ANSA
Indymedia: Stanca, Internet non e' zona franca
- ANSA 14.47
Indymedia: Stanca, Internet non e' zona franca
- Il Corriere della Sera
LA RETE. LA VICENDA
Famosi con il G8, guai su Nassiriya: la storia degli antagonisti online
- Il Secolo XIX
Indymedia oscurato la sinistra insorge «Censura politica»
An soddisfatta: «Era solo fango»
- L'Unione Sarda
L’Fbi rivela: lo ha chiesto l’Italia. Prc: Pisanu riferisca
in Parlamento
- La Sicilia.it
L'Fbi chiude Indymedia. E' scontro in Parlamento
- Il Giornale di Vicenza
Da destra a sinistra lite su Indymedia
- La Provincia.it
Fbi oscura Indymedia E’ scontro fra i poli
-----
Indymedia: Stanca, Internet non e' zona franca
10/10/2004 - 14:47
Ancora polemiche sull'oscuramento del sito
(ANSA) - GENOVA, 10 OTT - 'Internet non e' una zona franca per alcun genere
di reato', ha detto il ministro Stanca commentando l' oscuramento del sito di
Indymedia. 'Internet e' un grande spazio di liberta' e come tale va salvaguardato'
ha aggiunto Stanca. Ieri l'Fbi ha detto che il blocco dei server del sito e'
avvenuto su richiesta di Italia e Svizzera e che l'iniziativa non e' stata presa
in prima battuta dal ministero della Giustizia Usa. Il sito e' popolare nell'ambiente
no global e alternativo.
copyright @ 2004 ANSA
***
LA RETE
LA VICENDA
NO GLOBAL Il network
Il sito Indymedia.it è la costola italiana del movimento internazionale
che si descrive come «network di media gestiti collettivamente per una
narrazione radicale, obiettiva e appassionata della verità». Il
portale è da anni punto di riferimento degli attivisti del movimento
antiglobalizzazione, dei centri sociali, delle realtà pacifiste
FBI
Il sito oscurato
Giovedì scorso l’Fbi si è presentata nella sede statunitense
e in quella inglese di «Rackspace», l’azienda in cui risiedono
i server che ospitano molti siti locali di Indymedia. Gli agenti hanno sequestrato
i server su cui «girano» la versione italiana e quella inglese e
hanno preso in consegna i dischi su cui è archiviato il database e il
newswire del sito italiano
IPOTESI
Svizzera e Italia
Il procuratore capo Enrico De Nicola «non esclude» che l’oscuramento
di Indymedia sia collegato a un’inchiesta della Procura di Bologna e il
procuratore del cantone di Ginevra Daniel Zappelli conferma l’apertura
di un’inchiesta collegata con la pubblicazione di fotografie di agenti
sul sito
IL NETWORK
Famosi con il G8, guai su Nassiriya: la storia degli antagonisti online
La ricetta nata nel ’99 dopo il Wto di Seattle: totale libertà
di espressione
In principio erano i maodadaisti di Radio Alice, l’emittente bolognese
di controinformazione nata nel ’76. Furono loro ad aprire per la prima
volta i microfoni agli ascoltatori, senza filtri e censura, e furono loro -
come ricorda il film «Lavorare con lentezza», in questi giorni sugli
schermi - a documentare in diretta l’irruzione della polizia che ne decretò
la chiusura, proprio mentre nelle strade si cominciava a sparare. Poi è
arrivata la globalizzazione, Internet ed Indymedia, il network nato nel ’99
ai tempi del vertice Wto di Seattle. Di Radio Alice il progetto conserva la
stessa impronta politica - una sinistra movimentista (ma decisamente meno dadaista)
- e la stessa filosofia della totale libertà di espressione, ribattezzata
open publishing . Chi si avvicina a Indymedia trova difficoltà a capire
i meccanismi di un sito che non ha redazione e ha un software che consente a
chiunque di intervenire liberamente. Un modo per superare l’informazione
ufficiale e che ha consentito spesso di far pubblicare contenuti e foto utili
alla ricostruzione degli eventi, ma anche di far uscire insulti e messaggi deliranti,
del tipo di quelli che si ascoltavano nella segreteria telefonica a ciclo continuo
di Radio Radicale. All’epoca della strage dei carabinieri italiani a Nassiriya,
qualcuno scrisse sul sito che non era «il caso di piangere per loro»
perché «quei militari non erano più persone». Quando
Mario Placanica, il militare che sparò a Carlo Giuliani durante il G8,
ebbe un grave incidente automobilistico, ci fu chi fece sapere di «aver
brindato a Sangiovese» e chi vergò slogan come «più
platani meno sbirri».
