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NO ALLA "DICHIARAZIONE DI BOLOGNA": UN CONTRIBUTO
by Realtà universitarie autorganizzate Monday, Nov. 13, 2006 at 7:15 PM mail: universitarinlotta@yahoo.it

Quello che segue è un piccolo contributo alla discussione sviluppato da diverse realtà e coordinamenti di studenti universitari sulle trasformazioni che ormai da anni,indipendentemente dal governo in carica, hanno investito l'università, modificando le relazione tra il mondo della formazione e quello del lavoro. Come studenti, realtà autorganizzatie, abbiamo visto cambiare l'università sotto i nostri occhi: si è progressivamente aperta al "mondo del lavoro", ha ristrutturato la didattica come la sua attività di ricerca in maniera sempre più funzioanle alle richieste del mercato, s'è fatta sempre più selettiva ed escludente negli ambiti realmente formativi. E' stata modellata attorno alle richieste delle direttive europee e delle riforme nazionali da esse discese (che si chiamino Mussi, Zecchino, Moratti poco importa). Sappiamo bene che per lottare con sempre maggiore consapevolezza ed efficacia è necessario comprendere a pieno le trasformazioni in atto:è per questo che vogliamo aprire un dibattito unitario con tutte le realtà che lottano quotidianamente nei propri Atenei in modo realmente autorganizzato. Praticare l'autorganizzazione per noi significa non credere nella riformabilità di questo sistema sociale, la nostra lotta è volta a soovertirlo e non già a "contaminarlo": nn crediamo, perciò, che nulla che esso produca sia riformabile, università compresa. Pensiamo all'Università come Istituzione, luogo strategico per il capitale, luogo di contraddizioni e perciò terreno di lotta: lotte che smascherino, che denuncino, che resistano, che vincano. USCIAMO DALLO SCHEMATISMO ZECCHINO-MORATTI-MUSSI! RILANCIAMO L'ANALISI E LA LOTTA A LIVELLO EUROPEO! IL 17 NOVEMBRE AUTORGANIZZATI CONTRO LA DICHIARAZIONE DI BOLOGNA (direttiva europea che ha ispirato tutte le riforme nazionali sull'università) Come dichiarato nel Forum Studentesco Europeo di Bakaiku: "la lotta è l'unico cammino".

CONTRO L’EUROPA DEI PADRONI E LE SUE DIRETTIVE SULLA FORMAZIONE!

