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(umbria) PARTIGIANO MONTENEGRINO SUL SUBASIO
by "per non dimenticare" Sunday, Apr. 24, 2005 at 1:51 PM mail:

PARTIGIANO MONTENEGRINO SUL SUBASIO

download PDF (11.4 kibibytes)

Persiano Ridolfi, in qualità di vice Commissario della Brigata Garibaldi, verso la fine del mese di ottobre
1943, si trovava nella nuova sede della brigata, a Cesi, sul valico di Colfiorito, mentre la staffetta, che faceva
da guida, indicava a Enzo Rossi, Romano Mancini e Gabriele Massenzi, la casa dove i nuovi volontari erano
attesi.
Avevano camminato tutta la notte.
Davanti alla porta si videro un partigiano armato di fucile, che gli chiese la parola d'ordine, prima di farli
accomodare.
Il sole non s'era ancora alzato da dietro i monti, che in casa era già in corso una riunione. "Stringemmo la
mano a: Riccardo Schicchi, Balilla Bordoni, Silvio Marchetti, Mario Vitali e Persiano Ridolfi, quest'ultimo
meglio conosciuto col nome di battaglia "Toro Seduto", tutti di Spello" (da "La Banda", di Romeo Mancini).
Il vice Commissario stava informando il gruppo del suo fallito tentativo nel convincere i responsabili di
alcune centinaia di slavi, che fuggiti dal campo di concentramento di Colfiorito, erano allo sbando e braccati
dai fascisti e tedeschi, su quei monti (alcune fonti parlano di quasi tremila tra slavi, montenegrini e polacchi,).
Compito questo che, invece, "era riuscito al Alfio" Lupidi, ufficiale di carriera, "e a Cantami Luigi" (detto
Gigino), ufficiale di accademia: "uomini addestrati alle armi e al comando" e che già avevano nei loro gruppi,
a Monte Cavallo, una sessantina di partigiani slavi.
Quindi si stava aspettando l'arrivo di questo gruppo che doveva essere accompagnato da un certo valoroso
brigatista montenegrino, Milan Tomovic.
S'erano appena messi a tavola, per buttare giù qualcosa, quando videro arrivare il tenente Tomovic, meglio
conosciuto come Milan.
Tutto il pomeriggio lo passarono discutendo di strategie, organizzazione, piani di attacchi e non ultimo di
questioni politico−filosofiche.
In queste, abilissimo era Riccardo Schicchi, che con la sua fine oratoria, incantava l'uditorio. Ma non era da
meno il nuovo arrivato, Milan, che li informò della lotta degli eroici partigiani jugoslavi
di Tito contro gli invasori hitleriani, la resistenza dei montenegni e dei greci contro l'esercito mussoliniano.
La conversazione finì con la decisione che il comando del gruppo appena formatisi lo prendeva proprio il ten.
Milan.
A descrivere questa figura leggendaria, come si vedrà meglio piu avanti, sarà lo stesso Enzo Rossi, che in più
di una occasione aveva avuto modo di conoscere il giovane partigiano sul Subasio.
Per avere un'idea di quello che erano i "banditen", com'erano chiamati i partigiani, è utile guardare da vicino i
sentimenti, le idee, i gesti quotidiani, l'amore per la vita del comandante montenegrino.
Milan, era uno studente prossimo alla laurea in medicina, quando dovette salire sui monti Balcani per
combattere i nazisti, per la libertà della suo Paese, dove venne fatto prigioniero, finendo in Umbria, poco più
che ventenne.
Alto, "forse un metro e novanta, bellissimo con due occhi chiari accesi dal bisogno di giustizia e libertà".
Quando se lo videro davanti i giovani partigiani del gruppo di Riccardo Schicchi, egli "vestiva una divisa di
color kachi, con il berretto a busta con su la stella rossa".
Era pronto ad ascoltare, così come a decidere nelle situazioni difficili.
Nelle difficoltà non si perdeva d'animo. Sapeva lavorare insieme e valorizzare gli apporti di tutti del suo
gruppo.
Non era propenso al comando, ma si faceva ascoltare e tutti i suoi uomini credevano in quello che diceva e
soprattutto in quello che proponeva.
"La sua unica fatica era quella di arrampicarsi sui monti a causa della Tbc"
Per questa malattia era già stato ricoverato in ospedale a Foligno e protetto da una suora che gli voleva bene.
Era armato di uno "Sten" che portava sempre ad armacollo e un tascapane pieno di bombe a mano e una carta
topografica del Subasio, per studiare i piani di attacco e capire come meglio difendere il suo gruppo in caso di
necessità.
Il suo sguardo fermo, era attraversato da brevi sorrisi. Una sottile dolce ironia, era un altro tratto del suo
carattere, lo rendeva ancora più simpatico, ai suoi compagni di lotta.
Diceva spesso d'essere in montagna perché convinto che "la Resistenza è un esercito e ha bisogno di soldati";
o "per prendere di mira il nemico"; che aveva imparato a conoscere "non solo nelle riunioni clandestine, sui
fogli ciclostilati, ma soprattutto dalle stragi e dalle mille razzie che il nazifascismo seminava dovunque
passasse" .
Diceva che lo riconosceva "nel fumo dei villaggi dati alle fiamme, negli eccidi di donne incinte, di neonati e
vecchi, così come nella caccia spietata ai giovani renitenti e agli antifascisti"(dall'articolo "Il partigiano
Milan", di Enzo Rossi, apparso sui " Quaderni della Provincia", Perugia, al 40° della Resistenza).
Quando gli fu affidato il comando di brigata, "non mosse un dito per ottenerlo, ma non fece un passo indietro
per non prendere quella responsabilità". Ad assegnargli tale comando fu direttamente Mario Angelucci, uno
spellano, membro della giunta militare del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN).
Tale notizia la portò direttamente, Enzo Rossi, alla famosa riunione di Cesi, quella mattina.
Il compito che gli veniva affidato era di tenere sotto controllo la Flaminia Nord−Ovest di Foligno, il Subasio e
la strada per Perugia, nel tratto Foligno−Spello−Assisi.
Milan conosceva la zona, e lo dimostrò seminando panico tra i fascisti e i tedeschi, che per questo gli davano
la caccia.
Le sue parole, la sua sicurezza trasmettevano ai suoi uomini, specialmente ai giovani partigiani di Spello,
serenità e allo stesso tempo voglia di battersi.
Questi giovani lo sapevano venuto da lontano, come tanti nel movimento partigiano, animato da nobili ideali e
dalla fierezza dei pastori balcani, solitari e indipendenti.
Aveva in attivo tre lunghi anni di guerra.
Aveva lasciato la famiglia, molto ricca (il padre un industriale), "per seguire il pensiero di Marx", come
diceva lui. Da ragazzo s'era buttato, assieme ad un suo fratello e sorella, nella lotta partigiana, per "dare
dignità ai contadini e mobilitarli contro il padrone fascista e l'invasore nazista", come disse in una riunione
tenuta in casa dei due fratelli Bordoni (Antonio e Balilla), di Spello,
Informava i giovani spellani che in diversi paesi europei era in atto "la rivoluzione" e che "bisogna combattere
anche qui a Spello, con i contadini silenziosi, ma bisognosi di riscatto".
Va da se che i fratelli Formica e Bordoni, ,Silvio Marchetti, Tullio Tordoni e gli altri del gruppo, erano fieri
del loro comandante. Alla sua guida cominciarono le prime azioni.
"Ogni mattina, Milan. portava i suoi uomini su una delle due strade, sotto i colli di Spello". Una volta verso
Foligno, l' altra verso Assisi.
"Si piazzava in mezzo alla strada, vicino alle curve, armato, avendo già adocchiato il passaggio di qualche
automezzo tedesco o fascista e aspettava, mentre i giovani spellani e folignati erano nascosti con i loro fucili
pronti a far fuoco lungo il ciglio della strada, o nei campi a distanza opportuna" (da "Il partigiano Milan", di
Enzo Rossi).
Al sopraggiungere dell'automezzo, "che non si fermava mai", Milan balzava di lato e poi sparava, "cercando
di colpire il serbatoio", quando era ben in vista. I giovani sparavano a loro volta. Spesso riuscivano nell'
obbiettivo.
Il gruppo scompariva nella vegetazione e su per le colline, per ritrovarsi, poi, presso le case dei contadini.
In una di queste azioni, nei pressi della Chiesa Tonda, sulla Statale 75, fu ferito Silvio Marchetti, dallo
scoppio di una bomba a mano, che lanciata da un lato della strada, ruzzolò dall'altro, dopo aver rimbalzato sul
tetto dell' automezzo.
A questi attacchi quasi sempre seguivano le reazioni tedesche e fasciste. Una delle più clamorose fu quella che
avvenne nei pressi di Colpernieri, dove una trentina di camicie nere tesero al gruppo
un' imboscata.
"La brigata "Milan" dormiva in un "casone" vicino alla chiesetta. La notte era di luna piena e le stelle
silenziose e pieno di misteri, come sempre, pigolavano in alto, quando dal monte giunse un fragoroso fruscio
delle fronde.
Di guardia era Tullio Tordoni che insospettitosi, dette subito l'allarme. Appena fuori videro confusamente
scendere dal monte un folto gruppo indistinto di uomini(l).
"Prontamente Milan dette ordini di scendere a valle, in fondo alla spaccatura della Chiona, per metterli al
sicuro.
Lui, solo, si mise ben in vista, da farsi notare e li aspettò".
Appena li ebbe sotto tiro, mirò ad uno di essi e lo fece "secco", Gli altri coprendosi dagli alberi, accerchiarono
la sommità del colle, da dove s’era fatto notare Milan e "cominciarono tutti a sparare con moschetti e mitra e a
lanciare bombe a mano, finendo con lo sparare gli uni contro gli altri, scambiando i loro colpi con quelli del
presunto nemico, che non c'era".
La sparatoria durò tutta la mattinata.
Verso la "mezza", i militi, finite le munizioni e stanchi, si ritirarono col loro morto e due feriti.
Ma prima di scendere per Collepino, minacciarono di morte la famiglia del contadino della casa vicina, il
quale si difese molto bene, dicendo: "Le prime vittime dei tremila partigiani slavi, siamo proprio noi. Noi che
veniamo continuamente saccheggiati minacciati di morte".
Anche a questa brillante tattica militare e astuzia partigiana, non si farà attendere la rappresaglìa nazifascista,
come si dirà più avanti.
Per Milan e il suo gruppo fare la guerra non significava soltanto "mettere del piombo nel corpo del nemico",
come ironicamente usava dire, o mettere a repentaglio la propria pelle, guidare gli uomini nel combattimento,
così come nelle attese snervanti su monti innevati, al freddo e alla fame. Era anche questo.
Ma, soprattutto, era prepararsi e preparare gli animi dei compagni, "darsi una ragione nobile per il dopo", per
"la fine della guerra” per "gli anni della pace", per realizzare la più ampia partecipazione popolare alla vita
politica e sociale, nella consapevolezza che "I Tempi maturano verso qualcosa che muore e qualcosa che
nasce" .
E lì, tra i partigiani, stava morendo qualcosa e qualcos' altro nasceva.
"Noi stiamo costruendo su queste montagne il futuro dei nostri figli e nipoti, affinché loro possano vivere un
presente migliore”, aveva detto, Milan, in qualche momento di riposo, ai suoi brigatisti.
"Le ultime parole di Milan le sentii mentre ero presso un contadino, non lontano da Spello.
Mi fissava col suo sguardo limpido e acuto; e fissava contemporaneamente i figli del contadino: "Tutto perché
questi bambini non abbiano a vedere il mondo che abbiamo visto noi", disse. (da "Il Partigiano Milan, di Enzo
Rossi).
Verso la prima metà di giugno 1944, pochi giorni prima che giungessero gli Alleati a liberare Foligno e
Spello, il Comandante con la sua brigata stava preparando un piano per liberare, dal campo di concentramento
di Campello, i civili italiani catturati durante i vari rastrellamenti e pronti per essere deportati in Germania.
Il piano non fu portato a termine per il sopraggiungere di una crisi cardiaca a quel giovane dai capelli biondi e
gli occhi azzurri, il cui debole cuore già da tempo lo costringeva a fermarsi durante le lunghe e dure salite sul
monte, perchè non riusciva a tenere il passo dei suoi partigiani.
Lo porteranno, clandestinamente, prima all'ospedale di Foligno e poi a quello di Perugia, dove morirà dopo
qualche mese.
Con Milan moriva un ragazzo, come tanti, che aveva scelto di fare la sua "piccola" guerra di Liberazione sul
Subasio.
Chi lo conobbe ricorderà "le rose rosse che non mancavano mai sulla sua tomba" nel cimitero di Perugia, dove
aveva voluto essere sepolto, affinché le sue ossa, un giorno, fossero mescolate a quelle dei contadini umbri,
"nel grande ossario comune".

