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(umbria)Memorie di un ribelle
by aff Sunday, Apr. 24, 2005 at 7:02 PM mail:

MEMORIE DI UN RIBELLE settembre 1943 - maggio 1945 Le prime azioni della brigata Garibaldi

Nei giorni successivi all’armistizio per iniziativa dei tre amici Cantarelli, Cecconelli, Fiore s’erano tenuti in "San Carlo" incontri con i giovani che si mostrarono sensibili e favorevoli al
progetto di organizzare la partenza per la montagna. Il conflitto con i familiari fu naturale, e più che legittimo il pianto delle madri, che fece desistere alcuni dal proposito.
Adelio lasciò ad altri il compito di soccorrere la propria in lacrime e capì che bisognava far tacere gli affetti, primi ad esser colpiti dalla logica della guerra. Imboccò la sua strada sapendo d’andare a rischiare la pelle. Inaccettabile e inverosimile egli ritiene l’infelice abusata immagine di quel salire sui monti "quasi per una avventurosa scampagnata (1)". Se non fossero stati gravi
gli avvertimenti di morte che provenivano da tutta Europa, specie dai bombardamenti, almeno a qualche seria riflessione doveva indurre il pianto accorato delle madri! Altro che allegre
passeggiate e gustose merende!
I problemi che attanagliavano la mente di molti intellettuali e politici di professione si presentarono anche a loro, ma non produssero i noti attesismi o i meno noti opportunismi (2). Accantonarono
l’idea di privilegiare le attività caritative, proprie dei seguaci di Cristo e anche molto necessarie, per il dilagare della guerra, la penuria di generi di prima necessità, il numero crescente degli sfollati; questo compito svolsero gli ordini religiosi salvando, com’è noto, tante vite. Si caratterizzarono invece
come "sancarlisti" combattenti, decidendo in questo senso subito dopo l’armistizio, senza portare odio nel cuore e senza voler fare vendetta, come dimostrarono i loro comportamenti in ogni occasione.
L’assistente del "San Carlo" consapevole della decisione, il giovane don Odorisio Capoccia, al momento della partenza benedisse i suoi bravi e buoni amici, pronti a uscire fuori al momento
giusto, sicuri che ne valeva la pena.
In montagna, a Raticosa, nel settembre del 1943 i "ribelli" folignati non erano molti, come s’è visto;
nelle "retrovie" erano presenti e attivi uomini e donne del Comitato di liberazione nazionale,
organizzato in clandestinità; ma bisognava aumentare il numero degli uni e degli altri22. Non era giunto ancora il momento di fare piani strategici difensivi o offensivi; bisognava affrontare i problemi di equipaggiamento e approvvigionamento, insomma i rifornimenti di viveri armi munizioni vestiario
medicinali denari alloggi, bisognava occuparsi anche delle relazioni con la popolazione locale a volte subito amica a volte diffidente e timorosa a volte poco affidabile. Quella che stava dalla parte dei "ribelli", dovendo scendere al piano per il mercato dei propri prodotti, legna e formaggio, si mostrò ben presto capace di assumere e riferire le informazioni utili sui movimenti
delle truppe tedesche e delle squadre fasciste. Si distinse per l’efficacissima collaborazione Pietro Mattei (3) di Cupoli detto "maresciallo" dai partigiani e "pietruccella " dai compaesani,
un cinquantenne che riusciva a coinvolgere e trascinare
gran parte della gente cercando di vincere ogni forma di diffidenza
e di omertà; al suo ricordo è rimasto legato il sentimento
di profonda riconoscenza dei partigiani. Ad una buona radio
trasmittente ricevente era addetto lo studente d’ingegneria Socrate Mattoli (detto Chicchio).
Olio, pasta, zucchero, sale, medicinali, vino e sigarette venivano riforniti per la via di Ponze dal Comitato di liberazione nazionale di Foligno, un primo "audace e fedelissimo nucleo di
Volenterosi (4)” formato da Benedetto Pasquini presidente (5), monsignor Luigi Faveri, e da rappresentanti di tutti i partiti che dal fascismo erano stati soppressi (6). Per ogni partigiano occorreva
l’opera di resistenti civili procacciatori di aiuti materiali e di altrettanti generosi donatori, la collaborazione di numerose staffette fra cui alcune donne. In proporzione dei combattenti
s’ingrossava l’esercito della Resistenza nelle "retrovie"; e vi erano dei quindicenni! I partigiani ricevevano talvolta la visita di qualche esponente del Comitato di liberazione; in questi incontri
si trattava dei piani di attacco e di difesa, e del reclutamento dei giovani. L ’intesa non mancò mai fra combattenti e civili anche per la saggia convinzione del comandante Cantarelli di doverla mantenere e consolidare a ogni costo; le varie posizioni ideologiche non avevano ancora preso il sopravvento e comunque prevalse lo spirito di tolleranza nella brigata Garibaldi.
Per le bande partigiane operanti in Umbria non esistette altro collegamento se non con i Comitati di liberazione clandestini e con i partiti che ne facevano parte. Una struttura militare gerarchica si costituì soltanto nella primavera del 1944 nel nord d’Italia con un comando unico e se tardivamente poté estendersi anche al centro lo fu in maniera tale che non se ne percepì alcuna efficacia.
Il rifornimento della carne costituì inizialmente il problema più grosso, cui lo stesso Comitato da solo non poteva provvedere; si trattava infatti di toccare interessi considerevoli di cittadini che si sentivano estranei, quanto meno, alla situazione.
L’ orientamento adottato fu quello di trattare con i proprietari di bestiame e di evitare le requisizioni o i colpi di mano che invece si resero necessari. Siccome non si poteva continuare a
mangiare per troppo tempo soltanto minestrone o pasta asciutta, brodo di pecora o sangue di maiale (lavorazione che si faceva in ogni casa), quando andava bene un boccone di pecorino e di affettato, in cambio generalmente di sale; quando andava peggio qualche cornacchia, decisero per non gravare sulla popolazione meno abbiente di procacciarsi la carne operando un grosso colpo di mano nella stalla e gli annessi recinti della tenuta detta il Casone sul piano di Colfiorito nel paese di Taverne
(m. 758 alt.), frazione di Serravalle del Chienti. I proprietari Sordini avvertiti di quanto stava per accadere non denunciarono il fatto all’autorità competente se non altro per il timore di eventuali rappresaglie. Di notte una ventina di partigiani s’impadronirono di alcuni capi di bestiame e, chi a cavallo chi a piedi per i sentieri coperti di ghiaccio, li guidarono a destinazione nella zona di Vallupo e di Cancelli, curando di non andare mai allo scoperto, non potendo tuttavia evitare gli attraversamenti
pericolosissimi della strada Val di Chienti, oggi statale 77, e di altre strade minori. Le bestie furono tenute a brado e settimanalmente ne ammazzavano in genere una, che veniva macellata dai montanari esperti. Si sfamavano i partigiani ma anche la popolazione anch’ essa bisognosa alla quale si consegnavano sale e altri generi di prima necessità. Ogni volta che veniva offerto ai partigiani un quantitativo di viveri il comandante rilasciava una dichiarazione ai proprietari con la quale avrebbero
potuto ottenere un indennizzo dal Comitato di liberazione nazionale che faceva fronte all’impegno. In seguito toccò al lanificio Tonti presso Rasiglia di essere costretto a fornire un considerevole
quantitativo di tessuto di lana, che doveva essere prelevato dai tedeschi e invece fu consegnato ai partigiani e alla popolazione(7). Da qui la famosa e sofferta nomea di "briganti".
A Taverne, dove si sono recati, Adelio e Fausta hanno avvicinato alcuni paesani intenti ad aggiustare il marciapiede avanti l’uscio di casa. Bisognava disporre l’animo a sentir dire tutto
il male possibile dei partigiani senza tradirsi, pena l’insuccesso della nostra visita. Così c’informano che in più sortite i partigiani presero dal Casone di Sordini 44 mucchette, 30 vacche
grosse, 30 cavalli, un toro di dodici quintali per ucciderlo a Dignano. Altri testimoni ricordano un rastrellamento dei tedeschi che trovarono sessantaquattro uomini a Colfiorito, ma nessuna
arma e perciò non infierirono. Trovarono anche dodici renitenti alla leva, li presero, li misero in divisa a Macerata, poi li mandarono a Pesaro, di lì i prigionieri partivano per la Germania.
Ma un bombardamento consentì loro una fuga fortunata e in sei giorni di marcia, 23-29 marzo 1944, ritornarono in paese e s’imboscarono nei dintorni, tornando a casa di soppiatto per prendere i rifornimenti quando lo permetteva il lenzuolo che sventolava dalla finestra in segno di via libera. Nessuna simpatia per i partigiani recepimmo in questo incontro a più di quarant’anni dalla Resistenza. Taverne, ci dicono, era segnata in "nero" sulla carta dei tedeschi e questo per noi era buon segno