RESOCONTO DELL’INCONTRO NAZIONALE DEI COLLETTIVI UNIVERSITARI
NAPOLI, 22-23 APRILE 2006

E’ sotto gli occhi di tutti noi il fatto che ormai l’università e il sistema formativo nel suo complesso siano radicalmente cambiati, in particolare in questi ultimi dieci anni, periodo in cui sono state applicate in Italia (come in gran parte degli altri stati membri dell’Unione Europea) le direttive europee in materia di istruzione e formazione. E’ quindi fondamentale comprendere ed analizzare queste trasformazioni riuscendo a legare e mettere in relazione quelle che sono le trasformazioni nelle singole facoltà con quello che è il progetto, più generale, di trasformazione del sistema formativo. E’ per questo motivo che il 22 e il 23 Aprile ’06 abbiamo deciso di organizzare un primo incontro tra diverse realtà autorganizzate a livello nazionale, in modo da poter condividere le esperienze di lotta portate avanti dai singoli collettivi e dai diversi coordinamenti studenteschi in questi anni e poter aumentare la nostra capacità di analisi circa l’applicazione reale delle riforme Zecchino e Moratti all’interno del territorio nazionale. Questo presupposto risulta fondamentale per poter intraprendere un reale percorso di lotta unitario supportato da una maggiore consapevolezza di quelle che sono le trasformazioni in atto e di come poter incidere in maniera efficace su di esse, sia in termini di lotta che in capacità di sviluppare una nuova crescita politica tra noi studenti.
La palese continuità tra le riforme varate in questi anni dai governi di “centro sinistra” e “centro destra” ci impone di sviluppare un’analisi ad un livello diverso da quello fin ora maturato, seppur in maniera fruttuosa, dalla maggior parte delle realtà studentesche autorganizzate che lottano nell’università. A partire da quella che è stata definita “Dichiarazione di Bologna” del ’98 (in cui i diversi ministri dell’istruzione europei hanno tracciato le nuove linee di trasformazione del sistema formativo) fino ad arrivare alla “Strategia di Lisbona” del 2000, si evidenzia la necessità di superare ed uscire da analisi squisitamente nazionali per approcciare ad un’analisi che tenga conto dei processi di trasformazione del sistema formativo e del mercato del lavoro a livello continentale: andare all’origine di ogni “male”, smascherare l’Unione Europea.
Il processo di trasformazione del sistema formativo viaggia sostanzialmente su due binari principali: l’aziendalizzazione dell’università e degli istituti scolastici e quello di privatizzazione dei servizi legati al diritto allo studio.
L’obiettivo, in una fase storica come questa, caratterizzata da una forte crisi del capitalismo, è quello di ridurre i costi per le aziende - di tutte le aziende, dalle piccole e medie alle grandi multinazionali, da quelle dell’artigianato a quelle belliche. Se da sempre uno dei capitoli di spesa più onerosi per le aziende è il costo della formazione della forza lavoro, appare evidente come alle imprese convenga scaricare i suddetti costi sulle istituzioni formative (scuole di ogni ordine e grado e università); il totale asservimento alle logiche e agli interessi congiunturali delle aziende, diventa, così, motore principale delle trasformazioni in atto nel mondo dell’istruzione in tutta Europa. Le aziende private utilizzano scuole e università per “addestrare” la futura forza lavoro, sia in termini di preparazione tecnico-scientifica che in termini ideologici: è così che va letta la cosiddetta “Privatizzazione”!
Non è più una novità trovare nel piano di studi, ad esempio, lo stage obbligatorio per concludere il percorso di laurea triennale. All’infuori della sua discutibile applicazione e della sua finta “vocazione” formativa, lo stage rappresenta uno degli strumenti più utilizzati dalla riforma per abbattere una parte del costo del lavoro da parte delle aziende. Molte università, in particolare quelle scientifiche, vedono nello stage un passaggio fondamentale per lo studente, un passaggio che dovrebbe fornire allo stesso un primo contatto con la “realtà” lavorativa. Premettiamo che nessuno mette in dubbio l’importanza dell’approccio pratico all’apprendimento, ma lo stage si presenta solo come uno strumento in mano alle aziende per procurarsi una manodopera, il più delle volte a costo zero, senza garanzie ed enormemente ricattabile. Tanto più che dopo lo stage non assumono mai!
Inoltre, grazie alle riforme, le aziende possono direttamente intervenire all’interno delle scelte didattiche e gestionali dell’università. Questa nuova “filosofia d’intervento” viene riconosciuta come “Governance” attraverso la quale i senati accademici diverranno dei veri e propri consigli di amministrazione, con tanto di delegati delle aziende private (il c.d. “personale non accademico”). Non sono più rari i casi in cui determinate aziende mettono a disposizione il proprio personale tecnico per la creazione di corsi “ad hoc” su di una specifica materia o addirittura per interi corsi di laurea. L’investimento che l’azienda fa rispetto al risultato che ottiene è minimo: un’enorme quantità di studenti che, letteralmente plasmati secondo conoscenze tecnico-scientifiche basate sullo standard utilizzato da una determinata azienda, sono lasciati come “occupabili” sul mercato del lavoro, senza nessuna certezza in termini di futura occupazione. Ormai “Occupabilità” è un termine che sempre più spesso va a sostituire quello di occupazione. La possibilità di ingrossare le fila degli “occupabili” permette alle aziende di gestire una quantità di forza lavoro “di riserva” a proprio piacimento, con l’evidente risultato di aumentare la ricattabilità del resto dei lavoratori.
Le università, anche a causa dell’approvazione della “Legge Biagi”, vengono considerate delle vere e proprie “agenzie di lavoro interinale”, da cui le aziende possono attingere, a proprio piacimento manodopera formata su standard che è la stessa azienda a dare. Questa, attraverso la possibilità di intervenire direttamente nelle scelte (didattiche e quindi culturali, finanziarie e quindi gestionali), ha la possibilità di scaricare i costi sugli istituti e le università pubbliche, legandole sempre di più a quelli che sono i loro interessi.

