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NOTIZIARIO QUOTIDIANO DAL CARCERE: 1 FEBBRAIO 2005
by Ristretti Wednesday, Feb. 02, 2005 at 2:14 AM mail:

Notizie Pecorella (FI): l'amnistia? non ci sono più le condizioni politiche Castelli: legge ex-Cirielli, un deterrente contro la criminalità Castelli: vanno ridotti gli spazi per dare sconti di pena ai recidivi Fabrizio Rossetti (Fp-Cgil): il carcere? è una discarica sociale… Arezzo: gli agenti protestano contro il sovraffollamento del carcere Padova: "mattinata in galera" per 160 studenti delle superiori Milano: creare impresa in carcere, per preparare il futuro Matera: nasce uno sportello per l'accesso alle pene alternative Cagliari: attentato a Buoncammino, domani il via alle perizie Como: per carnevale il carro "recluso", costruito al Bassone Caltanissetta: Comune Mazzarino socio di Fondazione per ex detenuti Palermo: ergastolano diventa dottore in legge, si difenderà da solo Droghe: il 27% della popolazione carceraria è tossicodipendente Droghe: doppia diagnosi, al primo posto i disturbi border-line Milano: City Angels; clochard in trattamento sanitario obbligatorio Parigi: nei musei le ceramiche prodotte nelle carceri della Sicilia Honduras: due reclusi uccisi e decapitati in regolamento di conti Iraq: disordini in un carcere, guardie Usa uccidono 4 detenuti

Ufficio Stampa - Centro Studi di Ristretti Orizzonti

Via Citolo da Perugia n° 35 - 35138 - Padova
Tel. e fax: 049.654233
E-mail: redazione@ristretti.it



Rassegna stampa 1 febbraio
Pecorella (FI): l'amnistia? non ci sono più le condizioni politiche

Corriere della Sera, 1 febbraio 2005

Bisognerebbe innanzitutto scolpire una linea di spartiacque tra reati
associativi e i reati di sangue: "Condanne per fatti anche non gravi hanno
tagliato fuori dalla vita civile un’intera generazione che oggi non ha più le
caratteristiche di pericolosità. Mentre per i reati di sangue non vi è alcun
motivo di perdonare". Parla così Gaetano Pecorella (FI) ma dal suo punto di
osservazione, lui è presidente della commissione Giustizia della Camera, dice
che ormai non ci sono più le condizioni per una pacificazione che porti a
un’amnistia o all’indulto per gli anni di piombo.

È pessimista anche lei che si è sempre impegnato per una soluzione politica?
"Ho sempre lavorato per un provvedimento di clemenza, anche al di là degli anni
di piombo, ma credo che con le elezioni regionali alle porte e quelle politiche
poco dopo sia impossibile mettere in piedi una trattativa politica su questo
terreno".

Anni di piombo o Tangentopoli: in ogni caso ci si deve muovere al principio
della legislatura?
"Sono cose che si fanno in condizioni di confronto non esasperato. Oggi nessuno
si scoprirebbe, tranne qualche piccolo gruppo politico, sul tema del perdono".

E nei prossimi anni?
"Nei prossimi anni per chi non sarà estradato in Italia si prescrive tutto:
parliamo anche di omicidi (puniti con una pena a 24 anni, ndr) commessi negli
anni ‘70. Tanto più passa il tempo tanto meno c’è un interesse politico per
chiudere queste situazioni. Forse ci sarà l’amnistia per i reati comuni quando
le carceri scoppieranno".

Sulla prescrizione, D’Alema attacca la Cdl.
"Distinguiamo tra prescrizione del reato e prescrizione della pena. Su
quest’ultima, il caso della strage di Primavalle, si può dire che, anche con una
responsabilità accertata, quando poi è troppo lontana nel tempo la pena non ha
più alcuna funzione. La ex Cirielli, invece, abbassa la prescrizione per i reati
meno gravi e per gli incensurati ma alza la prescrizione per quanto riguarda i
recidivi e i reati gravi".



Castelli: legge ex-Cirielli, un deterrente contro la criminalità

Corriere di Como, 1 febbraio 2005

Alla richiesta di maggiore sicurezza che viene dal convegno promosso dall’Unione
commercianti e dai giovani imprenditori della Confcommercio, il ministro della
Giustizia Roberto Castelli ha risposto citando un nuovo deterrente contro la
criminalità: la legge Cirielli che dà meno garanzie ai recidivi e maggiori
possibilità di riscatto a chi delinque la prima volta.
"La stragrande maggioranza dei delitti - ha detto il ministro - è compiuta da
una piccola percentuale della popolazione: i recidivi" e la nuova legge è "un
sistema decisamente deterrente per la criminalità", con lo stesso sistema "gli
Stati Uniti hanno drasticamente abbassato il tasso di criminalità". Qualcuno ha
calcolato che con la nuova legge ci saranno 20 mila detenuti in più. Nel
convegno sono stati presentati i risultati di un sondaggio sulla percezione
della sicurezza dei commercianti e dei cittadini in genere. Più di un esercente
su tre ha subito violenze. E l’incubo dei bambini è trovarsi i ladri in casa.



