Generazione clic, li hanno chiamati a Roma, quando, era la fine di ottobre, hanno occupato l´università de La Sapienza. Questi, allora, asserragliati alla Statale da una settimana, chiamiamoli generazione Cif. «Dicono che abbiamo fatto casino? Ma come, se abbiamo anche pulito tutto». Alla mattina, dopo la notte passata in sacco a pelo sdraiati per terra nell´atrio al primo piano, sveglia alle sette per le pulizie. Nei gabinetti, per prima cosa, hanno appeso un cartello: «Danneggiare i bagni, danneggia voi», e giù con le spugnette gialle e verdi, a grattare i sanitari.
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Nelle aule 104 e 109 si discute sul futuro e si puliscono bagni e pavimenti. Latino, politica e pastasciutta. Ecco la generazione del Cif. Alessandro fuma davanti alla finestra aperta. Paolo va a casa a farsi la doccia. Davide: fino a ieri non ci considerava nessuno. Laura, matricola: guardiamoci in faccia, siamo stanchissimi, pochissimi. Andrea: in questi giorni ci siamo conosciuti davvero.
Daniele, dolcevita blu, lo rivendica forte in assemblea: «Noi, qui, abbiamo applicato il miglior metodo democratico e abbiamo anche scopato tutto». Risate. Certo che si rende conto che l´espressione può sembrare ambigua, e allora corregge: «No, scopato abbiamo scopato poco». E, per smentire quelli che da fuori pensano che nell´università occupata si faccia solo un gran casino, il cronista ha contato le bottiglie vuote: due di birra, tre di acqua minerale. Se ce n´erano molte altre, si vede che il gruppo pulizia ha fatto bene il suo lavoro. Quella per l´ordine sembra un´ossessione: per non sporcare i muri e però lasciare libertà di espressione, hanno incollato cartelli bianchi che come trasgressione massima registrano «Ciellini burattini» accanto a un ancor più ragionevole «Se perdi la testa sei fottuto». All´una e mezza, quando dal pentolone di alluminio che bolle nell´angolo a sinistra viene scolata la pasta, una voce grida che è pronto, come fosse la mamma che chiama tutti a tavola (piatto di spaghetti pomodoro e olive, due euro). L´altra ossessione è per i confronti. Questa, del resto, è l´Università di Mario Capanna, del ´68; e poi ancora quella del ´77. Perfino il custode, che però è troppo giovane e qui lavora solo da undici anni, dice che sembrano davvero personcine educate, che non fanno del male a nessuno e nemmeno alle cose. Gruppi di studenti escono dalle aule, dove hanno fatto regolare lezione, perché questa, in fondo, ci tiene davvero a essere una protesta rispettosa. Alessandro, che viene da Cremona ed è qui con il suo cane, fuma in aula, ma accanto alla finestra aperta. Le canne, quelle sì, si sprecano. Più che vedersi, si sentono: l´odore è forte, eppure ti guardi intorno e non pare di vedere niente acceso. Alla lavagna dell´aula 109 c´è scritto il programma della giornata. Come in caserma: cena dalle 19.30 alle 21.30; dalle 21.30 alle 23.30 assemblea; dalle 23.30 videoproiezioni, un cortometraggio sul G8. Doveva venire Bebo Storti, ma è malato. E oggi, annuncia una biondissima con mille treccine, «forse, Lella Costa e Paolo Rossi». Nell´aula 104 il dibattito è acceso. Nel primo pomeriggio pareva che prevalesse la stanchezza e allora Davide, 26 anni, fuori corso a filosofia («Ma solo perché sono anche un lavoratore, sono stato un impiegato pubblico fino a pochi mesi fa»), un orsone con la coda di cavallo, prova a tirare su il morale: «Ragazzi - fiata nel microfono - rendiamoci conto che noi vivevamo in una università dove non c´era una minchia. Noi eravamo considerati meno di niente e adesso siamo un soggetto politico, nessuno può più dirci non sei un cazzo». Applausi, anche a quel modo che hanno inventato loro, con le mani che si agitano nell´aria senza far rumore. Aggiunge, e l´orgoglio diventa di tutti: «Non pensiamo al passato, pensiamo a oggi. Trent´anni fa questa era Statalin... erano violenti. Dal ´68 in poi, con le proteste, c´erano anche i morti. Potrei dire che noi siamo i migliori. Anzi, lo penso e lo dico, vaffanculo». Oggi infatti fila tutto in ordine: «Abbiamo fatto il gruppo pulizie, cucine, rapporti con la stampa. Ma io dico - si chiede Marco, una foto in bianco e nero di sessantottino - non abbiamo un gruppo che prepara e distribuisce volantini?». La ragazza iscritta a filosofia, capelli corti, tipino alla Audrey Hepburn, tira fuori finalmente la politica: «Io non me ne vado di qua finché non ci danno un´aula per discutere, per ritrovarci. Per parlare non solo della riforma dell´università, perché la vita, poi, sarà lavoro precario». Tutti d´accordo, ne avevano parlato tanto in questi giorni e queste notti. E allora lei prosegue: «Io non esco di qua se mi toccano l´aborto!». Sembra un proclama di guerra dura, ma la buona educazione è un´abitudine radicata: «Io voglio - si corregge - scusate, io vorrei...». Paolo, 20 anni, secondo anno di filosofia, un cappelletto da Gavroche, che abita vicino e il pomeriggio fa un salto a casa a farsi la doccia, pensa che la strategia giusta sia quella di chiuderla qui: oggi riposo, pulizia, gruppi di lavoro; domani assemblea cittadina e lunedì tutti a lezione, con una consapevolezza nuova, però. Al microfono Laura, matricola, molto sorridente: «Ragazzi, guardiamoci in faccia: siamo pochissimi, stanchissimi. Dobbiamo mollare. Ma abbiamo fatto un miracolo: io venerdì scorso non volevo nemmeno andare in Bocconi perché avevo lezione di latino». Andrea, 25 anni, iscritto ad agraria: «In questi giorni noi studenti ci siamo conosciuti davvero, abbiamo fatto discussioni politiche vere, invece all´università, ormai, si vuole che gli studenti vadano a lezione e se ne tornino a casa zitti zitti». Un altro Paolo: «Siamo forti perché siamo liberi. Non siamo organizzati, siamo noi stessi, non ci manovra nessuno». Il banchetto dei libri vende tutte le rivoluzioni: da quella araba a quella mancata. E questa, come sarà mai ricordata? Quando è già buio, in via Festa del perdono, l´idropulitore dell´Amsa lava la strada. Antonio, il ragazzo con la scopa di saggina che ha l´età di quelli che sono chiusi lì dentro, spazza con allegria: «No, non era un lavoro previsto. Ma va bene lo stesso, ci pagano lo straordinario».
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