Nel tentativo di quantificare la conoscenza e i saperi, e quindi la loro spendibilità sul mercato del lavoro, l’Unione Europea ha creato il meccanismo dei “crediti formativi” (conosciuto come ETCS - European Transfer Credits System). Nel processo di integrazione europea risultava fondamentale, infatti, per gli imprenditori a livello europeo trovare un’unità di riferimento che permettesse di misurare, e quindi valutare, la quantità di conoscenze e nozioni acquisite dagli studenti - futuri lavoratori. Da qui nasce l’equazione “1 credito = 25 ore” di studio o di lavoro: in questo modo le attività lavorative (definite come apprendimento non-formale) possono essere quantificate e rese “commensurabili” con le ore di studio (definite come apprendimento formale) e viceversa. Ne consegue la possibilità di quantificare la preparazione di uno studente indipendentemente dal paese di provenienza, in quanto la sua preparazione può essere calcolata in base ad un’unità di riferimento riconosciuta a livello continentale e quindi spendibile (leggi sfruttabile) in tutto il mercato del lavoro europeo. Sintetizzando, la creazione di un libero mercato europeo passa necessariamente per la creazione di un libero mercato europeo della formazione.

Ma queste riforme hanno fatto anche di più. Da alcuni anni si è iniziato a parlare di “numerosità di riferimento” e di “requisiti minimi” delle università. Con questi nuovi termini le diverse riforme hanno reintrodotto ufficialmente il concetto di “numero chiuso”, cosa che tutti noi pensavamo fosse scomparso con la legge della “Codignola” varata grazie al movimento studentesco del ’68. Purtroppo no! Purtroppo, infatti, la “selezione di classe” è una questione ancora fortemente centrale quando parliamo di libertà di accesso all’istruzione, di possibilità degli studenti di proseguire il proprio percorso di studi indipendente dalla condizione sociale di partenza, di possibilità di accedere ai diversi gradi d’istruzione per gli studenti che svolgono anche un lavoro. Nonostante molti studenti, rispetto al passato, riescano ad accedere all’università, la maggioranza della popolazione studentesca, ancora, non ha la possibilità di accedervi. Anzi, la Commissione europea si lamenta nei sui documenti che le università non abbiamo fatto fronte, fin da subito, ad un indiscriminato accesso attraverso numeri programmati nelle diverse facoltà. Da qui si registra la creazione di numeri chiusi per l’accesso alle Lauree Specialistiche o a determinati corsi di laurea.
Ma sarebbe fuorviante ragionare sulla “selezione di classe” intesa solo come creazione di numeri chiusi. Questa si concretizza lungo tutto l’arco del percorso universitario attraverso le frequenze obbligatorie (fattore che rende impossibile la frequentazione agli studenti-lavoratori ormai numerosissimi), i ritmi “aziendali” della frequenza universitaria, la differenziazione (leggi aumento) dei programmi per gli studenti non frequentanti etc.
La suddivisione del sistema universitario in due cicli (elaborata con la Dichiarazione di Bologna) ha permesso, quindi, di far raggiungere un certo livello di formazione solo ad una “nuova” risicata minoranza della popolazione studentesca, escludendo dai luoghi dell’alta formazione (a partire dal biennio di specializzazione) la maggior parte degli studenti. Di fatto, l’università non può essere più considerata come un percorso monolitico, questa si ramifica, infatti, in diversi percorsi, in cui la selezione di classe va progressivamente aumentando, fino ad arrivare ad una esclusione quasi totale.
Uno degli strumenti più usato per “selezionare” gli studenti che potranno entrare nel mondo produttivo è il master, sia di primo che di secondo livello. Da un lato, lo smantellamento culturale e il sapere nozionistico fa sì che lo studente laureato abbia meno competenze rispetto al passato e quindi senta l’esigenza di approfondire gli studi in modo più “qualificante”; dall’altro, le aziende che si accordano con i vari dipartimenti di facoltà cercano di scaricare i costi di formazione sullo studente stesso, utilizzando anche aule e laboratori che vengono di fatto privatizzati. Il costo medio di un master fa sì che solo studenti di un certo ceto possano permettersi di “acquistare” la speranza di un futuro lavorativo presso le cosiddette ditte-partner; ma questo rientra perfettamente nella logica della selezione di classe. Un’ultima importante annotazione riguarda la tipologia di aziende che realizza questi master, insieme ai docenti dell’università: sono sempre più diffuse nelle facoltà scientifiche quelle legate alle industrie belliche, alle telecomunicazioni, all’energia e ai prodotti di largo consumo. In pratica, con il loro ingresso nelle aule ed il loro peso politico-economico determinano sempre più un forte assoggettamento dell’istruzione superiore al mercato globale ed alle sue strategie di branding, marketing e recruiting.