I mediattivisti si difendono spiegando che questi messaggi vengono pubblicati
sulla colonna di destra, quella ad accesso libero. «Blocchiamo solo i
commenti di contenuto fascista e sessista e gli spam pubblicitari» spiega
Maria, nick name di una delle 300 persone iscritte nella editorial list , la
lista di chi fornisce i contenuti primari. Testi che appaiono nella parte principale
del sito e che sono concordati «non a maggioranza, ma con il metodo del
consenso, cioè con la decisione che raggiunge il massimo compromesso
possibile». E le diffamazioni, gli insulti a flusso continuo? «Cerchiamo
di eliminare i riferimenti diretti a persone quando sono frutto di informazioni
distorte. E interveniamo commentando negativamente i messaggi che riteniamo
sbagliati».
Indymedia nella sua breve storia può vantare una vittoria giudiziaria,
la causa vinta contro la Diebold, la compagnia che fornisce i sistemi di votazione
elettronica e che fu coinvolta nello caso del conteggio sbagliato di voti delle
ultime presidenziali Usa. «Ma anche vittorie giornalistiche, per esempio
l’opera di controinformazione fatta durante gli scontri del G8 di Genova»
dice un attivista. Non a caso ora due parlamentari diessini denunciano il sequestro
«della banca dati dei legali con gli atti depositati dal pm nel processo
genovese sull’irruzione alla scuola Diaz».
Ma l’ open publishing è anche un rischio e così Indymedia
Germania e Spagna hanno dovuto introdurre un «filtro contro le provocazioni
naziste». E gli admin , i 300 della editorial list , sono costretti, come
è accaduto anche ieri, a confrontarsi con l’effetto collaterale
della libertà senza censure, ovvero gli insulti e le minacce.
Al. T.
Corriere della Sera
***
Indymedia oscurato la sinistra insorge «Censura politica»
An soddisfatta: «Era solo fango»
Roma La chiusura della rete internet Indymedia sta diventando un autentico giallo
spionistico. Ufficialmente il portavoce della Fbi ha confermato che il blocco
del server che ospita il sito, punto di riferimento della controinformazione
della rete "no global", è avvenuto su richiesta delle autorità
svizzere e italiane. L'ordine è stato firmato dal tribunale di San Antonio,
in Texas, dove ha sede la società Rackspace; e un analogo provvedimento
è poi stato adottato nei confronti della succursale londinese della stessa
organizzazione. Ma se da Ginevra arrivano conferme (la richiesta sarebbe partita
perché due funzionari, incaricati di seguire le indagini sugli scontri
avvenuti durante il G8, si sono visti diffondere sulla rete le proprie immagini),
in Italia il mistero è quasi impenetrabile. Il procuratore di Bologna,
Enrico Di Nicola, non esclude che l'oscuramento del sito possa essere una conseguenza
dell'inchiesta aperta dalla procura felsinea a seguito della pubblicazione sul
sito di alcuni commenti decisamente ostili ai carabinieri di Nassiriya: era
stato chiesto infatti alle autorità americane di identificare gli autori
di alcuni messaggi. Ma neppure Di Nicola ha certezze: attende di tornare domani
in Procura per verificare.
Su Indymedia si era concentrata la attenzione anche di altri uffici giudiziari:
Brescia, Bologna, Bari, Napoli e Salerno. Resta il fatto che la magistratura
può chiedere per rogatoria agli Stati Uniti (dove è fisicamente
collocato il computer centrale) l'acquisizione di documenti; non certo pretendere
la chiusura di un sito. E allora? La sinistra pacifista punta decisamente il
dito contro An, e contro il portavoce del partito, Mario Landolfi. Fu lui, nel
novembre dello scorso anno, in una interrogazione parlamentare a chiedere misure
drastiche contro la rete, «non escludendo l'oscuramento del sito».
