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Nigeria: in fondo al pozzo.
by tratto da Emergency, Thursday, Aug. 04, 2005 at 9:18 PM mail:

Nel delta del Niger, multinazionali dell'energia fanno grandi affari e gruppi rivali si combattono per contendersene le briciole. A uso e consumo del business, il governo nigeriano reprime violentemente disordini e contestazioni, chiudendo gli occhi di fronte a gravi violazioni dei diritti umani e a disastri ambientali.

E' tregua tra le etnie che da anni combattono nella regione petrolifera del delta del Niger, contendendosi agevolazioni e contratti con i colossi dell'industria estrattiva statunitense. La Nigeria è infatti l'ottavo produttore di petrolio al mondo, oltre che uno dei principali alleati di Washington e suo quarto fornitore. Malgrado la sua enorme ricchezza naturale, però, il paese è uno dei più poveri dell'Africa e la maggior parte della popolazione vive con meno di un dollaro al giorno.
L'operazione Restore Hope ha riportato la pace tra le due comunità rivali: gli Ijaw, la maggioranza della popolazione (tra cinque e otto milioni) e gli Itsekiri, la minoranza accusata di essere favorita dal governo nigeriano e dalle compagnie petrolifere, da cui riceverebbe un miglior trattamento lavorativo. La lotta per accaparrarsi le briciole dell'affare petrolio è stata causa di numerose uccisioni nella regione e ha costretto le compagnie petrolifere a interrompere le estrazioni, diminuendo anche del 40% la produzione giornaliera e mettendo in ginocchio migliaia di famiglie.
Non sono rari i rapimenti di stranieri che lavorano per le compagnie petrolifere e i furti di quantità ingenti di petrolio dagli oleodotti locali, tanto che le perdite di greggio ammonterebbero a circa il 10% di tutta la produzione nigeriana.

Se lo stato difende gli interessi delle multinazionali invece dei diritti della popolazione.

La tregua recente è stata presentata come il risultato di una decisione improvvisa delle due comunità della zona, che avrebbero deciso di deporre le armi dopo l'omicidio di due dipendenti americani della Chevron Texaco il 23 aprile scorso. In realtà, la decisione è parsa ben poco spontanea. E' molto più realistica l'ipotesi di pressioni esercitate sul governo nigeriano dai giganti petroliferi Chevron Texaco e Shell, non più disposti a perdere un terzo del petrolio per furti, contrabbando e sabotaggi agli impianti.
A Warri, in una vasta operazione condotta alla ricerca di armi e nascondigli delle bande armate operanti nella zona, sono stati distrutti tre sobborghi e 2.000 persone sono rimaste senza casa. Grazie a questo colpo di mano sponsorizzato dal presidente Obasanjo e dal governatore del delta James Ibori, ora i petrodollari potranno tornare ad arricchire le tasche delle autorità nigeriane, mentre l'oro nero prenderà il largo verso i porti europei e americani. E, come ha ricordato Bello Oboko, uno dei leader della comunità Ijaw, nessuno dei problemi della popolazione è stato affrontato. Sia gli Ijaw sia gli Itsekiri chiedono da anni una più equa distribuzione dei proventi petroliferi e un maggior potere decisionale sui destini dei loro territorio, ma il governo nigeriano e le multinazionali ignorano le loro richieste. Fatto non trascurabile, sono state le stesse multinazionali a foraggiare il conflitto, fornendo armi alle milizie perché proteggessero i propri impianti dalle altre bande.

La palese violazione dei diritti umani non disincentiva gli investitori stranieri.