Castelli: vanno ridotti gli spazi per dare sconti di pena ai recidivi

Corriere di Como, 1 febbraio 2005

"È venuto il momento per le forze politiche e non mi riferisco a quelle di
opposizione, di avere le idee chiare sulla giustizia. Non si può un giorno
chiede al ministro la linea dura sui reati e il giorno dopo essere garantisti
oltre misura". Il ministro della Roberto Castelli lancia da Lecco un richiamo
forte alla maggioranza di governo ad una maggiore coerenza sulla delicata
questione della giustizia nel corso del convegno dedicato alla sicurezza
organizzato dai Giovani di Confcommercio.
Il Guardasigilli, dopo le polemiche che in questi giorni lo hanno visto
scontrarsi con il collega di governo Giovanni Alemanno all’indomani della
notizia della prescrizione delle pene per i tre colpevoli della strage di
Primavalle dove trovarono la morte i due fratelli Virgilio e Stefano Mattei
figli di una segretario della sezione dell’Msi, torna a richiamare gli alleati
ad una maggiore coerenza in un momento in cui approdano in parlamento importanti
leggi in grado di modificare il peso delle pene.
"La mia azione in questi anni di governo è sempre andata verso un rafforzamento
della certezza della pena, non sempre ho trovato, nei fatti analoga sintonia
nella maggioranza. Troppo spesso mi sono visto chiedere l’applicazione dello
strumento dell’indulto con la giustificazione di liberare le carceri per il
sovraffollamento. Un modo per vanificare gli sforzi di assicurare i criminali
alla giustizia".
Quasi a voler mettere alla prova le dichiarazioni di principio dei partiti del
centrodestra, Castelli ha ricordato la legge Cirielli in discussioni ora in
parlamento che prevede meno garanzie per i recidivi e maggiori possibilità di
riscatto per chi delinque la prima volta. "Una filosofia - secondo Castelli -
che nasce dalla constatazione che la stragrande maggioranza dei delitti è
compiuta da una piccola percentuale della popolazione: i cosiddetti recidivi".
Proprio nei confronti di questi criminali occorre, secondo il Guardasigilli,
ridurre il più possibile gli spazi per l’applicazione degli sconti di pena che
inducono nei cittadini un senso di sfiducia nei confronti della giustizia. "Con
questo atteggiamento - ha sottolineato - gli Stati Uniti hanno drasticamente
abbassato il tasso di criminalità. A Washington gli omicidi sono addirittura
dimezzati. È un sistema decisamente deterrente per la criminalità".
Castelli ha poi spiegato che qualcuno ha calcolato che la Cirielli comporterebbe
un aumento di 20 mila unità nella popolazione carceraria. "Io di calcoli non ne
faccio - ha precisato -. Spero non sia così perché 20 mila detenuti in un colpo
solo non riusciremmo ad assorbirli. Certamente aumenteranno, ma è questa la
norma: chi è atto a delinquere lo lasciamo fuori a tormentare i cittadini o lo
mettiamo in condizioni di non nuocere?".
Al convegno lecchese era presente anche la figlia di Giuseppe Maver, il
benzinaio ucciso il 25 novembre scorso a Lecco da due rapinatori, di cui uno
minorenne. Viviana Maver, figlia del benzinaio ucciso, ha ribadito che è
intenzione della famiglia riaprire la pompa di benzina teatro dell’omicidio per
continuare nel lavoro del padre.



Droghe: il 27% della popolazione carceraria è tossicodipendente

Redattore Sociale, 1 febbraio 2004

Circa il 27% della popolazione carceraria è tossicodipendente (pari a 15.173
persone), ma la percentuale in alcuni penitenziari sale al 40-45%, secondo i
dati rilevati nel 2001. Ma è ampia anche la compresenza di dipendenza da
sostanze e problemi psichiatrici: si tratta di cifre significative, con punte
sfiorano il 50%. Lo evidenzia la ricerca "La doppia diagnosi nei detenuti
tossicodipendenti", a cura di Vittorino Andreoli, coordinatore del comitato
scientifico della ricerca promossa dall’Ufficio studi del Dipartimento
amministrazione penitenziaria.
Lo studio, pubblicato alla fine dello scorso anno, riporta i risultati di un
progetto triennale (svolto dal 2000 al 2003) condotto dall’Ufficio studi,
ricerche, legislazione e rapporti internazionali del Dap, finanziato dal Fondo
Nazionale per la lotta alla droga (Art. 127 L. 309/90) e gestito dall’allora
Dipartimento per gli Affari Sociali – Presidenza del Consiglio dei Ministri.
L’obiettivo del progetto pilota era quello di focalizzare strumenti di
valutazione e di intervento per rispondere alle necessità cliniche di questa
fascia di detenuti. L’indagine ha analizzato, in particolare, due istituti: il
"Due Palazzi" di Padova e la Casa circondariale "Regina Coeli" di Roma, dove
sono stati distribuiti test psicodiagnostici ai detenuti risultati suscettibili
di doppia diagnosi psichiatrica dopo l’esame delle interviste autocompilate. Lo
studio, che ha comportato una convenzione con le Asl di riferimento (Ussl 16 di
Padova e Asl RM A), è stata divisa in due fasi. Nella prima, la ricerca si è
proposta di considerare tutta la popolazione tossicodipendente, a rischio di
"doppia diagnosi", usando uno strumento che potesse essere distribuito dal
personale di Polizia Penitenziaria opportunamente formato a questo scopo. Sono
stati quindi distribuiti dei questionari, messi a punto dal professor Andreoli
assieme al dottor Carmelo Cantone, allora direttore del carcere di Padova. Nella
seconda fase sono stati invece distribuiti dei test psicodiagnostici ai detenuti
risultati a dubbio di "doppia diagnosi".
Quella della doppia diagnosi risulta essere "una terra di nessuno dove le
persone, che sono al tempo stesso affette da disturbi mentali e tossicomani, non
possono essere trattate dalla sola psichiatria classica, ma ancora meno dalle
sole strutture destinate ai tossicomani", commenta nell’introduzione il
direttore dell’Ufficio Studi e Ricerche del Dap, Giovanni Tamburino,
responsabile del progetto. Un’indagine non facile, quindi, "soprattutto perché
non esistono ancora statistiche affidabili sull’argomento a livello europeo, né
strutture specifiche di presa in carica delle persone che mostrino una doppia
patologia, situazione questa particolarmente inquietante nel caso delle
popolazioni carcerarie".