e motivo di tranquillità per tutto il paese. Infine si sfogano parlando, o meglio sparlando, delle "nefandezze" compiute dai partigiani che rubavano, della "cattiveria" di due montenegrini che taglieggiavano la gente e soprattutto di due "carogne": Pasquale (8) il romano evaso dal carcere di Regina Coeli, che fu fucilato insieme al suo braccio forte presso il cimitero di Pieve Torma, anche perché aveva ucciso il partigiano Angelo Morlupo della brigata Garibaldi, e ciò sembra accertato; e il suo complice, un tale che pare abitasse a Foligno nella via sotto l’orologio del palazzo del municipio, e non sappiamo se sia vero. Infatti non è la verità che si vuole stabilire con questi incontri con la gente a più di quarant’anni, e con questi racconti. È interessante
invece l’immagine che possono offrire della lotta partigiana persone che furono coinvolte dalla furia degli eventi, ma rimanendone spettatori intenti solo a salvare la propria pelle.
Oltre ai gruppi di partigiani e di famiglie sfollate dalle città vicine, in montagna si rifugiava gente d’ogni specie: sbandati e imboscati, ex prigionieri di guerra iugoslavi, russi, inglesi, greci,
americani, scappati dal campo di Colfiorito, insieme a reduci, fascisti travestiti, doppiogiochisti, delinquenti comuni, squilibrati.
Tutti cercavano di eclissarsi e mimetizzarsi: nell’andirivieni per monti e per valli in ogni sconosciuto poteva nascondersi un nemico, una spia. La gente, quella ospitale dei villaggi, pagava dovendo accogliere e sfamare individui di passaggio e finirà spesso per subire feroci rappresaglie dei tedeschi. I partigiani potevano ancora accostarsi e mescolarsi alla popolazione. Il peggio doveva venire... Bisognò evitare di trovarsi in gruppo allo scoperto, perché i tedeschi mandarono in ricognizione un velivolo insidioso, la "cicogna", dal quale potevano fare fotografie che ingrandivano per identificare, con l’aiuto delle spie, luoghi e persone frequentate dai partigiani: in questo modo, sorpreso dall’obbiettivo in compagnia di alcuni giovani armati, fu riconosciuto, arrestato il 3 febbraio 1944 il parroco di Casale e Cancelli, Pietro Arcangeli, con altri internato in
Germania da cui molti non tornarono. Morti e deportati sono ricordati in una cappella votiva eretta sulla cadente Maestà di Cancelli, meta dell’annuale celebrazione del 25 aprile (9)
Era ora di scendere dai monti per compiere audaci colpi di mano per il rifornimento delle armi. Il primo s’effettuò il 26 ottobre 1943 dentro la città di Foligno per prelevare armi depositate presso gli orti del floricultore Cerbini, durante il quale perse la vita Franco Ciri(10). Battesimo di sangue nel primo scontro con i fascisti di Foligno. Seguirono ricchi bottini prelevati dalla Chiesa di Sant’Agostino (in via Garibaldi) trasformata in magazzino fornitissimo d’ogni tipo d’indumenti militari italiani,
scarpe zaini coperte vestiario. A guardia c’ erano i fascisti, però attraverso uno spioncino collocato nell’abside un giovane prete rettore del seminario, Venanzo Crisanti31, poteva controllare la situazione in modo che il furto non venisse scoperto: infatti una volta i partigiani dovettero scappare. Bisognava approfittare dell’ora del pranzo quando i guardiani chiudevano la chiesa. Attraverso un cunicolo che dalla sacrestia immetteva in un confessionale entravano i partigiani armati e scalzi (Cantarelli e Fiore); si caricavano sulle spalle moltissima roba e via nel cunicolo e da questo nei locali adiacenti del seminario che avevano
un’uscita secondaria quasi sconosciuta sulla via Nicolò Alunno. Un fidatissimo carrettiere, "resistente" delle retrovie, certo Cardinali32, sopra il suo carro tirato dal cavallo caricava la refurtiva camuffata con arte e la portava a destinazione salendo a circa m. 800 sino a Ponze, dove il bottino si smistava a
dorso d’asino verso Raticosa, Cupoli, Cancelli, Civitella, Vallupo, dovunque esistesse un nucleo di partigiani della "Garibaldi".
Le operazioni di equipaggiamento ripetute per sei o sette volte andarono bene anche sotto la furia del primo bombardamento della città, 22 novembre 194333, che seminò gravi lutti e rovine. Adelio trasportò varie salme all’obitorio e altri trassero dalle macerie la statua lignea della Madonna "Patrona di Foligno" crollata con la omonima Chiesa della Madonna del Pianto vicinissima a quella di sant’Agostino.
Si studiava il modo di recuperare le armi che i militari dopo l’armistizio abbandonavano. Se ne ebbero informazioni dal partigiano Antonio Pizzoni34 fornaio di Belfiore e in quel paesino pianeggiante, distante cinque chilometri circa da Foligno e anche meno dal Sasso di Pale, scesero quattro partigiani, Bernardo Toni, Marcello Cerretti, Adelio Fiore, Bruno Serlupini, sull’imbrunire di un tiepido giorno di novembre del 1943, passando per la frazione di Casale (m. 838 alt.) e per i sentieri più riparati. Dovevano prendere sei fucili e munizioni depositati e nascosti da antifascisti belfioresi dentro una capanna sul fiume Topino nei pressi di Scanzano località sulla linea ferroviaria Foligno-Ancona, sede d’un carnificio militare divenuto in tempo di guerra fabbrica di maschere antigas35. Proprio in quella notte Adelio ricevette in dono un’arma preziosa da un alto esponente della Resistenza, membro del Comitato di liberazione, il "sor" Fiore ovvero l’ex deputato socialista Ferdinando Innamorati, che sarà sindaco di Foligno liberata36. Volendo parlare con il gruppetto di coraggiosi "garibaldini", si fece trovare sulla strada e poi rientrando un attimo in casa ritornò con la sua pistola a tamburo e la mise nelle mani di Adelio:
— La tenevo nascosta — disse — aspettando la buona occasione. Questo mi pare il momento giusto per consegnarla a voi che avete forza coraggio necessità di usarla, che in questo momento io non ho.
Alludeva alla sua età e ai suoi acciacchi. Fece con loro un vibrante discorso, basato sui principi di libertà giustizia e amor di patria. Si abbracciarono commossi e furono subito inghiottiti
dal buio.
— Quel linguaggio politico nuovo per me, la passione di cui era pervaso fino allora a me sconosciuta, mi rimasero scolpiti nel cuore — afferma Adelio.
Il giorno successivo a quell’avvenimento in piccoli crocchi a Belfiore si commentò il passaggio dei "ribelli" circonfuso di leggenda e ne fu testimone Fausta che vi si trovava sfollata ed ebbe
modo di riflettere con gli amici:
— Per racimolare sei moschetti i partigiani rischiavano la vita scendendo nel grosso borgo di Vescia Scanzano?
— Sì; la Resistenza si nutriva di granellini e si faceva strada con piccole, piccolissime imprese, sempre rischiose e determinanti. Nella stessa foto famosa si può osservare che i primi "ribelli" avevano in dotazione più fucili da caccia che moschetti.
Sembra incredibile: la Resistenza nei primi mesi del 1944 riuscirà a tenere impegnate intere divisioni tedesche nell’Italia centro-settentrionale distogliendole dall’obiettivo principale che
erano le armate alleate37.
Poiché le file dei "garibaldini" s’ingrossavano, essi studiarono i piani d’attacco alle caserme dei carabinieri e della milizia volontaria fascista, dislocate in varie località dell’Umbria e delle
Marche, sulle quali erano informati in tutti i dettagli utili al successo dell’azione. Così il 13 dicembre 1943, consigliando gli informatori le ore della sera come le più opportune per scongiurare
complice il buio il sopraggiungere d’immediati rinforzi, avvenne l’assalto alla caserma dei carabinieri di Casenove di Foligno (m. 572 alt.). Il paesino gode della sua posizione mediana tra le colline e le montagne del folignate, si assiepa lungo la statale 77 che l’attraversa per tutta la lunghezza; la caserma dei carabinieri è un’ampia costruzione regolare in vedetta su di un’altura, allora sgombra da altre case. L’accerchiarono e dopo aver aperto il fuoco intimarono la resa, che fu pronta.
Fecero prigionieri cinque uomini, che consegnarono armi e munizioni ai trenta partigiani. Tagliarono i fili del telefono e scapparono.
I prigionieri furono condotti ad Acqua Santo Stefano, altro villaggio a pochi chilometri da Raticosa; non fu quella tra le più lunghe camminate (di circa un’ora e mezza soltanto), ma assai scomoda e faticosa. La segreta intenzione era di liberarli.
Servivano però le scarpe, le sbirciarono, erano belle, quasi nuove; e prima di rimandarli a casa se ne impadronirono consegnando le proprie ai carabinieri, talmente logore e sfasciate che qualcuno di loro dovette rimanere scalzo. Il giorno dopo ebbero la bella sorpresa di vedere arrivare a Raticosa il vice brigadiere trentenne che chiese di essere arruolato.
Ma era solo l’inizio, le più grandi prove dovevano ancora venire