(I) Da una lettera di denuncia di Balilla Bordoni del 30.8.1945, indirizzata al CLN, si racconta che il 24
ottobre 1943 "nel rastrellamento a Collepino parteciparono circa 370 fascisti al comando di un console e di
un maggiore di Assisi". Nella stessa lettera si afferma che "nella notte del 12−13 gennaio 1944 alle ore 2.30
un plotone di trenta militi, tra fascisti e tedeschi, penetrò violentemente nella mia casa arrestando me e mio
fratello più piccolo, Antonio, sottoponendoci ad interrogatori a suon di nerbate".

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SPELLO E I SUOI GRUPPI PARTIGIANI
by "per non dimenticare" Sunday, Apr. 24, 2005 at 2:20 PM mail:

download PDF (14.2 kibibytes)

Il 24 luglio 1943 il Gran Consiglio del Fascio costringe Mussolini a dimettersi. Il giorno successivo il re lo fa
arrestare.
L'esultanza popolare durò poco, in quanto Badoglio annunciava: "La guerra continua a fianco dell' alleata
Germania", mentre segretamente (il 3.9.1943) trattava con gli Alleati l'armistizio. Intanto le Città italiane
subivano pesanti bombardamenti angloamericani. Solo l' 8 settembre 1943 il popolo viene informato
dell'armistizio, che lasciava l'esercito italiano senza ordini, allo sbando e facile preda delle FF.AA. tedesche.
In pochi giorni, infatti, oltre 650.000 soldati saranno fatti prigionieri (di cui 74 spellani, su 105 militari
partiti), o passati per le armi.
In questa successione di eventi, significativa sarà, per questi giovani, la lettera con la quale il professore
Concetto Marchesi si congedò dai suoi studenti universitari il 28.11.1943: "Traditi dalla frode, dalla violenza,
dagli inganni, dalla servilità criminosa, voi insieme alla gioventù operaia e contadina dovete rifare la storia
d'Italia e costruire il popolo italiano" (da "Rinascita" del 23.3.2001).
Il colpo definitivo che li farà partire nei gruppi partigiani, arrivò col proclama emanato dai tedeschi invasori,
col quale si obbligavano "tutti gli studenti universitari a presentarsi presso i rispettivi Distretti Militari, per
poter sostenere gli esami". Si capiva che l'intento era quello di reclutarli. Così molti decisero di darsi alla
"macchia" .
A Spello il primo gruppo si costituì autonomamente, cioè ignorando l'esistenza di altri gruppi che via via si
andavano costituendo, come il "Franco Ciri" e il "Francesco Innamorati" di Foligno.
La prima riunione la tennero presso la casa di Luciano Formica,' su ai Cappuccini.
Vi facevano parte, oltre ai due fratelli Luciano e Marcello Formica, Francesco Proietti Bocchini (detto
Checco), i fratelli Antonio e Balilla Bordoni (I), Benito Balducci, Tullio Tordoni, Mario Bibi, Primo
Bucciarelli, Antonio Moretti e "due slavi fatti fuggire dall'ospedale di Foligno, con un audace colpo di mano".
Successivamente si aggregherà, Marcello Mancinelli, che stufo dei continui maltrattamenti e vessazioni dei
tedeschi, subite nelle Grandi Officine di Foligno, dove lavorava, aveva deciso di "salire in montagna" .
La loro sede operativa era presso la chiesetta di Colpernieri. Da qui stabilirono contatti con alcuni partigiani di
Acquasparta, per assaltare un deposito di armi di quella zona, che fruttò al neo− gruppo fucili, pistole, bombe
a mano e una buona scorta di munizioni.
Questo gruppo si dimostrò molto attivo, compiendo molti altri attentati, come quello del 20 ottobre a
Valtopina, "assalendo una camionetta di tedeschi e uccidendone tre".
Ma a seguito di questa ardita azione, ci fu una rappresaglia il giorno dopo che rischiò di annientare il gruppo
appena nato.
La situazione li spinse a trasferire la sede a S.Giovanni di Collepino, prima di confluire definitivamente nella
"Brigata Garibaldi".
Intanto a Colpernieri, in uno scontro a fuoco con una squadra fascista, capeggiata da uno di Bevagna, venne
ucciso un ragazzo su i diciannove anni, figlio di un fascista.
"Non l'avremmo ucciso" dirà un partigiano del gruppo, "se si fosse arreso". Ma, "mentre estraeva dal
tascapane", che aveva ad armacollo, "una bomba a mano, venne colpito a morte".
Tra un attacco e 1'altro, Marcello Mancinelli, una sera, decise di andare a trovare la sua ragazza a Valtopina.
La notte era già inoltrata, quando i genitori della ragazza lo invitarono a passarla in casa.
L'alba del giorno dopo, il 27 aprile 1944, che si annunciava radiosa, trovò già sveglio il giovane partigiano,
pronto per raggiungere i suoi compagni. Il profumo della primavera, arrivata in ritardo, già si spandeva per
tutto il bosco. Marcello s'era appena fermato al corso d'acqua del "fosso dell' Anna" per sciacquarsi un po' il
viso e svegliarsi completamente, quando sopraggiunse un tedesco in compagnia di un fascista.
Gli spararono a brllciapelo.
Al rumore degli spari accorse la sua ragazza con i genitori, che già avevano intuito la tragedia.
Invano lo attesero i compagni di brigata quel giorno e i successivi, fino a quando non vennero a sapere dell'
accaduto. Solo più tardi riferiranno ai genitori della morte del loro figlio (2).
Quasi contemporaneamente nasce il secondo gruppo, ad opera di Persiano Ridolfi, Riccardo Schicchi, Silvio
Marchetti, Mario Vitali, Mario Martellini e alcuni montenegrini fuggiti, parte dal campo di concentramento di
Campello, e alcuni da quello di Colfiorito.
"Il battesimo del gruppo avvenne in una famosa riunione tenuta a Cesi, nel gennaio 1944, da alcuni
responsabili della brigata Garibaldi." (racconta Persiano).
Interessante era anche osservare la stima, l'unità di azione e il rispetto reciproco tra i vari componenti della
brigata, a partire dai loro capi. "Eravamo molto uniti", dirà uno di loro.
Questi pur provenienti da formazione e culture diverse erano tra loro in sintonia, "attorcigliati come rami di
rovi".
I partigiani comunisti di Spello e i cattolici del famoso circolo culturale "San Carlo" di Foligno (Sancarlisti)(3)
avevano una sola identità di azione: battere il nazifascismo.
Specialmente nei momenti più difficili, trovavano, nella reciproca fiducia e passione, il collante e la spinta per
orientarsi, per decidere, per superare le tante immancabili avversità: scarsezza di mezzi, continui patimenti,
torture, e non ultimi il vestiario, che in quel terribile inverno (1943/44), con metri di neve sui monti, era
inadeguato e soprattutto insufficiente.
I partigiani dovevano spostarsi quasi sempre di notte sotto le raffi. che della tramontana e l'insidia nemica,
privi di mantelli," cappotti"
con scarpe rotte o malandate, quasi sempre inservibili, tormentati da bronchiti, scabia, pidocchi.
Di bronchite era dato per spacciato il partigiano Antinucci, costretto, per più di una settimana in un fienile a
Monte Cavallo, con la febbre a 42 gradi e versamenti di sangue dal naso.
Eppure questi giovani sapevano di dover combattere, andare avanti, affrontando volontariamente ogni sorte di
rischi e pericoli e perfino la morte.
Animati da questa volontà, avevano rinunciato a tutto: alla casa, alla famiglia, al sogno d'una vita serena, di un
lavoro sicuro, ma la barbarie nazifascista li aveva costretti ad essere "ribelli", a diventare "banditen".
Diversi altri partigiani spellani, individualmente, fecero parte della "F. Innamorati", prima che questa si
trasferisse verso Umbertide. La sua zona operativa era: Cancelli, Scopoli, Spello, Casale e Casenove.
In quest'ultima località, verso la fine di dicembre 1943, fu assaltata la caserma dei carabinieri, che fruttò un
ingente quantitativo di armi e munizioni.
Compito di questo gruppo era anche quello di recare danni e disturbo al transito degli automezzi tedeschi
verso Montecassino. Il coraggio e la determinatezza di questo gruppo saranno riconosciuti dall'intera brigata
Garibaldi, al punto che gli stessi "Annali della provincia di Perugia" così riportano: "A queste importanti e
complesse operazioni, contribuì l'aggregazione di una nuova forza rappresentata da un impavido gruppo di
partigiani di Spello, già distintosi in azioni coraggiose".
Ma le imprese più eroiche di questi gruppi si avranno con gli assalti alle caserme dei carabinieri, sia a
Camerino che a Gualdo Tadino e a Nocera Umbra, dove, a quest'ultima, ci sarà la tragedia, come vedremo.
Nei primi giorni di un gennaio freddissimo, "la brigata Garibaldi era giunta a Camerino, dopo una breve sosta
a Morro"' (da "Memorie di un ribelle", di Adelio e Fausta Fiore, Ed. Umbra). Durante la notte i "garibaldini"
escogitano uno stratagemma, che senza colpo ferire fruttò armi e munizioni.
Avvenne così. "Avendo per strada catturato un milite, uno di noi si travestì presentandosi alla porta della
caserma dei carabinieri. Il piantone però, nonostante vedesse il commilitone, non credette alle sue parole.
Il comandante Cantarelli prese allora al balzo la situazione e avvicinatosi all'ingresso, con audacia e fermezza,
disse: "Siamo tremila patrioti, abbiamo circondato il paese e snidato la caserma dei fascisti. Se volete subire la
stessa sorte, non vi rimane che dire no. Ma vi avverto: abbiamo due cannoncini in postazione puntati,
rispondete" (dal "Diario" di L.Formica).
Dopo un po' "videro scendere in pigiama il capitano col quale giunsero ad un accordo."
Furono prese molte armi e munizioni. "Lasciammo 5 o 6 moschetti, con i quali dopo un po' i carabinieri
aprirono il fuoco per simulare un' aggressione e dimostrare che si erano difesi, come stabilito" (idem).
Euforici per il risultato, la settimana successiva decisero di assaltare, con lo stesso inganno, la caserma di
Gualdo Tadino.
Era da poco spuntata l'alba. "Uno di noi si vestì da centurione della milizia fascista e si fece aprire la porta,
dove irrompemmo come furie. I militi che dormivano al piano superiore, a vedere la parata, chiusero la porta e
saltarono dalle finestre. Dopo una nostra nutrita scarica di moschetti, irrompemmo nel dormitorio e negli
uffici, buttando tutto per aria". Le armi furono prese tutte e senza spargimento di sangue.
Intanto il 17 aprile, su tutta la zona di lotta della brigata, iniziò un vasto rastrellamento delle SS che si
protrarrà fino a metà maggio. Fu molto duro, non solo perché un forte contingente della Wehrmacht venne
distaccato dal fronte di Cassino, ma anche perché essi avevano capito che i partigiani erano quasi invincibili in
uno scontro frontale, in quanto il loro alleato più prezioso era la montagna, che conoscevano palmo a palmo.
Così i tedeschi si divisero in piccoli gruppi, rastrellando metodicamente le zone battute dai partigiani. "Si
parlò che in quelle settimane ai confini tra le Marche e l'Umbria, furono catturati e deportati in Germania
quasi tremila ci vili".
I partigiani erano braccati notte e giorno, al punto che si arrivò, il 24 maggio, ad una tregua tra il comando
partigiano e quello tedesco. Questi ultimi si impegnavano a cessare le ostilità, mentre i primi, a consegnare le
armi e rientrare nelle loro famiglie.
Fu una scelta durissima per quei valorosi combattenti, ma necessaria.
Ma, appena scadde la tregua, i partigiani ripresero le loro azioni di disturbo. Ormai sentivano vicina la
Liberazione.
La radio dava la notizia che il 20 maggio gli Alleati erano sbarcati ad Anzio.
Il 14 giugno Roma è liberata.
"Il comando della Brigata dà ordini alle quattro Divisioni di intensificare la lotta, facendo saltare piccoli ponti,
interrompendo strade di particolare collegamento, tagliando linee telefoniche".
Una di queste Divisioni era comandata da Marcello Formica, fratello di Luciano: vi facevano parte alcuni
spellani come Armando Fagotti, che parteciperà all' assalto della caserma dei Carabinieri di Campello.
Non passa giorno che non vengano attaccate autocolonne tedesche un po' in tutto il campo d'azione della
brigata, che in tanto operava da Foligno a Trevi, da Spello ad Assisi lungo la statale e i monti: dal Subasio a
Colfiorito.
La mattina del 16 giugno, l'estate, lungamente attesa, era alle porte, gli alleati liberano Foligno, mentre "il
battaglione cittadino al comando di Edoardo Marinellj si sarà già insediato in alcuni punti strategici della città,
salvando, così, dalla distruzione, il ponte di porta Firenze" (da "La Brigata Garibaldi", di M. Arcamone).
Il pomeriggio dello stesso giorno, mentre il sole volge al tramonto, l'VIII Divisione inglese entra liberatrice a
Spello.

(1) Balilla, in modo particolare, "era stato più volte bastonato, legato mani e piedi, sottoposto a "purghe"
d'olio di ricino e detenuto nelle carceri del famigerato prefetto Ronchi di Perugia" (Racconta la cognata,
Bagliani Maria).

(2) I funerali saranno celebrati, ovviamente ad avvenuta liberazione, 1'11.7.1944, nella Chiesa di S, Lorenzo,
come risulta dalla ricevuta delle spese funerarie che furono a carico del CLN,
1l 17 maggio, dieci giorni dopo, invece, durante un rastrellamento nazifascista a Sellano, veniva ucciso un
altro partigiano, Guido Allegretti, il cui funerale fu celebrato quattro giorni dopo nella stessa chiesa, il
15.7.44, come risulta da una lettera di Luciano Formica, responsabile del "Distaccamento Partigiano di
Spello".

