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Le relazioni USA-Cina a un vicino punto di rottura
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santerre Thursday, Mar. 10, 2005 at 6:57 PM |
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Le dichiarazioni di un alto ufficiale del pentagono rivelano il chiaro intento aggressivo della casa bianca nei confronti della Cina
Al summit di Brussels del 17 dicembre scorso, i rappresentanti europei hanno dichiarato la loro intenzione di togliere l'embargo per la vendita di armi alla Cina entro il giugno di quest'anno.
Naturalmente questo ha mandato su tutte le furie la casa bianca. Un alto ufficiale del Pentagono, che per buone ragioni preferisce rimanere anonimo, si e' espresso nel modo seguente: "Questa storia puo' scaturire in un serio raffreddamento delle relazioni con i paesi europei". E aggiunge: "Stanno parlando di aiutare i Cinesi ad ammazzare Americani in maniera piu' efficace".(Reuters)
Il commento e' di per se' rivelatore. E' chiaro che nell'elite militare statunitense si da' gia' per scontato uno scontro militare col gigante asiatico. Taiwan, se non la causa ultima del conflitto, che rimane prettamente economica, potrebbe esserne il catalizzatore.
La questione di Taiwan e' rimasta in sospeso per troppo tempo. La Cina ha varato recentemente una legge secondo la quale le pretese secessioniste di Taiwan sarebbero illegali, e la Cina avrebbe il diritto di ricorrere alla forza nel caso in cui Taiwan si dichiarasse indipendente.
La casa bianca ha definito la mossa "unhelpful". Che cosa non debba aiutare non e' del tutto chiaro. La posizione cinese e' la stessa da sempre: "Taiwan e' cinese", e un compromesso diplomatico e' fuori questione, ora piu' che mai. Sentendosi la Cina sempre piu' minacciata dall'espansione imperialista americana, una massiccia presenza militare americana nel golfo diventa inaccettabile.
E' con questa legge che i cinesi hanno inteso rispondere alla corsa al riarmo dei giapponesi e ad una dichiarazione congiunta USA-Giappone che definisce lo stretto di Taiwan un "common strategic objective". E' da notare al riguardo il radicale cambiamento di posizione del Giappone che dal '72 ha intrattenuto relazioni formali con la Cina, ma non con Taiwan. Da parte cinese, questo ha voluto anche essere un monito per gli Stati Uniti a non sostenere, come hanno fatto finora, e incorraggiare le tendenze separatiste di Taiwan.
Purtroppo questa mossa assume un carattere di irrevocabilita'. I cinesi non potranno rispondere, da questo momento in poi, se non con l'uso della forza.
Un referendum a Taiwan sulla questione dell'indipendenza dalla Cina potrebbe quindi far scaturire la scintilla per un confronto armato che certamente non rimarrebbe circoscritto all'area in questione.
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Impossibile
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ma guarda la politica monetaria Thursday, Mar. 10, 2005 at 7:15 PM |
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Scusa, dai! come fanno ad attaccare la Cina che è l'unica che tiene sù il dollaro!!! Queste sono scaramucce verbali dopo che la Cina ha detto che non rivaluterà lo yuan. Oramai il coltello dalla parte del manico lo tiene la Cina, non l'America.
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appunto
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santerre Thursday, Mar. 10, 2005 at 7:34 PM |
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saresti dunque pronto a scommettere che se Taiwan vota per la secessione e la cina entra in forze, nessuno farebbe nulla? Appunto per quello che dici, la cina rimane il nemico per eccellenza. un attacco militare e l'america congela gli investimenti, non ci sarebbe scusa migliore.
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Gli americani sono nelle mani dei creditori
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Insisto, guarda l'economia Thursday, Mar. 10, 2005 at 8:12 PM |
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>l'america congela gli investimenti ???!!!
Cosa vuoi dire? E' il governo cinese che acquistando dollari e buoni del Tesoro americani (per interesse) tiene sù l'economia americana, se li molla l'America affonda economicamente. L'America non si può permettere nulla contro la Cina se non scaramucce verbali e battute.
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ud
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alor Thursday, Mar. 10, 2005 at 8:46 PM |
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si è chiaro quello che dici santerre ed è vero , ma gli usa hanno superato la soglia della razionalità se a bush non riuscirà il furto delle pensioni con la privatizzazione del social security , wall street sprofonda e con essa l'america , quindi temo che l'aggressività americana aumenterà proporzinalmente alla diminuzione del peso del dollaro come moneta di riferimento ,e quindi alla sua sempre più concreta insolvibilità del debito accumulato sui mercati finanziari in anni di allegra produzione cartacea di bigliettoni verdi.
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guerra e economia
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santerre Thursday, Mar. 10, 2005 at 9:21 PM |
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quello che gli americani vogliono e' un'economia di guerra (ci sono un mare di articoli al proposito). cmq non si possono permettere di rimanere impassibili in caso di un attacco cinese a Taiwan. La cina sta solo prendendo tempo. sa di essere l'obbiettivo della guerra infinita, ma per il momento non puo' accettare uno scontro aperto. il tutto dipendo solo dall'elite politica cinese, le cose al momento vanno troppo bene per rischiare passi falsi, ma la guerra del petrolio potrebbe invertire il flusso.
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Se crolla WS
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non crolla il mondo Friday, Mar. 11, 2005 at 10:28 AM |
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se crolla wall street cosa succede a londra, francoforte, parigi, milano?
Perderemo un mercato e ne acquisiremo altri. Ci sarà qualche scossone, probabilmente l'Inghilterra sarà travolta (non oso pensare che ne sarà di Israele), ma per l'Europa fatti i contisarà un vantaggio
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e l'altra volta?
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ignorante, spiegatemi Friday, Mar. 11, 2005 at 10:43 AM |
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allora, scusatemi, come mai nel 29 quando wall street e' crollata sono crollate a catena anche le altre borse europee? e che dire degli investimenti europei in area dollaro? e del fatto che, comunque, senza l'eliminazione dei petrodollari, il dollaro galleggia? capisco che sarebbe materia da trattare in un libro, ma forse qualcuno riesce ad essere sintetico, grazie.
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ecco
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versus Friday, Mar. 11, 2005 at 11:18 AM |
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ogni crisi finanziaria segue dinamiche diverse dalle precedenti ,e nessuno può dire con esatezza quando colpirà la prossima, e quali dinamiche la crisi americana possa scatenare , ma alcuni fattori possono indicare che il punto di rottura o di sostenibilità di questo tipo di politica di espansione monetaria è da tempo arrivato molto vicino al punto di rottura ....
in proposito ecco un articolo un pò datato ma molto valido di di "reseauvoltaire" sulla guerra come unica alternativa alla crisi economica americana
una risposta Le dichiarazioni di autogratificazione dell’Amministrazione Bush che annunciano una crescita economica record vengono smentite dai fatti. In realtà, la disoccupazione è in aumento, la produzione interna sta crollando e l’economia nel suo complesso si sta orientando verso la guerra. Il debito con l’estero raggiunge un livello critico, senza precedenti per un paese industrializzato e, secondo il Fondo Internazionale Monetario (FIM), questo costituisce una minaccia per l’economia mondiale.
La specializzazione delle industrie negli armamenti rende impossibile un ritorno ad una economia di pace.
Gli Stati Uniti sono entrati in un ciclo infernale, per cui la loro sopravvivenza economica dipende dal proseguimento di una situazione di guerra.
Alla fine del 2003, il Dipartimento del Commercio ha reso pubbliche le sue valutazioni finali sulla crescita degli Stati Uniti : un rialzo dell’ 8,2 % del Prodotto Interno Lordo (PIL) per il terzo trimestre. Il paese non aveva conosciuto mai una così forte crescita da 19 anni. In uno slancio proporzionale, la stampa ha salutato “il ritorno della crescita negli Stati Uniti”.
Nel contempo, qualche analista aveva preso le distanze da questi entusiasmi, osservando che la disoccupazione era fortemente aumentata tra il 2000 e il 2003 (il 4,0 % nel 2000, il 4,8 % nel 2001, il 5,8 % nel 2002 e il 6,1 % nel 2003).
Ma due fatti importanti sono stati rapidamente rimossi.
In effetti, la crescita è collegata 1) ad un pesante indebitamento del paese e 2) ad una ridislocazione delle spese pubbliche dal sociale verso il militare.
L'economia degli Stati Uniti è orientata attualmente verso la guerra.
Il grafico sottostante illustra l’andamento del debito estero (dette extérieure), in migliaia di miliardi di dollari, e del tasso di crescita del Prodotto Interno Lordo (taux de croissance du PIB), espresso in %.
La crescita senza fondamento
Gli Stati Uniti hanno finanziato la loro crescita con l’indebitamento. Nel 2002, il paese conosceva il suo primo déficit di bilancio dopo il 1997. Questo, a poco a poco è sprofondato dall’1,5 % del 2002 al 3,5 % nel 2003, per arrivare al 4,2 % nel 2004.
A titolo di confronto, il patto di stabilità di bilancio per la zona euro stabilisce un limite del 3 %.
Il debito estero, che nel 2000 era di 3.600 miliardi di dollari (39 % del PIL), è passato nel 2003 a 6.500 miliardi di dollari (58,5 % del PIL).
Una inquietante valutazione, realizzata dall’Ufficio di Bilancio del Congresso, indica che il debito dovrebbe arrivare a 14.000 miliardi in dieci anni. L'ex Ministro del Tesoro Paul O'Neil ha, d’altro canto, effettuato uno studio secondo cui il déficit degli Stati Uniti nei prossimi cinquant’anni dovrebbe raggiungere i 44.000 miliardi di dollari.
Il 7 gennaio 2004, Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha organizzato una
conferenza stampa sulle politiche fiscali degli Stati Uniti e sulle conseguenze di queste politiche sull’economia mondiale. [1]. Il FMI, anche se organizzazione creata e largamente pilotata da Washington, si è abbandonata ad una autentica requisitoria contro la politica economica dell’Amministrazione Bush.
Secondo il FMI, il debito estero degli Stati Uniti ha raggiunto un livello senza precedenti per un paese industrializzato. Questo fenomeno provoca un aumento dei tassi di interesse e un rallentamento della crescita mondiale.
Il saccheggio, sola strategia di fronte al debito
Osservando l’aumento vertiginoso del debito che oltrepassa considerevolmente la solvibilità del paese, Robert Freeman s'interroga sugli orientamenti economici scelti dall’Amministrazione Bush. Secondo lui, esistono cinque strategie possibili. [2]
La prima consiste nell’aumentare le imposte e nel pagare i creditori. Chiaramente questa non è l’opzione scelta dall’Amministrazione Bush.
La seconda consiste nello stampare dollari, i biglietti verdi. Ma l’uso massiccio di una tale soluzione comporterebbe un affossamento inevitabile dell’economia.
Una terza strategia, proposta dal FMI ai paesi del Terzo Mondo, consiste nella privatizzazione delle risorse nazionali e di venderle all’estero.Si potrebbe considerare questa opzione molto improbabile. Eppure, lasciando deprezzare il dollaro, l’Amministrazione Bush non favorisce solamente le esportazioni: permette anche ai capitali stranieri di riscattare imprese Statunitensi.
Una quarta strategia consiste nel rifiuto di pagare i debiti, come hanno fatto già i bolscevichi allorché presero il potere in Russia. Per Robert Freeman, questa opzione è «molto più vicina di quello che possa immaginare la maggior parte dei cittadini americani.». Effettivamente, una parte significativa del déficit riguarda il finanziamento della Sicurezza sociale, per cui le privatizzazioni dovrebbero essere una delle priorità di Bush dopo avere vinto le elezioni del 2004.
Ma è una quinta strategia che l’Amministrazione Bush sembra aver risolutamente adottato. Robert Freeman spiega: “ Come ultima risoluzione, resta il saccheggio. Quando il rimborso del debito di una nazione diviene così imponente che diventa impossibile rassicurare i creditori, questo paese deve cercare una qualche sorgente di ricchezza, non importa quale sia la fonte.” Gli Stati Uniti non hanno deciso di attaccare l’Iraq, non perché Saddam Hussein possedeva Armi di distruzione di massa, e nemmeno per instaurare la democrazia. L’obiettivo reale consisteva nell’assumerne il controllo del petrolio, o piuttosto il mercato mondiale del petrolio.
Una crescita legata alle spese militari
I fatti confermano l’analisi di Robert Freeman : sotto l’Amministrazione Bush, l’economia degli Stati Uniti è stata orientata verso la guerra e la conquista.
L'Amministrazione ha legittimato l’aumento del déficit di bilancio con la necessità di condurre la guerra al terrorismo. Questa giustificazione ha anche permesso di commutare le cifre stanziate per le infrastrutture sociali in investimenti per la guerra.
L’aumento di queste spese pubbliche ha creato profitti per le imprese degli armamenti private. Ed ecco che Northrop Grumman ha conosciuto un aumento del 57% delle sue vendite, fra il 2002 e il 2003 ed è passata da una situazione di perdite ad una di profitto sicuro. La divisione « difesa » della Boeing ha accumulato un reddito d’impresa dell’ordine del 38 %. Il volume di affari della Lockheed Martin, numero uno mondiale nell’industria di difesa, è aumentato del 23 %, mentre il suo settore aeronautico ha visto aumentare le sue vendite del 60 %.
Ma, secondo Robert Pollin, professore di economia all’Università del Massachusetts, le spese per il costo del lavoro e per gli armamenti sono rimaste relativamente deboli. La parte del leone è stata interpretata dall’Halliburton, Bechtel e da qualche altro gruppo privato legato all’Amministrazione Bush.
Quindi, la crescita tanto sbandierata dagli analisti tocca principalmente gli investimenti collegati alla guerra. Durante il secondo trimestre del 2003, in piena guerra contro l’Iraq, circa il 60 % del tasso di crescita era da attribuirsi alle spese militari. [3]
Dal rifiuto di sottoscrivere il Trattato di Ottawa sull’interdizione delle mine anti-uomo, alla guerra contro l’Iraq, passando per il progetto titanico militare delle “guerre stellari” e per la messa in cantiere di una guerra sempiterna contro il terrorismo, tutto sta ad indicare il nuovo orientamento economico degli Stati Uniti verso la guerra e la conquista imperiale.
Nel secolo scorso, la riconversione di una economia di guerra in economia di pace era stata difficile. La trasformazione di una industria dalle caratteristiche belliche risultava comunque delicata. Oggi, gli armamenti sono così sofisticati che quella trasformazione è resa impossibile.
Dunque, l’orientamento economico assunto dall’Amministrazione Bush è senza ritorno.
Per gli Stati Uniti, la guerra è la condizione della loro sopravvivenza economica.
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L'effetto della propaganda
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Selene Friday, Mar. 11, 2005 at 12:38 PM |
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Gli economisti indipendenti, anche non antiamericani, parlano da un po' dell'imminente collasso dell'economia americana, ma se vengono oscurati anche se si chiamamo Stiglitz, non lo sa nessuno, no? Comunque il crollo è molto più imminente di quanto non si creda. Solo che la propaganda americana e filoamericana lo maschera nella pia illusione che non avvenga.
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Ma allora...
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Se fosse così... Friday, Mar. 11, 2005 at 1:41 PM |
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Ipotizziamo che siamo veramente sull'orlo del baratro.
Questo cosa significherebbe ... un 20%, 30% in meno per Wall Street in 2/3 mesi? Più o meno questo è quello che è avvenuto nel '29.
Ma allora perchè i mercati continuano a salire? Quasi +100% dallo scoppio della guerra in Iraq?
Perchè nessuno "scommette al ribasso" (es. vendere allo scoperto)? Se qualcuno ha queste certezze, perchè non farci sopra un bel mucchietto di $$$$$?
Non mi ricordo più chi, ma qualcuno di abbastanza famoso ha detto: "Never underestimate the American Economy". Mi sa che ha proprio ragione!!
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Leggi qua, e poi cercalo in inglese
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Selene Friday, Mar. 11, 2005 at 2:16 PM |
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CONFERENCIAS Un Premio Nobel de Economía asegura en Pamplona que el dólar puede dejar de ser moneda reserva mundial Joseph E. Stiglitz manifestó en una charla que la moneda americana «ya no es un valor seguro»
Miércoles, 23 de febrero. 21.04 h. AGENCIAS. Pamplona El Premio Nobel de Economía 2001 Joseph E. Stiglitz auguró en Pamplona que el dólar seguirá debilitándose en los próximos años y aseguró que posiblemente deje de ser la moneda de reserva internacional, especialmente por pequeños países que se cuestionarán si deben seguir financiando el gran déficit de EEUU a bajos tipos de interés.