Su 165 tossicodipendenti, di Padova e Roma, il 77% ha problemi psichiatrici

Su 165 detenuti tossicodipendenti negli istituti penitenziari "Due Palazzi" di
Padova e "Regina Coeli" di Roma, ben il 77% ha problemi psichiatrici, quindi ha
una "doppia diagnosi". Tra loro, il 52% era costituito da italiani, il resto da
stranieri. È quanto emerge dalla ricerca "La doppia diagnosi nei detenuti
tossicodipendenti", a cura di Vittorino Andreoli, coordinatore del comitato
scientifico della ricerca promossa dall’Ufficio studi del Dipartimento
amministrazione penitenziaria.
Il campione analizzato in entrambe le carceri era composto da 422 detenuti, di
cui 253 italiani (60%) e 169 stranieri; tra loro, il 65,2% degli italiani si
dichiara tossicodipendente, contro il 62,1% degli stranieri. Gli eventuali
ricoveri per tossicodipendenza si sono verificati per il 38,7% dei connazionali
e per il 19,5% degli stranieri, mentre il 55,7% degli italiani dichiara di
essere stato in comunità terapeutica (44,3% degli stranieri). Il 21,7% degli
italiani ha avuto ricoveri in psichiatria, percentuale superata dagli stranieri
con il 22,5%; al 17,8% dei connazionali è stato diagnosticato un disturbo
psichiatrico (13,6% degli stranieri). Gli intervistati che ritengono di soffrire
di un disturbo psichiatrico sono complessivamente il 24,2%, mentre ben il 16,8%
ha familiari che hanno sofferto di malattie psichiatriche e, tra loro, il 49,3%
ritiene di aver manifestato gli stessi sintomi emersi nei parenti. E il 34,8%
dei detenuti interpellati (il 44,4% degli stranieri, il 28,5% degli italiani)
teme di impazzire, mentre il 39,1% ha chiesto la visita psichiatrica.
"Non bisogna pensare che la doppia diagnosi sia la sommatoria di una diagnosi di
abuso di sostanze fino alla dipendenza e di una diagnosi psichiatrica – spiega
Andreoli -. Ciò che si aggiunge nella doppia diagnosi, alla dipendenza,
all’abuso di sostanze, non è una problematica legata ai disturbi della
personalità. In altri termini, è chiaro che chi consuma sostanze stupefacenti
può, in linea di principio, essere ritenuto come un soggetto che sposta la
soluzione di certi bisogni individuali, e li sposta attraverso un comportamento
che è quello dell’uso di sostanze. La doppia diagnosi si ha quando il quadro
clinico contempla precise categorie diagnostiche, che vanno dai processi
dissociativi alla depressione, insomma tutti quei quadri che danno la precisa
indicazione che, se non ci fosse la tossicodipendenza, ci sarebbe comunque in
quel soggetto un diverso quadro psichiatrico".
Quindi, conclude il professore, "se ci si occupa di un tossicodipendente,
vedendolo solo come tossicodipendente, e ignorandone la diagnosi dissociativa,
possiamo essere sicuri che l’intervento, il migliore possibile che si possa
mettere a frutto sulla tossicodipendenza, non ci permetterebbe di risolvere il
problema".
Nel corso dell’indagine sono emerse alcune difficoltà, anzitutto di comprensione
della lingua italiana sia scritta che parlata per i detenuti stranieri, che
hanno riscontrato anche difficoltà culturali per significati differenti
attribuiti alle parole e alle frasi. Non è stato facile neppure trovare spazi e
orari adeguati per la somministrazione dei test, e stimolare "una adeguata
partecipazione alla ricerca da parte dei detenuti: spesso infatti si aspettavano
qualcosa in cambio". Senza dimenticare il continuo turn-over di detenuti, per
uno spostamento di sede oppure per l’uscita dal carcere.



Droghe: doppia diagnosi, al primo posto i disturbi border-line

Redattore Sociale, 1 febbraio 2004

Su 101 detenuti tossicodipendenti nel carcere "Due Palazzi" di Padova, quelli
con profilo psicopatologico sono oltre la metà (62), con sintomi psicotici nel
53,2% dei casi; una percentuale analoga si è riscontrata nella Casa
circondariale "Regina Coeli" di Roma: il 60% dei 100 detenuti interpellati ha un
profilo psicopatologico, con sintomatologia psicotica nel 53,3% dei casi,
nevrotica nel 33,3%. I dati emergono dalla ricerca "La doppia diagnosi nei
detenuti tossicodipendenti", promossa dall’Ufficio studi del Dipartimento
amministrazione penitenziaria e curata di Vittorino Andreoli, coordinatore del
comitato scientifico dello studio.
I risultati dimostrano un trend simile, per quanto riguarda la diagnosi rilevate
nel carcere di Padova e di Roma; al primo posto, in entrambi i penitenziari, i
disturbi borderline di personalità, a cui seguono i disturbi antisociali di
personalità, quelli d’ansia, un quadro psicotico sintomatico, un disturbo
depressivo con tratti psicotici. Per quanto riguarda una costante nei casi
analizzati, "una caratteristica psichica e comportamentale che si può rilevare
estensivamente - e che costituisce un elemento unitario tra disturbi da uso di
sostanze e disturbi psichiatrici - è l’impulsività", nota la ricerca, precisando
che l’impulsività elevata "è presente nei disturbi di personalità, nei bipolari
e nei tossicodipendenti. L’associazione tra disturbi di personalità e abuso di
sostanze si è mostrata capace di predire la facilità a commettere reati, in
particolare per ciò che concerne il disturbo di personalità borderline e quello
antisociale", nota la ricerca.
Per quanto concerne il trattamento terapeutico, anche l’uso di metadone di
mantenimento "andrebbe incontro a un peggiore esito nei casi in cui al disturbo
additivo si associano disordini affettivi, ansia e disturbi della personalità",
riferisce lo studio, sottolineando la "marcata necessità di interventi
terapeutici inerenti la salute mentale in carcere: gli obiettivi principali sono
quelli di implementare la capacità di relazione sociale e le abilità a vivere in
modo indipendente". Infine, "i pazienti con più grave comorbilità ritornano con
maggiore difficoltà all’integrazione sociale e presentano un esito negativo in
risposta ai più comuni trattamenti, facendo maggior ricordo ai servizi sanitari
e sociali". È stata anche rilevata la necessità di attivare, per i detenuti con
disturbi psichiatrici, "strumenti terapeutici integrati, mirati sia al
trattamento dello specifico disturbo psichiatrico, sia alla socializzazione e al
controllo dell’aggressività".