(3) Circolo nato all'interno del famoso "Istituto San Carlo". Fu scuola di formazione dei giovani di Azione
Cattolica, specialmente durante il regime fascista, in cui diversi iscritti fecero la scelta di impugnare le armi
e "salire" in montagna, come fecero Antero Cantarelli e Adelio Fiore, insieme a molti altri. "Accanto a loro e
con l'aiuto
di qualche parroco −(il riferimento è a mons. Luigi Faveri, attivissimo antifascista)−: iniziammo l' attività
partigiana", dirà A. Cantarelli nel libro "L'Istituto San Carlo dil Foligno, dal fascismo alla Resistenza" di
Antonio Nizzi

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LE RADICI CULTURALI E POLITICHE
by "per non dimenticare" Sunday, Apr. 24, 2005 at 2:41 PM mail:

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Per capire lo spirito e gli ideali che animarono molti giovani spellani (almeno una sessantina, tra studenti,
operai, contadini ed impiegati) a darsi, da una parte alla "macchia", con i Partigiani alla lotta di Resistenza, e,
dall'alraa, sulla "Linea Gotica" alla guerra di Liberazione, bisogna risalire ai primi movimenti socialisti a
Spello.
Infatti, sin dal 1896 Spello visse un fermento "rivoluzionario", di ispirazione socialista, che avrebbe visto in
Celestino Luna (padredi Settimio, l'infaticabile organizzatore delle lotte successive), Giuseppe Bellocci,
Enrico Santarelli e Riccardo Schicchi Fagotti, i fondatori della prima sezione denominata "Tre Novembre".
Essi "si distinguevano per fervore ideaIe, fede ed abnegazione, tra tutti i socialisti non solo del perugino, ma
di tutta l'Umbria''. Ad animarli era anche lo "spirito bonario e i sani ideali del popolo di questa terra, radicato
nella tradizione francescana" (da "Appunti del Socialismo Umbro" di Ettore Franceschini. Tip.L. Morara,
Roma).
Almeno tre importanti avvenimenti stanno. a dimostrare questi grandi fermenti nella piccola cittadina:
"1907: la grande vittoria sindacale dei contadini guidati dai valorosi Renato Tega, Restituto Luna e Benvenuto
Crispoldi";
"1911: vivaci e violente dimostrazioni Contro la guerra libica, nelle quali trovò la morte, a soli 23
anni,Restituto Luna";
"1914: grande e forte partecipazione alla famosa "Settimana Rossa", nella quale tennero, per una settimana
nelle loro mani, il governo del paese". Tega e Crispoldi dovettero lasciare la città, pefi non subire la feroce
reazione fascista−padronale.
Successivamente Tega sarà confinato a Lipari, poi liberato dagli Alleati e nominato dai compagni bolognesi a
far parte del gruppo dei 70 per elaborare la Carta Costituzionale, che non vedrà promulgata. Ai suoi funerali
l'amico e scrittore Franceschini dirà: "Povero Tega, uomini come lui non dovrebbero morire mai".
Grazie a questi uomini, "Spello sarà il primo comune umbro adii avere una amministrazione socialista".
Sindaco fu l'artista scultore e pittore Benvenuto Crispoldi, "Uomo di grande fede socialista", Lo seguirà alla
guida del paese l'avv. Bocci: "l'uomo che sacrificò la sua agiata posizione per dare lustro al Partito Socialista"
(Idem),
Intanto nel 1918−19 Settimio Luna allargò l'organizzazione del Partito fino a comprenderne la stessa Assisi e
Cannara. "I contadini per il suo fervore organizzativo lo chiamavano "Spopola". Uomo.
di azione eccezionale e pieno di entusiasmo". Il fascismo lo perseguitò duramente. "L'1l luglio 1921 gli
devastarono il laboratorio di falegnameria, dandolo poi alle fiamme". Gli dettero il "bando" ufficiale (cosa
riservata ai grandi oppositori), perché "fosse cacciato da Spello, con tanto di manifesti affissi nel paese".
Alcuni giorni prima della marcia su Roma (27.10.1922), il "fascio" di Spello stabilì "una taglia di lire
diecimila (era un patrimonio all'epoca) per quel fascista che avesse riportato la testa di Luna",
Ma al ritorno da Roma, la sera, non avendola portata, nel bar Brozzi a borgo, nell'euforia alcuni "marciatori"
in camicia nera e fez, vedendo il figlio di un fervente antifascista e capo lega, Giovanni Bonci (detto
Jovannuccio) sfogarono la rabbia, prima con sfottò, poi con allusive offese, rivolte al padre, accoltellarono
mortalmente Guerrino, di appena diciannove anni.
Validissimi collaboratori di Settimio, specialmente "nelle agitazioni dei contadini del 1920 furono i compagni
Giovanni Manconi, Domenico Celli e il contadino Ferrata", al quale bruciarono la casa, che era del padrone
del fondo, per cui venne anche cacciato con tutta la sua famiglia.
Altra vittima della brutale reazione fascista che ne seguì fu "la stessa madre di Luna, alla quale intimorirono i
clienti per colpirla nella
stessa possibilità di vivere, invasero l'abitazione e la devastarono"(da "Socialismo in Umbria"di E.
Franceschini; Ed. L. Morara−Roma).
Stessa sorte subirà la macelleria del fratello Antonio, "più volte bastonato e condotto in prigione a Foligno,
nelle celle del Palazzo Trinci" (come racconta il figlio Pompilio).
Altro antifascista perseguitato con accanimento era Enrico Fagotti. Questi, per sfuggire ai continui
pedinamenti e alle aggressioni, viveva a Roma, clandestinamente. Era un "mastro" muratore molto ricercato e
aveva trovato lavoro presso il Vaticano.
La sera dell'ultimo dell'anno 1923 venne di nascosto a trovare la moglie e i suoi sei figli. Il viaggio per Spello
lo fece in assoluto anonimato. Arrivò al paese che era notte fonda. Il cielo stendeva il
suo manto di stelle sulle casupole arroccate sul monte, mentre la luna sorrideva a ponente. Col pensiero già si
accingeva ad abbracciare i suoi cari che non vedeva da lunghissimi mesi. Lungo il yiale della stazione
incontrò un amico, al quale si raccomandò vivamente di non far sapere in giro della sua presenza, anche
perché: "Ripartirò prima dell' alba", gli aveva detto, mostrandogli il biglietto del ritorno.
Aveva appena finito di stringere al petto e riempire di baci la moglie e i figli e augurargli il nuovo anno che
iniziava, quando dalla strada, sotto la torre di “Borgo", dov'era la sua casa, sentono le grida di una squadraccia
fascista: "Scendi Fagotti, sappiamo che sei in casa".
La casa era attaccata alla Torre, a fianco all'Arco Consolare, e tramite una finestra si poteva accedere al suo
interno. Così fece e si nascose, mentre la moglie seduta e attorniata dai bambini si prendeva tempo ad aprire.
Intanto, dal buco della serratura, uno della brigata nera, armato di pistola, sparò. Il colpo raggiunse in pieno
petto la signora Paolina Schicchi, lasciandola mortalmente cadere tra i pianti innocenti della nutrita prole(l).
Questi esempi di eroismi e di sangue erano linfa viva che nutriva la pianta antifascista del paese. Ad
innaffiarla e a farla prosperare si mettevano le leggi fasciste fatte di atti di forza, di soprusi, vessazioni, quasi
sempre basate su delazioni e spionaggi. Chi non si assoggettava non aveva scampo: prigione o morte, confino
o clandestinità.
"Se non eri "figlio della lupa" ti ritrovavi balilla o iscritto alla gioventù dellittorio, o quanto meno in divisa da
avanguardista a marciare alla perfezione, "pancia in dietro, petto in fuori". Era un continuo batter di tacchi, di
tamburi, un agitare bandiere, un mettersi in riga, un correre per le adunate, per la consegna delle mostrine, lo
scambio dei gagliardetti o la consegna del fucile" (da "Fascisti elementari" di Wladimiro Settimelli).
Tutto era obbligatorio e c'erano famiglie poverissime, tante, che si svenavano perché il "figlioletto" avesse
sempre la divisa completa e in ordine.
Il fascismo mobilitava grandi mezzi e molte intelligenze, per indottrinare gli italiani; "si impossessò di tutta la
stampa nazionale: case editrici e cinematografiche. Era una perfetta "fabbrica del consenso": dagli anni trenta
in poi non cessò un attimo di funzionare. Per capire la filosofia del regime e la sua spiritualità, basta ricordare
"Credere, ubbidire e combattere"; "O buon Dio, benedici il nostro Duce".
Quest'ultimo suonava un po' come quello nazista e portato scritto sugli elmetti delle famigerate 55: "Gut mat
hans"(2) (Dio è con noi), che era come dire: "noi siamo i migliori", cioè il rovesciamento dell'essenza del
messaggio evangelico: la "prossimità" all'altro, la "responsabilità" verso gli ultimi, i più deboli.
Ma se credere in Dio come erano convinte le 55 e i loro superiori equivaleva essere capaci di compiere tali
abominevoli crimini, era preferibile essere atei, poiché ciò che è importante non è tanto se esiste Dio quanto se
esiste l'uomo.
In questo clima di totale esaltazione del capo, i nostri soldati verranno mandati a morire in Africa, in Grecia e
perfino nella steppa gelida russa, a proposito della quale il bellissimo libro di Giulio Bedeschi "Centomila
gavette di ghiaccio", ci dà tutta la drammaticità del fallimento espansionistico della politica imperialistica
mussoliniana.
Altre forme di autoritarismo ricadevano sui giovani fra i 16 e i 20 anni, obbligati a frequentare corsi di
Istruzione premilitari, molto apprezzati dai fascisti e delegati alla Milizia Volontaria della Sicurezza
Nazionale" (da "Memorie di un ribelle" di Adele e Fausto Fiore).
Mentre "I fanciulli − scriveva Mussolini alla Santa Sede − debbono essere educati... al sentimento della
virilità, della potenza e della conquista" (da "Mondo contemporaneo" di F.Gaeta, P. Villari e C.Petraccone;
Ed.Principato− MI).
C'era anche l'obbligo di possedere la tessera della Gioventù Italiana del Littorio (G.I.L); di "dichiarare di non
appartenere alla razza ebraica, per iscriversi all'Istituto Tecnico Commerciale e per Geometri"(3) al Vitale
Rosi, come si legge dal bando del "Comune di Spello" per l'iscrizione a.s. 1941/42.
In questo clima crebbe la consapevolezza di quei giovani che sentivano una offesa l'azione della famigerata
Organizzazione per la Vigilanza e la Repressione Antifascista (OVRA), il dispregio alle più elementari regole
della democrazia, della giustizia e del rispetto della dignità dell’uomo. A questo bisogno di ricostruire i valori
negati nella vita di ogni giorno, va ricollegata la volontà e il coraggio di quei giovani che seppero poi dar vita
alla lotta armata.
Già la crisi del regime fascista tra il 1940 e il 1941 , porterà a Perugia la formazione dei primi nuclei
partigiani, che dopo l' 8 settembre del 1943 darà vita al Comitato di Liberazione Nazionale (C.L.N.), Vi
faranno parte figure assai significative della Resistenza in Umbria, come Aldo Capitini e Giuseppe Granata.
Anche a Spello la Resistenza cominciò come atto di ribellione alle frodi, alle violenze, agli inganni, alla
servilità criminosa del padronato più retrivo al regime. Non la si capirebbe a pieno se riducessimo il suo ruolo
solo a episodi di carattere militare.
Il valore dei resistenti, o "ribelli" (come venivano spesso chiamati), nasceva soprattutto dalla volontà popolare
che "pur senza abbandonare la loro vita normale, riuscivano a tessere una tela fitta di alleanze e di solidarietà".
Vi contribuirono non solo i grandi scioperi a Perugia e a Foligno, tra l'autunno del 1942 e la primavera del
1943, ma anche, e soprattutto successivamente all' 8 settembre 1943, i tantissimi gesti, le scelte delle persone
"comuni" a nascondere i giovani renitenti, che se scoperti andavano incontro all'immediata fucilazione (cosa
che avvenne ai fratelli: Ulisse, Giuseppe e Armando Ceci, a Marsciano il 28.3.1944), a fornire vestiti e cibo a
quanti partivano per la "macchia".
La resistenza armata vera e propria cominciò dopo il25 luglio 1943, con la caduta del fascismo e si rafforzò
notevolmente dopo l'armistizio, come si vedrà più avanti.
I primi partigiani saranno i soldati sbandati, i giovani .che scelsero di non arruolarsi nell' esercito
repubblichino, gli operai compromessi con gli scioperi, i quadri politici, intellettuali e studenti.
In breve tempo i piccoli gruppi di azione spontanea divennero un vero e proprio esercito: "Corpo Volontario
della Libertà". Solo la Brigata Garibaldi ne conterà oltre duecento nelle sue quattro divisioni che opereranno
nel territorio del folignate e spellano. Queste bande, che si differenzieranno per zone di operazione,
diventeranno un serio pericolo per i fascisti e le stesse FF.AA. tedesche, alle quali faceva comodo avere liberi
gli appennini tosco−umbro−marchigiani, cioè le retrovie del fronte di Cassino, sulla "linea Gustav", in caso di
ritiro (cosa che avvenne, appena gli alleati sbarcarono ad Anzio il 20 maggio 1944).
Questi giovani sono anche quelli che una volta liberata Spello (il 16 giugno 1944) partiranno con altri ancora
sul fronte della "Linea Gotica" (pianura Padana), dove i tedeschi in ritirata avevano fortificato le loro difese.
E' anche grazie ad essi che 1'1talia sarà liberata, poiché il 25 aprile
del 1945 sarà Ja pietra miliare su cui, con il Referendum del 2 Giugno 1946, nascerà la Repubblica. Con la
Repubblica, la Democrazia, cioè il diritto di pensare liberamente, di Professare il proprio
credo politico, religioso, di riunirsi in Un luogo pubblico senza dover dare preavviso a nessuna autorità. Nasce
la sovranità del popolo con le libere elezioni e tanti altri principi di Libertà sanciti dalla Carta Costituzionale,
frutto, appunto, della "Bella primavera" di quell'anno memorabile: 1945.