Stiglitz, quien pronunció una conferencia titulada «Oportunidades empresariales de la economía global en 2005», organizada por Caja Navarra, afirmó que pequeños países asiáticos «ya se están saliendo del dólar» para la conformación de sus reservas y otros como China o Japón «si no lo han hecho ya es porque no pueden», ya que la divisa norteamericana bajaría aún más y eso debilitaría a sus propias economías.
El economista estadounidense manifestó que el dólar «ya no es un valor seguro» y las reservas basadas en esta moneda «son un factor de riesgo», por lo que, si bien existen motivos políticos para mantener estos fondos, desde el punto de vista económico «no tienen ningún sentido».
Asia, destacó, ya está buscando una mayor interrelación de sus mercados financieros para utilizar sus reservas para «ayudarse mutuamente» y en los próximos años «se va a cuestionar más el papel del dólar como moneda de reserva».
Stiglitz fue muy crítico con la «mala gestión macroeconómica» realizada a su juicio por el Gobierno de Estados Unidos, donde, según estimó, existe un desfase de 1,7 billones de dólares entre el crecimiento real de la economía en 2004 y el potencial de crecimiento que existía para ese ejercicio.
Esa cantidad, resaltó «se podía haber utilizado para solucionar muchos problemas educativos, sanitarios, o para librar otra guerra si se quiere gastar el dinero en eso».
Además, señaló que la tasa oficial de desempleo de Estados Unidos del 5,2 ó 5,4 por ciento no es real, ya que, si se tienen en cuenta las personas que buscan trabajo, que en las estadísticas no se contabilizan como parados y el empleo «oculto», así como a las personas que prefieren cobrar una discapacidad que el subsidio de desempleo, la tasa se eleva al nueve por ciento, similar a la española.
Sobre esta última cuestión, el economista recordó que, de 2001 a 2004, en Estados Unidos el número de personas en listas de discapacidad ha aumentado en un millón y «no es porque haya una enfermedad curiosa» en el país, sino porque el subsidio es más elevado.
Stiglitz subrayó por otro lado que el endeudamiento fiscal y comercial de Estados Unidos es «enorme» y destacó que «el país más rico del mundo no puede vivir de sus propios recursos y pide al día 2.000 millones de dólares a países más pobres».
Esta inestabilidad en Estados Unidos, indicó, tiene su repercusión en la economía mundial y la incertidumbre se verá agravada por el alza de los precios del petróleo, causada a su vez por una situación en Oriente Medio provocada en su opinión por la política exterior norteamericana.
El Premio Nobel hizo una predicción de futuro basada en tres escenarios posibles, el primero de ellos, el más optimista pero el menos probable, caracterizado por un dólar fuerte, con un déficit estadounidense controlado y una Unión Europea con una política más «expansionista».
Un escenario más pesimista, agregó, es el de un aumento del déficit en Estados Unidos, agravado por medidas como la privatización parcial de su sistema de Seguridad Social, mientras que la posibilidad más negativa de todas es la de un país en el que pueden surgir grandes «tensiones sociales» por el empeoramiento progresivo de su clase media.
Al respecto, señaló que, en los últimos cuatro años, los salarios de Estados Unidos han subido un diez por ciento, pero la renta familiar de las clases medias (el 50 por ciento de la población) ha bajado en torno a 1.500 dólares.
En este escenario más pesimista, afirmó, países como China o la India, que están haciendo una gran inversión en ciencia y tecnología, pueden sufrir «presiones políticas y económicas» internas para abandonar el dólar como moneda de reserva y un «sentimiento popular» contrario a prestar dinero a Estados Unidos para financiar su déficit.
Como resumen, Stiglitz vaticinó que los problemas acumulados en los últimos cuatro años «darán sus frutos», lo que puede traducirse en «un mayor debilitamiento de la situación global», un aumento de la incertidumbre relativa al dólar como moneda fuerte y una mayor inestabilidad económica internacional.
http://64.233.183.104/search?q=cache:Sh3OHpcrxogJ:http://www.diariodenavarra.es/actualidad/seccion.asp%3Fseccion%3Dnavarra+Stiglitz%2BPamplona&hl=it
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se gli u$a congelano la Cina Compra ...
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vero ricatto di Pechino ! Friday, Mar. 11, 2005 at 2:37 PM |
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Altro che bombe cinesi!
Se gli u$a congelassero capitali cinesi, provassero a farlo, a chi i cinesi chiederebbero denaro in prestito in colossali quantità? All'Europa naturalmente e oggi sarebbero Euro e non dollari a vedersi elargire!
I cinesi sono 1/5 da soli della popolazione mondiale, se sostituissero la loro moneta della quale manco il nome mi ricordo all' EURO, gia' avendo ogni cinese solamente il primo giorno del prestito un EURO, sarebbero 1.500.000.000 di EURO !!!!! Non vi potete immaginare in un anno di attivita' finanziarie come la Cina potrebbe saturare il mercato mondiale e le borse valori di tutto il mondo di strafottuttissimi EURO, alla faccia di WALL STREET !!!!!
E Bu$H che farebbe, guerra all'EUROPA? Al Mondo intero? La gente nel mondo intero c'avrebbe il sedere verde perche' finita l'era dollaro col biglietto rimasto ci si laverebbe il deretano !
Te lo ripeto, quando la Cina si risveglia per affondare gli u$a basta che paghi in dollari le armi europee forse è solamente per questo che gli u$a non vogliono che gli si venda armi perche' fin ad oggi a vendergliele sono stati proprio gli U$A ed ... ISRAELE !
Ed Israele non ha violato per farlo nessunissimo embargo? Israele non e' anti statounitense?
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Poveri dell'intero mondo fate guerra ad oltranza agli U$A
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ne alleati ne subalterni u$a Friday, Mar. 11, 2005 at 2:49 PM |
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Poveri di tutto il Mondo unitevi, ed unite tutti i vostri risparmi, per comprare quanti piu' EURO possibili ! Basta dollari, facciamo sul serio guerra a WALL SREET ed alla sua macabra finanza di morte !
Gli attentati solo irritano gli yankee e ne motivano le loro stragi ed a$$a$$inati per petrolio e CONTROLLO DEI MERCATI come nel tardo ottocento !!!
Ogni EURO che compri o proletario del TERZO MONDO e' un dollaro in meno che circola.
Gli stati uniti del nord america sia che mandino a stampare 100 dollari sia che ne mandino a stampare 1 di $, spendono SEMPRE CINQUE CENTESIMI a carta moneta ma guadagnano cifre stratosferiche: stratosferiche saranno pure le loro perdite ad ogni dollaro NON venduto se si riuscira' a superare certa MASSA CRITICA di passivita' !!!
Loro vendono nel mondo il loro porco biglietto verde solamente perche' reputato piu' affidabile di altre monete, magari noi italiani o i cinesi lo dobbiamo comprare, lo fa' per noi il tesoro di stato attraverso convegni con gli u$a, per poi poter comprare petrolio agli arabi !
Poveri del mondo COMPRANDO EURO tutto cio' cambiera'!
Gli u$sa vendono i dollari ed i travel de cheque come fossero coca-cola o big mac o good-year !!!!!!
Basta.
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L' EURO è più affidabile del dollaro u$a
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EURO pacifico Friday, Mar. 11, 2005 at 2:55 PM |
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L' EURO NON è sostenuto da NESSUNA guerra stragistica, almeno sino ad ora! È per questa stessa ragione più pulito ed affidabile ! Poi quando si dichiarerà guerra agli u$a sarà tutta un'altra cosa.
Gli u$a vivono di guerre in guerre ... la loro è una economia bellica e .. che dire del dollaro ($) ?
Cerca in un vocabolario inglese, nel mio c'è scritto:
DOLLAR = GREEN SHIT
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Ecco perche' la Cina non ha paura degli u$a
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la Cina e' piu' forte Friday, Mar. 11, 2005 at 8:00 PM |
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La Cina ha in mano i segreti del Pentagono: ora Washington trema Dopo il rilascio dell'equipaggio, Pechino scopre che a bordo dell'aereo spia c'erano i più sofisticati congegni per la 'guerra elettronica'. Antenne in grado di ascoltare ogni comunicazione e apparati di altissimo livello per spiare il 'nemico': danni enormi per la sicurezza Usa
TREMA BU$H A TREMARE SE GIA' NON LO FAI TU E TUTTI I TUOI NEO CON XCHE' LA CINA E' FORTE E ORMAI A VOI SI AVVICINA, PER SUPERARVI OVVIAMENTE !!!!!!!!!!!
ROMA, 12 APRILE 2001 - L'EP-3E Aries II (airborne reconnaissance integrated electronic system II), ormai ridotto ad una fusoliera privata dei segreti per la sicurezza nazionale Usa, probabilmente diventerà un cimelio in qualche museo cinese. Per rimetterlo in condizioni di volo ci vorrebbe una lunga trattativa diplomatica e l'invio di specialisti Usa a Lingshui.
Intanto si profila per l'equipaggio americano un delicato interrogatorio di psicologi ed esperti della Cia e della intelligence della Navy. Perché non è chiaro quali segreti i cinesi possano aver appreso dall'equipaggio, comandato dal tenente di vascello Shane Osborne, e soprattutto che cosa è stato distrutto del preziosissimo software e dei sistemi di bordo.
La maggiore preoccupazione (l'EP-3 di base a Whidbey, nello Stato di Washington, era uno degli undici aerei di questo tipo ammodernati con i più sofisticati sistemi per la raccolta e l'analisi di segnali elettronici) della National security agency riguarda quanto materiale è caduto intatto in mani cinesi, perché l'equipaggio non ha gettato in mare le sacche con i documenti e i dischetti, e soprattutto quante antenne sono già state smontate e studiate dai militari di Pechino.
Una in particolare, quella lunga sopra la fusoliera, ha una tecnologia raffinatissima per raccogliere una incredibile quantità di emissioni a grande distanza dal territorio avversario. Il Pentagono teme che i cinesi, smontandola, siano in grado di risalire alle frequenze intercettabili, scoprendo che cosa stesse esattamente facendo l'aereo in quei cieli, e realizzando quindi le contromisure idonee a neutralizzarla. Il danno è enorme non solo per gli Usa, se si pensa che sull'aereo era installato un nuovissimo sistema di comunicazioni criptate 'Link 16' utilizzato dai jet da combattimento. Si vedrà nei cieli iracheni in quanto tempo i cinesi riusciranno a costruire un sistema di decifrazione.
Un altro apparato segretissimo ormai in possesso di Pechino è l'Arc 187 per le comunicazioni riservate tra gli alleati. Ma c'è anche un altro gioiello: un analizzatore di segnali in grado di 'leggere' i cambi delle bande radio anche se queste vengono captate per una frazione di secondo. Un apparato in grado di realizzare una sorta di libreria con tutte le frequenze nemiche, paragonabile ad una raccolta di impronte digitali. Che adesso i cinesi possono aggirare progettando speciali contro-apparati.
Sotto l'aspetto della sicurezza il problema è molto serio: occorrono anni per progettare, testare e produrre apparati da centinaia di milioni di dollari. Si apre un difficile capitolo per il Pentagono e le agenzie per la sicurezza, costrette a progettare nuovi sistemi, ma anche a decidere come proseguire l'attività di intelligence ai confini cinesi. Esclusa la scorta di caccia (per evitare guai più seri), forse la palla passerà alle navi. Più grandi e meglio protette, anche se verrà meno il vantaggio di captare dall'alto i segnali più sensibili.
qn.quotidiano.net/art/2001/04/11/2043785
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Il fiato della Grande Cina Rossa sul collo de piccoli usa
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cinese Friday, Mar. 11, 2005 at 8:02 PM |
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Il fiato sul collo
Un aereo spia americano fa rotta da Okinawa per una missione di routine al limite delle acque territoriali della Cina. Deve captare segnali d'allerta per tener d'occhio le difese elettroniche ed elaborare contromisure. L'operazione è condotta con un turboelica appositamente attrezzato con sofisticati strumenti. Nella carlinga lavorano 24 persone, tra piloti e tecnici specializzati.
Gli americani fanno questo lavoro da sempre, ovunque, anche nei confronti degli alleati. I russi lo facevano con una certa intensità ai confini dell'Europa, adesso hanno altri problemi. Tra gli europei solo gli inglesi hanno sviluppato un'attività spionistica elettronica di una certa importanza. Gli altri si accontentano di quel che passa il convento nell'ambito NATO.
Questa volta sul Mar della Cina l'aereo spia americano viene intercettato. I cinesi affermano che ha violato lo spazio aereo nazionale. Inviano alcuni caccia che, invece di limitarsi al solito gioco di disturbo, tentano di deviarne la rotta e di farlo atterrare. L'aereo spia prosegue imperterrito. A questo punto uno dei caccia cinesi si avvicina troppo, entra in collisione e, danneggiato, precipita in mare. Il pilota muore. L'aereo spia, danneggiato anch'esso, è costretto ad atterrare. Per pura combinazione, sembra, l'incidente avviene quasi nei cieli dell’isola di Hainan, dove c'è una base militare cinese con tanto di pista. L'aereo è circondato dalle truppe e i 24 dell'equipaggio sono sequestrati in una caserma. I tecnici cinesi, senza badare alle pretese americane sulla extraterritorialità della carlinga, incominciano a smontare le apparecchiature per studiarle. Il dipartimento di Stato americano comunica che per simili eventualità sono previste procedure di autodistruzione dei dati e quindi non c'è pericolo che vengano svelati, ma "la violazione è intollerabile". Come se gli avessero smontato l'ambasciata a Pechino.
A proposito. Come al tempo del bombardamento sull'ambasciata di Belgrado nel '99, in Cina si scatena l'offensiva sui media, specie su Internet. L'America ridiventa il nemico numero uno, rispuntano i toni da guerra fredda. Tuttavia, stranamente rispetto alle abitudini, le "masse indignate" disertano la piazza. Niente pietre contro l'ambasciata USA. Invece i falchi americani, al solito, incominciano ad agitarsi e a far pressione sul presidente e il suo staff affinché facciano i duri; ma questi decidono di prendere la questione con le molle. Insomma, Pechino non è Belgrado. Da parte sua la Cina rifiuta di rilasciare l'equipaggio se non vengono fatti passi ufficiali di riconoscimento del "torto" e considera l'aereo un bene sequestrato definitivamente. I falchi americani naturalmente vanno in bestia, ma il presidente, il ministro della difesa e il segretario di stato, rappresentanti di forze più sostanziose, capiscono l'antifona: nello scacchiere asiatico stanno maturando cambiamenti. Forse è addirittura per questo che ci si sta misurando a vicenda. Significherà pure qualcosa, per la Cina e per gli Stati Uniti, che la prima sia diventata la seconda potenza economica mondiale come Prodotto Interno Lordo (in unità standard d'acquisto).
La distruzione di un'ambasciata in un paese sotto bombardamento può essere fatta passare per normale: nel flipper della guerra elettronica è persino plausibile giustificarsi con un "baco" nel software che descrive le mappe dei bombardieri. Ma l'aggressione a freddo in acque internazionali, sia pure di un aereo spia, la requisizione dello stesso e l'imprigionamento di 24 tecnici militari è impossibile che passi come errore di qualcuno o di qualcosa. Infatti la Cina non insiste neppure granché sul fatto giuridico, sulla dinamica degli avvenimenti e sulla negazione di una sua mossa deliberata, come si fa di solito. Ha agito al momento opportuno, approfittando del fatto che c'è un presidente appena insediato con lo staff ancora in rodaggio. Che la sua versione non sia plausibile è un fattore secondario. Ed è la prima volta in assoluto che una potenza minore intercetta un mezzo di una maggiore in acque internazionali, facendo poi quel che vuole, senza temere ritorsioni.
Comunque, di fronte a un episodio che in altri tempi avrebbe provocato tensioni da cardiopalmo, ogni "parte lesa", compresa la superpotenza, sembra rimanere tranquilla. Agli strilli dei falchi che invocano vendetta, il presidente prende tempo, mentre il suo collega cinese annuncia che se ne andrà per due settimane in America Latina secondo programma stabilito. Come dire: i tempi della trattativa potrebbero essere lunghi. Per Bush "più si va in là, più si giunge al punto in cui le relazioni con la Cina possono rimanere danneggiate". Contemporaneamente il segretario di stato decide, proprio per questa ragione, che è meglio comunicare subito "il profondo dispiacimento del popolo americano e del presidente per la scomparsa del pilota cinese e per il dolore della sua famiglia". I giornali ricordano en passant che l'interscambio USA Cina è di 100 miliardi di dollari, quasi tutto di esportazioni verso gli Stati Uniti, e deve essere approvato dal Congresso in estate. La Cina vuole dai suoi interlocutori apologies, scuse ufficiali, non solo sentirsi dire sorry, spiacenti. Il segretario di stato americano aggiunge: very sorry, molto spiacenti. Trovata l'apparente chiave per rompere le ostilità, iniziano le trattative. Il 18 aprile c'è persino un incontro bilaterale fra tecnici per definire le procedure da seguire nel caso si ripetessero in futuro incidenti del genere.