La maggiore incognita per il futuro della regione riguarda proprio le migliaia di giovani armati che si contendono il controllo del territorio. Ci sono molti dubbi sulla possibilità che polizia e leaders locali riescano a disarmarli e si teme che la loro presenza continuerà a delegittimare il governo nigeriano agli occhi dei grandi poteri economici mondiali. Al momento Chevron e Shell si dimostrano poco fiduciosi. Il delta del Niger, infatti, è la seconda zona al mondo per attività di pirateria, dopo i mari dell'Indonesia. Secondo le denunce dell'opposizione nigeriana, durante i primi quattro anni del regime civile dell'ex generale Olusegun Obasanjo e del suo braccio destro Atiku Abubakar, più di 20.000 persone hanno perso la vita negli scontri tra diversi gruppi etnici o in manifestazioni di protesta sedate dall'esercito e dalla polizia. Secondo Amnesty International, "in molte occasioni, questa violenza è apparsa priva di ogni controllo e tollerata, se non apertamente sostenuta dal governo; nell'ambito della loro attività ordinaria la polizia federale e le forze armate si rendono responsabili di numerose violazioni dei diritti umani, quali esecuzioni extragiudiziali, uccisioni in custodia, torture e trattamenti crudeli, inumani e degradanti, ai danni di presunti criminali".
Sebbene la Nigeria sia costantemente denunciata per gravi violazioni dei diritti umani, il paese continua ad esercitare una forte attrazione sulle imprese straniere. Il livello di corruzione degli amministratori pubblici è altissimo, il finanziamento illecito dei partiti e dei dirigenti politici è prassi consolidata prima, durante e dopo ogni competizione elettorale. A queste dinamiche non si è sottratto il governo attuale, al punto che le opposizioni e gli osservatori dell'Unione Europea hanno denunciato brogli in almeno 13 stati durante le elezioni politiche presidenziali e amministrative dello scorso aprile.


La Nigeria svenduta al miglior offerente nei piani di privatizzazione del governo.

Anche la realizzazione di riforme neoliberiste del programma di governo sta esasperando la popolazione. Il vice presidente Abubakar, per 20 anni direttore generale del Dipartimento doganale nigeriano, esperto dell'export di petrolio, di assicurazioni, di agricoltura, dei mass media, presidente di sette grandi compagnie private, nonché direttore generale della Nigerian Uinversal Bank Ltd, oggi dirige il Consiglio Nazionale sulle privatizzazioni e ha già concluso la prima fase del piano di privatizzazione con il trasferimento di 14 società pubbliche a compagnie private nazionali ed estere.
La seconda fase, già avviata, riguarda la svendita di importanti aziende statali e di infrastrutture del settore turistico, automobilistico e industriale e della società telefonica nazionale Nitel; la terza e ultima fase del programma di privatizzazione riguarderà il settore energetico (pozzi petroliferi, oleodotti) e la National Electric Power Authority (Nepa), l'ente di produzione e di distribuzione dell'elettricità.
Parallelamente al trasferimento delle risorse energetiche in mani straniere, il governo ha avviato la privatizzazione delle maggiori raffinerie di greggio del paese (Port Harcourt I e II, Warri, Kaduna) e oggi la Nigeria è costretta ad acquistare il prodotto raffinato all'estero dalle stesse compagnie con cui ha sottoscritto joint venture per lo sfruttamento del greggio.

Petrolio e gas naturale non pagano la sanità, né l'istruzione dei nigeriani.

La macchina amministrativa si dedica a tempo pieno a programmare facilitazioni per gli investimenti stranieri. Molto è stato speso per la creazione di joint venture con le transnazionali energetiche, rilasciando un numero elevatissimo di concessioni in previsione dell'innalzamento della produzione giornaliera nazionale a 5 milioni di barili entro il 2010.
Il paese, inoltre, dispone di riserve di gas naturale per 124.000 miliardi di metri cubi, al nono posto tra quelle esistenti a livello mondiale. Ancora una volta sono state Chevron Texaco, TotalFinaElf, Shell, Agip ed ExxonMobil ad aver sottoscritto gli accordi per lo sfruttamento dei giacimenti e per lo sfruttamento dei giacimenti e per l'estrazione del gas naturale, uno dei settori più appetibili per il prossimo futuro.
Nel frattempo è anche rapidamente cresciuto il numero dei poveri e dei disoccupati; circa il 40% della popolazione vive al di sotto dei livelli di sussistenza, il 70% non ha accesso ad acqua, elettricità, sanità di base e istruzione. Solo un adulto su due sa leggere e scrivere; due bambini su dieci muoiono prima di aver compiuto cinque anni e circa la metà della popolazione infantile soffre di gravi ritardi di crescita per cause legate alla malnutrizione.

Disastri ambientali e violazioni dei diritti umani effetti collaterali dell'estrazione del petrolio.