(I) Una lapide posta dall' Amministrazione Comunale il ] 6.6.] 993, all'interno del cortile dell'ex Collegio,
Vitale Rosi, ne ricorda la memoria.

(2) A riguardo il primo Presidente degli Stati Uniti d'America, Abraham Lincoln, dirà:"Ci affrettiamo a dire
che Dio è dalla nostra parte, invece di cercare di essere dalla sua parte". Purtroppo le dittature di cultura
cattolica sono state sempre figlie di un cristianesimo senz'etica, in cui Dio è concepito in maniera astratta,
invece che come "amico tenero e amoroso dell'uomo" e che si fa cogliere solo nel "volto" dell'altro
"asimmetrico", per dirla col filosofo Lèvinas, per il quale la "conditi o sine qua non" per l'uomo (figuriamoci
per il cristiano) è la "responsabilità", cioè la "tenerezza". Così scrive a riguardo A.Paoli:"La tenerezza è
quell’ amore altruista, gratuito,
capace di liquefare le pietre".

(3) Da una nota a firma del Podestà Michele Cianetti, del 2.6.1941 al Commissario dell'Ente Nazionale per
l'Insegnamento Medio e Superiore (ENIMS). di Roma, si rileva che: "l'Istituto Tecnico Commerciale e per
Geometri, funzionerà qui a Spello dall'anno scolastico 1941−1942 sotto la presidenza del prof. Pietro
Cossari. L'anno successivo, e precisamente il 2.12 1942, da una nota inviata al Podestà di Spello e p,c. al
Provveditorato agli Studi di Perugia, a firma del Dott. Paolo Ceci, Commissario dell’ ENIMS, si apprende
della "Chiusura volontaria" di detto Istituto, per cui successivamente il "Corso per Geometri" sarà trasferito
ad Assisi, quello "Tecnico Commerciale" a Foligno.

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SPELLO DURANTE L'OCCUPAZIONE TEDESCA
by "per non dimenticare" Monday, Apr. 25, 2005 at 3:52 PM mail:

L'8 settembre 1943, lo stesso giorno che in tutta Italia il Comitato Nazionale Antifascista (CNA), si trasformava in Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), a Spello già operavano i primi gruppi partigiani.
Alcuni giorni dopo, il 13 settembre, le FF.AA. tedesche occupavano Spello. Il comando generale, con alcune formazioni della Gestapo e le stesse famigerate SS, s'era stabilito a Villa Costanzi (oggi, Fidelia).
Alcuni presidi occupavano anche Villa Fantozzi, Villa Ruozi e la casa delle sorelle Guiducci (oggi di Adanti), a Capitan Loreto.
Tutto il paese era nelle loro mani: dalla caserma dei carabinieri, alla camera del fascio, dal Collegio Vitale Rosi, al Palazzo Comunale. Perfino le Chiese requisirono, per "1'eventualità di ulteriori arrivi del potente esercito della Wehrmacht", come si legge in una nota del 28.2.1944 del commissario prefettizio inviata al Prefetto di Perugia.
Già con i primi anni della guerra sotto il fascismo la vita era dura. Sotto i tedeschi cambiò sensibilmente in peggio. Ogni giorno dalle ore 22 alle ore 4 scattava il coprifuoco (1); con 1'obbligo anche dell' oscuramento, che durava fino alle ore 7 del mattino.
Le prime azioni militari dei partigiani allertavano le squadre fasciste che a volte chiamavano i rinforzi da Foligno, da Bevagna e da Bastia, per compiere spedizioni punitive.
Quando non bastavano le camicie nere, intervenivano i tedeschi con i loro rastrellamenti, minacce, razzie. Frequenti erano gli atti d'imperio.
Solo dal 21 aprile al 3 maggio 1944, ben 18 atti di requisizioni furono firmati dal commissario Prefettizio per ordine delle FF.AA.tedesche e del Battaglione del Genio Lavoratori, ed eseguite dai carabinieri a danno di altrettanti spellani.
Gli oggetti requisiti erano quasi sempre biciclette e qualche traino, con i relativi buoi, "per il trasporto di materiali bellici da Foligno a Spello". A nulla valsero le istanze prodotte dai legittimi proprietari e le motivazioni da essi addotte per "necessità lavorativa e familiare",
La situazione si aggravò soprattutto dopo il 20 settembre 1943 col "bando" di Mussolini che obbligava i giovani delle classi 24 e 2S a presentarsi presso i rispettivi Distretti Militari per aderire all' esercito della repubblica di Salò, pena la fucilazione.
Come risposta a questo "bando" i partigiani, clandestinamente, fecero girare volantini sui quali si leggeva: "Giovani! Non presentatevi al richiamo. I Partigiani vi attendono sulle montagne per proseguire con voi la lotta contro gli oppressori. Fede e coraggio ci porteranno alla meta".
Seguiva una informazione pratica: "Ognuno di voi che ci raggiungerà, porti seco una coperta e un paio di scarpe da montagna". Il sospetto che il volantino clandestino fosse stato scritto in qualche ufficio del Comune, cadde su Tullio Tordoni, dipendente comunale, che gli costerà la sospensione dal lavoro e l'obbligo tassativo di presentarsi al distretto militare di Spoleto, dal quale, con uno stratagemma consigliatogli da I un dipendente di farmacia, (prese una abbondante dosa di sinfcamina) sarà portato per farsi ricoverare all' ospedale di Perugia, dal quale poi fuggirà. In conseguenza di ciò il padre si farà 4 mesi di carcere e la madre perderà la tessera annonaria.
Vennero intensificati i controlli: pattuglie di tedeschi e squadre fasciste
setacciavano il paese.
"Fui arrestato la prima volta da quattro fascisti e due tedeschi", raccon. ta Franco Buono.
"Tornavo a casa - (abitava poco sopra l'attuale "Centro d'Infanzia") con un prosciutto che ero andato a prendere da Antonio Raponi che stava vicino al "Campo del1a Fiera" (S.Ventura), quando fui fermato in Via Giulia, nei pressi del1' attuale ristorante "11 Cacciatore". Gli chiesero la carta d'identità. Non trovandosela addosso lo portavano in caserma.
"Il mio timore non fu tanto quello di essere sottoposto ad interrogatorio, quanto la fine che avrebbe fatto il prosciutto".
La sua fortuna fu che mentre se lo portavano, incontrarono il pescivendolo di Val1egloria che lo conosceva bene e conosceva anche alcuni della milizia.
"Vi assicuro che non ha neanche 16 anni", gli disse, "E mi lasciarono".
Pochi giorni dopo, Franco, sarà fermato una seconda volta.
Era a Porta Montanara. Tre tedeschi della gestapo e due camicie nere, gli chiesero il documento d'identità.
"Lo esibii, ma c'era una correzione al1a data di nascita: era stato scritto 1921 e poi corretto a 1927.
Lasciava pensare ad una manipolazione. "il tedesco che guardava il documento, ripetutamente mi fissava negli occhi". La scena durò diversi minuti, prima di lasciarlo andare.
Questi controlli durarono fino al 25 maggio 1944, ultimo giorno valido per presentarsi al1e autorità militari per l'arruolamento. Dopo quella data i fascisti erano autorizzati a fucilare sul posto i trasgressori, come avverrà nel1a cittadina di Corciano per i tre fratelli Ceci: Ulisse, Armando e Giuseppe. Questa disposizione finì con l'ingrossare le file partigiane, in quanto ormai molti giovani preferivano la lotta di Liberazione all' arruolamento repubblichino.
I disagi nel paese crescevano anche per le frequenti risse dovute allo stato di ubriachezza dei militari tedeschi, che finivano spesso col provocare incidenti stradali, com' era capitato a Pompilio Merendoni che, mentre transitava sul carro dell'amico "Steccone", all'altezza dell'Osteriaccia, venne investito da un automezzo tedesco, riportando ,gravissime ferite e la morte del cavallo.
A creare non pochi disagi fu anche il sovraffollamento che si ebbe l'Inizio della primavera 1944 dopo i ripetuti e violenti bombardamenti su Foligno.
Quasi "un migliaio di sfollati" folignati furono alloggiati a Spello, oltre "altri circa cinquecento provenienti dalle zone limitrofe", come si legge dall' ordinanza prefettizia del 21.4.1944.
Anche diverse decine di famiglie spellane erano sfollate, come per esempio,quella di Elio Penna, che aveva trovato alloggio presso i Finauro a “Valcelli" .
La loro casa si trovava sull'unica via di comunicazione tra Foligno ed Assisi (l'attuale via Centrale Umbra), vicina alla Stazione ferroviaria (anch'essa bombardata), ed era un continuo via vai di automezzi militari tedeschi e fascisti, che impaurirono i suoi genitori al punto di dovervi lasciare solo il figlio, Elio.
“Una mattina", - racconta questi, - "fui preso e portato in piazza del Comune da alcuni tedeschi, dove riunirono una ventina di persone e ci portarono a liberare la stazione ferroviaria dalle macerie".
Lavorammo per una settimana, mentre di tanto in tanto vedevamo sorvolarci aerei "cicogne" degli Alleati".
Tra le tante famiglie spellane sfollate, c'era anche quella di Marcello Mancinelli, che aveva trovato rifugio presso l'attuale casa di Norberto, a Santa Lucia.
Un giorno mentre il padre di Marcello era al pascolo con il suo gregge e in casa erano rimasti: la moglie, i figli e due ragazze di un' altra famiglia sfollata, arrivò un gruppo di soldati polacchi agli ordini dei tedeschi.
Con le armi in pugno perlustrarono tutta la casa. "Non trovarono niente di interessante, tranne una cassetta chiusa a chiave", Intimarono di aprirla, ma la chiave non si trovava. La situazione stava per precipitare, quando vedono arrivare un soldato tedesco, fidanzato di una delle, due ragazze. A vederlo, la fidanzata, con uno slancio gli va incontro esultando: "Hanns"(2) (Giovanni), e si abbracciano" (come racconta Fagotti Alessio).
I polacchi a vedere la scena, lasciarono tutto e andarono via. I tedeschi seminavano un clima di terrore e di paure tra la popolazione.
Indimenticabili i proclami del comandante in capo di tutte le FF.AA. germaniche in Italia, maresciallo Albert Kesselring(3) che tappezzava i muri delle città, piccole e grandi a ricordo perenne che i padroni erano loro, loro i più forti, come si legge nell' epigrafe dettata da Pietro Calamandrei(4) per la morte di Duccio Galimberti.
Intanto tra la popolazione cresceva la speranza della Liberazione. Radio Londra dava notizie che gli Alleati il 20 maggio erano sbarcati ad Anzio.