L'episodio del "gravissimo affronto" cinese finisce con l'equipaggio americano che se ne torna a casa, con i pezzi dell'aereo smontato che rimangono dove sono e con le due potenze che, dopo essersi accuratamente misurate, rivedono reciprocamente la propria politica estera. Gli Stati Uniti dispiegano l'armamentario consueto: attenti che siamo noi i compratori delle vostre merci; siamo noi che possiamo muovere i capitali internazionali e voi siete in pieno sviluppo; noi possiamo influire sul vostro ingresso nella WTO; noi possiamo innescare processi internazionali per la moratoria sui missili e sullo sviluppo nucleare; noi vi possiamo scatenare una campagna sulla questione dei diritti umani; noi possiamo armare Taiwan con missili sofisticati e navi ultimo grido; noi possiamo persino mandarvi all'aria la candidatura alle Olimpiadi del 2008. La Cina ascolta con millenaria pazienza, sono cose che sa già benissimo, senza bisogno di una nuova elencazione.
In un paio di settimane le due potenze sembrano aver bruciato le tappe ed essere passate da partner strategici a concorrenti strategici. Commentano i giornalisti specializzati: era un passaggio inevitabile, già in preparazione da anni, ma adesso i tempi sono cambiati e la Cina sonda l'America meglio di quanto fece la Russia con Kennedy a Cuba. Di certo con più sicurezza, dato che i rischi immediati sono pari a zero. La Cina fa vedere i muscoli al mondo, si arma come non mai, mostra la decadenza degli Stati Uniti sullo scacchiere strategico mondiale e in prospettiva diventa persino un temibile concorrente economico. C'è un po' di esagerazione, forse perché del giornalismo politico "il fin è la meraviglia". D'accordo, la Cina è grande, popolata come nessun altro paese, misteriosa, in crescita frenetica, ambiguamente capital-comunista, per giunta con successo; sarà quasi certamente il nuovo concorrente sul piano mondiale, con il suo ritmo di sviluppo, anche supponendo un fisiologico rallentamento dovuto alle leggi della crescita; si prevede che in vent'anni raggiungerà gli Stati Uniti come potenza economica. Ma proprio perché la sua politica nei confronti del mondo verrà di conseguenza, dev'essere tenuta d'occhio fin da adesso. Ai falchi americani non piace per niente la prospettiva, ma neppure a tutti gli altri. Un imperialismo cinese poggiato su un paio di miliardi di abitanti che producessero a ritmi giapponesi avrebbe conseguenze inimmaginabili.
Per dirla all'americana, il miglior concorrente desiderabile è quello morto, ma non può morire la Cina. Perciò non ci sarà una nuova guerra fredda con una nuova potenza "rossa", non ci saranno Cortine di Bambù. Semplici considerazioni sul piano geostorico mostrano uno scenario meno banale e più realistico, di fronte al quale il recente gioco diplomatico si rivela per ciò che è: uno dei fenomeni del continuo assestarsi dei rapporti interimperialistici, il susseguirsi di scosse telluriche superficiali della politica estera degli Stati, la quale non fa che assecondare il movimento tettonico profondo, quello dovuto alla maturazione delle varie aree ormai definitivamente conquistate al Capitale.
La Cina in questo dopoguerra ha già avuto scontri militari di una certa entità con la Russia, con l'India e con il Vietnam; il Giappone non è tradizionalmente alleato e la Corea è sotto pressione da parte di Stati Uniti ed Europa in vista di una probabile futura unificazione. Essa non ha dunque intorno un solo paese "amico". D'altra parte il suo sviluppo attuale può procedere unicamente se è garantita la stabilità economica e politica per un tempo che si misura a decenni, dato che richiede uno sforzo sociale immenso, di cui i duecento milioni di disoccupati attuali sono soltanto il fenomeno più visibile. Già masse di uomini assaltano le sedi del potere centrale, incendiando intere città, per ora nell'isolamento totale dovuto alle grandi distanze del paese e ai pochi collegamenti con l'estero. Probabilmente le notizie degli scontri più gravi non ci arrivano nemmeno. Oltre ai veri e propri scontri di classe, si diffondono il misticismo e la "delinquenza", importanti indicatori sociali del malessere. Questi fenomeni sono presi di petto dal governo attuale, con interventi militari, deportazioni e migliaia di fucilazioni.
L'Europa nell'area conta ben poco. La Cina ha bisogno di non avere gli Stati Uniti come avversario ulteriore ma non vuole neanche sentirsi il fiato sul collo. Ormai è troppo potente per sopportare quelle ingerenze interne che ha rifiutato per millenni. Gli Stati Uniti hanno bisogno della Cina per la loro politica orientale, ma gli servirebbe meno indipendente. La quadratura del cerchio non è fattibile. D'altra parte Giappone, Russia e India non sono alleati tradizionali e gli Stati Uniti devono per forza continuare la politica orientale imperniata sulla Cina iniziata da Nixon. Ognuno dei due paesi non può che appoggiarsi all'altro, ma non può ovviamente rinunciare al proprio ruolo locale e mondiale. I sondaggi reciproci, compresi gli "incidenti" di percorso, vanno intesi in questo senso: sempre più concorrenti, ma sempre più legati da comuni interessi.
www.ica-net.it/quinterna/2000_todayrivista/04/fiato_sul_collo.htm
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21 gennaio 2002: guerra di spie tra Cina e Stati Uniti
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a perdere è la c.i.a. Friday, Mar. 11, 2005 at 8:05 PM |
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Guida a un Paese immenso e difficile. Dalla Grande Marcia di Mao Tse Tung alle riforme economiche degli anni Novanta. Passando per il "Grande Balzo in avanti" e la Rivoluzione Culturale. INDICE
Il punto
21 gennaio 2002: guerra di spie tra Cina e Stati Uniti La nuova crisi nei rapporti tra i due paesi è dovuta all'inserimento di decine di microspie nell'aereo presidenziale acquistato da Jiang Zemin negli Usa per oltre 120 milioni di dollari (oltre 132 milioni di euro). Le "cimici" sono state piazzate dalla Cia mentre l'aereo, un Boeing 767 che doveva diventare l'Air Force One cinese, veniva arredato a San Antonio nel Texas. Il servizio segreto cinese ne ha trovate 27, ed alcune erano nascoste persino nella camera da letto e nella toilette del presidente. Arrestati i funzionari cinesi che dovevano controllare le operazioni di arredo, mentre il Boeing giace smontato e sventrato sulla pista di un aeroporto militare cinese. L'incidente sarà al centro dell'incontro tra Zemin e George W. Bush in programma a Pechino il 21 febbraio 2002. Già ad aprile 2001, pochi mesi dopo l'insediamento del presidente Bush alla Casa bianca, c'era stato un incidente diplomatico: un aereo spia americano era stato costretto ad atterrare - intercettato da un caccia cinese - sull'isola di Hainan. E l'equipaggio era stato tenuto in ostaggio dieci giorni. (Vedi Spie come noi e Verso casa)
La Cina Entra nel Wto Il 10 novembre 2001 la Cina entra nel World Trade Organization (Wto), l'organizzazione mondiale per il commercio. Dopo la Rivoluzione di Mao, la Cina era uscita nel 1950 dal Gatt (antesignano del Wto) denunciandolo come "club di capitalisti". Entrando nel Wto la Cina apre le porte agli investitori occidentali, ansiosi di mettere le mani su un mercato enorme.
I fatti, i perché
I numeri della Cina L'economia cinese sembra in buona salute. Il prodotto interno lordo è salito del 7,8 per cento nei primi sette mesi del 2001 e le riserve di valuta ammontano a 190 miliardi di dollari (crescita di 24 miliardi di dollari nell'anno in corso). Da quattro anni Pechino ha aumentato la pressione fiscale, ma il rapporto debito/prodotto interno lordo è comunque sotto il 15 per cento. Prima ancora dell'ingresso nel Wto la Cina ha abbassato le barriere doganali dal 43 per cento del 1992 al 17 per cento del 1997, assorbendo 225 miliardi di dollari di importazioni nel 2000. Mentre in tutta l'Asia le esportazioni sono calo, per la Cina sono cresciute dell'8,7 per cento, proiettando Pechino al settimo posto nel mondo (dopo Canada, Regno Unito, Francia, Giappone, Germania e Usa) e al primo dei Paesi non industrializzati. Negli utlimi vent'anni il Pil è cresciuto a una media del 9 per cento ogni anno. L'ingresso nel Wto dovrebbe aggiungere un altro 3 per cento nei prossimi dieci.
Cina a due velocità Ma i costi sociali della crescita economica cinese sono enormi. Per 800 milioni di contadini che vivono con 270 dollari l'anno ci sono cento milioni di ricchi delle zone costiere che navigano ad una media di 2500 dollari. Altri trecento milioni di cinesi sono nel mezzo. La regione più sviluppata è il Guangdong, la più arretrata il Qinghai.
Cosa farà la Cina Il 90 per cento dei lavoratori cinesi è ancora impiegato in imprese pubbliche. La recessione che sta colpendo l'economia mondiale obbligherà i vertici cinesi a scelte drastiche. Si temono ondate di licenziamenti in tutti i settori.
La sfida per il Partito Comunista Nell'inverno 2002-2003 il Partito comunista rinnoverà il 60 per cento dei suoi vertici. Usciranno di scena i settantenni come il presidente Jiang Zemini e il premier Zhu Rongji. Il presidente designato, il 58enne Hu Jintao dovrà affrontare l'integrazione internazionale. Con l'apertura in economia arriveranno anche le richieste di apertura in campo politico. Bisognerà vedere se il Partito comunista resisterà al cambiamento o collasserà.
La scuse del Papa Giovanni Paolo II chiede perdono a Pechino per gli "errori commessi nel passato da alcuni membri della Chiesa in Cina". Il Papa coglie l'occasione di un convegno in internazionale sul missionario Matteo Ricci(1552-1610) per lanciare un'inaspettata proposta di dialogo al governo della Repubblica popolare cinese. In una lettera Wojtyla auspica la normalizzazione dei rapporti tra Santa Sede e Pechino, "superando le incomprensioni del passato" e guardando "al futuro dell'umanità". Si tratta di una mossa clamorosa, a pochi giorni dal vertice di Shangai che ha consacrato la Cina come superpotenza mondiale. Per Jiang Zemin si tratta di un successo forse ancora più importante del riconoscimento politico ottenuto dagli Usa per il sostegno alla guerra contro il terrorismo.
La svolta storica di Shanghai Il vertice dell’Apec (il forum di cooperazione economica dei Paesi dell’Asia e del Pacifico), tenutosi a Shanghai dal 19 al 21 ottobre 2001, ha disegnato la bozza di un nuovo ordine mondiale. Nella conclusiva "dichiarazione ideale" l'Apec "individua nel libero mercato la bandiera della grande coalizione e insieme il bersaglio che i terroristi volevano distruggere". La dichiarazione conferisce di fatto alla Cina lo status di potenza mondiale, economica e politica. Lo stesso George W. Bush ha citato Pechino quale "modello di libero mercato". La Cina ha messo a disposizione degli Usa il lavoro della propria intelligence.
La Cina dopo l'11 settembre La Cina ha scelto di giocare a carte scoperte. Gli Usa, nell'attacco all'Afghanistan, hanno bisogno dell'aiuto o per lo meno della non interferenza di Pechino, che nella regione ha interessi notevoli. Il presidente Jiang Zemin ha manifestato subito solidarietà agli Usa e nel giro di poche settimane si è arrivato allo storico accordo di Shanghai. Ma il sostegno della Cina non è gratis.
Il prezzo di Zemin Pechino ha chiuso la frontiera con l'Afghanistan, impedendo a Bin Laden di scappare nello Xinjiang. In cambio ha ora mano libera in Tibet, nello stesso Xinjiang e su Taiwan. Gli Usa non possono più ergersi a paladini dei diritti dei tibetani. Tantomeno possono fare la voce grossa sulle manovre militari con cui Pechino minaccia ciclicamente Taiwan.
Amici nemici Durante la Guerra Fredda gli Usa guardavano alla Cina come freno all'espansionismo sovietico. Da dieci anni i rapporti politici tra Cina e Usa sono altalenanti. Sfiorata una gravissima crisi diplomatica nel maggio 1999, quando l’ambasciata cinese a Belgrado è stata colpita da missili sganciati da aerei della Nato durante la crisi del Kosovo. Nel novembre 1999 Cina e Stati Uniti firmano a sorpresa uno storico accordo che apre il mercato cinese alle merci statunitensi. Nell'aprile 2001 un aereo spia Usa è intercettato e costretto ad atterrare in territorio cinese. Pechino ne approfitta per saccheggiare informazioni militari preziosissime. Per settimane Cina e Usa si scambiano accuse pesanti. Dietro l'incidente c'è una chiara rivalità per l'egemonia politica ed economica nel Pacifico.
Perché Pechino appoggia gli Usa La Cina non vuole instabilità nell'Asia centrale. Nel maggio 2001 a Shanghai ha firmato un'intesa antiterrorismo con Russia, Tagikistan, Uzbekistan, Kirghizistan e Kazakistan. La paura di Pechino è che gli abitanti dello Xinjiang (gli Uighuri, popolazione turcofona) si stacchino dalla Cina per dar vita allo stato indipendente del Turkestan Orientale. Si tratta di un progetto concreto, sostenuto dalla rete di Bin Laden. Per fermarlo Pechino ha dato vita ad una propria geopolitica mediorientale. Un comportamento da superpotenza che si sposa con gli interessi delle repubbliche ex sovietiche dell'Asia Centrale di fermare l'estremismo islamico. Il governo del Kazakistan, in particolare, è attivissimo nella caccia alle formazioni legate a Bin Laden.
Importanza economica dello Xinjiang La regione autonoma dello Xinjiang è ricca di risorse naturali (petrolio, carbone, oro, piombo, rame, zinco e uranio). Da anni le autorità cinesi reprimono violentemente i movimenti indipendentisti uighuri. Finché ha potuto Pechino ha tenuto nascosta la repressione. Ora cerca di giustificarla sostenendo di avere a che fare con attacchi terroristici sistematici e gravissimi.
L'Islam dello Xinjiang In realtà i cinesi musulmani del Xinjiang sono tendenzialmente moderati. Non predicano la jiahd. Alcuni di loro (pare siano soltanto duecento secondo i servizi segreti russi) hanno sposato la causa di Bin Laden spinti dalla durissima repressione di Pechino che ha colpito indiscriminatamente fanatici e non.
Rapporti Cina - Talebani Dal 1999 la Cina ha rapporti economici privilegiati con Kabul. Pur non riconoscendo il regime dei Talebani, Pechino era in trattativa con loro per un accordo relativo alla costruzione di un'autostrada tra l'Afghanistan e lo Xinjiang.
Cina e Pakistan La Cina è il maggior alleato del Pakistan, con il quale ha in comune un lungo confine. Il Governo non ha chiuso le frontiere, ma non ha escluso un rafforzamento di misure di sicurezza.
Una superpotenza economica La Cina non è più un Paese socialista. Dal punto di vista economico ha varato la formula del "capitalismo di Stato". Un mercato con potenzialità enormi e con squilibri enormi. L'economia cinese cresce ad un tasso annuo del 7-8 per cento. Il 40 per cento delle sue esportazioni vanno negli Usa. Quinta potenza economica mondiale, sembra ormai prossima ad entrare nel Wto, l'Organizzazione del commercio mondiale. Il sistema produttivo cinese è stato riorganizzato negli anni Novanta, con la creazione di zone economiche a regime speciale che hanno attratto, per le favorevolissime condizioni di investimento, molti capitali interni e stranieri.
I costi della riforma La riforma economica e la privatizzazione delle imprese statali, avviata a partire dal 1996, ha però provocato la chiusura di migliaia di industrie, con un sensibile aumento della disoccupazione e del malcontento sociale. Ad aggravare la situazione economica e politica del paese è sopraggiunta la crisi asiatica, che ha colpito pesantemente la borsa di Hong Kong. Con la decisione politica di non svalutare lo yuan allineandolo alle monete degli altri paesi della regione, la Cina si è così accollata un ulteriore costo, derivato dalla perdita di competitività dei suoi prodotti sul mercato internazionale.
Ordinamento statale La Cina conserva invece l'ossatura tipica di un Paese comunista. E' una Repubblica popolare con partito unico. Il Presidente è eletto ogni cinque anni dal Congresso nazionale del Popolo. Il potere legislativo è esercitato dall'Assemblea Nazionale del Popolo, composta da circa 3.000 deputati.
