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Tsunami: rischio di epidemie
by da Liberazione Friday, Dec. 31, 2004 at 3:49 AM mail:  

Solidarietà globale o le solite promesse?


Allarme Oms: le epidemie possono essere più mortali

Croce Rossa Internazionale, Luna Crescente, Medecins Sans Frontieres, Oxfam, Save the Children e le innumerevoli agenzie dell'Onu che si occupano di rifugiati, di bambini, di salute e quant'altro, ognuna con decine di organizzazioni non governative presenti sul territorio, che operano in "subbappalto". Tutti in corsa contro il tempo e contro la calura estiva: bisogna seppellire i morti e far arrivare acqua potabile ai sopravvissuti, altrimenti lo scoppio di epidemie, che secondo l'Oms possono avere effetti più devastanti del maremoto, è solo questione di ore. Per questo, prima ancora degli aiuti internazionali e dei volontari, si sono messe in moto le reti delle comunità locali che stanno rispondendo in maniera esemplare agli appelli delle autorità, diramati immediatamente dal governo indiano e da quello cingalese. Decine di camion pieni di vestiti, di acqua e di generi di prima necessità raccolti dai privati cittadini, stanno lasciando le città risparmiate per raggiungere le zone colpite.


La più grande operazione umanitaria mai vista
Dieci nazioni, milioni di sfollati. Jan Egeland, sottosegretario generale per gli affari umanitari delle Nazioni Unite l'ha detto a chiare lettere: «sarà la maggiore e la più costosa operazione di soccorso in sessant'anni di storia» che capita, però, in uno dei momenti in cui l'Occidente si dimostra meno generoso: appena lo 0,1-0,2 del prodotto interno lordo viene destinato agli aiuti internazionali. «Molti paesi occidentali ricchi» ha sottolineato Egeland «riducono gli aiuti ai paesi in via di sviluppo proprio in un periodo di ricchezza planetaria. Eravamo più generosi quando eravamo più poveri... Non capisco proprio perchè siamo così tirchi. Natale dovrebbe ricordare ai paesi occidentali quanto siamo diventati ricchi».

Del resto, per mettere in moto un'operazione umanitaria di questa portata, le agenzie delle Nazioni Unite sono essenziali, soprattutto quando sono già presenti sul territorio come nello Sri Lanka, dove le Nazioni Unite hanno disseminato nel paese depositi di aiuti di emergenza per fare fronte alla ventennale guerra civile. Gli stock, gestiti dall'Alto commissariato per i rifugiati (Unhcr), sono stati immediatamente messi a disposizione dall'agenzia che, nel frattempo, deve ripristinare il funzionamento delle proprie unità locali investite dalla furia delle acque. L'ufficio Unhcr di Trincomalee è stato devastato e il personale si è salvato per miracolo.

Ovviamente, come sottolineato in queste ore dai funzionari dell'Onu, sono le zone più remote a preoccupare maggiormente: poco si sa delle isole Adamane, che ancora non sono state raggiunte dalle navi della marina indiana, e ancora meno si sa dell'Aceh, la provincia a nord di Sumatra la cui capitale, Banda Aceh, pare sia ancora sommersa dalle acque. Meno preoccupazione destano quei paesi che, come l'India, stanno reagendo prontamente: ieri il gabinetto federale riunito in una seduta d'emergenza ha autorizzato una spesa immediata di 114 milioni di dollari per le zone colpite, e ha predisposto l'invio di aiuti aerei a Sri Lanka e nelle Maldive.