1 M. ARCAMONE, La brigata Garibaldi, in "Resistenza", cit. L 'autore riferisce
un giudizio molto diffuso, di cui non si conosce la fonte: avverso o favorevole
ai "ribelli"?

2 «Vi furono in Italia – com'è naturale e come avveniva nel più delle Nazioni
–quelli che stettero a vedere... che non si pronunciarono... che si rimpiattarono
nelle cantine morali dell'attesismo e dell'opportunismo» (M. SALVADORI,
Breve storia della Resistenza italiana, Firenze, 1974, p. 21).

3 Pietro Mattei è attestato come partigiano: brigata Garibaldi di Foligno,
n. 3433 dal 1.10.1943 al 30.6.1944 (cfr. per le fonti nota n. 13).

4 L. FAVERI, Comitato pro patrioti brigata Garibaldi. Commemorazione dei Caduti,
cit., pp. 3-4.

5 Benedetto Pasquini (Foligno, 1889-1967) avvocato, di vasta cultura e
competenza amministrativa, rivestì il doppio ruolo di commissario prefettizio
al Comune di Foligno all'epoca del federale e prefetto A. Rocchi e di
Presidente del Comitato di liberazione nazionale a Foligno, destreggiandosi
in un pericolosissimo doppio gioco per favorire i rifornimenti verso la montagna
per i partigiani (cfr. F. FRASCARELLI, Contributo ad uno studio sui cattolici
umbri per la Resistenza, in Politica e società in Italia dal fascismo alla Resistenza,
cit., pp. 387-388).

