L’Associazione Solidarietà Popolare (ASP) aderisce all'appello lanciato dal Comitato per le Libertà d’Espressione e d’Associazione (Clea) in difesa della democrazia, della libertà d'espressione e dei diritti conquistati, 150 anni, fa lottando in Europa contro il nazi- fascismo. La ASP si impegna inoltre a tradurre i vostri articoli in italiano per favorire la conoscenza nel nostro paese di un problema che pensiamo debba riguardare tutti. Solidarietà con Bahar e con i militanti turchi condannati a Gand! No al terrorismo di Stato né in Turchia, né altrove!
Per aderire a questa lettera aperta, inviate una e-mail a Nadine Rosa-Rosso rosa-rosso@coditel.net
Lettera aperta alla signora Laurette Onkelinx, Ministro di Giustizia
Martedì 7 novembre, la Corte d’Appello di Gand ha condannato sette membri del movimento rivoluzionario turco DHKP-C a pene che vanno dai quattro ai sette anni di detenzione. Il concetto di "organizzazione terroristica" è fra le principali ragioni invocate dalla Corte per giustificare il suo verdetto. La figura del terrorista sembra richiamare un regime d'eccezione. Sul piano giuridico innanzitutto, poiché questa condanna si basa su articoli del codice penale introdotti da una legge del 2003 che permettono in particolare di condannare persone sulla base della loro appartenenza a questo tipo di gruppo e ciò, se necessario, in mancanza di ogni elemento di implicazione accertata in commissione in atti punibili o criminali. Sul piano giudiziario in seguito, poiché l'affare è stato istruito, non dalla Corte di Bruges, da cui dipende il territorio sul quale le infrazioni principali sono state commesse, ma dalla Corte federale, poiché questa ultima era specializzata in materia di terrorismo. Il carattere eccezionale del trattamento degli affari "terroristici" non si limita purtroppo a questi due piani giuridici e giudiziari. Le condizioni di detenzione delle persone condannate per fatti di terrorismo dipendono da un regime anch’esso eccezionale.
Le testimonianze dei prigionieri imprigionati a Bruges diffusi dal Comitato per la libertà d'espressione e d'Associazione e confermati dall'Osservatorio Internazionale delle Prigioni, la Liga Voor Mensenrechten e la Lega dei diritti dell'uomo, suscitano le più grandi preoccupazioni. Infatti, appare in particolare attraverso i lavori di questi che i prigionieri sono isolati dagli altri detenuti, che sono confinati ventitrè ore su ventiquattro nella loro cella, che durante la loro unica ora di aria, sono soli nel cortile, che le visite autorizzate sono esclusivamente quelle dei loro avvocati o in alcuni casi di un gruppo familiare definito in modo molto restrittivo, ed infine, che alcune pratiche contribuiscono a determinare una privazione del sonno. Le lampade delle loro celle restano accese in modo permanente, e per loro è quasi impossibile dormire. La sola donna condannata non ha famiglia in Belgio e non riceve alcuna visita, poiché solo i membri del nucleo familiare sono autorizzati. Non ha visto nessuno dal 28 febbraio eccetto i suoi avvocati. La condanna a una pena detentiva per reati qualificati come "terroristici" sembra implicare nei fatti un secondo livello di sanzione. Le condizioni di detenzione particolarmente dure creano una forma di doppia pena paralegale, esponendo così gli individui all'arbitrio dell'amministrazione penitenziaria o dell'autorità politica da cui essa dipende. Nulla se non la logica dell'espiazione attraverso la sofferenza, permette di giustificare un simile trattamento. Nessun imperativo di sicurezza sembra giustificare una illuminazione permanente o l'isolamento totale di un prigioniero. Quando anche esistesse un tale stato di necessità, queste pratiche non sarebbero accettabili per tanto. Come constatano le organizzazioni suddette, "la mancanza di sonno e l'isolamento hanno conseguenze disastrose sullo stato mentale e fisico degli individui" e "questi metodi sono contrari alle libertà e diritti fondamentali". Che ciò avvenga scientificamente o per negligenza, sottoporre un individuo a simile trattamento significa esporlo a gravi ripercussioni. Tollerare che si infligga ad una persona un trattamento che genera sofferenze così pesanti vuol dire accettare il ricorso, se non a una forma di tortura, quantomeno a quello di trattamenti inumani o degradanti. L'articolo 3 della Convenzione di Difesa dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali lo esprime senza mezzi termini:”Nessuno può essere sottoposto alla tortura o a pene o trattamenti inumani o degradanti” La giurisprudenza della Corte europea dei Diritti dell'Uomo ha sostanziato questo principio generale ricordando che "L'articolo 3 della convenzione impone allo Stato di assicurarsi che qualsiasi prigioniero sia detenuto in condizioni compatibili con il rispetto della sua dignità umana, che le modalità d'esecuzione della misura non sottopongano l'interessato ad un pericolo o ad una prova di un'intensità che ecceda il livello inevitabile di sofferenza inerente alla sua detenzione e che, considerando le esigenze pratiche della prigionia, la salute ed il benessere del prigioniero siano garantite in modo adeguato" (arresto Valasinas c. Lituania del 24 luglio 2001). La Corte europea dei Diritti dell'Uomo ha inoltre ritenuto che un isolamento sociale potesse in alcune circostanze costituire una violazione dell'articolo 3 della convenzione (sentenza Van der ven c. Paesi Bassi del 4 febbraio 2003). Inoltre, in un altro caso (arresto Kalachnikov c. Russia del 15 luglio 2002), ha giudicato che "le condizioni di sonno erano aggravate ancor più dalla luce costantemente accesa nella cella, come pure dal va e vieni e dai rumori generati dal grande numero di occupanti." La privazione del sonno che ne è risultata deve avere costituito un pesante fardello fisico e psicologico per l'interessato ". Infine, le norme adottate dal Comitato del Consiglio d'Europa per la prevenzione della tortura (CPT) rilevano da un lato che un regime d'isolamento permanente può essere assimilato ad un trattamento inumano e degradante, dall’altro che ogni prigioniero ha diritto ad un numero di ore minime di sonno (1). In altri luoghi, nessun ha giudicato di per poter sottrarre i "terroristi" al divieto della tortura o dei trattamenti inumani e degradanti e che questi potessero legittimamente essere privati di qualsiasi diritto. La storia abbonda di esempi di regimi dittatoriali che sono ricorsi a prigioni segrete. Più vicino a noi nel tempo, le carceri di Guantanamo o di Abu Ghraib hanno creato zone di non diritto che espongono i prigionieri allo scatenarsi dell'arbitrio. Molto fortunatamente, noi non siamo giunti a questo punto in Belgio. Tuttavia, la messa in opera di un regime di detenzione eccezionale, e questo quando nessuna legge definisce questo regime, ci sembra introdurre un’ importante zona di arbitrio nell'ambito del sistema giudiziario del nostro paese. La nostra democrazia si vanta di essere uno Stato di diritto nel quale la legge protegge gli individui contro gli abusi del potere. È per questo che vi chiediamo, signor ministro, di garantire a queste persone condizioni di detenzione che non superino ciò che la legge prevede e che siano conformi agli impegni internazionali del Belgio in materia di salvaguardia dei diritti e libertà.
Benjamin Denis (Politologo FUSL) Circa centottanta persone hanno già aderito, in qualche giorno, a questa lettera aperta. Voi potete farlo inviando una e-mail a Nadine Rosa-Rosso <rosa-rosso@coditel.net>
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