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Pontecorvo - Il leone d'Algeri
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dal manifesto Sunday, Oct. 15, 2006 at 3:47 PM |
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Una delle biografie più ricche di progetti bloccati in fase di realizzazione, di pochi memorabili film, una vita da cineasta militante.
Un compagno di cinema, un punto di riferimento, è scomparso con Gillo Pontecorvo. Se vale l'equazione per cui le filmografie dei registi più sono scarne più sono eloquenti, quella di Gillo Pontecorvo in questo è esemplare, un regista diventato negli ultimi anni simbolo di un cinema italiano che non gli è stato concesso di fare, corteggiato e posto nei vari luoghi di comando più prestigioso, come la presidenza dell'Ente Cinema, di Cinecittà Holding, dopo la direzione del festival di Venezia dal 1992 al 1996 e chi la frequenta sa che è ancora oggi ricordato per quella amicizia fraterna con tutti i grandi (Spielberg, è stato ricordato, gli donò il suo Leone d'oro perchè quello che lui aveva ricevuto nel '66 per la Battaglia di Algeri l'aveva venduta all'asta per beneficenza). La battaglia di Algeri è il suo film feticcio, quello per cui è costantemente ricordato e che in Francia si è potuto vedere solo da poco tempo per motivi di censura, nonostante le nomination all'Oscar. Lo sguardo del regista era vasto come l'internazionalismo teorizzato dai comunisti. Pisano, studi di chimica, fratello del famoso scienziato Bruno Pontecorvo, iscritto al partito comunista in Francia durante la guerra, ha avuto una formazione giornalistica e da documentarista. Rossellini è stato il suo primo punto di riferimento con Paisà e poi Joris Ivens di cui fu assistente. Il suo lavoro nel cinema inizia come attore nel primo film voluto dall'associazione partigiani (l'Anpi) Il sole sorge ancora ('46) di Vergano e prosegue come documentarista ( Pane e zolfo , Cani dietro le sbarre , Uomini del marmo ) con uno dei rari film sul lavoro in fabbrica, argomento intoccabile nel nostro cinema, Giovanna , storia di un'operaia in sciopero boicottata dal marito metalmeccanico comunista. Con Franco Solinas come sceneggiatore stabilisce un grande sodalizio creativo, realizza film come La grande strada azzurra ('57) ambientato tra i pescatori sardi, premiato al festival di Karlovy Vary, competizione severissima in fatto di contenuti politici. Uno dei suoi film mai fatti sarebbe stato Confino Fiat sui sindacalisti che, in epoca scelbiana erano messi in un reparto speciale, un film impossibile da produrre anche nei disinvolti anni '60. Come anche è abbandonato un progetto sui poteri paranormali, sciamanici, nato dai colloqui con Ernesto De Martino e dalle sue ricerche in vari paesi. Può invece realizzare Kapò ('60) grazie alla presenza di dive come Susan Strasberg e Emanuelle Riva (delle fabbriche non si poteva parlare, ma i campi di concentramento erano concessi)e fu il suo primo successo internazionale. Solo dopo sei anni arriva La battaglia di Algeri , la messa in scena della guerra di popolo. L'indipendenza dell'Algeria è del '62 e Yacef Saadi in persona, il comandante militare del Fronte di liberazione viene in Italia a cercare un regista che racconti l'epopea del suo paese. Il film sarà uno dei più grandi film di liberazione («abbiamo raccontato lucidamente come nasce, come si organizza e come si combatte una guerriglia» diceva Solinas) punto di riferimento anche per il cinema maghrebino. Un film che i militari americani (del tutto inesperti di repressione, interrogatori e tortura negli anni '60, così dicevano) avevano l'obbligo di vedere e rivedere per imparare qualcosa (lo hanno imparato) su suggerimento dei colleghi dell'Oas, i loro trainer. I francesi hanno sempre considerato i massacri compiuti un falso storico, il film fatto uscire clandestinamente in Francia nel '71 e poi ritirato per attentati nei cinema, è stato rieditato solo nel 2004. Quando poco tempo Pontecorvo fa annunciò che sarebbe stato a Genova al G8, ricordando che il tipo di riprese da farsi sarebbe stato proprio come quello che facevano una volta, con l'Arriflex da salvaguardare, il tono dei suoi interventi era quello che aveva da giovane nei suoi primi film, tra i movimenti di massa. È questo il regista che vogliamo ricordare, più che il direttore dei grandi antidivi come Marlon Brando in Queimada , di Volonté in Ogro il film sull'Eta, sull'attentato a Carrero Blanco: a dispetto della tematica importante, è da ricordare anche il regista dei film non realizzati perchè nessun produttore li avrebbe fatti e nessuna censura approvati: i film sull'Italia dell'autunno caldo, la strategia della tensione, gli attentati fascisti. O del film su Cristo come «eroe del suo tempo», rivoluzionario di un'epoca di passaggio, un'idea che sarebbe piaciuta a Rossellini (si sarebbe intitolato I tempi della fine ,ma i produttori vogliono una star e il film non si fa), sugli indiani d'America nel sud Dakota. Dietro il suo sorriso enigmatico certo si svolgevano costantemente le scene dei suoi film immaginati.