Violazioni dei diritti umani Situazione terribile. Vengono repressi con ferocia tutti i movimenti culturali, politici e religiosi non schierati con il regime. Largamente applicata la tortura. La Cina è il Paese con più condanne a morte in assoluto. La pena capitale è applicata in modo massiccio e arbitrario. Ogni anno avvengono migliaia di esecuzioni, quasi sempre pubbliche e per fucilazione.
Politica demografica rigidissima La Cina è il Paese più popoloso della Terra. In diverse regioni le autorità hanno imposto il limite di un figlio a famiglia. Il controllo è attuato attraverso aborti coatti e infanticidi.
La storia
Chi comanda in Cina Dal marzo 1993 è presidente Jiang Zemin. Subentra a Deng Xiao Ping, morto nel febbraio del 1997 e dominatore assoluto della vita politica cinese degli ultimi vent'anni. In Cina i centri di potere sono due: il partito comunista e l'esercito. Ulteriori cambiamenti ai vertici del partito si sono avuti nel congresso svoltosi nel settembre del 1997 e l’Assemblea nazionale del marzo 1998, con la vittoria di Jiang Zemin su Qiao Shi, il suo più forte concorrente in seno al partito, e la nomina alla carica di primo ministro di Zhu Rongji al posto di Li Peng.
Hong Kong cinese Nel luglio 1997 Hong Kong torna sotto la sovranità cinese dopo 156 anni di amministrazione britannica. Alla base del cambiamento c'è la scadenza del contratto d'affitto (99 anni) stipulato tra l'Impero cinese e la Gran Bretagna nel 1898.
Tienanmen Il 1989 cinese è stato molto diverso da quello dei Paesi dell'Est europeo. Nel Vecchio Continente c'è stato l'inatteso e rapido crollo di tutti i regimi comunisti. A Pechino le istanze democratiche degli studenti sono repressi nel sangue. Gli studenti cinesi chiedono un nuovo corso sul modello di quello avviato da Mikhail Gorbaciov (che visita Pechino in maggio) in Urss. Migliaia di manifestanti sono uccisi in Piazza Tienanmen. Jiang Zemin viene nominato segretario generale del partito al posto di Zhao Ziyang, contrario alla repressione degli studenti. Saranno migliaia gli esiliati e i prigionieri politici degli anni successivi.
La Rivoluzione del 1949 I comunisti salgono al potere dopo una guerra civile durata vent'anni contro i nazionalisti Kuomintang e dopo la guerra contro il Giappone dal 1937 al 1945. Il Partito comunista è guidato da Mao Tse Tung. Viene proclamata la Repubblica popolare cinese. I nazionalisti si rifugiano nell'isola di Taiwan.
Le distanze dall'Urss La Cina non gode dell'appoggio di Stalin, preoccupato dallo stravolgimento degli equilibri decisi a Yalta. La Cina si pone alla testa dei Paesi non allineati. Nel 1995 Lin Piao domina la scena della conferenza dei Paesi africani e asiatici di Bandung.
Il grande balzo in avanti Nel 1957 Mao lancia la politica del “grande balzo in avanti”. In quindici anni la Cina deve superare la produzione della Gran Bretagna. Vara un'ampia riforma in senso collettivistico dell’agricoltura e crea le cosiddette “comuni”. Il piano fallisce. Nel 1960 la Cina rompe i rapporti con l’Unione Sovietica, accusata di “revisionismo” dopo la svolta di Nikita Kruscev. L’interruzione dell’assistenza sovietica provoca il peggioramento della situazione economica del paese.
L'atomica cinese. Nel 1964 la Cina effettua i primi test atomici.
La Rivoluzione culturale Mao soffre per il fallimento del Balzo in avanti. Nel 1959 è sostituito dal moderato Liu Shaoqi nella carica di capo dello stato, ma conserva quella di presidente del partito. Nel 1966 Mao, sua moglie Jang Qing e altri suoi stretti collaboratori lanciano la "grande rivoluzione culturale proletaria" per recuperare lo zelo rivoluzionario del primo comunismo cinese, "perduto a causa dell'imborghesimento dei quadri di governo e dell'apparato burocratico del partito". Gruppi di studenti autodenominatisi "guardie rosse della rivoluzione" seguiti da lavoratori, contadini e soldati in congedo, manifestano a favore di Mao contro ogni forma di autorità istituita. Intellettuali, burocrati, funzionari di partito, operai divennero oggetto di umiliazioni e violenze pubbliche, licenziamenti, e spesso furono forzati a lavori fisici abbrutenti. La struttura del partito è annientata, e molti suoi alti funzionari rimossi dai loro incarichi ed espulsi. Nel biennio 1967-68 le lotte sanguinose tra maoisti e antimaoisti fanno migliaia di vittime. Alla fine l'ordine è ripristinato dall'esercito guidato da Lin Piao. Nel 1969 avvengono scontri al confine tra Cina e Unione Sovietica lungo il fiume Ussuri, in Manciuria.
Lotte nel partito Continuano le lotte all’interno del Partito comunista. Nel 1971 Lin Piao muore in un misterioso incidente aereo. Accanto al "Grande Timoniere" Mao l'uomo politico più influente è Chu En Lai. Nel 1975 Mao nomina vice primo ministro Deng Xiaoping, vittima riabilitata della rivoluzione culturale.
Migliori relazioni internazionali Nel 1971 la Cina subentra a Taiwan in seno all’Onu e ottiene un seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza. Nel 1972 il presidente americano Richard Nixon si reca in visita ufficiale a Pechino, giocando una storica partita a ping pong con Mao. La Cina apre relazioni diplomatiche con gli Usa nel 1973.
1976: muore Mao Mao Tse tung muore. Si scatena la lotta tra moderati e radicali. Con un compromesso fra i due schieramenti, Hua Kuo-feng è nominato primo ministro. Sotto il suo governo prevale la linea moderata. Per consolidare la propria posizione, Hua fa arrestare Chiang Ch’ing, la moglie di Mao, con i suoi collaboratori (la cosiddetta Banda dei Quattro). Poi si concentra sullo sviluppo economico della nazione, affidandosi al "partito dei pragmatisti". Nel 1977 Deng diventa vicepremier.
Guerra con il Vietnam Quando il Vietnam invade la Cambogia rovesciandone il governo filocinese dei Khmer Rossi (gennaio 1979), Pechino attacca il Vietnam. La Cina non tollera l'influenza dell'Urss in Vietnam, e intensifica la politica di apertura diplomatica verso le potenze occidentali e il Giappone.
Gli anni Ottanta La Cina di Deng si apre al commercio e agli investimenti esteri, entrando a far parte della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale nel 1980. Il risultato è una crescita economica annuale media del 10 per cento per tutto il decennio del 1980. Sempre nel 1980 Hua Kuo-feng si dimette dall'incarico di premier ed è sostituito da Zhao Ziyang, fedele sostenitore di Deng. In giugno un altro alleato di Deng, Hu Yaobang, sostituisce Hua come responsabile del partito. Verso la fine degli anni Ottanta le difficoltà economiche si fanno sentire. La liberalizzazione economica ha dato origine a una forte inflazione, alimentata dall'emissione di quantitativi esagerati di moneta per sostenere il deficitario settore pubblico. Si intensificano in tutto il Paese le richieste di accompagnare le riforme economiche con riforme politiche democratiche.
La speranza Zhao Ziyang Nel gennaio del 1987 Zhao Ziyang è nominato segretario generale del Partito comunista in sostituzione di Hu Yaobang. Il mutamento ai vertici ha luogo dopo un'ondata di manifestazioni studentesche che rivendicavano maggiore democrazia e libertà di espressione. Il XIII Congresso del Partito comunista vede l'ascesa di giovani tecnocrati. E' l'antefatto ai moti della primavera del 1989, stroncati col massacro di Piazza Tienanmen (4 giugno 1989).
Antonello Sacchetti Grandinotizie.it/ 21/febbraio/2002
www.grandinotizie.it/daz/1068.htm
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Cina: «Niente scuse, niente visite»
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GREENGO GO HOME Friday, Mar. 11, 2005 at 8:08 PM |
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Il regime condiziona al “mea culpa” degli Usa il permesso ai diplomatici di vedere l’equipaggio Cina: «Niente scuse, niente visite» Dura Pechino: «Non ci piegheremo mai alla prepotenza americana»
Pechino Diplomatici americani e cinesi sono “fortemente impegnati” in negoziati per risolvere la questione dell’aereo spia americano atterrato in emergenza, domenica, sull'isola di Hainan in Cina, dopo una collisione in volo con un caccia cinese. La tensione tra i due Paesi si era inasprita quando i cinesi, malgrado l’ammonimento di Bush, avevano ispezionato l’aereo da capo a fondo tentando di carpirne i segreti tecnologici si tratta di uno dei modelli più avanzati per la ricognizione elettronica senza peraltro riuscirvi, a quanto pare perché l’equipaggio aveva distrutto le apparecchiature di bordo, subito dopo l’atterraggio, a colpi di ascia. Sun Yuxi ha tenuto comunque più volte a sottolineare che la Cina “vuole buoni rapporti con gli Usa”, nell’interesse di ambedue i Paesi e del mondo. Pechino ha “apprezzato” la lettera ufficiale di “rammarico” per la morte del pilota cinese, inviata dal segretario di Stato americano Colin Powell al vicepremier Qian Qicen, ma non basta. La Cina insiste comunque nel condizionare alle scuse pubbliche degli Usa il permesso di visite di diplomatici all’equipaggio americano dell’aereo spia 24 persone tra cui tre donne che può essere considerato a tutti gli effetti prigioniero. Dopo avere ieri provveduto a generi di conforto per la toilette e ad indumenti intimi, i diplomatici americani sull'isola di Hainan si sono preoccupati ieri di evitare la noia all’equipaggio. Così si sono procurati libri, riviste e giornali e anche qualche snack e li hanno fatti pervenire ai prigionieri, trattenuti in una località segreta della capitale dell’isola Haikou. Secondo ricostruzioni di stampa, la collisione in volo sopra il Mare della Cina meridionale dell’aereo spia americano intercettato dall’aeronautica cinese, è avvenuta quando l’aereo Usa si è inclinato a sinistra mentre sotto di esso volava un caccia cinese. Lo ha scritto il “Washington Post” citando fonti occidentali a Pechino. L’impatto ha fatto precipitare il caccia cinese, il cui pilota è disperso, e costretto l’aereo americano a un atterraggio da brivido sull'isola cinese di Hainan. L’EP3 hanno detto le fonti citate dal giornale è precipitato per 2.440 metri prima che il pilota riuscisse a raddrizzarlo. E’ da quel momento che l’equipaggio ha iniziato a distruggere il materiale segreto presente a bordo per evitare che cadesse in mano cinese. La Marina americana afferma da parte sua che è stato uno degli aerei cinesi a urtare l’EP3. Nel giorno della tradizionale Festa dei morti, ieri, la stampa ha riportato con grande evidenza in prima pagina le lacrime della moglie in ospedale del pilota cinese disperso, di none Wang Wei, che lascia un figlio di sei anni e che la stampa celebra come un eroe nazionale. Continuano intanto gli sforzi della Marina per recuperarlo. Il comandante Shi Yunsheng ha reso noto che sono ancora impegnati nella ricerca 8 aerei e 7 fregate.Le unità della marina hanno compiuto sinora 102 ore di missione, in cui sono state coinvolti 74 aerei, 42 navi da guerra e oltre 10mila militari. Anche il Presidente Jiang Zemin ha ribadito la sua “preoccupazione” per la sorte del pilota. I toni della stampa di Pechino sono duri contro gli Usa: «La nuova amministrazione americana spinge ancora di più verso l'egemonismo, scrive il “Quotidiano dell’Esercito popolare di liberazione”' che mette in guardia: «I cinesi sono un popolo pacifico ma non abbasseranno mai la testa davanti all’egemonismo americano...».
yankee vattene, greengo (verde via: l'uniforme dei nord americani era verde al tempo dell'occupazione del Tejas! = verde vattene! )
old.lapadania.com/2001/aprile/06/06042001p09a1.htm
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Uccisione Calipari:facciamo come i cinesi
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soldati usa a casa! Friday, Mar. 11, 2005 at 8:13 PM |
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«Non finisce qui». Gli Yankee debbono pagare per i loro crimini contro l'intera umanita'!
Facciamo come i cinesi: facciamogliela pagare.
Bush ha detto che gli dispiace ma ancora neanche ha chiesto scusa, figuriamoci il nostro PERDONO !
Svolta decisiva nella crisi tra Usa e Cina dopo che gli Stati Uniti inviano una lettera di rammarico L’equipaggio presto a casa Ma il presidente Zemin dall’Uruguay dice: «Non finisce qui» Pechino Dopo giorni di febbrili trattative tra la diplomazia americana e quella cinese vi è stata ieri una svolta decisiva nella crisi tra le due superpotenze seguita alla collisione tra un aereo-spia Usa e un caccia cinese. L’equipaggio statunitense lascerà infatti a breve l’isola di Hainan dove il loro jet è atterrato in seguito all’incidente. A sbloccare lo stallo diplomatico protrattosi per undici giorni, è stata una lettera inviata dagli Stati Uniti alla Cina nella quale gli Usa che si dicono «spiacenti» poiché, per poter effettuare un atterraggio di emergenza, il loro aereo-spia è entrato nello spazio aereo cinese senza il necessario permesso. Nella lettera Washington esprime «rammarico» per la perdita della vita del pilota cinese e del suo aereo e chiede al governo cinese di passare questo sentimento alla famiglia della vittima e al popolo cinese. Fonti dell’amministrazione Usa hanno spiegato che il messaggio amplifica il senso di un’intervista rilasciata domenica dal segretario di stato Colin Powell che per la prima volta ha usato la parola «sorry» per descrivere i suoi sentimenti per la perdita della vita del pilota cinese e l'atterraggio di emergenza dell’aereo americano nell’isola di Hainan. «Siamo pronti a riconoscere di aver violato lo spazio aereo» aveva detto Powell domenica, parlando dell’atterraggio di emergenza, non della posizione in cui l’EP-3E si trovava quando è avvenuto l’incontro ravvicinato con l’aereo di Pechino. Secondo quanto ha dichiarato ieri l’ambasciatore americano Joseph Prueher, in una breve dichiarazione alla stampa a Pechino, la lettera di Powell al vice premier cinese Qian Qichen sarebbe stata «cruciale» per giungere ad una soluzione della crisi. Nonostante si sia certamente aperta una strada verso la risoluzione della crisi, la Cina continua ad insistere sul fatto che la responsabilità dell’incidente sia «interamente» degli Stati Uniti e chiede, oltre alle spiegazioni, che siano interrotti i voli di ricognizione americani nelle vicinanze della costa cinese per evitare il ripetersi di simili episodi. Tale posizione di Pechino è stata espressa ieri dal portavoce del ministero degli esteri cinese Sun Yuxi che ha sottolineato che il caso «non è chiuso» con la lettera di scuse. Ci saranno ulteriori negoziati. E infatti l’aereo-spia americano per ora resta sull'isola di Hainan perché necessario al proseguimento delle indagini. Sun Yuxi ha spiegato che il rilascio dell’equipaggio è stato deciso tenendo in considerazione questioni umanitarie, dopo le lettera di scuse degli Usa. Anche il presidente cinese Jiang Zemin dall’Uruguay ha ribadito che con la lettera di scuse degli Stati Uniti l’incidente della collisione in volo «non è concluso». «E’ necessario che le relazioni Usa-Cina si attengano ai comunicati congiunti e alle norme internazionali, solo così i problemi possono essere risolti in modo appropriato» ha aggiunto il presidente cinese. Jiang ha concluso ieri una visita ufficiale in Uruguay e oggi sarà a Cuba. Nel frattempo il presidente americano George W. Bush, svegliato all’alba da una telefonata della consigliere per la sicurezza nazionale Condoleeza Rice che gli annunciava la svolta positiva della crisi, ha ieri dichiarato: «Sono lieto di dire al popolo americano che i 24 membri dell’equipaggio torneranno presto» negli Stati Uniti. «E stata una situazione difficile per entrambi i Paesi», ha aggiunto Bush, ribadendo il rammarico degli Stati Uniti per la morte del pilota cinese. Dopo aver ringraziato l'ambasciatore americano a Pechino e tutti i diplomatici che con lui «hanno lavorato instancabilmente per risolvere la situazione», il presidente ha concluso affermando che «il popolo americano, le loro famiglie e io siamo orgogliosi dell’equipaggio». Intanto un aereo noleggiato dal governo americano è pronto a decollare dalla base di Guam, nell’Oceano Pacifico, per l’isola di Hainan, per riportare in patria i 24 membri dell’equipaggio non appena riceverà il permesso dalla Casa Bianca. Sulla via del ritorno negli Stati Uniti, l'aereo si fermerà a Guam, da dove l’equipaggio proseguirà il suo viaggio su un altro volo diretto alle Hawaii. Qui, i 24 verranno per la prima volta interrogati in modo dettagliato sulle modalità dell’incidente e su quante apparecchiature tecnologicamente avenzate, di cui il velivolo era dotato, siano riusciti a distruggere prima che i cinesi salissero a bordo.