6 I membri del Comitato di liberazione nazionale sono attestati nel documento
Riconoscimento partigiani dell'Umbria (cit. n.13): n. 3049 Ciangaretti
Vincenzo, n. 3071 Ciro Ciri, n. 3072 Caputo Olga Ciri, n. 3102 Ferroni Ulderico,
n. 3139 Innocenzi Vincenzo, n. 3206 Nicoletti Giulio, n. 3243 Passarelli
Pula Donato, n. 3248 Pasquini Benedetto (presidente), n. 3357 Faveri don
Luigi, n. 3362 Raponi Giuseppe, n. 3406 Innamorati Francesco, n. 3871 Palmieri
Ottorino, n. 7090 Innamorati Ferdinando, ai quali si dovrebbero aggiungere
Monti Edmondo (n. 3181) e Ercolani Decio (n. 3355). Membri del
Comitato di liberazione nazionale clandestino sono attestati Ciangaretti,
Caputo Ciri, Innocenzi, Nicoletti, Faveri; nel documento citato possono riscontrarsi
omissioni come nel caso di Ferroni e di altri. Pertanto si rimanda
alle pubblicazioni locali citate nella nota 12 per il confronto.

7 [A. CANTARELLI], Relazione sull'attività svolta dalla brigata Garibaldi dal settembre
1943 al luglio 1944 in L'Umbria nella Resistenza, cit., II, pp. 464-465:
«generi alimentari sottratti alla vendita degli esercenti», «forte quantitativo
di stoffa militare e civile». La citata relazione risulta anonima, ma il comandante
Cantarelli, firmandola la presentò alla Commissione regionale competente
in una riunione cui parteciparono tutti i comandanti e lo stesso Filipponi
della Gramsci di Terni. La stessa Relazione con il suo nome circolò fra
gli ex partigiani di Foligno.

8 I comandanti partigiani che operando in Umbria non trovano nelle varie
storie una dimensione giusta si limitano a due soli nomi (M. SALVADORI,
Breve storia della Resistenza, cit.): il capitano Melis e il comunista Pasquale (p.
186 e p. 97), presentati come antagonisti (p. 26). Nella storia locale essi occupano
un ruolo deludente. Il comandante Melis piuttosto misterioso, un ufficiale
di Spoleto perseguitato dai fascisti che minacciavano la famiglia, risultò
introvabile, nonostante l'aiuto e l'ospitalità di N. Lanzi, anche al partigiano
Adelio Fiore che ebbe il compito di cercarlo nel territorio di Norcia per
organizzare con lui un incontro con la brigata Garibaldi di Foligno nel dicembre
1943. Il "comunista" Pasquale fu giustiziato dal tribunale di guerra
straordinario a Pieve Torina (cfr. Dalla Resistenza alla Liberazione. La brigata
Garibaldi, settembre 1943-luglio 1944, in Speciale Resistenza, cit.

9 Cfr. P. ARCANGELI, Un prete galeotto, Foligno 1984. Don Pietro Arcangeli
non è attestato nell'elenco dei partigiani cit. nella nota 13, mentre risulta al n.
8 dell'elenco dei deportati redatto dal Comune di Foligno, in Il contributo di
Foligno nella lotta partigiana e nella guerra di Liberazione per il secondo Risorgimento
d'Italia, cit., p. 14. Cfr. P. ARCANGELI, A Cancelli 30 anni fa, in "Salire -
XXX della Liberazione", p. 11: «... propongo (già dal 1965) di ricostruire la
cadente Maestà di Cancelli trasformandola in Cappella Votiva» con lapidi
commemorative dei morti e dei deportati, per un appuntamento annuale
lassù. Il progetto e la direzione dei lavori furono eseguiti gratuitamente dal
partigiano geometra Adelio Fiore. Il Comune di Foligno partecipò con il
lavoro delle sue maestranze.

10 Ciri Franco è attestato: brigata Garibaldi di Foligno, n. 3391, 22.9.1943,
26.10.1943, militare, comandante di Battaglione, morto in combattimento a
Foligno (fonte cit. nella nota 13).
31 Crisanti don Venanzo (Foligno 1916-1957) è attestato: brigata Garibaldi
di Foligno, n. 3588 (fonte cit. nella nota, 13).

32 Il Cardinali non è attestato nell'elenco cit. alla nota 13.

33 Cfr. Il contributo di Foligno, cit.: Vittime delle incursioni aeree, 22 novembre
1943, totale 97 (p. 27); Danni per bombardamenti aerei, Incursioni aeree, n. 33
(p. 20).

34 Pizzoni Antonio è attestato: brigata Garibaldi di Foligno, n. 3221,
1.10.1943 -1.7.1944, militare, commissario politico di Battaglione (fonte cit.
nella nota 13).

35 Cfr. "Resistenza", numero unico a cura del Comitato per le celebrazioni
del ventennale della Resistenza, 16-21 giugno 1964, La tregua, p.5. Si legge
nella foto di un lasciapassare rilasciato dal comando tedesco delle SS di Perugia
il 21 maggio 1944 al capobanda Sandro: "fabbrica maschere contro i
gas di Vescia».
36 T. MARZIALI, Appunti storici sul movimento operaio nel folignate, Perugia
1975, p. 39, pp. 140-142; N. PROIETTI, Ferdinando Innamorati (Belfiore di Foligno 1877-1944) in "Bollettino storico della Città di Foligno", IX (1987), pp. 345-
359.

37 "L'Italia e la Jugoslavia tenevano impegnate una cinquantina di divisioni
tedesche e forze mercenarie considerevoli»: cfr. M. SALVADORI, Breve storia,
cit., p. 177. Anche D. MACK SMITH, Storia d'Italia, 1861-1958, Bari 1965, II, p.
774, che giudica abbastanza severamente, riconosce: "è certo che essi (i partigiani)
sia da soli che in collaborazione con gli Alleati, tennero impegnate
nell'Italia del Nord parecchie divisioni tedesche, e le loro imprese furono
senza dubbio un fattore determinante nel restaurare il "morale degli italiani
e la loro fiducia in se stessi. Senza dubbio combatterono valorosamente e
con scarsi mezzi».