Milano: City Angels; clochard in trattamento sanitario obbligatorio

Redattore Sociale, 1 febbraio 2004

È morto di freddo, ma non di solitudine. Quando l’hanno trovato sulla panchina
di piazza Duca D’Aosta, davanti alla Stazione Centrale di Milano, Giacinto
Naselli, 45 anni, ex tossicodipendente e malato di Aids, era ancora avvolto nel
paltò con cui l’aveva coperto l’amico Paolo, senza fissa dimora come lui. Ma
nella notte più fredda dell’anno, anche la calorosa attenzione di un amico non è
bastata ad evitare il peggio. Per evitare che il freddo dell’inverno milanese
uccida altre persone, i City Angels propongono il trattamento sanitario
obbligatorio per i senza fissa dimora che rifiutano l’aiuto di Comune e
associazioni.
"Non è una provocazione - conferma Mario Furlan, presidente dei City Angels -.
In seguito alla morte di Giacinto questo strumento diventa una possibilità per
le persone senza fissa dimora che non vogliono farsi assistere, tra cui ci sono
alcolisti, tossicodipendenti e malati di Aids". Il trattamento sanitario
obbligatorio, di norma, è un procedimento attuabile nei confronti di soggetti
incapaci di intendere e di volere, "ma in questi casi non si tratta di persone
malate di mente - precisa Furlan -.
Sono soggetti che si trovano in una ‘zona grigià, tra la follia e la lucidità,
soprattutto quando fanno abuso di sostanze o di alcool. Dovrebbero quindi essere
curati e assistiti anche contro la loro volontà, ma ci vorrebbero procedure
semplificate per il loro ricovero".
La proposta di Furlan non convince i volontari del Naga, associazione impegnata
nell’assistenza socio-sanitaria a nomadi e immigrati: "Èuna proposta non
opportuna - commenta Fabio Parenti -. Non si possono mettere sullo stesso piano
un tossicodipendente e un malato di mente che vivono sulla strada, né applicare
limitazioni alla libertà di chi non rientranei criteri del trattamento sanitario
obbligatorio".
L’alternativa del Naga è una proposta contenuta in una lettera al prefetto di
Milano Bruno Ferrante, articolata in tre punti: una moratoria fino a fine marzo
riguardante tutti i singoli e le famiglie sotto sfratto; una moratoria agli
sgomberi delle baraccopoli situate sul territorio metropolitano e l’apertura di
luoghi per il ricovero notturno (come i mezzanini della metropolitana) in più
punti della città, a prescindere dalla posizione amministrativa delle persone.
"Analoghi provvedimenti esistono già in altri Paesi dell’Unione europea", si
legge nel testo della lettera. In Francia, per esempio, "esiste un blocco degli
sfratti durante il periodo invernale". Il documento, in cui si chiede un
incontro con il Prefetto di Milano, è stato sottoscritto anche da Sin Cobas,
Centro sociale Leoncavallo, Baggio Social Forum, Associazioni Dimensioni
diverse, Giovani Comunisti, Arci e dal giornale di strada Terre di Mezzo.



Padova: "mattinata in galera" per 160 studenti delle superiori

Il Gazzettino, 1 febbraio 2004

Sono arrivati in 90 il 24 gennaio, in 70 il 31, tutti giovani studenti delle
scuole superiori di Padova, accompagnati dai loro insegnanti, per entrare in un
carcere. Qualcuno col documento sbagliato, qualcuno con sciarpe e berretti che
coprivano la faccia, tutti col telefonino. "Ripuliti" dai cellulari e "messi in
riga", con le facce in bella vista (perché entrare in un carcere non è uno
scherzo, nemmeno se si è solo visitatori), hanno affrontato una "mattinata in
galera", parte di un progetto importante, sostenuto dal Comune di Padova,
assessorato alle Politiche sociali, e realizzato da due associazioni, Il
Granello di Senape e Tangram, in collaborazione con la Casa di reclusione Due
Palazzi.
È un’occasione davvero straordinaria, un percorso costruito perché i ragazzi
capiscano che il carcere non è una realtà così lontana, così fuori dal mondo. Il
progetto ha portato e sta ancora portando nelle scuole alcuni detenuti, a
rispondere alle domande dei ragazzi, e alcuni operatori penitenziari a parlare
della realtà istituzionale degli Istituti di pena, e poi, prima di questi
incontri finali in carcere, c’è stata una produzione scritta di testi per la
rivista del Due Palazzi, "Ristretti Orizzonti". Ne uscirà un numero speciale,
fatto interamente con articoli degli studenti, alcuni scritti prima di iniziare
il percorso, con dentro tutto quello che un ragazzo può immaginare sul carcere
guardando soprattutto i film americani, altri scritti dopo, già con un’idea
diversa, con alcune curiosità soddisfatte, con la voglia di capire, di
ascoltare, di confrontarsi con chi in carcere ci vive e chi ci lavora. E poi ci
sarà un video, realizzato dal TG 2Palazzi, con interviste incrociate tra
detenuti e studenti, e molto materiale documentario, fornito ai ragazzi, per le
loro ricerche, dal Gruppo Rassegna Stampa che opera in carcere.
Per gli studenti, un doppio risultato: essere un po’ più informati, e anche più
attenti ai percorsi che possono portare a violare le regole, e imparare
concretamente a scrivere un articolo di giornale, che è poi la prova scritta
dell’Esame di Stato.
Il programma strettamente "carcerario" è stato un mix di musica, con il gruppo
musicale dei detenuti, la Extra & Communitarian Orchestra, e alcuni studenti che
hanno provato e poi suonato con loro, e di parole, con i ragazzi impegnati a
fare domande, lasciando da parte l’emozione del luogo in cui si trovavano, e gli
adulti a rispondere: i detenuti; il direttore e gli operatori della Casa di
reclusione; i volontari, illustrando il progetto che ha portato gli studenti
"dentro"; i funzionari del Comune, dando un quadro chiaro di come il territorio
risponde alle esigenze di offrire alle persone che escono dal carcere
prospettive di reinserimento concrete.