Bush ricorda, la Cina ti si avviCINA !!!!
e vi romperà il c***
old.lapadania.com/2001/aprile/12/12042001p09a1.htm
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Cina, America e Pacifico
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FalceMartello n° 147 * 17-5-2001 Friday, Mar. 11, 2005 at 8:20 PM |
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Dopo l’incidente dell’aereo spia
Lo scontro tra Cina e Stati Uniti sull’aereo spia ha posto in forte rilievo i contrasti tra le grandi potenze in Asia. L’incidente in sé è casuale. Ma la dialettica spiega che la necessità può esprimersi attraverso il caso. Dietro questo incidente specifico ci sono forti contraddizioni tra Cina e Stati Uniti.
di Ted Grant e Alan Woods
Prima del 1939 gli imperialismi americano, giapponese ed europeo erano in competizione tra loro per il controllo e il saccheggio della Cina. Alla fine la lotta si risolse in uno scontro titanico tra gli Stati Uniti e il Giappone per il controllo del Pacifico e soprattutto della Cina.
L’imperialismo americano riuscì ad ottenere il dominio dell’Asia e a trasformare il Pacifico in un lago americano, come i romani erano riusciti a far diventare il Mediterraneo un lago romano. Tuttavia i piani dell’imperialismo Usa furono frustrati dalla rivoluzione cinese del 1949. La marionetta americana Chang Kai Shek fu costretta a fuggire nell’isola di Taiwan (Formosa) che per decenni venne riconosciuta da Washington come "la vera Cina".
Da quel momento in poi la politica americana nel Pacifico fu dettata dalla necessità di contenere la Cina e di fermare l’avanzata del "comunismo". Questo portò ad una serie di guerre. La guerra di Corea portò a uno stallo e alla divisione della Corea fra Nord e Sud, lasciandosi alle spalle un problema irrisolto e una futura fonte di conflitti in Asia. Lo scacco maggiore per gli Stati Uniti si verificò in Vietnam, dove, per la prima volta nella storia, gli Usa vennero sconfitti da un armata di contadini scalzi. Regimi di bonapartismo proletario (modellati sull’esempio dello stalinismo cinese e sovietico - NdT) furono stabiliti in Vietnam, Laos e Cambogia. L’imperialismo Usa fu costretto sulla difensiva, e, cercando di evitare qualsiasi intervento militare diretto sul territorio asiatico, si concentrò sull’obiettivo di costruire alleanze militari per contenere l’avanzata dell’influenza sovietica e cinese in Asia. Nonostante ciò, paesi importanti come l’India in realtà appoggiavano la burocrazia russa e diventarono sfere d’influenza sovietica.
Il crollo dell’Urss
Il crollo dell’Urss ha modificato in modo sostanziale l’equilibrio di forze su scala mondiale e particolarmente in Asia. Ha creato una situazione completamente nuova a livello globale: una correlazione di forze mai vista nella storia.
Durante la campagna elettorale, Bush aveva giurato che sotto la sua presidenza gli Usa si sarebbero ritirati dalla scena mondiale per occuparsi dei propri affari interni. Questo era quello che ci si sarebbe potuto aspettare, dato che i repubblicani storicamente sono sempre stati favorevoli ad una politica di non intervento ("isolazionismo"). Ma una volta eletto, Bush ha immediatamente fatto l’opposto, aumentando il coinvolgimento americano in Medio Oriente, America Latina e Pacifico. Forse è anche preoccupato di apparire come statista di statura mondiale. Se così fosse, non avrebbe potuto scegliere un paese peggiore da provocare della Cina.
Essendo stati scoperti nell’atto di spionaggio sulle coste della Cina, e avendo provocato la distruzione di un aereo cinese e la morte del suo pilota, gli americani hanno avuto il coraggio di pretendere che i cinesi non salissero sul loro aereo a terra – ora in territorio cinese – chiedendo che lo trattassero con il rispetto dovuto ad un’ambasciata! I cinesi naturalmente hanno risposto questa pretesa senza precedenti con il disprezzo che meritava ampiamente. Hanno riconsegnato l’equipaggio – che è stato trattato con rispetto – ma si sono tenuti l’aereo spia americano, che ovviamente, non restituiranno fino a che non ne avranno tirato fuori tutti i segreti che contiene.
Le pesanti minacce degli americani non hanno sortito alcun effetto, tranne quello di offendere ulteriormente i cinesi e di infiammare i sentimenti antiamericani. Dal bombardamento dell’ambasciata cinese in Jugoslavia durante la guerra in Kosovo non c’era stata una simile ondata di rabbia antiamericana e di manifestazioni di protesta in Cina.
La Cina e i limiti della potenza Usa
La rivoluzione cinese del 1949 portò la gigantesca popolazione cinese ad alzarsi in piedi e ruppe il circolo vizioso dell’arretratezza e del letargo che aveva paralizzato la potenza della Cina per millenni. L’economia nazionalizzata e pianificata – nonostante le politiche criminali, la corruzione, gli sprechi della burocrazia stalinista-maoista dominante – trascinò la Cina fuori dall’arretratezza e pose le basi per la trasformazione economica del paese, trasformando la Cina da un debole paese semicoloniale, depredato e umiliato dagli imperialisti stranieri, in una formidabile potenza militare. Non si può più porre la questione, per gli Usa o per qualsiasi altro paese, di ridurre la Cina in schiavitù semicoloniale come nel passato. La Cina rappresenta dunque il limite della potenza americana nel Pacifico.
Nel corso degli ultimi 20 anni l’integrazione della Cina nel commercio mondiale è cresciuta a passi da gigante. Sia la Cina che gli Stati Uniti sono interessati a sviluppare il commercio. Per i grandi monopoli americani, la prospettiva di sviluppare il mercato cinese è un’affascinante prospettiva di profitti. Essi rappresentano la lobby cinese a Washington che è ansiosa di prevenire un deteriorarsi dei rapporti tra Cina e Stati Uniti che metterebbe in pericolo i loro interessi. Da parte sua, la Cina vuole sviluppare la sua economia e la sua tecnologia più velocemente possibile. Questa è una questione di vita o di morte per un paese che ha bisogno di garantire un tasso di sviluppo annuale di almeno l’otto per cento per impedire la crescita della disoccupazione. Quindi né Washington né Pechino vorrebbero spingere la situazione ad una aperta rottura.
Data l’esistenza di interessi contrastanti in tutta una serie di aree, incidenti come quello dell’aereo spia continueranno ad accadere ad intervalli regolari. Ma, dato l’equilibro delle forze, non porteranno ad un conflitto aperto tra Cina e Stati Uniti. In un’eventualità di questo genere gli Usa non potrebbero sconfiggere la Cina e la Cina non potrebbe sconfiggere gli americani. Per questo ogni crisi si risolverà sempre in un compromesso.
Il problema di Taiwan, che Pechino considera una provincia ribelle che deve ricongiungersi alla terra madre, rimane, più di ogni altro, come un’ulcera che avvelena le relazioni. Washington si sente in dovere di venire in aiuto di Taiwan nel caso di un conflitto ed esiste una rumorosa lobby pro-Taiwan nel Congresso americano, particolarmente nelle fila del partito del presidente. Washington continua ad armare Taiwan, che recentemente ha dispiegato manovre militari su larga scala, ovviamente dirette contro la Cina, con armi modernissime. Taiwan sta facendo pressioni sugli americani per equipaggiare le sue forze armate con i più recenti sistemi di difesa missilistica, una prospettiva che fa infuriare i cinesi.
In fin dei conti entrambe le parti hanno talmente da perdere che i cinesi dovranno probabilmente trovare una qualche forma di accordo con i capitalisti taiwanesi, che stanno già investendo in Cina. Ci sarà molto "rumore" sul piano diplomatico dato che entrambe le parti cercano di ottenere un vantaggio, ma, perlomeno nel breve periodo, è improbabile che questo porti ad una guerra. Tuttavia nel regno della politica internazionale le relazioni non rimangono fisse per molto tempo. Con il passare del tempo la Cina espande la sua potenza economica e militare. Questo ha importanti implicazioni a lungo termine, sia per quanto riguarda l’Asia che a livello mondiale. Nonostante faccia comodo alla burocrazia dominante di Pechino il ricercare un "modus vivendi" con Washington come mezzo per ottenere le tecnologie e i capitali di cui ha bisogno per sviluppare la sua economia, è cosciente del fatto che, prima o poi, uno scontro con gli Usa è inevitabile. Per il momento l’incidente dell’aereo spia è chiuso e la Cina ha guadagnato punti. Ma in futuro ci saranno nuove scintille nello scontro fra Cina e Stati Uniti per il dominio di questa parte decisiva del globo.
Cina e Russia
Lo sviluppo di contraddizioni esplosive nel Pacifico è evidente se si guarda alla corsa sfrenata agli armamenti che coinvolge la maggioranza dei paesi della regione. La stessa Cina si sta impegnando ad aumentare la sua potenza militare, e ha recentemente annunciato un aumento del 18% delle spese militari. Questo è un aumento considerevole rispetto all’aumento del 10% dell’ultimo periodo, che aveva provocato allarme nei paesi vicini. Il programma di modernizzazione militare della Cina, che era inizialmente rivolto a potenziare le capacità militari aeree dell’Esercito popolare cinese, ora si concentra sull’espansione del suo potenziale navale.
Posta di fronte ad un antagonista così potente, la Cina deve guardarsi attorno per cercare alleati. Dopo decenni di conflitti fra Russia e Cina, i governanti di Mosca e Pechino cominciano a riavvicinarsi. La visita di Putin a Pechino sarà seguita da una più stretta collaborazione sul piano militare e diplomatico. Il dominio dell’imperialismo americano provoca amaro risentimento in entrambi i paesi. Il possibile sviluppo di un futuro blocco antiamericano composto da Russia, Cina, India e Iran, è già visibile. Si concretizzerà gradualmente, in un certo numero di anni, e non sarà un processo lineare, ma alla fine la logica degli eventi spingerà la Cina nelle braccia della Russia.
Incapace di affrontare la Cina direttamente, la classe dominante americana cerca di raggiungere i suoi obiettivi in altri modi. Un settore dei capitalisti americani – in particolare quelli che hanno interessi economici diretti in Cina – sostengono che investendo in Cina e legandola sempre di più tenacemente al mercato mondiale, possono rafforzare la mano a quel settore della burocrazia (i "riformatori") che vuole velocizzare la transizione al capitalismo. In questo modo sperano di ottenere un regime più flessibile (e più debole) a Pechino, sul quale poter esercitare le loro pressioni.
Negli ultimi anni la Cina ha goduto di un elevato tasso di crescita. Anche ora cresce ad un tasso del 7%, ma questa medaglia ha un rovescio. Il movimento verso il capitalismo ha provocato un’enorme problema di dislocazione sociale. La disoccupazione tocca circa 150 milioni di persone. Esiste un’enorme e crescente ineguaglianza, sia nelle città che nei villaggi. Decine di milioni di poveri si sono riversati nelle città in cerca di lavoro. Nelle aziende capitaliste – spesso di proprietà di stranieri – sono soggetti al più tremendo sfruttamento per salari molto bassi. Una pressione insopportabile ricade sugli alloggi e sulle infrastrutture. Tali condizioni, che ricordano quelle della classe lavoratrice russa di cento anni fa, sono un terreno fertile per la rivoluzione.
Il futuro del capitalismo in Cina non è affatto certo. La stessa burocrazia è divisa fra un’ala procapitalista e un’ala "conservatrice" che teme le conseguenze dell’instabilità sociale che deriva dal capitalismo. Mentre alcuni settori della burocrazia si sono arricchiti, la maggioranza ha guadagnato poco o nulla dalle riforme di mercato. Questo è particolarmente vero nelle province interne che non hanno ricevuto la quantità di investimenti che si è riversata nelle aree costiere.
La Cina è più integrata nell’economia mondiale di quanto non sia mai stata nella storia. Ma questo fatto, che parlando da un punto di vista generale costituisce uno sviluppo progressista che ha aiutato l’esplosione dell’economia cinese, significa anche che la Cina non è più immune dalle scosse che le giungono dal mercato mondiale. L’attivo commerciale della Cina nei confronti degli Usa può essere ignorato, o trattato come un disturbo secondario, fino a quando dura la crescita economica, ma con l’inizio della fase calante le tendenze protezionistiche negli Usa cresceranno. Queste tendenze sono particolarmente forti tra i repubblicani. Il tentativo di includere la Cina nel Wto - che non è ancora stato portato definitivamente a termine - ha incontrato una feroce opposizione in questo settore. Se l’attuale rallentamento dell’economia si trasformerà in una recessione, le contraddizioni tra Cina e America si intensificheranno. Già oggi il coro che si sente negli Usa sul mancato rispetto dei diritti umani in Cina, sull’assenza di sindacati liberi, sui bassi salari, ecc. non è altro che una mascheratura ipocrita utilizzata dalle lobby protezioniste per opporsi al commercio con la Cina.
Cambiamento dei rapporti di forza
Se, come è del tutto possibile, l’attuale tendenza recessiva negli Usa sfocerà in una recessione profonda su scala mondiale, tutto l’equilibrio attuale si squaglierà. L’effetto immediato di una crisi sarebbe di raddoppiare la tendenza naturale dei repubblicani a rivolgersi all’interno per dedicare la gran parte delle loro energie a "risolvere prima i problemi dell’America". La capacità degli Usa di intraprendere avventure militari all’estero sarebbe significativamente ridotta.
È impossibile, tuttavia, per gli Usa di districarsi dal turbine degli avvenimenti mondiali. I loro interessi sono dappertutto, così come le loro basi militari. Nel prossimo periodo l’America dovrà difendere i propri interessi su scala mondiale: dovrà interferire negli affari interni di altri Stati, in particolare in America centrale e meridionale, essere implicata in guerre, assassinii, golpe militari e cospirazioni controrivoluzionarie su scala globale. Allo stesso modo in cui, durante il periodo dell’ascesa economica, gli Usa erano il "prestatore in ultima istanza" del mondo capitalista, così nel periodo di crisi saranno il poliziotto del capitalismo mondiale.
Una simile posizione si dimostrerà molto costosa. Il tentativo di circondare la Cina con un "cordone sanitario" attraverso alleanze militari con diversi Stati asiatici sta già mostrando delle crepe. Washington continua a spalleggiare Taiwan usandola come un pugnale da puntare contro la Cina. Ma dopo il crollo finanziario del 1997, molti governi asiatici stanno riconsiderando la loro tradizionale alleanza con gli Usa.
L’Indonesia, presa nel vortice della rivoluzione, ha criticato Washington sulla questione dell’aereo spia. La Malesia, un altro gigante, è ora in generale poco amichevole verso gli Usa. Solo la Thailandia rimane come alleato fedele agli Usa. In tutta l’Asia ci sono circa 100mila soldati Usa. La loro presenza non è casuale. Recentemente la Thailandia ha organizzato manovre militari congiunte con gli americani (operazione Cobra): si è trattato della più grande esercitazione militare in Asia quest’anno.
In mancanza di alleati solidi nella regione, ora Washington sta coltivando le Filippine, ma i recenti sconvolgimenti politici, che hanno portato alla caduta di Estrada, mostrano come anche le Filippine stiano entrando in un nuovo periodo di instabilità e rivoluzione.
Dopo la Cina, il paese guida in Asia è il Giappone. Pur seriamente indebolito da un decennio di recessione e stagnazione, il capitalismo giapponese rimane un gigante economico.
Da diverso tempo ormai si levano in Giappone le voci di quanti richiedono un nuovo indirizzo nella politica estera e militare. Queste voci sono diventate se possibile ancora più forti da quando l’economia giapponese è sprofondata nella recessione. La nuova tendenza nazionalista richiede che la costituzione giapponese venga riscritta per permettere al suo esercito, che ha già una certa forza, di combattere all’estero. Paradossalmente questa tendenza al militarismo aggressivo è stata incoraggiata dall’America. Miopi come sempre, gli imperialisti americani immaginano che un Giappone armato e sicuro di sé possa essere un loro fantoccio obbediente in Asia, così come la Gran Bretagna è il loro cagnolino ammaestrato in Europa. Simili pensieri dimostrano una singolare mancanza di rispetto per la storia!