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Il ferimento del comandante Antero Cantarelli
by aff Sunday, Apr. 24, 2005 at 7:11 PM mail:

Arrivò il Natale del 1943 e la Messa di mezzanotte. Nella chiesetta di Cupoli, eretta su di un terrapieno in mezzo a una decina di case e di stalle come in un presepe, le due campanelle civettuole del campanile tacevano, i "ribelli" erano mescolati alla gente amica della valle per assistere al rito celebrato da Angelo Lanna assistito dal parroco di Casale e Cancelli, Pietro Arcangeli. Nelle posizioni ritenute più idonee all’avvistamento tempestivo del nemico, che in quei luoghi boscosi privi di rotabili
poteva salire semmai solo a piedi e portando in braccio armi e munizioni (cosa assai improbabile), avevano predisposto come di regola il turno delle sentinelle: esse nella notte potevano
soprattutto ascoltare ed eventualmente segnalare rumori sospetti, poiché la guerriglia è senza confini ed espone a terribili sorprese. Nella omelia don Angelo affermò che compivano un dovere ed erano con la coscienza a posto coloro che combattevano contro i soprusi e l’oppressione e per l’affermazione della libertà, anche se ciò comportava l’uso delle armi. E i partigiani ricevettero il sacramento della Comunione quale salutare viatico.
Fu presto pieno inverno e freddissimo nel 1943-44; la permanenza di molta neve e gelo più che al nemico creò grandissime difficoltà ai patrioti. Ormai per dormire bisognava usare le stalle e in specie le mangiatoie per resistere al gelo notturno e di giorno quando si era bagnati cercare un focolare acceso, coinvolgendo ancor più la gente esposta alla rappresaglia tedesca.
Subito dopo Natale in una riunione tenuta a Raticosa il comando della brigata prese la decisione di operare un trasferimento di tutta la formazione nel territorio delle Marche38, tenendo conto delle informazioni ricevute, studiata bene la mappa e definiti chiaramente gli obiettivi e le strategie. La pausa di riflessione servì ad elaborare una linea complessiva d’ azione che fu portata avanti nei mesi di gennaio e di febbraio prevalentemente volta ad assalire le caserme per il prelievo di armi e munizioni39, ma anche a portare sostegno e rinforzi a gruppetti ancora deboli di partigiani del maceratese e mettere il fermento della rivolta fra quelle popolazioni. Pertanto negli ultimi
giorni dell’anno 1943 la Brigata attraversando le zone di Seggio, Colfiorito, Taverne (m. 916, m. 758 alt.) si muoveva alla volta di Serravalle del Chienti, Pieve Torina e Camerino per disarmarne
le caserme simultaneamente.
A questa importante e complessa operazione contribuì l’aggregazione d’una nuova forza rappresentata da un impavido gruppo di partigiani di Spello, già arruolati nella "Francesco
Innamorati" e già distintisi in azioni coraggiose, i quali erano rimasti isolati da quando la brigata Francesco Innamorati si era allontanata da Foligno, spostandosi a nord nella zona di monte
Malbe in una grande ansa del Tevere fra Umbertide e Castel del Piano40.
Era la sera del 31 dicembre 1943 e si metteva a nevicare. I partigiani s’accamparono parte a Taverne, parte a Dignano, parte a Borgo di Dignano di Serravalle del Chienti. Colti dalla bufera dovettero sostare e furono ospitati nelle case, nei magazzini,nelle stalle. Nella notte fece tanta neve che al mattino bisognò uscire di casa dalle finestre.
Dignano, arrampicato sui novecento metri di altezza fuori della strada principale (SS. 77 della VaI
di Chienti), consente un’ampia veduta panoramica che abbraccia Taverne e il piano di Colfiorito fino alla cima del monte Acuto; si vedeva bene che il tempo non prometteva nulla di buono. Incerti se proseguire o no, si fermarono due giorni e poi approfittando d’una schiarita decisero di riprendere la faticosa marcia, mentre la neve alta anche un metro e mezzo li obbligava ad abbandonare la mulattiera incisa profondamente fra i monti e a camminare più in evidenza e più scomodamente sulle
scarpate.
La "Garibaldi" s’era tanto incrementata che i sessanta partigiani giunti ormai a Massa Profoglio (m. 767 alt.) poterono suddividersi in tre gruppi; il più consistente doveva dirigersi su Camerino, dove le due caserme di carabinieri e fascisti erano tenute dal numero più forte di circa quaranta uomini; gli altri due gruppi partirono per Serravalle e Pieve Torina contemporaneamente 41. Quelli che mossero su Camerino, dopo una sosta a Morro, vi giunsero il 4 gennaio e disarmati i carabinieri riuscirono
a farsi aprire la porta della caserma dai fascisti con un inganno, avendo per strada catturato un milite dei loro; lo usarono per piombare dentro all’improvviso, mentre il comandante Cantarelli intimava la resa dicendo:
—Siamo in tremila, abbiamo nelle mani la caserma dei carabinieri e il paese è circondato! L’azione vittoriosa e molto violenta terminò con un’arringa del comandante in piazza42.
Ritornando da questa impresa in una sosta a Dignano, Adelio Fiore incontrò il partigiano Markos, robusto e rude capitano montenegrino in divisa grigioverde e stella rossa sul berretto, e un suo compagno Branco, esile studente di filosofia, che parlava perfettamente l’italiano. Ebbe un lungo interessante colloquio con loro accanto al fuoco in una casa sistemata su di un rilievo dentro un recinto di pietra dove si riparavano e potevano anche combattere. Volle conoscere la storia dei prigionieri
jugoslavi del campo di concentramento di Colfiorito, che dopo l’8 settembre si aggregarono alla "Garibaldi" in piccola parte (circa venti uomini). Markos, che aveva già sostenuto la
lotta partigiana nel suo paese, si dichiarò come il suo amico di fede comunista, mentre di altri slavi sapeva che erano d’ideologia molto diversa dalla sua, "fascisti" secondo lui e lo disse con durezza. Tutti e due morirono in combattimento contro i tedeschi43. Adelio poté dire ai suoi compagni:
— Ho conosciuto uomini di profonde convinzioni antifasciste che continuano a combattere per la loro idea anche in terra italiana.
Seguì l’assalto alla caserma di Nocera Umbra (m. 547 alt.), ma questa volta lo stratagemma del partigiano travestito da carabiniere non funzionò; il maresciallo dei carabinieri prontamente sparò un colpo di moschetto da circa dieci metri colpendo al viso il comandante Cantarelli44. Fu abbandonata immediatamente l’azione e nella notte (13-14 gennaio 1944) i partigiani corsero a cercare un rifugio fuori della città, non riuscendo neppure a rendersi conto della gravità del ferimento. Il partigiano Mauro Antonini medico di brigata prestò le prime cure al comandante, mentre questi riprendeva i sensi lamentandosi per il fortissimo dolore. Trovata nei paraggi una treggia che i contadini erano soliti tenere sull’aia, fattosi giorno fu adagiato su quell’attrezzo per essere trasportato a Seggio (m. 916 alt.), paesino non molto lontano da Colfiorito, e quindi a Barri (m. 665 alt.), località più vicina a Scopoli.