Anche attraverso alcuni lanci aerei di volantini le forze Alleate informavano la popolazione a non collaborare con i nazifascisti.
Qualche spellano ebbe anche l'idea di far sventolare da una delle finestre della casa di "Chiavetta", allora abitata dalla famiglia Mauro Manni, che era ben visibile sul monte, (attuale casa di Marchionni), un panno che a seconda del suo colore, indicava presenza di pericolo (rosso), o
via libera (bianco). Ciò serviva soprattutto alle staffette e ai partigiani, o a quanti avevano bisogno di trasportare prodotti o generi alimentari illegali. A causa delle continue razzie dei tedeschi, infatti, le famiglie dovevano tenere ben nascoste le provviste alimentari: grano, olio, vino, animali.
Racconta Francesco Scarponi, la cui famiglia abitava negli annessi del la Chiesa Tonda, che suo padre "dovette portare anche tre grossi tori di razza a "Cupa di Tofi", dov'erano alcune grotte, tra gli ulivi, sotto il monte", per paura che i tedeschi se li portassero via.
Per capire il clima di paura e di terrore che si respirava nel paese in quei dieci, undici mesi di occupazione tedesca, è sufficiente riportare uno degli episodi più sconcertanti per ferocia.
Un carretti ere assisano, Migliosi Gino, viene fermato davanti a Villa Costanzi col suo carretto che era andato a caricare a Foligno per conto di un commerciante di Capodacqua di Assisi.
Avendo avuto i tedeschi una "soffiata", andarono a colpo sicuro e trovarono nascosto nel carico una pistola.
Era stata messa all'insaputa del Migliosi. Fu immediatamente arrestato e condotto alla caserma dei carabinieri, che si trovava nell' attuale piazza del Comune, proprio dov' è adesso.
Durante tutta la notte, fu prima torturato, alla presenza dei fascisti, nella speranza di estorcere qualche nome di persona invisa al regime, e dopo un processo lampo (farsa) viene emessa la condanna. Condotto al cimitero, la mattina seguente "alle ore 6.45 del giorno 2
giugno 1944, viene legato ad un palo e fucilato".
Gli effetti di questi atti criminali si ripercuotevano sul morale della popolazione, incutendo gli paura, creando un clima di sospetti e di terrore. Ma con la paura le persone finivano col solidarizzare con i partigiani.
Così, nel tentativo di incrinare i rapporti di collaborazione, che diventavano sempre più stretti e forti, tra la popolazione e i partigiani e togliere così forza al movimenti di Liberazione, Mussolini ordinò a tutti i Prefetti d'Italia di far affiggere in tutti i Comuni, nei primi giorni di ottobre 1943, un bando carico di minacce verso quanti collaboravano con i "ribelli", i "traditori", i "bolscevichi".
Per chi veniva ritenuto "collaboratore", (poteva bastare una semplice spiata o calunnia, le liste di proscrizione erano lunghe, né mancavano i doppiogiochisti), era prevista la "fucilazione alla schiena".
La primavera ormai stava colorando i monti e le valli e l'aria odorava di mille profumi.
Anche i cuori degli innamorati uscivano da quel lungo e freddo inverno e con loro quello dei giovani partigiani. Si racconta che uno di questi, in una delle sue "discese dal monte", preso da un atto di gelosia, (non è dato conosce il motivo scatenante), mentre il sole splendeva alto nel cielo della piazza del Comune, condusse lì alcune ragazze colpevoli solo di aver avuto qualche incontro amoroso con alcuni soldati tedeschi o fascisti, e consumò la bravata: tagliò a zero le folte chiome di quelle innamorate, esponendole al ludibrio pubblico.
Così come non mancavano quelli che si distinguevano per la loro bontà e generosità, come Checco, che pur non ancora ventenne riusciva con alcuni stratagemmi, che solo la sua precoce genialità fantasiosa potevano partorire, a togliere il pane di segala (nero) ai tedeschi (che avevano occupato parte della sua casa, in Via Giulia) per darlo ai partigiani.
La vita, come sempre, continuava. C'erano persino coloro che tentavano la fortuna comprando i biglietti della "Lotteria di Merano", come risulta da un verbale della Intendenza di Finanza di Perugia, del, 21.9.1942.
E non mancavano le occasioni per trasformare in farsa alcuni drammi che si stavano vivendo, scene burlesche e studiate ad arte, come quella del "carrettiere" , meglio conosciuto come "Panciullone".
Si racconta, infatti, che una sera questo "Panciullone", assieme ad a1tri amici e con la complicità del sarto, Buono Giulio, che rammendava gli abiti militari dei tedeschi (come racconta il figlio Eros), decise di fare uno scherzo al calzolaio vicino di casa, nonché attivo operatore del mercato nero, tra 1'altro molto diffuso a quel tempo. Così una sera di plenilunio, mentre il "calzolaio" era appena rientrato da Roma, nella bottega del sarto "Panciullone" veniva vestito di tutto punto da colonnello delle SS. Quando ritennero giunto il momento che il "calzolaio" potesse stare a fare la conta dell'incasso della giornata, il "colonnello", cominciò a bussare alla sua porta, urlando parole incomprensibili, e prima che gli venisse aperto, irruppe nella cucina.
Il "calzolaio" al gran trambusto creato dal "tedesco", rastrellò immediatamente i soldi sparsi sul tavolo mettendoli dentro la "pezzetta" che usava portare a mo' di grembiule.
I! "tedesco" avanzava, sbraitando minaccioso, lui bagnato di sudore e bianco come uno straccio, con candida indifferenza, si avviò verso l'angolo del camino e "sgrullò" il contenuto della "pezzetta" su una mezza fascina di rami di ulivo, dove i soldi arrotolati si confusero con le foglie secche.
Constatata la paura trasmessa al calzolaio e alla moglie che, bianchi cadaveri ci non riuscivano più a pronunciar parola, "Fanciullone" e soci, che intanto erano rimasti dietro la porta a godersi lo spettacolo, si affrettarono a rivelare lo scherzo, che solo dopo accesa discussione finì in risata, seguita da una bevuta collettiva.
La buona riuscita del travestimento, indusse "Fanciullone" a mettere in opera, immediatamente, un secondo scherzo.
Senza pensarci due volte, con la complicità della luna beffarda di primavera, si avviò a casa di un certo "Tanara", che abitava in piazzetta delle Foglie.
Nel buio del vicolo, il "colonnello", seguito dagli amici nascosti nell' ombra, per gustare la scena, cominciò a menar colpi all'uscio gridando: "Hains strai", che non significava nulla, ma che avevano
il loro effetto straniero, ed era ciò che si voleva. Dall' interno si udì una voce femminile, che rivolgendosi preoccupata al marito, diceva: "Anto' ...li tedeschi !".
E questi, mentre si accingeva ad aprire, tra sé mormorò: "Che cazzo vojono?". E si trovò davanti un enorme "Colonnello" delle SS che gridava "Hains strai". "Que volete a quest' ora?", gli disse.
E il "Colonnello": "SOMARUSS!!!".
Al che prontamente gli rispose: "Que ve ne facete del mio?. E' vecchjo, ce vede poco e.. .cjoppica", e cambiando tono, in maniera quasi confidenziale, aggiunse: "Jite da "Fanciullone", lui sì che c'ha un bel cavallo!".
A sentire il suo nome, "Fanciullone", immediatamente esclamò: "Porca matò, allora se io ero un tedescu veru tu lu mannavi a casa mia?". E gli piazzò un cazzotto sulla faccia. L'altro non fu da meno e lo scherzo finì in rissa, tra le risate degli amici.
Con l'avvicinarsi del giorno della Liberazione, il traffico degli automezzi militari tedeschi andava intensificandosi. E a differenza del passato ora avveniva in una sola direzione: verso il Nord, Perugia.
"Alcuni giorni prima della ritirata(5) un tenente e un caporale tedeschi ubriachi fradici, vollero a tutti i costi dormire a casa", (racconta Franco Buono).
A nulla servì l'insistenza di suo zio per fargli capire che a due passi stava il loro comando, e gli si era anche offerto ad accompagnarli. "Il mattino dopo, sotto la minaccia delle armi, si presero l' asina
con tutto il carretto, il servizio da barba e la bicicletta di mio padre e un po' di uova".
Ma, l'asina che "ubbidiva solo a noi", appena ebbero imboccato Via degli Ulivi, "mandò fuori strada il carretto che si rovesciò con tutto il suo carico".