La crisi prolungata dell’economia giapponese si è espressa in una cronica tendenza all’instabilità politica. In un clima del genere, non sarebbe strano se il Giappone tentasse di espandere i propri mercati e sfere d’influenza in Asia con mezzi più diretti.
La strada tradizionale di espansione militare del Giappone era la Corea e la Manciuria, puntando alle enormi ricchezze della Siberia non ancora sfruttate. Tuttavia oggi non siamo né nel 1904, né nel 1937. In passato il Giappone si trovava di fronte il debole zarismo russo e una Cina semifeudale in disgregazione. Ora la strada è bloccata dalla Russia che, nonostante il suo catastrofico declino, rappresenta ancora una potenza militare formidabile, e da una Cina forte e fiduciosa. Le prospettive per l’imperialismo giapponese sono quindi severamente limitate. Tutte le contraddizioni che in passato avrebbero portato alla guerra ora si rifletteranno all’interno, sotto forma di una tendenza crescente alla rivoluzione – e alla controrivoluzione. Siamo di fronte a un periodo di tremenda instabilità economica, sociale e militare in tutta l’Asia.
L’Asia e il socialismo
In prospettiva storica, le vecchie potenze europee sono in parte fuori gioco. Sono troppo piccole per giocare un ruolo su scala mondiale. Solo una rivoluzione proletaria che abbatta le barriere artificiali e superate che dividono i popoli, e il formarsi degli Stati uniti socialisti d’Europa può portare alla necessaria rigenerazione del continente. Nel frattempo, una nuova e vigorosa parte del mondo sta vivendo le doglie di una transizione di importanza storica. Lungo le coste del Pacifico - che, non dimentichiamolo, comprendono anche gli Usa - comincia ad emergere l’enorme potenziale di centinaia di milioni di persone come fattore determinante nella storia mondiale. Enormi masse umane, in passato oppresse, cominciano a scaldare i muscoli e a mostrare di cosa sono capaci. Durante il periodo di crescita degli anni ’80 che durò fino con al crollo del 1997, abbiamo potuto intravedere l’enorme potenziale dell’Asia. I marxisti hanno allora valutato positivamente lo sviluppo delle forze produttive sotto il capitalismo, poiché questo rafforzava il proletariato e poneva le basi per una più alta forma di società umana sotto il socialismo.
Ma questa medaglia ha anche il suo rovescio. Le contraddizioni del capitalismo si stanno addensando come una nuvola minacciosa sull’Oceano Pacifico. Si preparano sviluppi esplosivi. Il futuro dell’Asia non sarà un passaggio automatico e indolore verso la prosperità che dieci anni fa promettevano gli economisti borghesi. La crisi asiatica del 1997 è stato un avvertimento di quello che si prepara, ha provocato un’instabilità generale, un’enorme intensificazione della lotta di classe in paesi come la Corea del Sud, e l’inizio di una rivoluzione in Indonesia, la quale rimane in stato di ebollizione.
La prossima crisi avrà conseguenze ancora più esplosive in tutta l’Asia. Questi avvenimenti drammatici costituiscono lo sfondo sul quale si sviluppa la lotta titanica per la dominazione dell’Asia.
Sotto il capitalismo l’Asia non potrà mai realizzare il proprio potenziale, o potrà farlo solo in maniera distorta e parziale. Solo sulle basi del socialismo l’immenso potenziale dell’Asia e del Pacifico potrà esprimersi pienamente. Combinando le economie della regione in un piano di produzione comune si aprirebbe la strada per uno sviluppo inaudito dell’industria, dell’agricoltura, della scienza e della tecnologia e per una fioritura senza precedenti della cultura. Ma la condizione preliminare e che venga spezzata la presa del capitalismo e dell’imperialismo. Questa è l’unica speranza per l’Asia e per il mondo.
Londra, 23 aprile 2001
(Questo articolo, di cui presentiamo una sintesi, può essere consultato nella versione completa nell’originale inglese su http://www.marxist.com )
www.marxismo.net/fm147/fm147-10_Usa_Cina.htm
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Gli Stati Uniti hanno come bersaglio la Cina
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stop the usa Friday, Mar. 11, 2005 at 8:23 PM |
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Fonte PTB - Parti du Travail de Belgique ( http://www.ptb.be/scripts/article.phtml?lang=1&obid=24440# ), 25 agosto 2004 Traduzione italiana da Nuove resistenti ( http://www.resistenze.org/ ) , 10 settembre 2004 Gli Stati Uniti hanno come bersaglio la Cina
Gli Stati Uniti hanno effettuato, in questi ultimi mesi, le loro più grandi manovre navali dal 1945. Esse erano dirette contro la Cina. Gli americani stanno costruendo un forte potere militare nel mare della Cina e completando progressivamente l'accerchiamento della Repubblica popolare. Parallelamente, sostengono i separatisti nelle province di Taiwan e di Xianyang. La Cina è l'obiettivo strategico a lungo termine dei guerrafondai.
Peter Franssen
Le più grandi manovre navali dalla Seconda Guerra mondiale ("Summer Pulse 04") si concludono in questi giorni. Queste esercitazioni sono durate due mesi. Fatto unico nella storia militare, vi hanno partecipato sette dei dodici gruppi di assalto navale americani. Un gruppo di assalto comprende una portaerei, 80-90 apparecchi di combattimento, un incrociatore, due fregate, due cacciatorpediniere, due sottomarini ed una nave appoggio. La portaerei, gli incrociatori ed i sottomarini sono armati con missili nucleari tattici. Il gruppo dispone inoltre di una impressionante forza di fuoco classica, come i missili Cruise e Tomahawk. Un solo gruppo può, senza grande difficoltà, sopraffare l’intero esercito della maggior parte dei paesi del mondo. Nella prima guerra del Golfo nel 1991, per esempio, gli Stati Uniti mobilitarono due, al massimo tre di questi gruppi di assalto. Indignazione in Asia
Le navi americane erano assistite della marina canadese e britannica. In totale, 150.000 uomini hanno partecipato a queste manovre, cioè più del numero dei soldati americani in Iraq.Il 30 giugno, appena prima dell'inizio delle manovre, lo Straits Time di Hongkong faceva sapere che i sette gruppi di assalto si sarebbero riuniti nel sud-est del mare della Cina, nello stretto di Taiwan, (il braccio di mare che separa la Cina continentale dalla provincia di Taiwan).Questa enorme concentrazione di potenza di fuoco ha suscitato molta collera in Asia. Proteste sono venute ovviamente dalla Cina, ma anche da personalità australiane, indonesiane, giapponesi. Alcuni voci anche negli Stati Uniti. Il 14 luglio, l'eminente professore Chalmers Johnson scriveva nel Los Angeles Time: "Si direbbe lo sbarco in Normandia, ma in tempo di pace. Ciò potrebbe concludersi in una catastrofe." Ed il Pentagono a ribattere che l'esercitazione era indispensabile per provare la capacità e i tempi di reazione delle forze navali. Vogliamo, ha aggiunto la Difesa, essere pronti ad intervenire in ogni momento.In quei giorni, i gruppi di assalto si trovavano già nell'Oceano Pacifico, all'est della Cina, sotto la direzione dei portaerei Carl Vinson, Abramo Lincoln, John C. Stennis e Kitty Hawk. Il gruppo della George Washington incrociava nel golfo Persico e si preparava a raggiungere gli altri quattro gruppi di assalto. Specialisti militari hanno detto di non comprendere questo dispiego di forze "poiché, militarmente, la Cina non è in grado di resistere a più di due squadre di attacco."I cinesi hanno dichiarato che l'esercitazione era intimidazione pura e che gli americani mostravano il loro apparato navale per ottenere ubbidienza. In seguito alle incessanti proteste, il Pentagono ha deciso all’ultimo momento di fare partecipare alle manovre "solo" tre gruppi di assalto nel mare della Cina. Gli altri quattro gruppi hanno realizzato le loro manovre nell'atlantico, di fronte alla costa americana, in Mediterraneo e nel golfo Persico. Poco dopo, il Pentagono decideva di mandare un secondo gruppo di assalto nel mare della Cina per un pattugliamento permanente. Un primo gruppo di assalto è già sul posto, sotto la direzione del portaerei Kitty Hawk "Una dittatura che ci minaccia"
L'esercitazione militare "Summer Pulse" fa sempre più parte di un atteggiamento politico sempre più aggressivo come si può vedere anche da due rapporti ufficiali di quest’anno. Il primo è stato redatto dal Pentagono ed è stato intitolato The Military Power of the People's Republic of China. Il Pentagono scrive che il potere economico crescente della Cina costituisce una minaccia per gli interessi americani. Se ne deve concludere dunque che se un paese del terzo mondo segue con successo una certa politica economica che salva milioni di persone dalla carestia e procura un'esistenza degna ad altre centinaia di milioni, può nuocere agli interessi americani!Il secondo rapporto proviene dalla Commissione parlamentare su economia e sicurezza USA-Cina. È uscito in giugno e conta 300 pagine di testo. Gli undici membri della commissione l'hanno approvato unanimemente. Essi scrivono: "Avevamo sperato che l'ingresso della Cina nell'organizzazione Mondiale del Commercio avesse portato a delle riforme economiche, ad una società più aperta ed allo sviluppo di una libera economia di mercato. Queste attese si sono tramutate in disillusioni." Una pagina dopo: "La Cina resta un Stato antidemocratico ed autoritario." Ed ancora: "Siamo convinti fermamente che la politica degli Stati Uniti debba saldamente fondarsi su scelte che possano rinforzare e progredirne l'economia nazionale così come la sicurezza nazionale. Gli Stati Uniti non possono realisticamente ottenere un cambiamento fondamentale dello sviluppo ideologico, strutturale e politico della dittatura comunista in Cina." Un drago sputa fuoco?
Gli americani stanno creando una montatura. In maggio, il Pentagono organizzava una esercitazione che battezzava "Draghi' Thunder" (il tuono del drago). Inoltre, la Cina è descritta come un drago sputa fuoco che in ogni momento, può inghiottire la metà del pianeta. Una favola nello stesso stile di quello delle armi chimiche, batteriologiche e nucleari in Iraq.Quest’anno, gli Stati Uniti hanno dedicato 400 miliardi di dollari alla loro difesa. La Cina, 25 miliardi appena, un sedicesimo degli Stati Uniti. Gli esperti sono d’accordo nel dire che, sul piano della forza di fuoco, la Cina è un nano in rapporto agli Stati Uniti. Si può leggere nel rapporto "Chinese Military Power" del Consiglio delle Relazioni estere del Centro Greenberg, apparso nel dicembre 2003: "La Cina ha iniziato il processo di ammodernamento delle sue forze di combattimento, ma resta ancora lontana dagli Stati Uniti sul piano della tecnologia e della potenza di fuoco. Se gli Stati Uniti continuano a dedicare delle somme importanti alle loro forze di combattimento, il rapporto con la forza militare tra gli Stati Uniti e la Cina rimarrà costante per almeno vent' anni, tanto sul piano mondiale che in Asia." (p.2)Anche nel rapporto astioso del Pentagono, "The Military Power of the People's Republic of China ", del giugno 2004, si può leggere, nel primo capitolo: "L'esercito cinese non è in grado di esercitare un potere militare significativo fuori delle sue frontiere." Nel capitolo che tratta delle forze offensive, si legge anche: "La forza di sbarco dell'esercito popolare di liberazione è insufficiente. La maggior parte delle navi da sbarco sono di dimensioni modeste e non sono in grado di operare in alto mare. Le grandi navi sono già vecchie ed in via di sostituzione. Dalla metà degli anni 90, la Cina è impegnata nella costruzione di nuove navi da sbarco ma il loro numero è insufficiente per qualsiasi grande operazione di sbarco nei prossimi cinque anni." Una lunga serie di offese e di provocazioni. Gli americani vogliono rimettere i cinesi "al loro posto". Il loro messaggio è: noi siamo i padroni e voi dovete ubbidire.-
Il 1. aprile 2001, un aereo spia americano sorvolando lo spazio aereo cinese è entrato in collisione con un apparecchio cinese. - Nel luglio 2001, i ministri Rumsfeld e Powell, così come l'ammiraglio Dennis Blair incontrandosi in Australia concludono, con l'Australia, la Corea del Sud ed il Giappone, un "patto di difesa" diretta contro la Cina. - Nel marzo 2002, il Pentagono pubblica il documento "Nuclear Posture Review" dove si dice che la Cina è un potenziale bersaglio di un attacco nucleare. - Nell'aprile 2004, gli Stati Uniti vendono a Taiwan un sistema radar da 1,8 miliardi di dollari. Un mese più tardi, otto sottomarini per un valore di 8,9 miliardi di dollari. I due contratti costituiscono un'ingerenza negli affari interni cinesi e sono anche in contraddizione col comunicato del 17 agosto 1982 che, con due altri comunicati comuni, formano la base ufficiale delle relazioni cino-americane. Nel Comunicato del 1982, è scritto che "gli Stati Uniti sono pronti a diminuire progressivamente le loro vendite di armi in Taiwan." - Sempre nell'aprile 2004, gli americani decidono di finanziare apertamente il movimento separatista nella provincia di Xianyang. L'Uyghur American Association riceve 75.000 dollari. - Il 20 maggio 2004 esce un rapporto dal Pentagono che dichiara che la Cina "è una superpotenza economica in crescita che minaccia la nostra sicurezza." - Il 2 giugno 2004, il ministero ceco dell'industria e del commercio vieta la vendita di sei radar alla Cina, per un valore di 57 milioni di dollari. La vendita di queste armi era stata concordata appena quattro mesi prima. Gli Stati Uniti hanno sottoposto la Repubblica Ceca a forti pressioni e, in compenso, hanno acquistato loro stessi i sei radar, sebbene essi non ne avessero per niente bisogno. - Nel giugno 2004, una commissione del Congresso pubblica un rapporto che tratta la Cina come "dittatura comunista." - Da fine giugno a fine agosto 2004, gli Stati Uniti organizzano le più grandi manovre militari navali al mondo dal 1945. Il loro obiettivo principale non è altro che la Cina.- A metà agosto 2004, una voce al Pentagono rivela che un secondo gruppo di assalto navale, sotto la direzione di una portaerei, stia per andare a pattugliare il mare di fronte alle coste cinesi. L'accerchiamento militare della Cina
Dopo la fine dell'unione sovietica, gli Stati Uniti hanno messo in cantiere una nuova rete di basi militari, di porti, di stazioni di ascolto, di magazzini di materiale militari, di enclave strategiche. Questo è avvenuto dapprima nella cruciale zona strategica situata tra l'Europa occidentale e l'Asia. La base principale, qui, è Campo Bondsteel, nella provincia iugoslava del Kosovo. Altre basi americane sono state installate in Romania, Bulgaria e Polonia.In seguito gli americani hanno installato delle basi in Afghanistan: nel nord a Mazar i-Sharif, nelle vicinanze di Kaboul a Bagram ed a Kandahar, nel sud. Hanno ripreso anche delle basi dell'aviazione pakistana: a Jacobabad, Pasni e Dalbandin. Hanno fatto lo stesso coi vecchi aeroporti civili di Manas, vicino a Bishkek, la capitale del Kirgizstan. In Uzbekistan, hanno occupato la vecchia base sovietica di Khanabad. Gli Stati Uniti prevedono ancora altre basi nel Tadjikistan ed in Kazakistan.Nel nord dell'Australia, gli americani prevedono tre nuove basi. Ce ne sarà anche un' altra in Tailandia. Alcuni negoziati sono in corso col governo filippino per aumentare il numero degli effettivi americani in questo paese. Singapore che dispone già di centri di rifornimento dell'esercito americano sul suo territorio, conta di estendere queste installazioni, alla richiesta degli americani. Inoltre, gli americani hanno proposto il loro aiuto militare ed un accordo di collaborazione in cambio dell'autorizzazione di stoccare delle merci o di far sostare delle truppe in Nepal, in India ed in Mongolia. Peraltro, gli Stati Uniti hanno deciso di fare dell'isola di Guam, al sud-est della Cina, il punto di attracco di un nuovo gruppo di assalto che si occuperà di pattugliare il sud del mare della Cina. Nell'est del mare della Cina, pattuglia già il gruppo di assalto Kitty Hawk. All'isola di Guam fanno già capo una squadra di sottomarini e la stessa isola ospita anche una base dell'USA Air Force.Le basi americane in Giappone ed in Corea del Sud completano l'accerchiamento della Repubblica popolare cinese. Perché questa aggressività?