In quella notte memorabile un po’ a piedi un po’ in bicicletta Adelio raggiunse Spello (m. 313 alt.) per chiamare un medico e portarlo presso il ferito; sapeva di poter contare sull’aiuto del coraggioso dottor Mario Marchionni45, che si offrì generosamente essendo medico della brigata (cognato del primo caduto Franco Ciri). Salirono insieme sui monti per qualche tratto aiutandosi con la bicicletta. Il dottore constatò che, oltre alla perdita di vari denti, il comandante aveva riportato la frattura della mandibola sul lato sinistro, dove il proiettile era entrato e poi uscito ferendo e solcando anche il collo. Questo grave ferimento costò a quel giovane di ventisette anni una menomazione visibile permanente, risultandone infine compromessa la funzione della masticazione.
I partigiani ovviamente non disponevano di ospedali militari per i loro feriti come non disponevano di campi di concentramento o di carceri per i loro prigionieri, condizioni queste che sono tipiche della guerriglia insieme con la mancanza di localizzazione, di mezzi pesanti, di salmerie. Il destino dei guerriglieri è quello di assecondare la fantasia e la leggenda in tutte le parti del mondo. Il ferito aveva assoluta necessità d’una visita e delle cure di un chirurgo dentista, ma tutto doveva avvenire
nella più completa clandestinità. Come fare?
Mentre veniva occultato nel convento dei Cappuccini di Spello, previ accordi, per avere nel più breve tempo cibo e cure adatti alle sue gravi condizi, Adelio doveva reperire urgentemente un dentista e pensò di rivolgersi al suo e della sua famiglia, il dottor Gastone Biondi, ex segretario politico, ex podestà di Foligno, al 1937 rettore della Provincia di Perugia, nientemeno
46! Per sfuggire ai bombardamenti, come gran parte dei cittadini,
si trovava, beato lui, nella confortevole "villa dei pini", in parte requisita da un comando tedesco, a Petrignano d’ Assisi.
Anch’egli munito di bicicletta e ferri chirurgici andò a curare il partigiano, asportandogli denti spezzati e allentati e osso di mandibola, dicendo che era necessario fare una lastra per un intervento successivo; e non li tradì.
Allarmati per il grande movimento di tedeschi che si notava nella cittadina di Spello, i "garibaldini" decisero di portare il ferito al convento dei Cappuccini di Foligno; essendo fuori del centro urbano dava maggiori garanzie di relativa tranquillità...
Per l’intervento Adelio fu consigliato di rivolgersi a un dentista di Perugia. Dovette procurarsi una lettera di presentazione indirizzata da monsignor Luigi Faveri al vicario dell’arcivescovo di Perugia, e quindi accompagnò l’amico.
Ma come avvenivano tutti gli spostamenti e cosa si rischiava?
Evidentemente la cattura.
Con il pensiero della cattura il partigiano viveva ininterrottamente, era molto più temuta della stessa morte per le sue conseguenze. In questa circostanza la scommessa da vincere, la vittoria da registrare doveva essere proprio quella della impossibile cattura. Per trasportare il ferito dalla montagna a Spello, da Spello a Foligno, bisognò più volte transitare per le strade piene
di mezzi militari dentro un furgone d’un trasportatore di mestiere, il bravo Mario Lupparelli47 che generosamente si metteva a disposizione dei partigiani quando c’ era bisogno. Si viaggiava disarmati e nascosti sotto le coperte. Così fecero i due amici. Ma il tragitto Foligno-Perugia dovettero effettuarlo con un’automobile privata, nientemeno, e senza poter far ricorso a un assurdo travestimento.
Furono sistemati nei locali adiacenti alla cattedrale di Perugina dove stettero nascosti per alcuni giorni, quasi una settimana.
Ma per i pasti dovettero frequentare il ristorante Altromondo (via Caporali), famoso per le sue sale chiamate "Inferno, Purgatorio, Paradiso"; era in parte requisito dai tedeschi. Bisognò in ogni modo acconciarsi all’ ambiente, sbarbarsi bene, vestirsi con cura, sciarpa al volto del comandante per nascondere la ferita. Del ferimento del comandante della brigata già si parlava in giro e il suo amico Fiore era conosciutissimo a Perugina quale giocatore di calcio... tanto da essere invitato dal giocatore perugino Guido Mazzetti a partecipare a una partita di beneficenza contro una squadra tedesca!
Al dentista Fuso (che aveva lo studio in corso Vannucci, 87) prudentemente si raccontò che la ferita era stata causata dalla scheggia d’un bombardamento. Il radiologo Ugo Lupattelli socialista
(che li ricevette nello studio di via delle Streghe, 15) constatò dalla lastra che si trattava d’una ferita d’arma da fuoco, capì con chi aveva a che fare, non pretese una lira. Necessitava un grosso intervento alla mandibola, altamente specializzato, da affrontare in piena guerra e nella più assoluta clandestinità. In uno di quei giorni, trascorsi a Perugia, Antero e Adelio notarono che nella sala del ristorante riservata ai tedeschi sedeva con loro il preside del Ginnasio di Foligno, Antonio Pantalone48. Poiché si diceva che fosse stato deportato in Germania, i due partigiani mediante cenni gli fecero capire di volerlo incontrare. Eludendo e sfidando la stretta sorveglianza delle sentinelle
e con la complicità di un cameriere riuscirono a entrare nella camera d’albergo del prigioniero. Egli scrisse e consegnò loro una lettera che fu recapitata all’amico e collega Guarrella, preside dell’Istituto industriale di Foligno. La missione compiuta fu determinante per la liberazione del Panfalone, che mostrò riconoscenza per tutta la vita inviando da Genova ad Adelio messaggi e messaggeri. Se fosse stato un fascista preso per errore o tradito per qualche privata vendetta oppure un antifascista realmente compromesso con la Resistenza e quindi un traditore per i fascisti, a quei due partigiani non interessava sapere:
si era presentata l’occasione buona per strappare una persona al campo di concentramento e questo era motivo più che sufficiente per rischiare a loro volta la cattura [...] Non incoscienza,
non leggenda, semplice rivolta morale. Il partigiano tuttavia si difendeva con tutte le sue forze, non
intendeva buttar via la propria vita poiché era tutt’ altro che un disperato, e la teneva stretta: un uomo in più è sempre un fatto positivo, meglio ancora se un volontario della libertà; è come della democrazia: una in più è sempre meglio, molto meglio d’una dittatura.