Milano: creare impresa in carcere, per preparare il futuro

Vita, 1 febbraio 2004

Redimere chi è finito in carcere non rientra tra le competenze del Consorzio
Nova Spes, realtà che opera in quasi tutte le case circondariali lombarde e che,
nel 1988, come l’araba fenice, è rinato dalle proprie ceneri raccogliendo
l’input del cardinale Carlo Maria Martini. Un invito raccolto da realtà quali
Caritas Ambrosiana, Compagnia delle Opere - Federazione Impresa sociale e
Fondazione Exodus.
Questi i soggetti sociali che sei anni fa hanno iniziato a lavorare per non
disperdere il patrimonio della Spes spa, società della Regione Lombardia che si
occupava di lavoro nelle carceri. Da lì il Consorzio Nova Spes ha iniziato a
scrivere un nuovo capitolo coniugando la razionalizzazione dei processi
produttivi e d’impresa con la messa in campo di un progetto sociale nelle
carceri.
Una sfida vinta visto che il gruppo non solo ha saputo dare attenzione alla
persona in carcere, offrendole un aiuto nel difficile processo di conquista
dell’autonomia e responsabilità avviandone così il reinserimento sociale, ma ha
anche garantito produzione e qualità, come attesta la certificazione Iso 2000.
"Ma per fare ciò non bisogna attendere il momento in cui il soggetto torna in
libertà", spiega Riccardo Rebuzzini del Consorzio Nova Spes. "La creazione di
impresa nelle carceri ha la finalità principale di accompagnare i detenuti alla
costruzione di una nuova autonomia dell’individuo". Ma gli operatori del
consorzio sanno bene che se da un lato il lavoro nobilita, dall’altro può essere
un mezzo non sufficiente a centrare l’obiettivo. Per questo hanno introdotto la
formula del 4 + 1: un mix composto da quattro giorni di lavoro seguiti da una
giornata di formazione. "L’attività principale svolta da quasi 150 detenuti (di
questi una trentina usufruisce di forme di carcerazione alternativa) è il
trattamento di dati.
Ci occupiamo di trasferire documenti o archivi cartacei su supporto
informatico". "Il lavoro però non deve essere la nostra unica finalità",
continua Rebuzzini. "Il carcere contribuisce ad abbassare se non azzerare il
livello di responsabilità dei detenuti, l’attività lavorativa invece lo rimette
in gioco in termini di tempistica e mansioni da rispettare, avviando così di
fatto anche un percorso di riprogettazione del futuro del carcerato".
Processi non semplici tanto che c’è anche chi non ce la fa o chi, dopo anni di
detenzione, torna a delinquere. "Se riuscissimo a ottenere il 100% dei
risultati, meriteremmo il Nobel per l’economia per aver costruito un’impresa con
gente che è stata allontanata dai circuiti imprenditoriali. La nostra
percentuale di successo supera il 50%. Confortanti anche i dati
dell’amministrazione penitenziaria", spiega Rebuzzini.
"Chi riesce a mantenere il lavoro nel primo anno post detenzione, abbassa del
60% le possibilità di rientrare nel circuito delinquenziale. Ma perché ciò possa
accadere l’approccio al lavoro deve iniziare in carcere". Il Consorzio, oltre
all’elaborazione informatica, ha attivato servizi di pulizia e assemblaggio. Il
comparto principale resta però quello informatico e la gestione fisica dei
documenti i quali vengono catalogati e riordinati in un capanno di Peschiera
Borromeo.
In questo campo la Nova Spes ha saputo diventare una realtà nazionale,
sviluppando dietro le sbarre non solo capacità imprenditoriali, ma anche
professionali. "Una volta liberi sappiamo che non è facile trovare lavoro, ma
così è più semplice", conclude. "Lavorare in carcere permette di attivare
contatti e conoscenze che possano rivelarsi poi utili per trovare una
sistemazione".

Consorzio Nova Spes onlus
Via Montecuccoli 21/a - Milano
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Matera: nasce uno sportello per l'accesso alle pene alternative

Comunicato Stampa, 1 febbraio 2004

Ha aperto ufficialmente i battenti giovedì 2 dicembre scorso a Matera lo Spin
"Vologiù" (SPortello INformativo VOLOntariato GIUstizia). Frutto di un
Protocollo d’Intesa fra CSSA della Basilicata e Associazione "Cittadini
Solidali" - membro della CRVG della Basilicata - lo Sportello svolge un servizio
di informazione rivolto a tutte le persone che possono accedere alle pene
alternative alla detenzione e alle loro famiglie, avvalendosi della presenza di
assistenti sociali del CSSA e di volontari dell’Associazione. Attraverso lo
Sportello, gli utenti possono ricevere anche informazioni sulle modalità di
accesso al gratuito patrocinio. Per il momento, l’orario di apertura del
servizio è di due ore settimanali. Per presentare ufficialmente l’iniziativa, si
sta progettando un convegno che si svolgerà a Matera il 18 febbraio 2005, a cui
parteciperanno Livio Ferrari e Alessandro Margara. Seguiranno informazioni più
precise.
Chi volesse saperne di più, può contattare sr. Lucia Cima in Caritas Diocesana
di Matera (0835 330060) o attraverso e-mail: lucaniacvg@hotmail.com Le
assistenti sociali del CSSA sono Anna Rita Di Gregorio e Nicoletta Serra (tel.
0971 411472).



Iraq: disordini in un carcere, guardie Usa uccidono 4 detenuti

Reuters, 1 febbraio 2004

Truppe americane hanno ucciso quattro prigionieri durante disordini in un
carcere militare nell’Iraq meridionale e altri sei detenuti sono rimasti feriti
ieri, riferiscono i militari Usa. I disordini al Theater Internment Facility di
Camp Bucca sono scoppiati dopo un’ispezione di routine per il contrabbando in
uno dei dieci compound del campo e si sono estesi ad altre tre strutture, con
detenuti che lanciavano pietre e oggetti, dicono i militari. Le guardie Usa
hanno aperto il fuoco dopo 45 minuti dall’inizio dei disordini. I feriti sono
stati provocati sia dalle guardie che da altri detenuti durante i disordini,
riferiscono i militari.



Fabrizio Rossetti (Fp-Cgil): il carcere? è una discarica sociale…

Liberazione, 1 febbraio 2004

"Il carcere? Una discarica sociale, altro che struttura rieducativa". "Il
carcere, nell’immaginario collettivo è un luogo dove scaricare le
contraddizioni, le emarginazioni, i conflitti che il vivere sociale non riesce a
risolvere. Sostanzialmente il carcere è sofferenza per chi è costretto a viverci
da recluso e per chi è costretto a lavorarci".
Sofferenza però, come spiega a Liberazione Fabrizio Rossetti, responsabile
nazionale area carcere della Cgil-Fp, che non è sempre uguale: varia di
intensità e in questi ultimi quattro anni di governo del centrodestra ha
superato livelli di umana sopportazione.
"Non solo ci deve essere la maturazione di una coscienza collettiva che superi
il bisogno del carcere, che faccia in modo che non sia l’unica risposta che la
società sappia offrire al crimine, alla devianza, al reato. Ma c’è anche da
porsi il problema di come si amministrano le carceri, se si tagliano i fondi per
investimenti e spese viene meno la funzione rieducativa della pena".

Come si è arrivati all’attuale collasso del sistema carcerario?
Sono state drammaticamente ridotte le risorse che lo Stato, il Parlamento, la
società civile ha sempre destinato al carcere. Nel 2001 l’amministrazione
penitenziaria spendeva all’incirca 105 milioni di euro per il funzionamento del
servizio sanitario e farmaceutico, nel 2004 le spese previste nel bilancio sono
state di 75 milioni di euro. Una riduzione così drastica degli investimenti fa
sì che il livello di assistenza sanitaria in carcere sia gravemente compromesso.

Quanto compromesso?
Spariscono le medicine, sparisce la strumentazione, sparisce il servizio di
guardia medica, si taglia il servizio infermieristico. Ci sono istituti,
soprattutto i più piccoli, che non possono permettersi il servizio di guardia
medica interna. Carceri, questi, dove se si sente male un detenuto sono
costretti a chiamare il 118. Con tutte le contraddizioni e le difficoltà del
caso: con l’aggravante che il cittadino recluso non ha la possibilità di
scegliere il tipo di assistenza sanitaria.

