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+ edon x tutti. parola di bifo
by golden lady Wednesday, Sep. 07, 2005 at 5:03 PM mail:

articolo di Bifo

LA FORZA DEL DECLINO
____________________________________________________

Nel settembre del 2001, mentre il presidente americano prometteva guerre
interminabili contro un nemico indefinibile, qualcuno scrisse: l'Impero è
in guerra con se stesso.
L'Impero, ammesso che questa parola abbia un significato nella realtà
presente, dichiarò guerra contro il Caos. Errore irreparabile, perché il
caos non può essere combattuto dato che si alimenta di tutto ciò che gli si
oppone.
Perché la Presidenza americana commise quell'errore? Le risposte possibili
sono tante: perché il collasso della new economy minacciava una crisi
recessiva e solo con la guerra era possibile mobilitare energie economiche?
O perché il gruppo dirigente americano aveva un interesse immediato a
mettere le mani sul petrolio irakeno?
O forse perché un vento di fanatismo demente si è impadronito dei centri
politico-militari più potenti della terra?
Fatto sta che dopo il lancio della guerra preventiva che ha avuto l'Iraq
come bersaglio diretto, il terrorismo si è ingigantito allargando la sua
base di reclutamento. Nella nuova generazione islamica, cresciuta con le
immagini della tortura e dell'umiliazione davanti agli occhi, la vocazione
al suicidio terrorista sta diventando un fenomeno di massa. A differenza
della guerra nel Vietnam questa guerra non è destinata a concludersi quando
i marines se ne andranno dal paese che hanno devastato. Continuerà
catastroficamente in un'area vastissima, che comprende il medio Oriente,
l'Iran, il Pakistan, e anche l'Europa. L'immagine politica degli USA ne
uscirà devastata senza rimedio.

L'ACQUA IL FUOCO E L'ARIA
Ma il caos non ha soltanto le fattezze di una guerra che si ritorce contro
i suoi fautori. Anche la natura sembra rivoltarsi contro chi troppo a lungo
l'ha violentata. Catastrofi ambientali e crisi energetica si stanno
intrecciando in uno scenario da incubo che colpisce la psiche occidentale
ancor più gravemente che l'economia. Probabilmente è troppo tardi per
rimediare alla criminale irresponsabilità del capitalismo globale: l'acqua
il fuoco e l'aria non si placheranno con la firma di un trattato tardivo e
insufficiente. La devastazione accumulata nell'arco di decenni sta
cominciano a presentare il conto. Kathrina potrebbe essere la Chernobyl del
capitalismo liberista. Diecimila morti americani e questa volta è chiaro a
tutti. Non li ha uccisi Al Qaida, li ha uccisi Giorgio Bush, li ha uccisi
il fanatismo del petrolio. Li ha uccisi il taglio dei fondi per la spesa
pubblica. Li ha uccisi la povertà che cresce mentre cresce la ricchezza di
Cheney & Co.

La psiche occidentale si sente (e forse è davvero) sull'orlo di un abisso.


LE REGOLE E LA FORZA
Un ventennio di deregulation ha spazzato via le difese sociali e legali che
limitavano la violenza del capitalismo, ed ora esso si manifesta come una
forza scatenata e distruttiva che premia le forze criminali più agguerrite.
Il modello predominante del capitalismo non è più quello della borghesia
industriale che accumulava profitto costruendo ricchezza. Il modello
predominante è quello del capitalismo di rapina che accumula profitti con
la speculazione, la sopraffazione militare, la devastazione ambientale.

La sinistra legalitaria rivendica la restaurazione di regole per limitare
la forza selvaggia del capitale. Ma non servono a nulla le regole senza la
forza per imporle. La forza per imporre le regole è talvolta una forza
materiale, il fucile in spalla agli operai per garantire la democrazia. Ma
per lo più la forza consiste in una consapevolezza culturale diffusa.
Quando milioni di persone cominciano a comportarsi in una certa maniera, a
rifiutarsi di fare straordinario, a rifiutarsi di pagare affitti troppo
esosi, o a ritrovarsi sulle piazze per fare l'amore invece che per comprare
merci inquinanti, ecco la legalità trasformata, rovesciata, riscritta. Con
la forza della cultura e del comportamento.

Per alcuni decenni nel ventesimo secolo è esistita una forza capace di
rendere operanti le regole della giustizia sociale e del bene comune: era
la forza degli operai autonomi organizzati, era la forza della
mobilitazione di massa, era la forza del desiderio che dilaga nelle parole
e nei gesti. Questo rese operante la democrazia, questo permise di ottenere
un equilibrio dinamico e fecondo tra società e capitale.
Ma quella forza sociale è oggi distrutta, annientata dalla
deterritorializzazione del lavoro, dalla precarizzazione generalizzata che
distrugge ogni forma di comunità operaia, e dall'emergere di una nuova
spaventosa potenza: la potenza di un nuovo tipo di imperialismo fondato
sullo schiavismo e sull'abolizione dei diritti umani.

