario, ma relativamente ai numeri, e per l'appunto alle coincidenze, la morte di Alois Estermann avveniva nove ore dopo essere stato nominato comandante e sei mesi dopo la partenza per Caracas del suo patron con la porpora, il quale era rimasto così legato alla coppia da richiederne immediatamente il trasporto e il seppellimento delle salme in Venezuela. Quel 4 maggio l'ufficiale non aveva certo l'aria di uno che doveva morire. Due giorni prima si era recato "Da Andrea" in via Plauto, il suo barbiere, manifestando la propria soddisfazione per la nomina, poi aveva pranzato "Da Marcello", in via di Borgo Pio ed era sereno e rilassato. E la stessa sera del 4 i due coniugi avevano stabilito di cenare con amici e parenti all'Hotel Columbus, di via della Conciliazione. Li aspettavano alle 21. Ma non sarebbero mai arrivati. Il vicecaporale Cèdric Tornay era di guardia in servizio straordinario nell'androne d'ingresso della palazzina vaticana, dov'era riunito uno dei Gruppi di lavoro linguistici del Sinodo dei vescovi. Il piantonamento sarebbe dovuto terminare intorno alle 19. Ma dopo?

Nel dossier "Bugie di sangue in Vaticano" dei cosiddetti "Discepoli di Verità" si legge testualmente: "In Vaticano c'è chi sostiene che il vicecaporale Tornay sarebbe stato aggredito alla fine del servizio, pochi minuti prima delle 19 e trascinato in divisa e armato della pistola d'ordinanza, in quello scantinato nel quale gli aggressori erano penetrati dall'accesso situato verso la Porta di Sant'Anna. Tornay sarebbe poi stato "suicidato" nel locale sotterraneo con una pistola silenziata calibro 7. E la sua arma di ordinanza utilizzata per uccidere i coniugi Estermann nel loro appartamento. Successivamente il corpo di Tornay sarebbe stato trasportato nell'abitazione degli Estermann per allestire la messinscena dell'omicidio-suicidio. I killer avrebbero poi lasciato lo stabile attraverso il locale sotterraneo. Le due testimonianze di un sergente e di un caporale senza nome secondo le quali Cèdric Tornay sarebbe stato visto intorno alle 20,59 in abiti civili recarsi verso la palazzina, sarebbero fasulle. Né risulta che l'inchiesta vaticana abbia effettuato alcun tipo di rilevamento investigativo all'interno dello scantinato dell'edificio....". E ancora: "In Vaticano si mormora che Alois e Gladys Estermann e Cèdric Tornay la sera del 4 maggio 1998 sono stati uccisi da un commando formato da un killer spalleggiato da due complici. Si dice che qualcuno il commando l'ha visto, ma non lo testimonierà mai". Insomma, ecco il vicecaporale nel ruolo di "ideale copertura" per addossargli il duplice omicidio e impedire indagini a vasto raggio. Ma andò così? Sappiamo che l'inchiesta ufficiale ha escluso categoricamente ogni intervento di esterni. E sappiamo a quali conclusioni è arrivata ribadendo l'assoluta certezza che si è trattato di duplice omicidio e di suicidio senza contorno di altri retroscena. Ma al di là dell'archiviazione argomentata in corposi documenti, come pensare che, trattandosi di tre morti senza testimoni, si dissolvessero del tutto certe voci e che sull'intera vicenda non sopravvivessero almeno sprazzi di mistero?





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