38 [A. CANTARELLI], Relazione sull'attività svolta dalla brigata Garibaldi, cit., in
L'Umbria nella Resistenza, cit., Il, p. 263.

39 Ibidem, pp. 263-264.

40 Le notizie sulla brigata Innamorati si ricavano dai documenti rilasciati
dal comandante D. Taba (Libero), dal commissario politico R. Tenerini e dal
Maggiore comandante G. Ciarelli. Cfr. L 'Umbria nella Resistenza cit., II, pp.
118-143. Il Ciarelli parla di un gruppo di partigiani di Spello che «data la
distanza che li separava dal comandante Taba, si fuse con la brigata Garibaldi
di Foligno verso la fine di novembre del 1943» (pp.142-143).

41 [A. CANTARELLI], Relazione sull'attività svolta dalla brigata Garibaldi, cit., in
L'Umbria nella Resistenza, cit., II, pp. 263-264.

42 Cfr. Episodi di guerra nel Camerinese. Resoconti dall'8 settembre 1943 al
luglio 1944, pubblicati da G. BOCCANERA, Camerino, pp. 11-16, e per l'attacco
alle caserme pp. 122-123. L'assalto a Camerino (dal diario di L. FORMICA) in
"Resistenza", Foligno 1964, numero unico, cit.

43 Gustovic Marco o Kustudik Marco e Knezenic Branco, in Il contributo di
Foligno, cit, Caduti nella lotta partigiana, p. 13.

44 [A. CANTARELLI], Relazione sull'attività svolta dalla brigata Garibaldi, cit. in
L'Umbria nella Resistenza, cit., II, p. 264.

45 Il dottor Marchionni Mario (Avezzano, 1907) è attestato: brigata Garibaldi
di Foligno, n. 3200, 10.10.1943, 1.7.1944, medico di brigata (fonte cit.
nella nota 13).

46 Per il dottor Gastone Biondi, podestà dimissionario di Foligno (1935-
1937), cfr. N. PROIETTI, I podestà di Foligno, Foligno 1987, pp. 19-21. Diventa
rettore della Provincia di Perugia 1'8 luglio 1937. XV (Archivio di Stato di
Perugia, Prefettura, Archivio di Gabinetto, b. 92, fasc. 15/b (1929-1939), c.11.)

47 Il Lupparelli non è attestato nel documento citato alla nota 13. Negoziante
di mobili, in seguito commendatore

48 Panfalone Antonio, catanese, è menzionato a proposito di denunce che
pervenivano alla Gestapo di Perugia, come nei casi del professor Apponi,
del giudice Aubert, del prefetto Notarianni, del professor Granata e di Rosi
e Basile (cfr. F. ROSI CAPPELLANI, Ricordi della macchia, in L'Umbria nella Resistenza
cit., vol. II, p. 177). La Commissione permanente d'inchiesta della Provincia
di Perugia al 20.3.1944. XXII lo definisce «tipica figura di traditore».
Firma il documento il Console Carlo Bozzi (Archivio di Stato di Perugia,
Prefettura, Archivio di Gabinetto, b. 38, fasc. 12-6).



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La ricostituzione della brigata e la liberazione di Foligno
by aff Sunday, Apr. 24, 2005 at 7:29 PM mail:

Intorno alla metà di maggio del 1944 dopo un incontro, nel villaggio di Seggio, dei comandanti e commissari politici dei vari battaglioni della brigata Garibaldi, comandante di brigata
Antero Cantarelli e commissario politico di brigata Balilla Morlupo, fu diramato l’ordine di ricompattare tutti gli uomini disponibili per raggiungere nuove destinazioni e tornare all’azione.
Infatti il 10 maggio ebbe inizio la grande offensiva alleata contro la "linea Gustav".
Intorno al battaglione Mameli si radunarono sessanta elementi fra vecchi e nuovi, che andarono a operare con il comandante Giacinto Cecconelli e il commissario politico Adelio Fiore nella zona collinare di Bevagna e di Cannara (m. 224 e 191 alt.) con qualche rilievo non più alto di settecento metri. Là era previsto un forte passaggio di truppe nemiche in ritirata da Cassino che potevano essere attaccate lungo la strada provinciale abbastanza vicina alle posizioni tenute dai partigiani
del luogo. La scelta fu ritenuta dalla maggior parte dei volontari della brigata Garibaldi importante soprattutto perché consentiva di allargare il campo d’ azione e di propaganda con il
coinvolgimento di altre popolazioni e di nuovi ceti nella Resistenza.
Infatti i contatti che si stabilirono con i bevanati nel "San Carlo" risultarono fruttuosi, registrandosi l’immediata adesione di circa trenta volontari di estrazione prevalentemente contadina,
che si aggiunsero ai quarantadue uomini già organizzati dal comandante Damino Pelagatti
piccolo borghese e studentesca del primitivo gruppo di partigiani appartenenti al centro antico di Foligno. Il fatto rappresenta una novità importante del secondo Risorgimento rispetto
al primo; e cioè l’affratellamento tra il popolo delle città e quello delle campagne, che produsse un allargamento della coscienza democratica collettiva e la partecipazione alle lotte per
le scelte politiche nazionali da parte delle masse sino allora estromesse. Studenti, artigiani e operai, già presenti nel primo Risorgimento, trovarono finalmente il modo di allearsi con pastori e coloni. Riaffiorava attraverso lo scontento profondo il ricordo di precedenti lotte contro gli agrari soffocate con l’avvento del fascismo come quelle degli operai nei centri industriali.
Avvenuta la fusione, questa volta il battaglione in marcia si affidò alla guida intelligente, esperta e coraggiosa d’un contadino, il comandante Damino Pelagatti di Castelbuono. Quattro ore occorsero per il trasferimento della banda da Foligno nel territorio di Bevagna. Durante la notte furono agevolati dal tracciato del fiume Topino, e poi del fiume Timia e del torrente Attone.
I primi di giugno una pattuglia di partigiani in perlustrazione scendendo a Cannara catturò quattro tedeschi armati. Mentre venivano condotti al comando in Castelbuono, uno di essi agilissimo scappò lanciandosi per una scarpata con un volo di almeno venti metri; evidentemente era un acrobata! Lo cercarono subito, e con le torce per tutta la notte in quel burrone, ma non riuscirono a trovarlo. Si era salvato e perciò non tardò a compiersi la temuta rappresaglia. Infatti dopo qualche giorno
si vide giungere al comando un piccolo corteo di civili piangenti ai quali erano stati presi quali ostaggi trenta dei loro congiunti.
Imploravano perciò la liberazione dei tre prigionieri tedeschi.
Attraverso alcuni intermediari si presero allora contatti con il comando tedesco di stanza a Cannara e si preparò l’incontro per lo scambio dei prigionieri, da effettuarsi nelle prime ore del pomeriggio sulle alture di Castelbuono in un terreno ben controllabile e pianeggiante dalla forma simile a un quadrilatero.
Si fronteggiarono alla distanza di circa trenta metri un plotone di tedeschi armati di tutto punto da un lato e su quello opposto il comandante e il commissario politico (Cecconelli e Fiore con la pistola in tasca) e i rispettivi prigionieri; sul terzo lato si dispose il gruppo dei familiari avvertito in tempo di
quanto si stava per compiere; sul quarto lato protetto dal bosco erano appostati nascosti e invisibili tutti gli altri partigiani pronti a intervenire nel caso d’un maledetto tradimento. La tensione era altissima. Lo scambio dei prigionieri avvenne al centro del quadrilatero. E subito scoppiò un tripudio di gioia di abbracci di baci con le lacrime.
Per facilitare l’avanzata degli alleati continuarono gli attacchi ai tedeschi ormai in ritirata. Alla vigilia della liberazione, mentre il battaglione era in procinto di muoversi verso la città di Bevagna per incontrare gli alleati, durante una perlustrazione Adelio scorse su una strada in collina tre tedeschi che cercavano rifugio. Intimò l’alt ed essi lasciarono immediatamente cadere le armi. Uno di essi maresciallo quarantenne della Wehrmacht gli corse incontro abbracciandolo e disse:
— Stufo di correre.
Gli consegnò un leggio di legno con su scritto il proprio nome, Butz, in una borsa di cuoio le carte topografiche in cui era tracciata la linea della ritirata da Cassino sino alla linea gotica,
una pistola maschine efficientissima e molto maneggevole, simile a una piccola mitragliatrice. Adelio si compiacque molto di quell’incontro con un tedesco umano. Fraternizzarono con i tedeschi nei giorni che l’ebbero loro "ospiti" fin tanto che non vennero consegnati all’ufficiale inglese addetto al raggruppamento dei prigionieri in Bevagna. Si salutarono con un caloroso abbraccio... Era un preludio di pace? Una fuga spontanea di sentimenti? Abbiamo detto all’inizio della narrazione: guardiamo
bene dentro i fatti, per capire i significati e il valore dei gesti che segnarono la vita di questi giovani "garibaldini" del Novecento.
Impegnati sino all’ultimo momento nelle azioni di sabotaggio contro le colonne tedesche, nei combattimenti e nella cattura dei nemici, furono testimoni di molti episodi verificatisi da parte dei soldati della Wehrmacht. C’era chi preferiva arrendersi ai partigiani, chi correva incontro agli alleati; altri indecisi rimanevano intrappolati nella morsa fra partigiani e alleati che s’incontrarono in Bevagna prima d’entrare a Foligno (16 giugno ).
Ma la più sconvolgente delle vicende era rappresentata dall’uccisione per parte delle SS di molti loro connazionali che per lo sfinimento tentavano di sottrarsi agli ordini impartiti.
Con la liberazione dell’Umbria meridionale si concludeva un ciclo d’imprese che vanno ascritte a varie eroiche formazioni partigiane, fra cui le brigate Gramsci, Garibaldi e Melis. È certamente
parziale la storia del battaglione Mameli con i fatti più minuti che vengono qui riferiti, ricavati dalla memoria e dalle opinioni di un solo uomo, per quanto sempre presente e attento a tutta l’attività svolta; parziale in confronto al raggio d’azione dell’intera brigata Garibaldi, che è sintetizzata dal Comandante
nella Relazione, cui s’è fatto spesso riferimento nelle note. Alle righe riguardanti il 4-17 giugno, liberazione di Roma –arrivo degli alleati "a sorpresa" a Foligno, si legge:
È una lotta senza tregua e senza quartiere che gli uomini della "Garibaldi"
conducono contro il nemico a Foligno, a Trevi, a Colle Croce,
a Mosciano, a Nocera Umbra, a Gualdo Tadino, a Bevagna, a Bastia,
ad Assisi, a Cannara, a Torre del Colle, a Ponze Collesecco e in tutte
le zone circostanti, che sono il campo di battaglia della brigata.
Adelio vuole ricordare accanto ai caduti che compaiono negli elenchi dei documenti ufficiali del Comune di Foligno, il partigiano "sancarlista" Carlo Silvestri75 che sopravvisse di
poco alla vittoria, morendo di tisi per i patimenti sofferti in montagna. E si augura di poter leggere altre memorie che diano la conoscenza sempre più completa del periodo 1943-’45 nel territorio folignate.
L’Umbria s’era riscattata, aveva lottato e sofferto massacri, terrore, rovine d’ogni genere, miseria e fame, anche troppo lungamente per la tattica temporeggiatrice degli alleati, la loro debole offensiva e l’avanzata lentissima76. Scarse le forze messe in campo complessivamente dagli alleati a fronte dei loro indiscriminati devastanti bombardamenti; mentre i tedeschi cedevano palmo a palmo opponendo la "ritirata aggressiva"77, sfruttando alture e corsi d’acqua, bersagliando le popolazioni, sguinzagliando pochi "guastatori" a fare terra bruciata anche dei più piccoli impianti produttivi; sebbene nessun luogo fosse più sicuro per loro per la presenza dei partigiani78.
I "sancarlisti" pensarono che non era ancora giunto il momento di consegnare le armi agli alleati, una volta liberato il nostro territorio. Furono raccolte e nella massima segretezza nascoste dentro il monastero delle suore di San Giuseppe e poi dentro il "San Carlo" in un luogo conosciuto a pochissimi responsabili. Il legittimo governo militare e civile del territorio era nelle mani degli alleati (il Town Major Bennett) e del Comitato di liberazione nazionale.



74 di Castelbuono (m. 354alt.), frazione di Bevagna. Si modificò pertanto la fisionomia
74 Pelagatti Damino è attestato: brigata Garibaldi di Foligno, n. 3216,
1.11.1943 - 11.7.1944, militare, comandante di Distaccamento (squadra) (fonte
cit. alla nota 13). Egli firma il documento della banda Garibaldi di Bevagna,
di 42 uomini, come sottotenente, in data 31.1.1945 (Archivio di Stato di Perugia,
Archivio del Comitato di Liberazione nazionale, b. 13, Attività dei patrioti,
Fasc. Brigata Garibaldi 1944-1945, sottofasc. h, Bevagna, Foligno, Monte FavaIto,
Gualdo Cattaneo, Nocera Umbra, Spello). È annessa al fascicolo la
carta del territorio occupato dai patrioti con Bevagna, Gaglioli, GuaIdo Cattaneo,Civitelle, Limigiano, Cantalupo, Torre.

75 Silvestri Carlo è attestato: brigata Garibaldi di Foligno, n. 3295, 28.9.1943
- 1.7.1944, militare, comandante di squadra, "sancarlista" (fonte cit. nota 13).



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memorie di un ribelle
by aff Sunday, Apr. 24, 2005 at 7:58 PM mail:

memorie di un ribell...
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by ...... Monday, Apr. 25, 2005 at 6:54 PM mail:

http://www.anpi.it/libri/memorie_ribelle.pdf

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