L’obiettivo che si è data l’Unione Europea attraverso la “Strategia di Lisbona”, e cioè quello di diventare la potenza maggiormente competitiva “nell’era della conoscenza”, passa, quindi, necessariamente, per la creazione di poli di ricerca e sviluppo avanzati in grado di competere a livello internazionale: i cosiddetti “centri d’eccellenza”. Gli istituti e le università che “meglio” sapranno rispondere alle esigenze del mercato del lavoro, e che saranno in grado di organizzare con più efficienza la propria “Governance”, nella competizione tra centri di formazione, rappresenteranno la “punta di diamante” del sistema formativo europeo.

Lo “scoglio” più grande da superare, per lo studente e la sua famiglia, sono, però, a tutt’oggi, ancora le tasse. La tendenza che si registra in tutta Europa è un drastico aumento di queste ultime con la conseguenza, ovvia, di “tagliar fuori” moltissimi studenti che non hanno la possibilità di affrontare per diversi anni una spesa così onerosa. La strategia del padronato a livello europeo di ristrutturare il sistema formativo per superare la crisi economica finisce con l’addossarne i costi sulla collettività. Visto il rigido vincolo imposto alla spesa pubblica dai parametri di Maastricht e quindi in generale il calo dei finanziamenti pubblici l’unica soluzione praticabile rimane la libera contribuzione di privati, ma anche (e soprattutto in Italia) degli enti pubblici locali, o l’aumento generalizzato del costo del percorso formativo.
La selezione, prodotto naturale dell’aumento delle tasse, rappresenta inoltre (così come in passato) un ottimo strumento, nelle mani della classe dominante, per escludere, all’origine, l’accesso all’università delle classi popolari: non permettere l’accesso agli studenti meno abbienti significa, anche, evitare che le contraddizioni possano scoppiare all’interno degli atenei stessi, contraddizioni mosse dai bisogni e dai diritti sollevati proprio da quegli studenti che attualmente vivono le università e a cui vengono continuamente negate garanzie e diritti.