E ieri lo stesso portavoce di Gianfranco Fini non ha saputo trattenere la propria
soddisfazione per la decisione delle autorità statunitensi: «Aver
oscurato questo sito è stata cosa buona e giusta: non si trattava di
controinformazione, ma di un sito che sputava fango e veleno, pieno di oscenità».
Affermazioni che, per la sinistra, suonano come una vera e propria esaltazione
della censura. Ma c'è di più: i Ds rivelano che questo oscuramento
ha provocato anche la perdita di tutti i dati che venivano utilizzati dai legali
che assistono i "no global" sotto processo per i fatti di Genova alla
scuola Diaz.
«L'operazione che ha portato alla chiusura del sito Internet è
stata condotta per conto di Paesi terzi. I funzionari americani non hanno fatto
altro che assolvere gli obblighi legali contenuti nel trattato di mutua assistenza»
ha spiegato ieri Joe Parris, portavoce ufficiale della Fbi. Ma questo dato viene
immediatamente contestato da alcuni deputati ds: «Quel trattato di mutua
assistenza (Money Laundering and Terrorist financing Act) prevede che si possa
agire per ipotesi di reato come il riciclaggio di denaro e l'associazione a
delinquere con finalità di terrorismo - spiegano Walter Vitali e Katia
Zanotti, entrambi di Bologna - e cosa c'entrano questi reati con Indymedia?
Come hanno motivato questa richiesta le autorità del ministero di Giustizia?».
«E' una cosa incredibile - spiega al Secolo XIX Paolo Cento, esponente
dei verdi e molto vicino alle posizioni dei "no global" - il ministro
di Giustizia deve immediatamente venire in Parlamento a spiegare i motivi di
questa chiusura forzata. Si tratta di una misura che travalica addirittura il
nostro codice». Di più: i Comunisti Italiani chiederanno un intervento
diretto del Parlamento Europeo per far riapparire, su Internet, la rete "no
global".
Proteste sono arrivate anche dalle associazioni giornalistiche italiane ed europee.
Da ieri il sito italiano ha adottato alcuni accorgimenti tecnici per essere
egualmente contattabile anche se non nella versione completa: il nuovo indirizzo
è"italy.indimedia.org".
Angelo Bocconetti
10/10/2004
Il Secolo XIX
***
L'Fbi chiude Indymedia. E' scontro in Parlamento
IL SITO NO GLOBAL
fermato su richiesta di Italia e Svizzera. An esulta. Verdi, Pdci, Prc e Ds
chiedono chiarimenti a Pisanu
Roma. La chiusura da parte dell'Fbi del sito italiano e inglese di Indymedia
scatena una polemica politica tra la sinistra e la maggioranza, soprattutto
An. Polemica che ha assunto toni ancora più accesi dopo che il portavoce
dell'Fbi, Joe Parris, ieri sera, ha chiarito che la chiusura di Indymedia «non
è una operazione Fbi» ma è stata l'Italia, assieme alla
Svizzera, a chiedere loro di intervenire.
Verdi, Pdci, Prc e Ds, chiedono che il ministro Pisanu venga urgentemente a
riferire in Parlamento per chiarire il ruolo del nostro paese.
Sul fronte opposto, il portavoce del partito di Fini, Mario Landolfi, canta
vittoria definendo la chiusura del sito tra i più frequentati dai no
global una cosa «buona e giusta». «Aver oscurato il sito di
Indymedia - osserva - è stata una cosa buona e giusta: non si trattava
di controinformazione, ma di un sito che sputava fango e veleno, pieno di oscenità».
Affermazioni che fanno infuriare l'opposizione tra cui il verde Paolo Cento:
«Si conferma la vocazione autoritaria della destra italiana» .
«Se corrisponde al vero quello che hanno dichiarato i funzionari dell'Fbi
- attacca Alfio Nicotra portavoce del Prc nel Forum Sociale Europeo - il ministro
dell'Interno Pisanu deve delle spiegazioni esaurienti all'opinione pubblica
italiana. In particolare deve dirci come questo atto di censura globale sia
compatibile con i principi costituzionali di libertà di espressione e
d'informazione».