LO SCHIAVISMO NEL MERCATO GLOBALE DEL LAVORO
Mentre l'Occidente declina come forza trainante del capitalismo globale, il
nazi-comunismo cinese tende a divenire una potenza egemone.sul piano
economico. L'enorme base di lavoro schiavistico di cui la Cina dispone
offre un enorme vantaggio competitivo, e l'espandersi economico della Cina
sta già producendo l'effetto di un abbassamento generalizzato dei salari
nel pianeta, e di un peggioramento delle condizioni di vita per centinaia
di milioni di persone in tutto il mondo. Qualche anno fa si pensava che la
Cina potesse essere un nuovo mercato per le merci occidentali o un mercato
del lavoro sottomesso alle corporation occidentali. Ora cominciamo a vedere
che la realtà è differente: la Cina tende a investire i suoi capitali
all'estero, a comprare lavoro in ogni zona del pianeta, e non può certo
essere il protezionismo a contenerla.

Lo schiavismo cinese potrà essere fermato soltanto dalla rivolta degli
operai cinesi. Ma sappiamo davvero troppo poco dell'equilibrio sociale,
psichico, culturale, che si va determinando in quel mondo. Occorrerebbe
riesaminare la storia delle rivolte sociali in Cina, dalla rivolta Taipei
all'insurrezione dei boxer, all'insurrezione operaia del 1927 fino alla
grande rivoluzione culturale proletaria, per capire se una sollevazione
operaia è oggi possibile, se un ciclo di autonomia e di lotte potrà
cambiare il rapporto tra salario e capitale in quell'area del mondo, e di
conseguenza potrà riaprire margini per l'autonomia sociale in tutto il mondo.


FONDARE SUL DECLINO LA RISCRITTURA COLLETTIVA DELLA COSTITUZIONE EUROPEA
Ma quale forza può ancora avere l'autonomia sociale, paralizzata dalla
mutazione in corso e dalla violenza del conflitto planetario?
La mia tesi è la seguente: dalla parte dell'autonomia sociale sta oggi la
forza del declino.

La parola declino suggerisce un'idea negativa di malinconia e di impotenza
solo se si considera positivo ciò che è aggressivo e rampante. Solo nel
quadro giovanilistico e testosteronico del maschilismo occidentale la
parola declino può suggerire l'idea della sconfitta.
Con la parola declino si intende abitualmente la riduzione della potenza
competitiva, l'abbassamento degli indici di crescita economica,
l'affievolimento della aggressività economica e militare. E questi fenomeni
non possono essere separati dal tendenziale calo demografico che interessa
soprattutto i paesi occidentali, l'Europa in particolare.

La forza del declino è concentrata in Europa. L'Europa è già oggi il mondo
del declino. L'invecchiamento della popolazione è un trend irreversibile, e
la decrescita è l'unica prospettiva economica non distruttiva.
Decrescita non significa affatto riduzione della ricchezza sociale. Al
contrario, può significare un aumento del tempo libero e del godimento, un
ripensamento collettivo del concetto stesso di ricchezza.


UNA NUOVA IDEA DELLA RICCHEZZA
Un'onda culturale di rilassamento e di insubordinazione pacifica può fare
del declino inevitabile un processo di autonomia della società dal
capitale. Quando Berlusconi dice che gli italiani sono ricchissimi tutto
sommato ha ragione. Da cinque secoli gli italiani hanno accumulato un mondo
di ricchezza e di bellezza straordinaria. Perché dovremmo continuare a
subire la regola capitalistica e consumista, quando potremmo godere di ciò
che è già stato prodotto, e spostare l'energia verso la cura, la creazione,
la ricerca?

L'imprinting testosteronico e giovanilista che ha modellato la storia
patriarcale non vuole accettare il declino, lo considera un male assoluto.
Penso invece che l'azione culturale debba mirare a rovesciare la percezione
del declino, per liberare la società europea della spinta aggressiva che ne
ha fatto in passato una potenza imperialista. Basta fare una cosa molto
semplice: mettersi dalla parte dell'inevitabile, come abbiamo saputo fare
nei momenti migliori. Il declino è inevitabile, è iscritto nel codice
genetico della società europea, e nel corso del secolo diverrà la tendenza
dominante nel pianeta. Il declino può essere un processo traumatico e
rabbioso, ma può essere invece rilassato ed euforico, e può aprire nuove
prospettive non solo per l'Europa ma per il mondo, quando uscirà dalla
febbre guerrafondaia che l'ha preso. Si tratta di far crescere una
consapevolezza nuova sul tema della ricchezza: essa non sta nella quantità
di oggetti che possiamo accumulare, ma nel tempo disponibile per godere
dell'esistente, e nella potenza del sapere che rende la riproduzione del
necessario indipendente dalla fatica e dallo sfruttamento.

