Porta un fiore a Renato.
Sono trascorse poche settimane, neanche un mese, da quella notte insopportabile, da quella mattina che ha tolto la vita a Renato. In verità la mattina portava con se solo la fine di una dance-hall in spiaggia, in verità a portare via Renato è stata un’aggressione spietata e odiosa. Due ragazzi, uno di diciannove, l’altro di diciassette anni, celtica tatuata sul braccio, coltello alla mano, ci hanno raccontato, con l’uccisione di Renato, una città che tutti vogliono far finta non esista.
Una città che non coincide con il “salotto buono” delle nottate romane, dell’amministrazione “di tutti” (tutti chi?).
Una città dove si riprende ad uccidere, dove la violenza neo-fascista può muoversi impunita, dove le periferie diventano incubatrici efferate, in alcuni casi contesti privilegiati, di nuove paure, insicurezze, di torsioni xenofobe e autoritarie. Luoghi dove la devastazione sociale di questi anni (precarietà, crisi del Welfare, deperimento dei diritti in genere) assume, a volte, i tratti oscuri del razzismo, degli steccati identitari, della logica di banda. È in questo mare caotico che ha mosso i suoi passi una nuova destra fascista, garantita dall’opposizione berlusconiana, favorita dal clima di scontro ingaggiato dall’ex candidato sindaco Alemanno.
Una destra fascista che negli ultimi anni ha provato a costruire «intervento sociale» e nuove forme di aggregazione, mutuate direttamente dalle pratiche di movimento: occupazioni di case, «centri sociali» di destra, autoproduzioni culturali, ostentazione di una presunta identità «antagonista». Ovviamente, si tratta di funesti simulacri, ma che chiariscono bene il tentativo di recuperare i vecchi arnesi della tradizione fascista dentro un «nuovo linguaggio», più adatto alla composizione sociale e culturale della metropoli.
Una verità questa difficile da pronunciare in una società politica e della comunicazione che preferisce espressioni come «bipartisan» e che ritiene la storia strumento tattico di mediazione politica, dove la pace si fa con la guerra e dove la violenza condannabile è solo quella di chi ha ancora la forza di lottare e di dire la verità sul potere e sullo sfruttamento. L’abbiamo imparato a nostre spese, in modo pesante e insopportabile, al seguito del corteo dello scorso sabato 2 settembre. In migliaia, da tutta Italia, abbiamo ricordato Renato e rotto il silenzio per raccontare la verità tra le vie di Roma. Contestualmente, l’ennesima aggressione, fortunatamente non lesiva, colpiva il Centro sociale Pirateria.
Una giornata di narrazione, di indignazione, di condanna, la nostra, raccontata in modo indegno dalle agenzie di stampa e dai titoli di Repubblica e non solo. Alcuni slogan sono stati il pretesto, l’occasione utile per denigrare, offendere, umiliare la voglia di vita, verità e giustizia espressa da quella giornata.
Nel frattempo, il silenzio della città politica, delle sue istituzioni. Un silenzio assordante, che parla delle trasformazioni di questi anni, di un’amministrazione che fa di «governance» ed equidistanza ricette magiche per sopire i conflitti, meglio, per mettere all’angolo ogni lotta, ogni forma di vita incompatibile. Partecipazione e democrazia, in questo senso, sono slogan pieni di tranelli e di falsità.
Cosa significa partecipazione quando occupazioni dichiaratamente neo-fasciste vengono tollerate, anzi «messe in sicurezza» dalle trattative istituzionali? O quando le pratiche dell’autogestione e della democrazia dal basso, proprie dei Centri sociali e patrimonio insostituibile di tutta la città di Roma, vengono continuamente minacciate da aggressioni vili e impunite?
Siamo convinti che Roma sia anche molte altre cose. Una città ricca di conflitti per il diritto alla casa e al reddito, sul sapere e la formazione, per i beni comuni. Una città ricca di produzione culturale indipendente e di pratiche solidali, di autogestione e di riqualificazione autonoma dei territori. Una città fatta di molte città, dove ancora vive maggioritario e solido uno spirito pubblico sinceramente antifascista.
È a questa città che chiediamo ancora di rompere il silenzio, di gridare con forza la verità che la ragion politica vorrebbe silenziosa e opaca. Una manifestazione che attraversi la città di Fiumicino e porti con calore e forza senza pari un fiore a Renato, nel luogo nefasto della sua uccisione: questa è la proposta che facciamo alla città di Roma e al suo hinterland, alla società civile e all’associazionismo solidale, ai movimenti, ma soprattutto a tutt* quell* – e sono tantissimi – che quella sera, come mille altre sere, sarebbero potuti essere in quella dance-hall o in mille altre dance-hall.
Perchè tutto questo non accada più!
Con Renato nel cuore.
CORTEO SABATO 23 SETTEMBRE A FIUMICINO.
Appuntamento ore 15, Darsena Fiumicino.
Da Roma, ore 14, Stazione Termini.
Rete Antifascista Metropolitana
|