Anche il Pdci chiede che il governo faccia luce al più presto sul suo
ruolo nella vicenda: «Il fatto è gravissimo in sè, ma acquisisce
un aspetto ancora più sinistro - afferma Marco Rizzo - a seguito delle
dichiarazioni rilasciate dal portavoce di Alleanza nazionale, Landolfi».
Ironico il commento dell'ex direttore di «Liberazione», Sandro Curzi:
«Se Indymedia fosse ancora attiva, forse, potremmo sapere qualcosa di
più di Tarek Aziz». Contro la chiusura si sono schierati Giuseppe
Giulietti (Ds) e Paolo Serventi Longhi, segretario della Fnsi, oltre alla Federazione
giornalistica internazionale secondo cui siamo di fronte a «un'intollerabile
e invasiva operazione internazionale di polizia contro una rete specializzata
nel giornalismo indipendente».
Mario Landolfi (An), esulta anche perché fu lui, pochi giorni dopo l'eccidio
di Nassiriya nel novembre 2003, a chiedere per primo al governo di chiudere
questo sito, in segno di protesta per i commenti pubblicati da Indymedia in
quei giorni sui militari italiani. Allora fu il sottosegretario alla Giustizia,
Giuseppe Valentino a riferire che la Procura di Bologna aveva già avviato
un procedimento penale a carico d'ignoti accusati di diversi reati tra cui quello
di vilipendio alla Repubblica, delle istituzioni costituzionali e delle Forze
Armate. E sempre Valentino disse che, essendo molti server all'estero, il governo
avrebbe «valutato l'ipotesi di attivare la procedura di rogatoria internazionale
al fine di acquisire elementi di prova». Procedura che molto probabilmente
ha portato all'azione dell'Fbi.
La Sicilia.it
***
INFORMAZIONE. Dopo la chiusura del sito
Da destra a sinistra lite su Indymedia
Roma. La chiusura da parte dell’Fbi del sito italiano e inglese di Indymedia
scatena una polemica politica tra la sinistra e la maggioranza, soprattutto
An. Polemica che ha assunto toni ancora più accesi dopo che Joe Parris,
portavoce dell’Fbi, aveva chiarito che la chiusura di Indymedia «non
è una operazione Fbi» ma è stata l’Italia, assieme
alla Svizzera, a chiedere loro di intervenire. Verdi, Pdci, Prc e Ds, chiedono
che Giuseppe Pisanu, ministro dell’Interno riferisca urgentemente in Parlamento.
Sul fronte opposto, il portavoce del partito di Fini, Mario Landolfi, canta
vittoria definendo la chiusura del sito tra i più frequentati dai no
global una cosa «buona e giusta». «Aver oscurato il sito di
Indymedia» osserva, «è stata una cosa buona e giusta: non
si trattava di controinformazione, ma di un sito che sputava fango e veleno,
pieno di oscenità».
Affermazioni che fanno infuriare l’opposizione tra cui il Verde Paolo
Cento: «Si conferma la vocazione autoritaria della destra italiana».
«Se corrisponde al vero quello che hanno dichiarato i funzionari dell’Fbi»,
attacca Alfio Nicotra portavoce del Prc nel Forum Sociale Europeo, «il
ministro Pisanu deve spiegazioni esaurienti all’opinione pubblica italiana.
In particolare deve dirci come questo atto di censura globale sia compatibile
con i principi costituzionali di libertà di espressione e d’informazione».
Contro la chiusura si sono schierati Giuseppe Giulietti,Ds e Paolo Serventi
Longhi, segretario della Fnsi, oltre alla Federazione giornalistica internazionale
(Ifj, organizzazione che rappresenta più di 500 mila giornalisti in oltre
cento Paesi) secondo cui siamo di fronte a «un’intollerabile e invasiva
operazione internazionale di polizia contro una rete specializzata nel giornalismo
indipendente».