I primi soldi…
Per quanto "avari" in aiuti allo sviluppo, in queste ore i paesi ricchi stanno facendo a gara nell'annunciare lo stanziamento di fondi d'emergenza. Il Giappone da solo mette a disposizione 40 milioni di dollari per cibo, rifugi e medicine, 30 dei quali saranno elargiti direttamente, mentre il resto passerà attraverso organizzazioni non governative. Gli Stati Uniti - grande debitore nei confronti delle Nazioni Unite - si limitano a promettere lo stanziamento di 15 milioni di dollari, più 4 milioni da destinare alla Croce Rossa Internazionale e alla Red Crescent Society, la croce rossa islamica. Davvero poco. Per compensare UsAid ha inviato una ventina di esperti in loco mentre le forze armate di stanza in Giappone hanno messo a disposizione la bellezza di tre aerei per le operazioni di salvataggio. Anche l'Unione europea si sta muovendo: stanzierà 40 milioni di dollari per le zone colpite dal maremoto, ma nel frattempo i singoli paesi stanno spedendo i loro esperti sul luogo del disastro. Dieci milioni di dollari australiani (quasi 8 milioni di dollari) sono in viaggio verso l'Indonesia e la Thailandia mentre anche la piccola Singapore fa la sua parte: 1,22 milioni di dollari più alcune squadre di soccorso messe a disposizione dalla ricca città-stato.

Non si sottraggono alla solidarietà globale i paesi arabi. Il primo a muoversi è stato il Qatar, che ha già spedito 10 milioni di dollari nei luoghi più colpiti, subito seguito dagli Emirati arabi che hanno deciso di inviare sul luogo del disastro praticamente tutto lo staff della Red Crescent nazionale. La Luna Crescente del Kuwait ha invece lanciato una campagna di sottoscrizione popolare a cui il governo ha subito destinato 1 milione di dollari. Si affaccia sulla scena internazionale degli aiuti anche il governo cinese che ha immediatamente messo ha disposizione generi di prima necessità e denaro liquido per 2,6 milioni di dollari. Primi destinatari: India, Thailandia, Sri Lanka e Maldive. Agli aiuti governativi bisogna aggiungere la tempestiva assistenza delle ong già presenti sul territorio. In Sri Lanka, ad esempio, Care International sta già nutrendo 14 mila persone mentre alcune organizzazioni meno note, come l'olandese Stichting Vluchteling - che si era distinta nel terremoto iraniano dell'anno scorso - ha messo a disposizione rapidamente i suoi fondi speciali e il suo personale.


… e i primi intoppi
Il meccanismo degli aiuti è stato appena messo in moto che già si registrano i primi problemi. Pare che il governo dello Sri Lanka abbia rifiutato l'assistenza di un'equipe medica dell'esercito israeliano, paese con cui Colombo non ha relazioni diplomatiche. Ben più grave è invece l'episodio segnalato dalla Crescent Medical Rescue Team, organizzazione di soccorso malese affiliata alla Luna Crescente che aveva allestito un aereo per soccorrere la gente di Sumatra. «L'aereo pieno di medicinali era pronto a partire a poche ore dal terremoto» ha dichiarato il dottor Jose Rizal, della succursale indonesiana dell'organizzazione «Sono passati due giorni e il governo ancora gli rifiuta il permesso di atterraggio».

La situazione dell'Aceh, nell'estremo nord di Sumatra, è gravissima. Il terremoto ha colpito nel pieno di un'offensiva contro i separatisti che, da quasi due anni, sigillava completamente la regione lasciandola praticamente nelle mani di 20 mila soldati indonesiani specializzati in operazioni anti-insurrezione e tristemente noti per le violazioni dei diritti umani. Il cataclisma sembra avere innescato un conflitto fra il governo di Jakarta che afferma di star "lavorando per allentare i cordoni sanitari" intorno all'Aceh e i potenti generali che cercano di ostacolare in tutti i modi l'arrivo di operatori sanitari, giornalisti e diplomatici occidentali.

Nessuna richiesta d'aiuto arriva invece dalla Birmania il che, però, non è affatto un buon segno. Con duemila chilometri di costa esposti allo tsunami - e più o meno alla stessa distanza di Sri Lanka dall'epicentro - il paese è stato certamente colpito in modo pesante ma la giunta militare, che pure ammette la distruzione di 17 villaggi costieri, continua a parlare di poche decine di morti. Il governo di Rangoon sembra quindi intenzionato a tenere lontani gli stranieri anche a costo di abbandonare a se stesse le popolazioni costiere colpite dal catasclisma.

Sabina Morandi

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