Nella fase di ristrutturazione del capitalismo a livello europeo la parola d’ordine che ogni giorno ci viene propagandata da tutti i media è privatizzazione. Da questo processo di privatizzazione (che dura da più di un decennio e viene portato avanti con continuità sia dal “centro sinistra” che dal “centro destra”), che investe tutti i settori di pubblica utilità (dai servizi di trasporto, alla sanità, fino ad arrivare all’acqua), ovviamente, non viene esclusa la privatizzazione di quelli che un tempo si chiamavano Enti per il Diritto allo Studio Universitario. Questi enti sono stati trasformati in vere e proprie aziende con un proprio Consiglio di Amministrazione e stipendi esorbitanti per i vari consiglieri. L’obiettivo del profitto privato ha permeato qualsiasi decisione. Un esempio indicativo è rappresentato dal servizio mensa universitario: lì dove il servizio ristorazione pubblico non esisteva o era inadeguato, non si è pensato di crearlo o rilanciarlo, bensì lo hanno esternalizzato, attraverso la stipula di contratti tra le aziende per il diritto allo studio e i ristoranti privati. Ma anche lì dove il servizio era garantito, attraverso la privatizzazione e la cessione della gestione ad aziende private di ristorazione, si è verificato un aumento sconcertante del costo dei ticket pasto. Per non parlare delle residenze universitarie, numericamente insufficienti per garantire l’alloggio ai numerosissimi studenti fuori-sede, insufficienza che costringe gli studenti, da nord a sud, a sottostare al ricatto dei “palazzinari” di turno che, il più delle volte, non fornendo alcun tipo di contratto, non permettono allo studente di presentare domanda di borsa di studio come fuori sede, ma solo come pendolare. Vi immaginate uno studente residente a Trieste che dichiara di essere un pendolare, per esempio, all’università di Roma?!
A proposito di borse di studio, già pressoché inesistenti in passato, ora, attraverso il “sistema dei crediti” (che lega reddito a produttività/crediti) risultano ancora più difficili da ottenere. Ma oltre il danno la beffa: in diverse città è stata confezionata la formula “dell’idoneo non beneficiario”, cioè di uno studente a cui dovrebbe essere garantita la borsa di studio, ma a cui non può essere erogata, in quanto i fondi non sono sufficienti.
Queste trasformazioni non devono essere però lette solo ed esclusivamente nell’ottica del malfunzionamento di un ente/azienda (come molti vogliono farci credere), bensì come un ulteriore strumento di “selezione di classe”, che mira a garantire i diritti solo ad una sparuta minoranza degli studenti, escludendo tutti gli altri e creando, di fatto, una condizione per cui si scoraggia (per non dire si nega) l’accesso all’università da parte degli studenti delle classi meno abbienti.

Con queste, seppur brevi, considerazioni volevamo mettere in evidenza come le trasformazioni che le nostre università stanno subendo non sono solo un caso “nazionale”, ma rappresentano un processo che caratterizza le trasformazioni che l’Unione Europea sta portando avanti. Quello che abbiamo visto svilupparsi in Francia è solo la lotta, che si è conclusa con una grande vittoria del movimento studentesco, contro un piccolo pezzo di questo progetto. La nostra necessità è quella di fare tesoro di questa vittoria e andare oltre: rilanciare la lotta del movimento studentesco contro il progetto più complessivo di ristrutturazione del sistema formativo non dimenticare che queste trasformazioni non sono affatto slegate dalla guerra imperialista e da quelli che sono i processi di precarizzazione del mercato del lavoro, processo nel quale gli studenti ormai sono inseriti a pieno titolo. Invitiamo tutti i collettivi e i coordinamenti studenteschi a proseguire questo percorso, al fine di rilanciare un movimento studentesco, che possa realmente contrastare tutte le direttive europee che aziendalizzano l’università, privatizzano il diritto allo studio e precarizzano la nostra vita.

CONTRO LA STRATEGIA DI LISBONA!
CONTRO LA DICHIARAZIONE DI BOLOGNA!

NO ALL’OCCUPABILITA’, SI ALL’OCCUPAZIONE STABILE PER TUTTE/I!
L’ISTRUZIONE E’ UN DIRITTO DI TUTTE/I!
CONTRO L’EUROPA DEI PADRONI E DELLA PRECARIETA’!


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