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Gillo Pontecorvo
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dal manifesto Sunday, Oct. 15, 2006 at 3:49 PM |
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Dalla «Battaglia» a «Ogro» Un cineasta rivoluzionario.
Speriamo che ai funerali di Gillo Pontecorvo i suoi amici più cari, come Irene Bignardi, e i suoi seguaci autorizzati, facciamo come Jean-Marie Straub, che ieri, tra Godard e Adriano Aprà, ha salutato per l'ultima volta, con il pugno chiuso, Daniéle Huillet. I non riconciliati si salutano così, tra di loro. Siccome l'80% dell'umanità vive ancora sotto la soglia della povertà, perché l'occidente sottosviluppò in 4 secoli i tre mondi, e anche il proprio, nevrotizzato dal fatto che i cittadini indiani del XVIII secolo, illiberali, erano però più ricchi, in media, dei loro omologhi londinesi. E siccome un secolo di comunismo «reale» non ha di molto migliorato la situazione, bisognerà infatti inventare qualcosa di ancora più global e dark. Di festoso e rivoluzionario.... Gillo Pontecorvo ci provò. La battaglia di Algeri, Queimada, Ogro, Kapò... Pontecorvo, che è morto a 85 anni proprio il giorno in cui il suo braccio destro a Venezia, Giorgio Gosetti, inizia l'avventura della I Festa internazionale del cinema di Roma contestato da una manifestazione per il diritto alla casa, uscì dal Pci dopo Budapest nel 1956, per moltiplicare e non per annacquare le immagini visive, sonore, ludiche e interiori impertinenti e disobbedienti. Gli permisero di fare, a lui e Solinas, ben poche operazioni destabilizzanti. Perché esiste la «nostra cultura» e la «loro cultura», il nostro cinema e il loro, come scrivevano i filmaker argentini militanti Solanas e Getin in Verso il terzo cinema , manifesto di sfida radicale a ciò che si intendeva 40 anni fa, per «cinema per bene», cioé fatto, a Hollywood come dagli autori europei, dall'alto. Ovvero spettacoli meccanici, estetica della sofferenza, droga consolatoria, sacher torte col lacrimogeno a orologeria... Ma Gillo Pontecorvo no. Lui era della sezione italiana - più umorismo pisano, manesco e incomprensibile oltralpe - di quel movimento dimenticato che operò contro l'estetizzazione della politica e per la politicizzazione dell'arte. Si chiamava «Terzo Cinema». E non profetizzava utopie. Esisteva, ma in «altri luoghi», e produceva immagini indigeribili e imperfette (alcune sequenze non eleganti furono anche giustamente criticate da Daney: ma sputare veleno contro Pontecorvo dopo il trattamento francese a La battaglia di Algeri sarà educato, ma fu certo privo di tatto). A Rivette rispose indirettamente Glauber Rocha: «Non ci interessano i problemi dei nevrotici, ci interessano i problemi dei lucidi». Lucido fu per esempio il lavoro, ineguagliato, di delocalizzazione d'immaginario ( Queimada e C.L.R. James; Ogro o la leghizzazione dell'Eta), e di restituzione della personalità araba dentro l'immaginario dominante malato che diffonde immagini stereotipati di: maghrebini «tutti maniaci sessuali»; mashrequini, «tutti ricchi da far schifo, infidi e stupidi»; palestinesi «mostri terroristi, a iniziare da Arafat». Mentre i moderati che siano evocati sempre e ovunque, ma si ordina che siano assolutamente invisibili. Certo quel capolavoro del '66 ha goduto di un fortunato processo creativo, sincretico, con tanto di pressioni ufficiali per ricostruire lo scontro del 1957-1958 tra fedayn e i parà del genrale Massu secondo la giusta linea dell'Fln e il nostro duo resistente, dalla secolare apertura mentale mediterranea, diffidente di ogni tentazione propagandistica che Yacef Saadi esigeva. Così la stampa «gauchiste» permalosa si dispiacque, all'epoca, per il troppo fair play nei confronti dei parà francesi, descritti nel film come esecutori di ordini superiori e non come vampiri assetati di sangue e antenati dei contemporanei torturatori tollerati, o per l'abusiva volontà di obiettività. Mentre oggi quella disobbedienza fuori schema non solo va recuperata in nome del saper ridere, «neorealista», di sé. Ma perché fu il contributo più alto di Gillo non al Cinema, ma al «nuovo cinema arabo».
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