C’è una responsabilità diretta del ministro Castelli?
Assolutamente. Perché da un lato taglia risorse da destinare alla attività
sanitaria interna, dall’altro lato blocca la legge di riforma approvata nel ‘99
che affida l’assistenza sanitaria in carcere non più al ministero di grazia e
giustizia ma al sistema sanitario nazionale. Riforma che doveva partire dal
2001. Quella legge tutt’ora è inapplicata, il parlamento non ha mai inteso
rivendicare la mancata applicazione della riforma e neanche la Conferenza
Stato-Regioni si è resa conto che esiste un problema macroscopico di diversa
attribuzione delle competenze: la riforma del Titolo V della Costituzione affida
totalmente alle regioni l’attività di assistenza sanitari ai cittadini,
evidentemente c’è una deroga informale, che non sta però scritta da nessun
parte, ma è sostanziale ed il risultato è la totale illegalità
dell’amministrazione sanitaria in carcere. Ammesso e non concesso che un
ministro della giustizia possa sospendere una legge perché non gli piace, in
quattro anni non ha offerto nessun alternativa al collasso.

Un collasso, dunque, economicamente pianificato?
E che purtroppo si riflette sulla vita quotidiana dei detenuti. Un altro taglio
di finanziamento che può dare il senso del collasso strutturale degli istituti
di pena è quello destinato alla spese di manutenzione e riparazione degli
immobili. Tutte quelle spese che generalmente concorrono a far diventare
dignitoso un carcere: soldi destinati ad esempio per la riparazione di un
lavandino, di una perdita d’acqua. Spese che rendono inevitabilmente più umano
il carcere. Anche queste spese sono state tragicamente ridotte in questi quattro
anni, da 22 milioni di euro a 16 milioni.

Ma le carceri non dovevano essere messe a norma entro il 2005?
C’era l’obbligo, secondo il regolamento Corleone del 2000, di mettere a norma
gli istituti. Ad esempio dotando le celle di una doccia e creare luoghi per
l’affettività, la scadenza era entro il 2004. Ovviamente non è stato fatto
nulla, anche perché quel regolamento non prevedeva penali. E Castelli si è
sentito in diritto di violare. Naturalmente questa messa a norma degli istituti
si fa con i fondi, se i fondi non si stanziano non c’è la volontà politica di
rendere umani i luoghi di detenzione. Non a caso in questi quattro anni sono
state decurtate anche le spese per le attività culturali e scolastiche: si è
passati dai quattro milioni di euro del 2001 a due milioni e mezzo del 2004.
Decurtato anche lo stanziamento per pagare i detenuti che lavorano per
l’amministrazione penitenziaria da circa 58 milioni di euro ai 48 milioni del
2004.

Qual è l’effetto più devastante di tutti questi mancati finanziamenti?
Il carcere che diventa discarica sociale. Il nostro sistema penitenziario
prevede come obiettivo finale il reinserimento penale e introduce alcuni
parametri attraverso i quali valutare il percorso del condannato e giudicarsi
più o meno meritevole di essere reinserito. Parametri come il lavoro, la
famiglia e quindi la capacità di mantenere relazioni con l’esterno, cultura e
attività professionali come la partecipazione a corsi di formazione e di
scolarizzazione. Un sistema selettivo e classista, perché chi ha già un lavoro,
la famiglia e la cultura ha naturalmente gli strumenti e la capacità di accedere
in carcere ai circuiti alternativi, ma chi non ha questi strumenti ha difficoltà
estreme ad accedere ai percorsi che portano al reinserimento. Se si tagliano
risorse destinate ai corsi di formazione, agli educatori, alla scuola - al
principio classista dell’ordinamento penitenziario - si aggiunge una
discriminazione altrettanto classista delle istituzioni. Ed è quello che sta
accadendo. Attraverso il taglio mirato del bilancio sta passando l’idea di un
carcere dentro il quale si rinchiudono i reietti, gli ultimi.



Cagliari: attentato a Buoncammino, domani il via alle perizie

L’Unione Sarda, 1 febbraio 2005

L’ipotesi di un attentato messo a segno dalla criminalità organizzata comune
prende sempre più forza. A una settimana dal botto di Buoncammino i gruppi
eversivi sardi non hanno mandato alcun alcun segnale, ed è singolare. Ma non è
comunque questo l’unico motivo a indurre gli inquirenti spostare il raggio
d’azione. Finora gli antagonisti hanno infatti usato bombe confezionate con
esplosivi a basso potenziale, eccezion fatta per l’attentato a Mario Diana, il
23 dicembre di due anni fa a Oristano. Ma lunedì notte davanti al carcere di
Buoncammino c’era qualcosa di diverso: un’auto-bomba con un ordigno micidiale
che avrebbe potuto fare una strage.
Domani mattina gli esperti del Ris inizieranno le analisi tecniche insieme ai
consulenti eventualmente nominati dalla direzione del carcere,
dall’amministrazione penitenziaria, dal proprietario della macchina rubata per
essere trasformata in bomba, e dal carabiniere di Quartu sotto processo a Genova
per i pestaggi durante il G8 che, alla stessa ora, subiva un attentato davanti a
casa. Soltanto dopo aver accertato la natura dell’esplosivo i carabinieri
passeranno alle comparazioni con gli ordigni esplosi in passato e rivendicati
dai gruppi eversivi.
Senza dimenticare la criminalità comune. E qui la memoria va subito
all’attentato del 21 dicembre 2001 quando ad Assemini fu ucciso un trafficante
di droga cagliaritano, Giuseppe Loddi: una bomba nel vano motore della sua Punto
esplose non con l’accensione ma qualche istante dopo. Si ipotizzò anche allora
un telecomando ma le indagini non riuscirono a chiarire la circostanza perché la
macchina fu distrutta dalla deflagrazione. Proprio come la Y10 di Buoncammino.
I due attentati al momento hanno in comune soltanto il mezzo (l’autobomba) e la
potenza dell’esplosione. Per il resto sono soltanto ipotesi. Certo è però che
gli investigatori si stanno concentrando sul carcere, stanno cioè controllando i
nomi dei detenuti per capire se la bomba possa essere stato un invito rivolto a
qualcuno per convincerlo a non parlare. Nel frattempo dal riserbo delle indagini
sugli attentati collegabili al mondo dell’eversione filtra una notizia: un nuovo
filone collegherebbe Mario Floris, - un dipendente della Prefettura di Cagliari
arrestato l’8 ottobre scorso per l’attentato di due giorni prima contro
l’abitazione del prefetto Efisio Orrù - a Luca Farris, il ventiseienne operaio
di Assemini arrestato il 2 febbraio 2004 per gli attentati rivendicati da Asai
(anonima sarda anarchici insurrezionalisti).
Il difensore dell’anarchico (che peraltro domani tornerà libero), l’avvocato
Carmelino Fenudi, nega il legame tra Floris e Farris mentre fonti investigative
confermano la pista. Mario Floris, che in casa conservava scritti sul mondo
anarchico, assomiglierebbe all’uomo descritto da un testimone dopo uno degli
attentati rivendicati da Asai: 50 anni, grosso e non grasso, alto circa un metro
e 80, capelli corti, gli occhi dal taglio particolare, naso da pugile.
Per gli investigatori potrebbe essere l’identikit di Mario Floris. Quando fu
interrogato dal gip, subito dopo il fermo, Floris confessò l’attentato al
prefetto, colpevole a suo dire di averlo perseguitato sul lavoro, ma negò altre
minacce e attentati nel comune di Sarroch dei quali era da tempo fortemente
sospettato. Quanto a Farris, durante i numerosi interrogatori in carcere col pm
antiterrorismo Paolo de Angelis, ha sempre detto di aver fatto tutto da solo e
di non conoscere nessuno del mondo anarchico, sardo o nazionale.
Farris fu arrestato un anno fa subito dopo aver spedito una lettera di minacce
al Capo dello Stato Ciampi in visita in Sardegna. Da quel momento gli attentati,
fin lì messi segno con un cadenza impressionante (ventidue in due mesi), sono
cessati. Questo proverebbe la veridicità delle affermazioni di Farris. Ma ora
questo nuovo filone d’indagine potrebbe rimettere in discussione tutto.