Il 14.6.1944 a S.Giovanni di Collepino il gruppo degli uomini di Milan, con una azione fulminea, fecero tre prigionieri tedeschi, di cui uno riuscì a fuggire buttandosi giù da una scarpata tra il fitto bosco sottostante.
La rappresaglia fu immediata.
Il giorno dopo arrivarono 6 tedeschi a bordo di un camion. Rovistarono le case e i fienili e fecero radunare nella piazzetta, Angela Landrini, (che intanto avvisato in tempo il marito riuscì a farlo fuggire), suo padre Agostino, Amleto Rappaccini, (un ragazzo neanche diciottenne), Ottorino Salari, claudicante (fratello del Senatore), Lorenzo Lucantoni, militare non riconsegnatosi e una donna, moglie di un ferroviere, sfollata di Valtopina, di origine tedesca.
Furono messi al muro sotto la minaccia delle armi: "Dove ribelli?"; "Banditen, kaputt!", gridavano".
La signora di Valtopina, che parlava bene il tedesco, gli fece capire che non c'erano i partigiani.
Allora, fecero salire sull' automezzo, Lorenzo, Amleto e la donna e partirono, lasciando vecchi e bambini.
Agostino Landrini, che intanto s'era nascosto, li seguì fino al mulino di Buccilli, così come farà la madre di Lorenzo.
Anzi essa, che non era presente al momento della cattura di suo figlio, arriverà fino al comando a Valtopina, perché convinta di trovarlo.
Invece, si sentirà dire che "tutti i prigionieri sono già in marcia verso la Germania".
"Che cosa ci ha fatto questa guerra!", ripeteva la signora col cuore straziato dal dolore, ritornando a casa.
Dei tre deportati di S. Giovanni non si saprà mai più niente. Il loro destino rimane ancora oggi nella parola "dispersi", che è più pesante della stessa morte.
Oggi di Lorenzo e Amleto sono rimasti i loro nomi scritti su una lapide, assieme ai caduti di S. Giovanni nella Prima e Seconda Guerra Mondiale, "per la ferma volontà di mia madre che aveva espresso il desiderio di ricordare suo figlio al 50° anniversario della scomparsa."
Ma, "non ci arriverà, lasciando a me quell'impegno, che ho onorato" (ricorda, visibilmente commosso, Marino, fratello di Lorenzo).
La mattina del 15 giugno, di buonora, un enorme boato, seguito da una serie di scoppi, svegliò il paese, terrorizzando soprattutto gli abitanti della zona di Vallegloria. I tedeschi di Villa Fantozzi, avevano fatto saltare il deposito delle munizioni che avevano nelle grotte, dove attualmente c'è il "Centro d'Infanzia".
In quegli ultimi giorni di permanenza dell' esercito tedesco furono fatti saltare diversi depositi di munizioni. A Villa Ruozi dettero fuoco a tutta la biancheria.
Le truppe germaniche cominciarono i preparativi per lasciare il paese. Ovunque portavano via tutto quello di cui avevano bisogno, soprattutto viveri e generi di prima necessità.
"Ricordo una mattina di quegli ultimi giorni di occupazione, si fermò a casa un soldato di appena 20 anni e mi chiese da mangiare" (racconta Elio Penna). "Ripeteva, "No paura!", "lo fame; mangiare. "
"Gli ofrii del pane e un po' di formaggio". Tra un boccone e l'altro, "divorati in un baleno", gli chiese: "Tu cattolico?!". "Sì" rispose Elio. E lui: "Ich auch" (Anch'io).
"Quella notte si fermò a casa. Lo ricordo ancora, mentre prima di addormentarsi si mise la pistola vicino alla testa".
Il mattino dopo, Elio, non l'ha più visto.
Di questi ed altri episodi analoghi, ce ne saranno stati tanti. Sicuramente ogni famiglia ne avrà avuto, piccolo o grande, in quei giorni in cui finiva il terrore di una guerra iniziata con vent' anni di dittatura e che aveva lacerato famiglie, distrutto amicizie, affetti, seminato odi, vendette, fame.
Intanto si pregustavano già i primi momenti di festa. I partigiani cominciavano a scendere dai monti.
Di tanto in tanto gli aerei "cicogna" alleati continuavano a perlustrare la zona, soprattutto la stazione e Villa Costanzi. Mentre dai Monti Martani gli Alleati tenevano sotto tiro, con i loro potenti cannoni, soprattutto Foligno, ma anche Spello.
Il via vai dei mezzi militari tedeschi si faceva sempre più frenetico.
"La mattina del 16 giugno ero a casa degli zii, in campagna, nella zona di Prato, quando vidi arrivare due tedeschi, che a vedermi mi portarono poco distante, dove dovevano caricare su un camion una motocarrozzetta (sidecar) che non partiva" (ricorda Edoardo Pergolesi, che allora non aveva ancora17 anni)
"Approfittai di un momento di distrazione e fuggii nel vicino campo di grano, per paura che mi portassero con loro".
La sera precedente all'arrivo dell'VIII armata inglese, una decina di tedeschi tra soldati e sottufficiali si fermarono alla casa dei genitori di Gioacchino Diotallevi, fratello di Antonio.
C'era un grande spiazzo sotto le mura della loro casa, con un grande fico, di fronte alla chiesetta di Sant' Anna, dove attualmente si trova la loro casa.
"Quella sera vollero cenare da noi e mia madre dovette preparare per tutti.
"Per fortuna mio padre qualche giorno prima aveva portato via dalla cantinola il vino, l'olio e il prosciutto, altrimenti l'avrebbero portato via il mattino, come fecero con l'asino."
Il primo ad aver notizia dell' arrivo degli alleati a Foligno, la mattina del 16 giugno 1944, fu Fosco Fusaglia:
Fosco era tra i tanti militari rientrati dopo l' 8 settembre 1943 e non più ripartito.
Si nascondeva, con la famiglia sfollata, nella zona di Prato, nella casa di Peppoloni. "Quella mattina, io e mio fratello Fosco, andavamo verso il paese, quando incontrammo diversi automezzi militari tedeschi fermi davanti alla casa di Porzi. Ad un certo punto, Fosco, che nell' esercito aveva fatto il marconista, per caso captò il messaggio che in quell'istante i tedeschi stavano ricevendo" (racconta Ivo, il fratello).
"Sai?", mi disse, "gli inglesi sono arrivati a Foligno".
"E chi te l'ha detto?, gli feci io".
"Hanno appena ricevuto il messaggio", fu la sua risposta.
Infatti, "subito dopo vedemmo gli automezzi partire verso il cimitero" .
"La notizia dell' arrivo a Foligno degli inglesi, ce la portò un mio cugino che faceva la staffetta ai partigiani" (racconta anche Francesco Scarponi).
A sentirla, i suoi genitori esultarono di gioia.
"E' finita la guerra!!!", gridarono.
"Il giorno dopo a casa, alla Chiesa Tonda, s'è fermato un gruppo di inglesi. Hanno trascorso la notte. Ricordo che dopo cena ci hanno regalato alcune stecche di cioccolato. Era la prima volta che la mangiavo" .
Il mattino dopo, "Abbiamo visto i corpi di due tedeschi vicino a casa". "Erano stati uccisi dai blindati inglesi la sera prima, mentre fuggivano" .
Intanto l' autocolonna dell' VIII armata, che era preceduta da un mezzo blindato con due fila di soldati ai lati, era formata da indiani, con i famosi "turbanti", polacchi, greci, canadesi e perfino australiani. Alloro arrivo a Borgo si fece una grande festa, come anche in piazza del Comune e in molte case, come in quella del De Romano Luigi, su a Monterione, nella cui mansarda erano ancora nascosti Armandino Fagotti, Giuseppe Buono, Olivi ero e Dante Fioriti, che alla notizia dell' arrivo degli inglesi scesero in strada per unirsi ai festeggianti, tra cui c'era don Giovanni Benedetti (futuro vescovo di Foligno e Spello).
"Una jeep si fermò proprio davanti a casa" (racconta Elio Penna).
"Un soldato, in inglese, mi chiese qualcosa che non capii. Chiamai subito Rosella Pandolfi, vicina di casa, che sapeva parlare bene l'inglese. Così venni a sapere che avevano chiesto se c'erano dei ponti minati nella zona.
Mentre l'esercito Alleato entrava vittorioso, si consumava l'ultima tragedia sul territorio spellano.
I soldati della Wehrmacht in ritirata, "fucilarono Silvio Pierella, appaltatore nel casello n.5-791 sul tratto ferroviario Foligno Terontola. .
Il Pierella lasciava la moglie e 6 figli, la più grande di 22 anni" (come si legge da una lettera del Sindaco, Ing. Filippo Preziosi al Capo Divisione e Direttore dei Lavori delle FF.SS. di Ancona, per
fare assumere uno ( e unico) dei figli maggiorenni della vittima, viste le precarie condizioni economiche della numerosa famiglia).