L'Europa dunque: ecco quel che ci resta da fare. Dopo il referendum sulla
Costituzione il processo europeo è entrato in una fase di coma profondo. I
politici nazionali non parlano di Europa perché sanno che potrebbe fargli
perdere voti alle elezioni. E coloro che hanno portato il No alla vittoria
in Francia e in Olanda, non sembrano interessati a riprendere l'argomento.
Hanno vinto e basta. Poco gli importa se quel che segue alla vittoria del
No è xenofobia e arroccamento.
Il compito di oggi è proprio quello di rilanciare il processo
costituzionale. Modificandone però le coordinate culturali. L'Europa non
deve pretendere di reagire al proprio declino iniettandosi in ritardo dosi
di liberismo, puntando ad aumentare la sua competitività. Non funzionerà
comunque perché quella partita è persa, a meno di accettare condizioni di
schiavismo che l'organismo sociale europeo non può accettare per
sopraggiunti limiti di età media della popolazione.
L'Europa deve iniziare la partita successiva alla crescita capitalista:
deve sperimentare la società della cura, del godimento, dellamicizia. Una
società che non ha bisogno di lavorare molto, che non ha bisogno di
consumare molto.

Certamente non è questa l'idea di Europa che ha il ceto politico attuale,
subalterno al capitalismo liberista. Ma ormai quel ceto politico sta
esaurendo il suo ciclo, come la stessa ideologia liberista, ed il caos
catastrofico nel quale siamo entrati cambierà le cose in maniera
sconvolgente nel corso dei prossimi dieci anni. Noi dobbiamo immaginare i
concetti da cui la società europea potrà ripartire, dobbiamo lanciare un
processo di elaborazione collettiva di massa della Carta costituzionale.
Una Costituzione fondata, se volete, su un'utopia senile. L'utopia del
declino felice, della pigrizia creativa, dell'amicizia e della cura.


UNIVERSITà NOMADE
In questa prospettiva si colloca il progetto di costituzione espansiva di
un'Università nomade.
Durante tutto il secondo millennio, nella lunga epoca di formazione e di
sviluppo della società capitalistica, l'Università è stata un luogo
decisivo proprio grazie al suo statuto di non formale autonomia. Grazie
alla sua autonomi l'Università ha potuto essere il luogo della scoperta
scientifica, dell'innovazione tecnica, ma anche e soprattutto il luogo
della costante rigenerazione delle energie culturali in cui la società
riformulava il suo progetto in autonomia e spesso in opposizione alle
strutture costrittive dell'economia. Senza indipendenza dell'Università dal
sistema economico non ci sarebbe stata nessuna modernità. Ci sarebbe stato
un prolungarsi infinito di sistemi di caste feudali, ci sarebbe stato un
continuo riprodursi di conflitti barbarici.

Quel che è accaduto negli ultimi decenni in tutto l'Occidente, e che in
Italia sta accadendo da almeno quindici anni (la riforma Ruberti, del 1990,
avviò esattamente questo processo) è la progressiva erosione dell'autonomia
sostanziale dell'Università, e persino la distruzione formale
dell'indipendenza della ricerca e dell'insegnamento rispetto al sistema
economico corporativo.

L'asservimento dell'Università (come più in generale del sistema educativo,
e comunicativo) alle scelte e agli automatismi dell'economia di profitto
costituisce la più grave devastazione che il capitalismo porta contro la
vita umana contro l'intelligenza collettiva, contro la società. Distruggere
l'autonomia dell'Università significa infatti non solo subordinare la
ricerca agli obiettivi unilaterali e cortomiranti dell'interesse privato.
Ma significa soprattutto togliere al processo di formazione quel carattere
di infinita possibilità senza cui non esiste conoscenza, ma soltanto
esecuzione, senza cui non esiste differenza, ma soltanto ripetizione.

Perciò occorre portare dentro le strutture della vita universitaria
un'iniziativa di costruzione dell'università autonoma e nomade. E questo
processo è tutt'uno con la creazione delle strutture di elaborazione
condivisa di massa della Carta costituzionale europea.





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http://www.rekombinant.org
http://www.rekombinant.org/support
http://liste.rekombinant.org/wws/subrequest/rekombinant










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Titolo Autore Data
patetico gilgamesh, grande bifo basta Wednesday, Sep. 07, 2005 at 8:34 PM
sBIFidO Gilgamesh Wednesday, Sep. 07, 2005 at 8:25 PM
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