La storia di Assan
La storia di Assan, tunisino di 41 anni che da tre anni abitava con moglie e due figli in un miniappartamento del Comune al Conservatorio del Fuligno, ci invita a riflettere. Arrestato con l’imputazione di tentato omicidio, danneggiamento e lesioni, per aver tentato di gettarsi dalla finestra con la figlia di 3 anni in braccio, nel momento in cui veniva allontanato dall’alloggio, Assan è stato ora scarcerato su disposizione del GIP. Gli articoli dei quotidiani di venerdì 1 luglio, cronaca fiorentina, hanno descritto un ‘cattivo’. L’uomo avrebbe ricevuto proposte di lavoro e di diverso alloggio nei comuni di Empoli e Pistoia, e le avrebbe rifiutate, cedendo ad un gesto estremo di protesta, o di ricerca di attenzione. Dopo il fatto il povero cristo, arrestato dai solerti vigili urbani, ha trovato prontamente alloggio nel carcere di Sollicciano. Comunque vogliamo giudicare la vicenda, c’è da chiedersi se sia normale che una famiglia, seguita per tre anni dai servizi sociali del Comune, abbia come naturale sbocco dei propri problemi la reclusione di un suo componente. Possiamo porci legittimamente qualche domanda sull’efficacia dei ‘percorsi di accoglienza e di recupero’ proposti (La Repubblica, 1 luglio 2005, p. VI). Se la collettività, attraverso il Comune, investe risorse pubbliche per assicurare ad alcuni speranze o possibilità di sopravvivenza, ci si aspetterebbe che gli sforzi compiuti non vengano vanificati dall’applicazione burocratica di regolamenti, che durante il ‘percorso di recupero’ (ma da che cosa? dalla povertà?) si presti anche un po’ di attenzione alle persone. A persone che hanno un nome e un cognome, una storia, che avranno delle ragioni se hanno con disperazione ceduto a gesti di estrema protesta. L’attenzione per le persone avrebbe fatto sì che i regolamenti potessero essere interpretati, applicati con minore rigidità, insomma in modo tale da non vanificare gli sforzi (e anche gli investimenti) di tre anni. Sembra infatti il peggiore dei mali che una famiglia possa passare dall’accudimento dei servizi sociali a quello delle patrie galere. Questo risultato dovrebbe essere vissuto come un fallimento dagli operatori sociali e soprattutto dall’Assessore competente, Lucia De Siervo, che invece si è affrettata a fornire giustificazioni su quanto avvenuto. In che modo la detenzione di Assan, avrebbe potuto servire a qualcosa, nel percorso di ‘accoglienza e recupero’ proposto a questa famiglia, se non a rafforzarne l’emarginazione e ad indebolire le sue eventuali richieste? Il gruppo di lavoro ‘Dentro e fuori le mura’, che cerca di documentare da anni come l’esperienza del carcere possa essere devastante, rileva come la storia di Assan dimostri ancora una volta che il carcere è la naturale risposta di una società iniqua ad ogni forma di emarginazione (tossicodipendenza, disagio psichico, immigrazione, impoverimento materiale e culturale).
Dentro e Fuori le Mura
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