Como: per carnevale il carro "recluso", costruito al Bassone

La Provincia di Como, 1 febbraio 2005

Detenuti in permesso premio, per partecipare al Carnevale comasco. È questa la
nota più curiosa ma anche più positiva della 18.a edizione del corso mascherato
promosso e organizzato dalla Pro Loco Como, che domenica vedrà sfilare per le
vie del centro cittadino anche il carro "Recluso", in costruzione in queste ore
all’interno della casa circondariale del Bassone, a cura degli ospiti e delle
ospiti, che si stanno occupando dell’allestimento della struttura e della
confezione dei costumi.
E grazie all’intervento del magistrato e della direttrice del carcere, 7
detenuti saranno sul carro per condividere con gli altri partecipanti e gli
spettatori, l’allegria e la spensieratezza di quello che non a torto viene
definito il giorno più pazzo dell’anno.
Regista dell’operazione è Mauro Imperiale, responsabile dell’area educativa: "La
nostra partecipazione con la coreografia "I colori della libertà" – spiega –
vuole essere un messaggio alla città per far pensare e riflettere sui detenuti,
che devono essere accolti come parte integrante del tessuto sociale, con la
società disponibile al loro percorso di reinserimento".
Il carro – realizzato in collaborazione con Nerolidio, istituto don Guanella e
con l’assistenza tecnica del consigliere comunale Luigi Nessi e il supporto
morale della stessa Pro Loco – è composto da una struttura in legno e metallo
larga 1,8 metri e lunga 3,20 che ripropone una cella con la porta aperta e
tutt’intorno i carcerati con tanto di pigiamone a righe e palla al piede, con
contorno di secondini sotto i cui panni si nascondono volontari e operatori del
carcere. A trainare questa sorta di viaggio della speranza un trattore messo a
disposizione e condotto dall’agricoltore Paolo Bianchi.



Caltanissetta: Comune diventa socio Fondazione per ex detenuti

La Sicilia, 1 febbraio 2005

Per l’adozione di uno dei 40 ettari dell’ex fondo "Sturzo", in contrada "Russa
dei boschi", territorio di Caltagirone, l’amministrazione comunale diventa
"socio onorario benefattore" della fondazione di promozione umana "Mons.
Francesco Di Vincenzo".
La fondazione, che ha sede ad Enna, si prefigge il compito di inserire nella
vita sociale i detenuti e le loro famiglie, che saranno ospiti del fondo di
contrada "Russa dei boschi", un tempo residenza estiva della famiglia Sturzo di
Caltagirone.
"In territorio di Caltagirone, presso il feudo rurale storico dei venerandi
fratelli Mario e Luigi Sturzo, rispettivamente vescovo di Piazza Armerina per 36
anni e fondatore del Partito Popolare Italiano - scrive il presidente della
fondazione Salvatore Martinez al sindaco Giovanni Virnuccio - sorgerà un’opera
sociale. La realizzazione del progetto è stata affidata dal vescovo di Piazza
Armerina, mons. Vincenzo Cirrincione, e dal suo successore, mons. Michele
Pennisi, alla fondazione "Istituto di promozione umana mons. Francesco Di
Vincenzo, un ente morale diocesano".
"Non potevamo non aderire - dice il sindaco Virnuccio - a questa opera sociale
che, guardando con attenzione al mondo carcerario, consentirà il pieno recupero
della dignità umana dei singoli e delle loro famiglie". Per l’adesione, il
Comune verserà alla fondazione una quota di 5 mila euro per 5 anni.



Honduras: due reclusi uccisi e decapitati in regolamento di conti

Ansa, 1 febbraio 2005

Vittime di altri detenuti durante un regolamento di conti nel carcere Marco
Aurelio Soto, alla periferia di Tegucigalpa. Due reclusi honduregni sono stati
uccisi e decapitati da altri detenuti durante un regolamento di conti nel
carcere Marco Aurelio Soto, alla periferia di Tegucigalpa.
Isaias Flores, 23 anni, e suo fratello Samuel, 26, sono stati accoltellati a
morte ed i loro cadaveri sono poi stati decapitati con un machete da altri
detenuti. Le due vittime erano state condannate a pesanti pene detentive per
omicidio e rapina, ha rivelato il portavoce della polizia locale, Miguel
Martinez. Il governo ha inviato nel penitenziario 100 agenti antisommossa per
evitare altri fatti di sangue e impedire rivolte, ha aggiunto Martinez.