L'aggressività degli Stati Uniti verso la Cina è, come dicono gli stessi americani, basata su due critiche.La prima critica è di carattere politico: "il partito comunista cinese non vuole autorizzare il libero mercato totale, né smontare il controllo macro-economico dello stato. La direzione dello stato e del partito vuole il mantenimento della dittatura comunista." Senza il "libero" mercato totale e senza la distruzione della direzione del Partito comunista, è impossibile formare un gruppo di dirigenti asserviti agli interessi degli USA. Senza queste due condizioni, gli americani non possono controllare l'economia ed il paese.La seconda critica è di ordine economico: la crescita molto veloce dell'economia cinese è una minaccia per noi, dicono gli americani. Il volume del commercio estero cinese sarà maggiore questo anno del 60% rispetto a due anni fa e supererà i 1.000 miliardi di dollari. "Questa crescita economica robusta influenza e minaccia gli interessi a lungo termine degli Stati Uniti in Asia", dice un recente rapporto di una commissione del Congresso. Questa critica sintetizza la politica imperialistica: un paese del terzo mondo che esce dal sottosviluppo "minaccia i nostri interessi a lungo termine"! L'imperialismo non può sopravvivere senza mantenere e sviluppare la povertà nel terzo mondo, confessano nero su bianco gli stessi strateghi USA.Alcuni, nei quartieri generali politici ed economici degli Stati Uniti, dicono: lasciateci attaccare la Cina adesso perché, fra 20 anni, la Repubblica popolare sarà militarmente molto più preparata. Scrivono: "È illusorio pensare che possiamo cambiare fondamentalmente la politica cinese". I fatti indicano che questo gruppo di guerrafondai, sostenitori di una politica di tipo fascista al livello mondiale, guadagnano influenza.La nuova situazione pone il movimento pacifista ed altro-mondista davanti a nuovi compiti: quello di fermare questi nuovi piani di guerra USA, quello di sostenere la resistenza della Cina e del suo governo contro questa estrema aggressività USA. Il dibattito è aperto.
Traduzione dal francese del Ccdp
www.pasti.org/cina4.html
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Prove tecniche per un nuovo ordine mondiale dopo la guerra fredda
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Giovanni Bernardi Friday, Mar. 11, 2005 at 8:25 PM |
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Il successo dell'incontro tra George Walker Bush e Vladimir Vladimirovich Putin ha dimostrato una cosa sopra tutto: il villaggio globale e Internet offrono una possibilità di comunicazione che equivale a essere tutti in una stessa stanza, ma quello che conta alla fine è ancora una stretta di mano e guardarsi negli occhi. I due Presidenti avevano preparato con cura il summit, da una parte affidandone la realizzazione alle rispettive diplomazie, dall'altra con gli inequivocabili segnali del giorno prima, lasciando chiaramente intendere che già venerdì 15 la strategia dell'incontro, con l'approssimarsi di questo, assumeva le caratteristiche della tattica.
Bush ha deliberatamente organizzato il suo discorso in Polonia per potere lanciare l'ultimo messaggio preparatorio al summit. Un passo era di approccio al problema: "Le grandi Istituzioni europee, Nato e Ue, possono e devono costruire un partenariato con la Russia e con tutte le nazioni che sono emerse con la dissoluzione della Unione Sovietica. Domani vedrò il Presidente Putin e gli esprimerò le mie speranze per una Russia che sia veramente grande, una grandezza misurata dalla forza della sua democrazia". Nel passo successivo Bush è stato ancora più diretto: "Dirò al Presidente Putin che la Russia è parte dell'Europa e che quindi non ha bisogno di una zona cuscinetto di stati insicuri per essere separata da questa. La Nato non è nemica della Russia, la Polonia non è nemica della Russia, l'America non è nemica della Russia".
Putin, invece, il giorno stesso era a Shangai per un altro summit: quello del cosiddetto "Shangai Five" (Russia, Cina, Kazakhstan, Kyrgyzstan, Tajikistan) al quale, in questa occasione, è stato ammesso anche l'Uzbekistan, la nazione più popolosa dell'Asia centrale. Durante il summit è stato stretto un Patto di amicizia e cooperazione tra le nazioni che avranno incontri al vertice regolari a partire dall'estate del 2002 . Nato nel 1996, lo Shangai Five persegue un obiettivo dichiarato di stabilità e sicurezza dell'area minacciata dagli effetti del dirompente commercio della droga e della destabilizzante crescita dell'Islam. Il rischio cinese è che questi problemi esplodano nella confinante regione del Xinjiang.
Ma il messaggio più importante inviato a Bush è stato conseguente al colloquio del Presidente Putin con la sua controparte cinese Jiang Zemin. I due, come diffuso dall'agenzia di Stato cinese Xinhua, hanno convenuto di mantenere stretti rapporti e frequenti consultazioni per quanto riguarda l'argomento NMD (National Missile Defense) e quindi eventuale rinegoziazione del trattato ABM del 1972 che riguarda i sistemi di difesa contro i missili balistici.
Da parte di Bush, quindi, un forte messaggio di distensione è stato lanciato in vista del summit. Da parte di Putin, invece, l'avvertimento che la questione dell'NMD dovrà comunque essere negoziata anche con la Cina. Quest'ultima, grande partner commerciale degli Stati Uniti (molto di più della Russia), sta assaporando il piacere di vedere l'aereo spia americano smontato a pezzi e riportato in territorio Usa da un Antonov russo. Pur se i rapporti Usa-Cina sono in una brutta fase, tuttavia non si fa fatica a pensare che il pragmatismo del Presidente americano saprà dare a questi una nuova vita. I rapporti Usa-Russia, del resto erano iniziati nel peggiore dei modi con l'espulsione di 50 diplomatici per parte e ora sono avviati verso una nuova strada di collaborazione.
Questa nuova strada è stata sottolineata chiaramente da Bush che ha cancellato i legami stabiliti dal Presidente Clinton per inaugurarne di nuovi dal punto di vista diplomatico, della Difesa e commerciale. Ora la politica del Presidente Bush sembra abbia diradato le nebbie che la circondavano fino al giorno precedente del suo viaggio in Europa. Il "tossico texano", com'era chiamato da parte della stampa europea, ha dimostrato di sapere gestire gli alleati della Nato, i partner europei e il suo primo interlocutore internazionale.
Una nuova era di stabilità si profila all'orizzonte. Un'era nella quale, dopo avere risolto senza traumi la questione dell'ammissione di altre nove nazioni nella Nato (inclusi i tre paesi baltici), si vede in lontananza la possibilità che perfino la Russia possa entrarvi. D'altronde Putin ha già risposto: "Perché no?" a chi gli chiedeva se fosse possibile, Bush ha detto di considerare la Russia partner e alleato e Powell ha affermato che per ora è soltanto "prematuro" parlarne, ma non lo ha escluso. L'era che abbiamo di fronte non sappiamo ancora come si chiamerà (provvisoriamente proviamo a nominarla "dopo - dopo - guerra fredda"). E' sicuro, però, che ora Washington è pronta a recitare il ruolo di potenza strategica e invita ad una stretta alleanza, nel loro ruolo di potenze regionali, l'Unione Europea e la Russia, fattore di stabilizzazione in tutta l'Asia anche in virtù degli ottimi rapporti con la Cina.
www.paginedidifesa.it/2001/bernardi_010620.html
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Washington offrirebbe come controproposta circa 35.000 USD
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tirchi Friday, Mar. 11, 2005 at 8:30 PM |
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USA-CINA: OFFERTA INDENNIZZO A PECHINO
@lfabravocharlie, 10 agosto 2001. Washington starebbe facendo passi avanti per tentare di risolvere il contenzioso nato tra USA e Cina con l'incidente che vide coinvolto lo scorso 1° aprile nei pressi dell'isola di Hainan un aereo spia EP-3E, entrato in collisione con un caccia cinese levatosi ad intercettarlo, determinandone la caduta e la conseguente morte del pilota. Secondo fonti ufficiali del Pentagono sembrerebbe infatti che sia stato avanzato un indennizzo per l'incidente che però, fa notare @lfabravocharlie, difficilmente sarà considerato accettabile dal Governo cinese. Infatti a fronte della richiesta di quest'ultimo di un milione USD, Washington offrirebbe come controproposta circa 35.000 USD, l'equivalente di 75 milioni di lire. L'EP-3E, ricordiamo ai lettori, è ancora sulla pista della base cinese di Hainan in fase di disassemblaggio da parte di un gruppo di tecnici militari USA, per essere poi imbarcato su due velivoli cargo russi Antonov appositamente noleggiati e riportato alla sua base militare di partenza di Kadena, nell'isola giapponese di Okinawa
www.alfabravocharlie.com/anno_2001/Agosto_2001/ultim'ora_agosto_2001.htm
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La Cina è vicina...
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Arbu$to Giorgio camminante stai in campana Friday, Mar. 11, 2005 at 8:37 PM |
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Per un paese considerato un tempo un "concorrente strategico", nonché destinatario di molteplici minacce di sanzioni commerciali nel corso degli ultimi anni, il sorprendente cambiamento di toni che ha caratterizzato il recente incontro tra il Presidente George Bush e il primo ministro cinese Jiabao Wen suggerisce implicitamente un tardivo riconoscimento americano dell'accresciuta influenza della Cina come nuovo finanziatore dell'America. Chiaramente, ciò segna una svolta radicale.
La storia dei rapporti Usa/Cina negli ultimi anni dell'Amministrazione Clinton e poi Bush, infatti, è stata segnata da una crescente ostilità: la demonizzazione della Cina nel rapporto della commissione Cox sulle attività di spionaggio pubblicato circa tre anni fa, il bombardamento accidentale dell'ambasciata cinese a Belgrado nel 1999, le vessazioni a cui fu sottoposto lo scienziato Wen Ho Lee, originario di Taiwan, accusato di spionaggio (prosciolto successivamente da tali accuse in tribunale), e la divulgazione sul New York Times di un documento riservato del Dipartimento della Difesa che raccomandava la vendita a Taiwan di sofisticati incrociatori della serie Aegis appena prima dell'incidente tra USA e Cina dell'aprile del 2001 dovuto a un aereo spia (in aperta trasgressione di un accordo sottoscritto con la Cina dall'amministrazione Reagan negli anni '80, con il quale gli USA s'impegnavano a ridurre gradualmente la quantità e a non migliorare la qualità delle armi vendute a Taiwan).
Se ciò non bastasse, nel corso degli ultimi quattro anni, gli Stati Uniti hanno firmato con il Giappone alcuni accordi che accrescono gli impegni militari di quest'ultimo, ne minano la costituzione pacifista (con grande preoccupazione del governo cinese, memore dell'occupazione giapponese) e confermano gli accordi di Tokyo secondo i quali il Giappone rimarrà una base privilegiata delle operazioni militari americane (l'aereo spia EC-3, che rappresentò l'acme della controversia a proposito degli aerei spia, era decollato da una base giapponese). Fino al mese scorso, inoltre, l'amministrazione Bush si è mostrata riluttante a sostenere pubblicamente la politica americana di vecchia data a proposito di "un'unica Cina", un'ambiguità che ha indotto molti membri del governo cinese a sospettare gli USA di appoggiare segretamente l'indipendenza di Taiwan.
Contemporaneamente a tali sviluppi diplomatici, si è verificato un significativo aumento delle tensioni commerciali tra gli USA e la Cina e ci sono segni che questa tendenza potrebbe acquistare slancio durante la campagna elettorale per le presidenziali. I deputati democratici hanno già presentato proposte di sanzioni commerciali contro la Cina, il che, in un anno così politicizzato, può fruttare voti in diversi stati chiave dal punto di vista elettorale. Su questo sfondo, abbiamo prestato una sempre maggiore attenzione anche alla situazione politica che si sta sviluppando tra Cina e Taiwan.
Il Presidente Chen di Taiwan si è nuovamente candidato alle elezioni dell'aprile 2004 e la sua campagna elettorale verte in parte sulla questione di una dichiarazione di indipendenza per Taiwan, alla quale il governo cinese continua a opporsi energicamente. Come ha argomentato Larry Jeddeloh in un recente articolo su Institutional Strategist: "Per motivi demografici, e non solo, un referendum sull'indipendenza incontrerebbe di sicuro il favore della popolazione di Taiwan. Attualmente, il Presidente Chen si trastulla con la questione, definendo un giornoi missili cinesi puntati verso Taiwan un atto di terrorismo e ammorbidendo le proprie dichiarazioni il giorno dopo. Ci è stato riferito che la leadership cinese è molto preoccupata che il Presidente Chen indica un referendum sull'indipendenza e che da anni la minaccia dell'intervento statunitense nel caso in cui la Cina attacchi Taiwan in proposito incombe sui pensieri dei governanti cinesi. Noi riteniamo che la Cina disponga della tecnologia per attaccare Taiwan, probabilmente con successo, dal momento che il suo know-how tecnologico in fatto di missili è di molto superiore a quanto comunemente si pensi. Per avere una prova dei progressi della Cina in questo settore non dobbiamo far altro che considerare il recente lancio e recupero, coronati dal successo, del loro primo astronauta. Ma sarà atterrato davvero a pochi metri dal punto previsto?".
Pareva quindi che ci fossero tutti gli ingredienti per un ulteriore deterioramento dei rapporti durante il summit di Washington del mese scorso. E, invece, sembrerebbe che sia accaduto l'esatto contrario. Il Presidente Bush ha ribadito il sostegno di lunga data del suo paese alla politica di "un'unica Cina" (nonostante alcuni elementi della sua amministrazione propendano per un atteggiamento più favorevole all'indipendenza di Taiwan) e ha messo in guardia il Presidente Chen dall'indire un referendum per l'indipendenza. C'è chi sostiene addirittura che al Presidente di Taiwan sia stato detto chiaro e tondo "comportati come si deve o dovrai sbrigartela da solo". Una posizione così sorprendente è di poco successiva all'affermazione di Bush di desiderare "per il futuro una strategia di libertà in Medio Oriente" come punto di riferimento della politica estera del suo paese in quella regione. L'ironia di questo "avvocato della democrazia" che ammonisce severamente la gente di Taiwan dall'esercitare il proprio democratico diritto di voto è stata debitamente notata da molti, ma la maggior parte non ha tenuto conto del limitato spazio di manovra del Presidente.
Come ha osservato la settimana scorsa Robert Samuelson del Washington Post: "Un grande dramma si sta svolgendo sui mercati valutari mondiali. Nel 2003 il deficit delle partite correnti negli USA (un indice generale dell'attività economica) ammonterà a circa 550 miliardi di dollari, un record per i tempi moderni. Poiché gli americani pagano le importazioni in dollari, ciò significa che, ogni giorno, gli stranieri devono decidere se tenere circa 1,5 miliardi in dollari". Se i maggiori creditori stranieri dell'America, come la Cina, vendessero dollari per euro, yen o altre valute, il valore del dollaro all'estero calerebbe in maniera catastrofica, con conseguenze enormi e probabilmente dirompenti per gli USA. Può darsi che l'amministrazione Bush abbia molte cose in ballo in questo momento e non si possa permettere di iniziare una lite con la Cina. I cinesi potrebbero opportunisticamente pensare che se Taiwan dovesse essere "restituita alla madrepatria" questo sia il momento ottimale per farlo.
D'altro canto, il recente riavvicinamento alla Cina potrebbe anche riflettere il tardivo riconoscimento, da parte di Washington, della propria dipendenza dalla "bontà degli stranieri", in particolare di quelli di razza asiatica (che complessivamente rappresentano la maggiore domanda estera sulle attività statunitensi). Ironicamente, questa consapevolezza arriva proprio in un momento in cui si stanno evidenziando i gravi punti deboli della Cina. La Cina ha avuto una grande espansione ed è innegabilmente diventata una componente chiave della storia della reflazione globale di quest'anno. Ma la crescita cinese è stata trainata dalle spese in conto capitale. Il rapporto degli investimenti al 43% del PIL è un record storico. La domanda è: un eccesso di investimenti in Cina sta ampliando il divario globale nella produzione, con conseguenze per l'andamento dell'inflazione negli USA?
A questo proposito, vale la pena di citare un documento presentato di recente dall'on. Apurv Bagri: "Questa crescita in Cina genera due problemi che ossessionano i produttori globali e uno che metterà alla prova l'inventiva della banca centrale del paese. Il primo problema è una conseguenza del modello economico cinese, costruito intorno all'idea di creare una grande massa critica di capacità produttiva e poi trovare il mercato per riempirla. Una volta che una società ha scoperto un nuovo settore di crescita, tutte le altre le corrono dietro, con il risultato che praticamente in tutti i settori la capacità produttiva supera la domanda di un fattore o due o tre, o anche di più in alcuni casi. Di conseguenza, i prezzi dei prodotti e i costi di trasformazione hanno subito un crollo indiscriminato, fatte salve pochissime eccezioni. Prendiamo soltanto due esempi tipici di ciò che è accaduto. Il prezzo di un comune condizionatore d'aria è sceso da quasi 700 $ nel 1990 a 300$ nel 2000 e ad appena 120$ quest'anno. Nella mia stessa industria, i prezzi di trasformazione dei tubi di rame ACR sono crollati anch'essi da 2400 $ USA nel 2000 a circa 900$ quest'anno, e sono attesi ulteriori ribassi per l'anno prossimo. Si tratta di un calo del 38% in soli due anni e i miei amici industriali temono che possa continuare.