(I) Da una lettera del segretario del PNF inviata il 30.3.1944 al Prefetto di Perugia si chiedeva di: "Spostare tale orario dalle 22 alle 20 e dalle 4 alle 6, in considerazione dell'ora legale in vigore dal 3 aprile p.v., per dare modo agli operai di portarsi e ritirarsi dal lavoro senza necessità del permesso".


(2) Abbreviazione di Johannes


(3) "E' tra gli artefici della costituzione della Luftwaffe, aeronautica militare tedesca,
e capo del suo stato maggiore. E' il massimo responsabile delle atrocità commesse nella repressione della guerra partigiana in Italia. Il 6.5.1947, a Venezia, il tribunale inglese emette la sentenza: "Condanna a morte per fucilazione". Ma, due mesi dopo (il 4 luglio) il riesame del caso "commuta la pena in ergastolo". Il 23 10.1952 viene amnistiato" (da "l'Unità" del 31.7.2001).


(4) Uno dei padri più prestigioso della Costituzione Repubblicana, giuri sta fiorentino, dall' alto valore etico, quando nel 1953, quasi mezzo secolo fa, pareva che "i fascisti potessero tornare, sotto mentite spoglie, nell'aula di governo, sotto la spinta della destra democristiana e vaticana", cosÌ affermava: "Nell' aula dove fu giurata la Costituzione sono tornate da remote caligini i fantasmi della vergogna troppo presto dimenticati"(da un articolo di Romolo Menighetti, apparso sul quindicinale "Rocca" della Pro Civitate Christiana-Assisi). A cinquant' anni quel presagio si è concretizzato, divenuto drammaticamente d'attualità.

(5) Anzi, non si trattò di ritirata, ma di un lento, abile ed ordinato ripiegamento che segnava ancora le piazze e le strade, di stragi ed orrori, non solo a Marzabotto, alle Ardeatine, a Sant' Anna di Stazzema (LU), Barletta (BA), Boves (CN), ma a Marsciano, aGubbio dove i t~deschi, "a seguito di una rappresaglia, fucilarono 40 civili scelti tra 150 rastrellati" (da "Antifascismo e Resistenza nella provincia di Perugia).

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