Indovina chi viene a cena...
Milano, dicembre 2005
Una Milano del’600 è quella che ci scorre sotto gli occhi. Ogni suo luogo che produca relazioni prima che profitto è assediato in modo becero e medioevale: da chi viene lasciato al lume di candela (come il Bulk), a chi si vorrebbe prendere per sete (come Torchiera), a chi nonostante i molti passi fatti nel corso di questa guerra dei trent’anni non ha ancora alcun riconoscimento. Una Milano fatta di arroganti signorotti, di vice-podesta’ che controllano, disciplinano (e mistificano) ogni cosa. Una Milano che dà risposte arcaiche a problemi attuali e non riesce a abbracciare le differenze, non ha interesse a mettere a valore, se non economico, i legami umani che si creano tra persone. Una Milano che non vuole darsi ragione dei fatti quanto piuttosto ricercare citazioni di fatti analoghi senza verificarne l’esattezza o la pertinenza con la situazione attuale, agitando il fantasma della (chissà quale poi? Quella dei banchieri, forse…) legalità. Una Milano erudita, ma incapace di proporre soluzioni praticabili al presente disagio. “Due erano i libri che don Ferrante anteponeva a tutti…l'uno il Principe e i Discorsi del celebre segretario fiorentino; mariolo sì, diceva don Ferrante, ma profondo: l'altro la Ragion di Stato del non men celebre Giovanni Botero; galantuomo sì, diceva, ma acuto.”(A. Manzoni “I promessi Sposi cap.27). Stiamo cercando di dirvi che stiamo cercando una soluzione, come/con molt* altr* da noi, che siamo disposti a fare dei passi, che parliamo di “legalità” anche noi, ma mettendoci davanti la parolina “nuova”. Continuiamo a vedere solo i vostri bravi e i vostri birri e a loro questa cosa non interessa molto. Non è così che si azzeccano i garbugli. Così, se mai, i garbugli diventano più grossi, anche perché, da parte nostra, un pò ci piace, un po’ diventiamo più forti, un pò siamo sempre stati al gioco. Sapete anche nel 1630 c’era la guerra dei trent’anni e calarono i Lanzichenecchi, portando la peste e la distruzione. Ci pare che restiamo gli unici a voler evitare, ancora per un po’, questa ultima soluzione. Anche perché, anche se ci considerate tali, la nostra malattia non si chiama peste. Sappiamo che chi governa non ci considera un pezzo di società che si oppone e lotta, ma un qualcosa da espellere, da curare come fossimo malati, perché non siamo i vostri servi e allora non sapete che farvene di noi, dei migranti, degli omosessuali, di chi non ha il reddito per affittare una casa e di tante altre “categorie” che vorreste escludere. Questa malattia, la nostra malattia, che è malattia di molti, ha a che fare con la sincerità dei cuori, con l’autenticità e non è riconducibile a un problema di ordine pubblico. Ha a che fare con i desideri delle persone, con il non voler essere dei reclusi a cielo aperto, con le idee comuni, col piacere di realizzarle insieme ed è una cosa che possiamo, vogliamo e non smetteremo mai di far vivere. Questa malattia, ci spiace, ma ha ragione lei. E non intendiamo medicalizzarla. Questa malattia, ci spiace, non è “né sostanza né accidente”, non si presta alla suddivisione della materia in acqua, terra, fuoco e aria, non è neanche un’influenza astrale. Questa malattia è tenerezza, rabbia, sensibilità, determinazione, amore e odio nella strada. Questa malattia si propaga per contatto. Per questo è con felicità che raccogliamo e ci sentiamo di estendere l’invito dei compagni per una cena presso la cascina autogestita Torchiera, dove mettere in comune racconti, pensieri, proposte di azione, lotte, noi con le nostre, altri con le loro. Venerdi’6 gennaio? Giovedi’12 gennaio? “Per fare il bene, bisogna conoscerlo; e, al pari d'ogni altra cosa, non possiamo conoscerlo che in mezzo alle nostre passioni, per mezzo de' nostri giudizi, con le nostre idee; le quali, bene, spesso stanno come possono”. (A. Manzoni “I promessi Sposi cap.27)
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