Arezzo: gli agenti protestano contro il sovraffollamento

Ansa, 1 febbraio 2005

Otto in una cella: in tanti sono costretti a vivere i detenuti del carcere di
San Benedetto, ad Arezzo. La denuncia arriva dagli agenti della polizia
penitenziaria che questa mattina hanno protestato con un sit-in davanti al
carcere e con un corteo che ha raggiunto la sede della Prefettura a "Poggio del
Sole". Gli agenti hanno chiesto al Prefetto di farsi portavoce presso il Governo
per sollecitare la realizzazione di un nuovo edificio. Inoltre sono stati anche
richiesti altri agenti.

Rispettare la dignità della persona

Il gruppo UDC in Consiglio Comunale interviene sul problema del carcere di San
Benedetto: "È necessario dare una risposta estremamente urgente ai problemi del
carcere aretino di San Benedetto - afferma Giovanni Grazzini, Vicecapogruppo UDC
in Consiglio Comunale - infatti, con il sovraffollamento, gli organici ridotti
della Polizia Penitenziaria e le carenze strutturali si rischiano non solo
problemi di sicurezza interna al carcere ma anche di natura socio-sanitaria per
le numerose tossicodipendenze.
Ciò che preme ricordare è che la funzione del carcere non deve essere solo
punitiva ma deve permettere un percorso di reinserimento nella società: la
dignità umana non va mai calpestata ed anche nel carcere deve rimanere al centro
degli interventi dell’amministrazione penitenziaria.
Lo Stato ha la possibilità di riaffermare il diritto e la doverosa certezza
della pena solo se mantiene la cultura del rispetto della persona anche nelle
strutture penitenziarie".
"Questi principi, per noi fondamentali, non devono rimanere solo belle parole -
continua Grazzini - servono da subito fatti concreti come le ristrutturazioni
dei locali, il rafforzamento degli organici degli agenti di polizia
penitenziaria e alcuni trasferimenti che alleggeriscano le presenze a San
Benedetto. Questo chiediamo al Prefetto come interessamento verso gli organi
competenti.
Per l’attività di competenza dei Consiglieri Comunali, siamo solidali con i
detenuti e gli agenti e chiediamo al Sindaco un tavolo urgente per
l’individuazione del nuovo sito del carcere di Arezzo, che tra l’altro
permetterà nel futuro di liberare il centro storico da una presenza
"ingombrante" ed anacronistica, permettendo nuove e più consone destinazioni per
l’attuale sede carceraria".



Parigi: nei musei le ceramiche prodotte nelle carceri della Sicilia

La Sicilia, 1 febbraio 2005

Le ceramiche realizzate dai detenuti delle carceri di Giarre e Caltagirone,
potrebbero essere vendute nei bookshop dei musei europei. Sia per la qualità
artistica, ancora migliorabile, sia per il particolare valore morale e sociale
che questi prodotti assumono. Di ciò si sono fatte carico Graziella Bollini e
Joelle Marty, organizzatrici del Museum Expression di Parigi. Ma anche la
principessa Beatrice di Borbone delle Due Sicilie ha manifestato il desiderio di
fare qualcosa, non solo per aiutare questi detenuti sulla via del recupero
sociale, ma per tutta la Sicilia.

Il progetto

Si chiama "Ceramica Amica", il progetto che coinvolge il Museo della Ceramica di
Caltagirone, diretto da Enza Cilia Platamone, le case circondariali della
provincia di Catania e la Fondazione "Monsignor Di Vincenzo", della quale è
presidente onorario il vescovo di Piazza Armerina, mons. Michele Pennisi. Un
progetto voluto dall’assessore ai Beni culturali, Alessandro Pagano, che vi ha
creduto fin dal primo momento.

Dignità da rispettare

"I carcerati non fanno notizia - ha rilevato Pagano - costituiscono la fascia
degli emarginati, ma hanno anche una dignità che va rispettata. Le vite di molti
detenuti sono segnate per sempre. Molti sono solo dei ragazzi e per questo
motivo dobbiamo credere ed impegnarci nella loro riabilitazione, nel loro
riscatto. Troppo spesso rimuoviamo questa realtà, quella di chi non ha potuto
scegliere di andare a scuola oppure ha conosciuto solo la via facile del
crimine. Per molti di essi il carcere può essere un’occasione di vita,
un’occasione di riscatto, un luogo cioè dove riappropriarsi di se stessi ed
acquisire un ruolo nella società".

Opportunità da incentivare

Il progetto "Ceramica Amica", è coordinato dal Centro servizi sociali per adulti
di Catania del ministero di Grazia e giustizia. "Questo progetto è un esempio -
ha aggiunto l’assessore Pagano - di come restituire a queste persone la
possibilità di riacquisire quei valori che gli permetteranno un rientro meno
traumatico nel tessuto sociale. Il detenuto quando esce dal carcere ha due
strade: può tornare a svolgere attività criminose oppure può decidere di farsi
valere onestamente con le competenze acquisite durante la sua detenzione. Ed in
questo senso, la produzione artistica artigianale è un’opportunità da
incentivare".



Palermo: ergastolano diventa dottore in legge, si difenderà da solo

TG Com, 1 febbraio 2005

Ha utilizzato i sei anni e mezzo di isolamento per laurearsi in legge. Carlo
Marchese, condannato all’ergastolo come membro di Cosa nostra, ha realizzato il
suo sogno: studiare in cella per poi potersi difendere senza avvocati. Marchese,
48 anni, ha fatto fruttare il tempo "a disposizione" prima nei carceri di Ascoli
Piceno e Voghera, poi all’Ucciardone e al Pagliarelli di Palermo, dove ha
ottenuto il titolo di dottore in legge con 110 e lode.
Il suo ruolino di marcia in giurisprudenza è di quelli da far invidia alla
maggior parte degli studenti universitari: 30 e lode in diritto privato, diritto
costituzionale, diritto penale. Male che sia andata, Marchese non è mai sceso
sotto il 28, ottenuto due volte. "Dimostrerò la mia innocenza senza avvocati.
Quelli che ho avuto non erano in grado di difendermi", ha poi detto una volta
ottenuta la laurea.
Tutto merito della "41 bis". "Quando ero in isolamento mi chinavo sui libri che
era un piacere - ha raccontato al Corriere della Sera l’ergastolano, vicino di
cella di Totò Riina ad Ascoli - Del resto a parte la ginnastica e l’ora d’aria
non avevo altro da fare. I guai sono cominciati quando mi hanno tolto il regime
duro. Dopo tanto tempo mi sono trovato a condividere la mia vita con un altro
detenuto. Non è facile spiegare che hai bisogno di tranquillità per studiare".

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