Il Giornale di Vicenza
***
Fbi oscura Indymedia E’ scontro fra i poli
Roma — La chiusura da parte dell'Fbi del sito italiano e inglese di Indymedia
(nella foto), uno dei siti internet più frequentati dai no global di
tutto il mondo, ha scatenato una polemica politica tra la sinistra e la maggioranza,
soprattutto An. Polemica che ha assunto toni ancora più accesi dopo che
il portavoce dell'Fbi, Joe Parris, l’altra sera, ha chiarito che la chiusura
di Indymedia «non è una operazione Fbi» ma è stata
l'Italia, assieme alla Svizzera, a chiedere loro di intervenire. Verdi, Pdci,
Prc e Ds, chiedono che il ministro Pisanu venga urgentemente a riferire in Parlamento
per chiarire il ruolo del nostro paese. Sul fronte opposto, il portavoce del
partito di Fini, Mario Landolfi, canta vittoria definendo la chiusura del sito
una cosa «buona e giusta». Ironico il commento dell'ex direttore
di «Liberazione», Sandro Curzi: «Se Indymedia fosse ancora
attiva, forse, potremmo sapere qualcosa di più di Tarek Aziz».
Contro la chiusura si sono schierati Paolo Serventi Longhi, segretario della
Fnsi, oltre alla Federazione giornalistica internazionale.
La Provincia.it
***
Sito oscurato.
L’Fbi rivela: lo ha chiesto l’Italia. Prc: Pisanu riferisca in Parlamento
Indymedia: An esulta, la sinistra protesta
Roma La chiusura da parte dell’Fbi del sito italiano e inglese di Indymedia
scatena una polemica politica tra la sinistra e la maggioranza, soprattutto
An. Polemica che ha assunto toni ancora più accesi dopo che il portavoce
dell’Fbi, Joe Parris, ieri sera, ha chiarito che la chiusura di Indymedia
«non è una operazione Fb»» ma è stata l'Italia,
assieme alla Svizzera, a chiedere loro di intervenire. Verdi, Pdci, Prc e Ds,
chiedono che il ministro Pisanu riferisca urgentemente in Parlamento.
Sul fronte opposto, il portavoce del partito di Fini, Mario Landolfi, canta
vittoria definendo la chiusura del sito tra i più frequentati dai no
global una cosa buona e giusta. «Non si trattava di controinformazione
- osserva - ma di un sito che sputava fango e veleno, pieno di oscenità».
Affermazioni che fanno infuriare l’opposizione, tra cui il Verde Paolo
Cento: «Si conferma la vocazione autoritaria della destra italiana».
Se è vero quanto detto dall’Fbi, attacca Alfio Nicotra, portavoce
del Prc nel Forum Sociale Europeo, il Ministro dell’Interno Pisanu deve
delle spiegazioni esaurienti: «deve dirci come questo atto di censura
globale sia compatibile con i principi costituzionali di libertà di espressione
e d’informazione». Protestano i parlamentari diessini Walter Vitali
e Katia Zanotti: tra i dati contenuti nei server sequestrati «ve ne sono
di riservati e estranei alle motivazioni del provvedimento, tra cui la banca
dati dei legali contenente gli atti depositati dal pm nel processo genovese
sull’irruzione alla scuola Diaz, che vede imputati numerosi appartenenti
alla Polizia di Stato». Anche il Pdci chiede che il governo faccia luce
al più presto sul suo ruolo nella vicenda. Contro la chiusura si sono
schierati Giuseppe Giulietti (Ds) e Paolo Serventi Longhi, segretario della
Fnsi. Mario Landolfi (An), esulta anche perchè fu lui, pochi giorni dopo
l’eccidio di Nassiriya nel 2003, a chiedere al governo di chiudere il
sito, in segno di protesta per i commenti pubblicati in quei giorni sui militari
italiani. Per Francesco Giro di Forza Italia, la sinistra versa «lacrime
di coccodrillo»: «l’oscuramento era scontato, visto che a
carico di questo sito erano in corso inchieste da Brescia, Bologna, Bari, Napoli,
Salerno. La sinistra avrebbe forse fatto meglio a sollecitare Indymedia a moderare
i toni».
L'Unione Sarda
|