Molti tra quelli che hanno stretti legami con le banche e i governi locali ottengono prestiti a tasso zero per periodi prolungati, spesso di 20 o 30 anni; in realtà senza costi di capitale. Comprano il terreno, costruiscono la fabbrica, installano l'impianto, gonfiano il valore dell'attività e ripetono il processo. Il problema è che, poiché così tanti di loro nello stesso settore seguono lo stesso modello economico, o un modello analogo, i prezzi dei prodotti e i costi di trasformazione sono spinti al ribasso al punto che in molti, moltissimi casi i prezzi non coprono più i costi di esercizio. Così i profitti riferiti sono il più delle volte illusori. Ma se anche fanno bancarotta, un esito non frequente in Cina, il meccanismo continuerà a esistere per un'altra società che potrà acquistare per pochi spiccioli a spese del dollaro".
L'on. Apurv Bagri, in occasione del Third City of London Biennal Meeting tenutosi nel Novembre 2003. Con tutto il parlare che si fa delle "pratiche commerciali inique" della Cina, derivanti dalla sua decisione di agganciare il renminbi [yuan] al dollaro, agevolazioni di credito come quelle descritte da Bagri rappresenterebbero un indizio ben più potente contro il paese nel caso in cui gli USA si appellassero alla WTO (Organizzazione mondiale del commercio). Purtroppo l'Amministrazione Bush non ha preso questa strada. Il Segretario al Tesoro Snow ha trascorso praticamente tutto il 2003 non parlando d'altro che della necessità di una rivalutazione della moneta cinese. Ora ci sono indicazioni che i cinesi potrebbero finalmente muoversi in questa direzione, almeno a quanto afferma un recente articolo apparso sul quotidiano Taipei Times.
Lunedì, la stampa di stato ha riferito che la Banca centrale cinese sta lentamente portando avanti un piano di aggancio dello yuan a un paniere di dieci valute, invece del solo dollaro statunitense. Le potenziali dieci valute rappresenterebbero il grosso degli scambi cinesi con il resto del mondo, nonché dei suoi principali investitori, ha riferito il China Business Post, citando fonti interne alla Banca Popolare Cinese. In una fase successiva, la Cina potrebbe consentire una "fluttuazione manovrata" che permetterebbe alla moneta di muoversi entro un campo di variazione prestabilito. L'articolo non indicava i tempi di attuazione delle due fasi e sottolineava che quel potenziale cambiamento di politica era ancora sotto esame. L'articolo arriva nel momento in cui un gruppo di esperti del governo statunitense si preparano a recarsi a Beijing il mese prossimo per discutere possibili variazioni della struttura esistente dei cambi con l'estero.
La Cina ha effettivamente fissato lo yuan a circa 8,3 yuan per 1 dollaro dal 1994, ma subisce pressioni sempre più frequenti, in particolare dagli USA, perché rivaluti la propria moneta. La Cina ha sostenuto pubblicamente che il problema è strutturale e riflette il costo della manodopera molto più basso in quel paese, ma ha manifestato una certa disponibilità a prendere in esame una struttura valutaria più flessibile. Secondo quanto riportato dal China Business Post, dall'inizio dell'anno la Cina è andata studiando un aggancio dello yuan a un paniere di valute per consentire al tasso di cambio di riflettere in modo appropriato la performance commerciale del paese ed evitare fluttuazioni dei cambi esteri a breve termine. In base a statistiche locali, i principali partner commerciali della Cina nel 2002 sono stati gli USA, il Giappone, Hong Kong e i paesi dell'euro, seguiti da Indonesia, Malesia, Singapore, Tailandia, Corea del Sud e Taiwan. Corre anche voce che la Cina stia cercando di ridurre il surplus commerciale bilaterale con gli USA aumentando gli acquisti di cereali, legumi e frumento dagli Stati Uniti e sostituendo gli acquisti dal Sudest asiatico.
È tutt'altro che una coincidenza, inoltre, che la Boeing, la compagnia numero uno per le esportazioni in America, abbia annunciato il via libera al proprio piano trentennale 7E7 da molti miliardi di dollari proprio pochi giorni dopo la visita di Jiabao Wen a Washington il mese scorso. È molto improbabile che la Boeing sarebbe andata avanti con quel programma se non fosse stata estremamente fiduciosa in un prossimo incremento degli ordinativi per aerei commerciali. Purtroppo per l'amministrazione Bush, tali acquisti di importazione accelerati sono subordinati, in ultima istanza, a una continua crescita economica in Cina. Ma come ha di recente esposto Andy Xie della Morgan Stanley, le autorità monetarie cinesi potrebbero muoversi aggressivamente verso un aumento delle restrizioni sul credito che potrebbero frenare la propensione della Cina ad accelerare le importazioni dall'America. Se la crescita cinese rallenta, la disoccupazione e la capacità produttiva inutilizzata aumenteranno e si ridurrà in modo corrispondente la capacità di assorbire altre importazioni dall'America. Per quanto si parli della massiccia espansione dei crediti americani come la fonte malsana di molta della crescita globale, l'economia cinese sempre più "gonfiata" sta iniziando a svolgere un ruolo relativamente importante, anche se sempre più instabile. In effetti, non è esagerato affermare che ci troviamo nel mezzo di un'importante fase di transizione in cui la Cina sta diventando il fulcro su cui ruoterà la crescita globale futura.
Quasi sempre, tali significativi spostamenti geopolitici ed economici sono accompagnati da un altissimo livello di disgregazione e la graduale ascesa della Cina come luogo economico globale potrebbe non essere da meno. Di conseguenza, tutto ciò che indebolisce la crescita potrebbe avere un effetto relativamente destabilizzante sull'economia globale, così come lo avrebbe in America la fine del credito gonfiato indotto da Greenspan. Può darsi, in realtà, che le autorità monetarie cinesi siano perfettamente consapevoli della fragilità di fondo del paese e che l'idea avanzata di un nuovo aggancio del renminbi a un paniere di valute possa offrire l'opportunità non di una graduale rivalutazione ma di una svalutazione. Il vantaggio di un aggancio diretto della valuta è la sua trasparenza di fondo, che va evidentemente persa nell'eventualità che si stabilisca un collegamento a un paniere di valute, la cui composizione è a tutt'oggi indeterminata e facilmente manovrabile. Non ha molto senso passare a un simile paniere se l'obiettivo reale è trovare il modo per una graduale rivalutazione del renminbi in maniera estremamente trasparente e gradita a Washington. Se invece il tentativo fosse quello di giungere a una svalutazione occulta in risposta all'indebolimento delle condizioni interne, una simile mossa avrebbe molto più senso politico ed economico.
Se questa è davvero la strada che la Cina sta scegliendo di percorrere, ridurrà certamente la sua capacità di continuare ad acquistare beni statunitensi al ritmo di questi ultimi anni, con implicazioni pericolose per il tasso di cambio del dollaro. In effetti, si potrebbe prevedere una riduzione degli stimoli ad acquistare beni statunitensi da parte dell'intera Asia, poiché la maggior parte dei paesi asiatici reagirebbe quasi sicuramente a una svalutazione cinese (occulta o palese) con una svalutazione altrettanto competitiva delle proprie monete; un ottimo ambiente per l'oro, forse, ma di certo non favorevole alla stabilità economica globale. Oggi la Cina sfrutta l'aggancio per riciclare somme ingenti di dollari in titoli di stato americani, il che le permette di espandere continuamente le spese in conto capitale per produrre in eccesso merci di cui il mondo non ha bisogno e che gli americani possono soltanto acquistare a credito. È divenuta una dinamica sempre più rilevante, benché fondamentalmente pericolosa, in termini di capacità di generare l'attuale picco a cui si sta assistendo in molti settori e in particolare nel campo dei prodotti di base.
Se i cinesi dovessero effettivamente decidere un graduale sganciamento dal dollaro, ci sarebbe il rischio, quanto meno, di un rallentamento a breve termine della crescita nell'Asia orientale, nonostante un'intensificazione degli sforzi da parte di Giappone ed Europa. Se contemporaneamente dovesse verificarsi un incidente finanziario negli USA -- il che è sempre possibile --, si potrebbe facilmente prevedere uno stallo sincronizzato della crescita globale. Non è esattamente l'ideale in un mondo già caratterizzato da un massiccio eccesso di capacità produttiva e praticamente da nessun influsso sulla determinazione dei prezzi ma (data la fragilità finanziaria di fondo della Cina) potrebbe rappresentare il mezzo con cui i cinesi cercano di ridurre il prezzo della loro uscita dal disastro. Il modo in cui la Cina affronterà i propri attuali problemi finanziari e la corrispondente reazione politica globale saranno probabilmente i principali temi emergenti nel prossimo futuro.
20 gennaio 2004
Marshall Auerback (http://www.reporterassociati.org )
www.viottoli.it/appuntidiviaggio/2004/app34_04.html
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I loro rapporti con la Cina si stanno sviluppando su basi di correttezza?
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NOOO !!!! Friday, Mar. 11, 2005 at 9:11 PM |
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D. Gli americani hanno veramente ragione di preoccuparsi? E i loro rapporti con la Cina si stanno sviluppando su basi di correttezza?
R. E’ una storia complicata. Ormai da decenni, Pechino provoca grattacapi alla politica di Washington. Già all’inizio del XX secolo gli americani avevano cercato di “aprire le porte della Cina” con la forza. Nel 1949, fecero sbarcare truppe in Cina, per aiutare i seguaci di Chiang Kai-shek. In seguito gli USA appoggiarono e rafforzarono Taiwan, trasformandola in una sorta di “portaerei”. Per lunghi anni gli aerei americani hanno sorvolato provocatoriamente lo spazio aereo della RPC. L’ultima violazione di questo tipo risale a non molto tempo fa, al luglio del 2001: un aereo spia americano venne costretto all’atterraggio da “caccia” cinesi. Ne seguì un serio incidente internazionale, che fu composto solo con l’accoglimento delle condizioni cinesi.
Qualche tempo prima, l’8 maggio 1999, l’ambasciata della RPC a Belgrado venne praticamente distrutta da un missile americano. Ciò provocò una reazione massiccia da parte del popolo cinese, che si manifestò in dimostrazioni antiamericane, a cui parteciparono milioni di persone. Gli USA presentarono le proprie scuse, a livello presidenziale, indennizzando il danno materiale.
Occorre anche tenere conto della preoccupazione della Cina per l’avanzata ad Est della NATO (dove dominano gli americani). Per di più, attualmente, militari dei paesi membri di questa alleanza stazionano alle frontiere della Cina, negli stati dell’Asia Centrale. Alle porte di una regione sensibile della RPC: il Xinjiang.
Dico tutto questo, per dimostrare che la reazione della RPC alle affermazioni del presidente USA, circa l’intenzione di uscire dal Trattato ABM del 1972, è solo la punta dell’iceberg. Finora la disputa rimane al livello delle dichiarazioni. Ma potrebbero seguire atti concreti.
D. Pensa che gli USA intendano esercitare una pressione sulla Cina?
R. Già lo fanno. Il Dipartimento di Stato ha inviato a Pechino una delegazione che doveva esaminare le questioni relative all’ABM, mentre il leader pakistano, generale Musharraf, che mantiene buone relazioni sia con la RPC che con gli USA, ha cercato di smussare le contraddizioni cino-americane. La stampa russa ha, per parte sua, cominciato a suggerire che Mosca farebbe bene a esercitare la sua influenza su Pechino, per renderla più arrendevole al dialogo con Washington. Allo stesso tempo, alcuni “media” enfatizzano le voci di presunte forniture di armi cinesi ai “talebani” (vale la pena notare che armi cinesi sono reperibili in diversi paesi, da cui possono tranquillamente essere trasportate in Afghanistan. E cercare di assimilare la RPC al terrorismo internazionale è semplicemente una provocazione).
D. E’ quasi un ricatto: o accogliete le condizioni americane, oppure sarete inseriti nella lista dei terroristi, con tutte le conseguenze che ne potrebbero derivare. Vogliono forse logorare Pechino?
R. Probabilmente.
D. Sullo sfondo dell’attivismo USA, la reazione della Mosca ufficiale appare alquanto fiacca. Quando recentemente il nostro presidente si è recato negli USA, uno dei politici russi di destra ha affermato che Putin stava operando una scelta definitiva in direzione dell’America. Potrebbe avere ragione?
R. Non me la sento di commentare queste affermazioni. E’ comunque certo che la situazione sulla linea Mosca- Pechino è cambiata nel corso di un anno. Il 15 luglio è stata creata l’ “Organizzazione per la cooperazione di Shanghai”, a cui hanno aderito sei paesi. Si è affermato che avrebbe dovuto rappresentare un contrappeso alla NATO. Il 16 luglio, a Mosca, è stato siglato lo storico trattato russo-cinese. In entrambi i vertici si è dichiarato che il Trattato ABM è una pietra miliare della sicurezza strategica. Ma in questo momento non esiste ancora un parere comune ai paesi che fanno parte della “Organizzazione per la cooperazione di Shanghai” in merito alla posizione assunta dagli USA sul Trattato ABM. Nella prima metà del 2002 è in programma, a San Pietroburgo, un “summit”, in cui dovrebbe venire stilata una carta dell’organizzazione. Penso che gli specialisti incaricati di preparare i documenti per l’incontro dei leaders, si troveranno in una posizione scomoda: come concordare una carta, in presenza della concreta infiltrazione di truppe di paesi membri della NATO in Asia Centrale?
D. Il 18 settembre si è svolta una conversazione telefonica tra Jiang Zemin e Putin. Il dirigente cinese si è espresso, in particolare, sul fatto che, per risolvere i problemi legati agli avvenimenti dell’11 settembre, è fondamentale prendere in considerazione gli interessi di lunga prospettiva del mondo e le questioni dello sviluppo del pianeta. Tradotto in linguaggio diplomatico, significa che, certamente, occorre estirpare la piaga del terrorismo, ma non senza avere prima fatto pulizia in tutta la casa. Tale richiamo era forse un appello a muoversi con prudenza nelle azioni comuni?
R. Penso che Lei abbia ragione. Ci si aspettava molto dai contatti russo-cinesi e dall’attività del “gruppo di Shanghai”. Per ora l’attività dell’ “Organizzazione per la cooperazione di Shanghai” parrebbe sospesa per aria, non essendosi ancora manifestata chiaramente in azioni concrete di particolare rilievo.
Ma nonostante tutto, i contatti russo-cinesi proseguono, seppure non con l’attivismo manifestato durante l’estate. In settembre c’è stata la visita in Russia del responsabile del Consiglio di Stato cinese. Il 27 ottobre si è svolta a Mosca la visita del membro del Politburo del CC del PCC, Hu Jintao, che viene indicato quale erede di Jiang Zemin (dopo il XVI congresso del Partito Comunista Cinese, nell’autunno del 2002). Recentemente si è recato a Pechino lo speaker della Duma di Stato Ghennadij Selezniov. E’ evidente che il dialogo tra i nostri paesi prosegue.
D. Quali sono, in questo contesto, le prospettive del “triangolo Mosca-Pechino-Delhi”?
R. Il nostro paese ha sempre sostenuto la collaborazione trilaterale. In questo momento ci sono segnali di interessamento da parte sia di Pechino che di Delhi.
A livello scientifico, nell’ambito dell’ “Istituto per l’Estremo Oriente” dell’Accademia delle scienze di Russia, questi problemi sono stati affrontati con un lavoro comune delle tre parti. Il prossimo appuntamento degli studiosi coinvolti è previsto a Pechino.
Traduzione dal russo
di Mauro Gemma
www.resistenze.org/sito/te/po/ci/cinaeabm.htm
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Bene che rompano
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spacchino tutto !!! Sunday, Mar. 13, 2005 at 9:30 PM |
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Bene che rompano, tanto questa volta a rompere una volta tanto sara' la CINA e ... dulcis in fondo! udite udite non solamente romperanno le relazioni ... ma anche l'economia della tirannide stelle striscie alla squalo(r): romperanno CON gli Stati uniti rompendo GLI Stati uniti: capito mi avesti, no?
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da tradurre in pechinese
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Bao Bao Dhaö Wednesday, Mar. 16, 2005 at 12:07 AM |
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