Il fiume Niger è sempre più vittima del versamento di petrolio, della contaminazione dei composti chimici e dei gas utilizzati negli impianti. Negli ultimi 40 anni si sono registrati più di 4.000 spargimenti di greggio nelle acque del delta del Niger, con un impatto ambientale devastante raramente sanzionato dalle autorità. Gli studi di una commissione speciale hanno dimostrato che "le fuoriuscite di petrolio dagli impianti della compagnia straniera Shell, hanno danneggiato la produzione agricola e le fonti idriche dello stato di Bayelsa, assumendo proporzioni epidemiche tra il 1993 e il 1994 e causando l'esplosione di malattie contagiose che hanno ucciso oltre 1.400 persone e costretto molte altre a ricorrere a cure sanitarie". A causa di questa situazione allarmante, l'organizzazione Human Rights Watch ha chiesto al governo nigeriano di intraprendere misure immediate per prevenire un ulteriore deterioramento della situazione e un'analoga richiesta è stata rivolta anche alle compagnie petrolifere operanti nell'area interessata, che non vengono assolte dalla responsabilità negli abusi dei diritti umani che hanno luogo nel delta del Niger. "Nessuna delle compagnie pubblica regolarmente rapporti completi sulle denunce relative a danni ambientali, sabotaggi, richieste di indennizzi, azioni di protesta o operazioni militari che si sono realizzati nei pressi delle loro infrastrutture".
Denunce dello stesso tenore arrivano anche dal mondo della cultura, come è avvenuto alla fiera del libro di Francoforte dell'ottobre 2003, quando il premio Nobel nigeriano Wole Soyinka ha denunciato pubblicamente la collusione tra i militari al potere e le multinazionali.

Crisi economica e insicurezza: i nigeriani iniziano a ribellarsi al regime di Obasanjo.

La grave crisi economica attuale, scoppiata negli anni Novanta in seguito all'applicazione delle misure neoliberiste e negli anni della riduzione del prezzo internazionale del petrolio, ha acuito ulteriormente gli odi tra le elite nazionali e i diversi gruppi etnico religiosi. Gli Ibo, cristiano-animisti, concentrati nel sud-est del paese, si scontrano sempre più ferocemente con i gruppi Hausa-Fulani, musulmani del nord, e gli Yoruba del sudovest, metà cristiani metà musulmani. Nello scorso maggio, il presidente Obasanjo ha decretato lo stato d'emergenza nel Plateau, lo stato federale in cui all'inizio del mese centinaia di musulmani sono stati massacrati da milizie cristiane.
Il presidente ha inoltre lanciato un appello a musulmani e cristiani, perché pongano fine a quello che rischia di diventare un vero e proprio genocidio reciproco. Solo negli ultimi mesi le violenze nel Plateau hanno provocato più di 400 vittime e il clima di insicurezza rischia di allargarsi a tutta la nazione. Negli ultimi 3 anni, la contrapposizione tra le due comunità religiose ha provocato centinaia di morti e decine di migliaia di sfollati: nel febbraio 2000, più di mille persone persero la vita durante gli scontri tra cristiani e musulmani a Kaduna; negli stessi giorni scontri anche tra gruppi nazionali Haussa e Yoruba che causarono più di 100 vittime e 400 feriti a Lagos. Il 14 ottobre 2002, durante una manifestazione contro l'intervento degli Stati Uniti in Afghanistan nella città di Kano, vennero uccise più di 200 persone.
Ciò è accaduto anche in seguito dell'applicazione della Sharìa, la legge islamica, in un terzo degli stati della Federazione Nigeriana, alcuni dei quali a forte presenza non musulmana, in palese violazione dei principi costituzionali dell'uguaglianza tra i cittadini e della laicità delle istituzioni. Intanto, i nigeriani reclamano una svolta: non si placano le manifestazioni contro il presidente accusato di aver truccato le elezioni presidenziali e quelle politiche, di affamare la popolazione e di essere incapace di bloccare il diffondersi della violenza.
Il 15 maggio di quest'anno centinaia di persone, tra cui Wole Soyinka, sono scese in piazza a Lagos per chiedere le dimissioni di Obasanjo, ma sono state disperse dalla polizia con gas lacrimogeni.
Forse, però, le proteste che iniziano a sollevarsi contro il governo nigeriano sono il primo segno di un possibile cambiamento nella società nigeriana. Che si tratti di un cammino verso un futuro migliore, è oggi piuttosto un auspicio che una previsione.



brano di Anna Claudia Furgeri Caramaschi, tratto dal giornale gratuito di Emergency, numero 32, settembre 2004

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