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[CA] David Grossman incontra gli studenti
by lejba bronstein Saturday, Oct. 14, 2006 at 8:22 PM mail:

Lo scrittore israeliano David Grossman incontra gli studenti di una scuola di Cagliari. Ripercorre la guerra dell'estate, la morte di suo figlio Uri in Libano, e ripropone le idee che l'hanno fatto conoscere in tutto il mondo come scrittore pacifista.

«Grossman: niete odio, credo nella pace»

CAGLIARI — Qualcuno con cui correre, qualcuno con cui parlare.
«Shalom. Sono nato in Israele. Sono uno scrittore, ho scritto per adulti e ragazzi, anche per bambini». Ed è per i ragazzi, come lo sono i suoi Uri, Yonatan e Ruti («ho tre figli», dice, e continua a usare il presente anche se «uno l'abbiamo perso in Libano quest'estate»), che David Grossman esce per la prima volta dalla reclusione del silenzio, che si spinge oltre il muro del dolore privato, alzato quando il tank del figlio Uri saltò in aria in un villaggio libanese. Era il 14 agosto, 24 ore alla tregua, quando «la vita si è fermata» e «noi, la nostra famiglia abbiamo perso la guerra».
È venuto a Cagliari al festival Tuttostorie, a parlare di libri per ragazzi. L'accompagna la moglie Michal. Una rosa bianca in mano, un minuscolo orsetto di pezza nell'altra, una lettera chiusa. C'è Yonatan, testona di capelli rossi e denti larghi, più bambino dei suoi 24 anni, che aiuta lo staff a coprire coi teloni di nylon le statue di carta prima del temporale. Gentili, timidi, uniti.
Si fida, David Grossman, del patto tra lui, pacifista e scrittore tra i più celebri al mondo, e gli adolescenti di Cagliari (hanno letto tutti almeno Ci sono bambini a zig zag e Qualcuno con cui correre): parlare solo di libri, non di politica, della sofferenza. Una consegna che nessuno dei ragazzi violerà. Ma tanto è inutile, perché David Grossman è incapace di separarli. O di separare la letteratura da sé stesso, «tutto quello che scrivo è autobiografia, anche quello che non mi è successo». Si presenta così: «Scrivo di cose molto private e intime, e di argomenti generali, di politica. Non potrei altrimenti, nessuno scrittore israeliano può. Israele esiste in condizioni politiche estreme». È tornato a scrivere, dopo Uri, nonostante Uri. «Sì, ho un nuovo romanzo, ma è così complicato che mi ci vorranno sei anni a finirlo». Parlerà delle tensioni che nascono in «una situazione dominata dall'odio, dall'occupazione, dal terrorismo» e «della fragilità nella vita intima di una famiglia ».
Ama gli adolescenti. «Ha a che fare con l'energia. I miei libri per ragazzi sono più ottimistici. No, non credetemi un ingenuo: sono stato un adolescente solitario. Eppure, c'è una cosa che amo di quell' età: la capacità di credere che è possibile cambiare le cose, se stessi, il mondo». I libri dedicati ai figli. Si confessa: «Ho bisogno di creare una bolla che preservi i miei sentimenti. Dite che non c'è guerra nei libri per i ragazzi? Ma ce n'è tantissima negli altri. Anzi, ne sono ossessionato: da cosa significhi vivere nel timore dell'annientamento, nella paura di non esistere più, dall'occupazione e dell' impatto che essa ha sulla nostra moralità di israeliani. È come un acido, che penetra attraverso ogni coperta con la quale ti proteggi. Penso spesso che troppa parte della mia vita è stata confiscata dall'odio».
Una ragazza s'alza in piedi: «Ma quanta parte ha avuto l'egoismo nel conflitto arabo-israeliano?». Lui l'accarezza con gli occhi, le fa i complimenti («buona domanda»): «In ogni conflitto, anche tra amici, tu guardi al tuo interesse. E se sei ferito, se sei offeso e insultato, molto raramente hai la generosità e l'energia di cercare di capire il punto di vista dell'altro. Il corpo ti si raggrinzisce, ti si raggrinzisce la mente».
Eppure, dice, c'è un solo modo per risolvere questo conflitto tra ebrei e palestinesi, che dura da cento anni, dove «entrambe le parti hanno fatto cose orribili», dove quasi ogni volta quando c'è stata da fare una scelta, è stata fatta quella sbagliata. «Di permettere di vedere a noi stessi la storia dell' altra parte, la narrazione del tuo nemico. Perché nessuno ha torto al 100 per cento, né noi né i palestinesi. E io credo che questa sia la mia, la nostra missione di scrittori: "infiltrare", "contrabbandare" la storia degli altri. E creare una narrazione che comprenda finalmente tutte le storie». Pochi lo fanno. «E però negli ultimi quindici anni, dai trattati di pace, sono sempre più quelli che ci credono».
Eccolo, David Grossman. Nessun rancore, non una parola di odio. Anzi, nel momento in cui il dolore deve avergli raggrinzito il corpo, promette di farsi contrabbandiere della sofferenza altrui. Di starci attento. Come Uri che — disse David sulla sua tomba due mesi fa — «quando stava ai check- point e vedeva un bambino palestinese nella macchina che aveva paura di lui e lo odiava, a ragione, faceva di tutto per rendergli più facili quei momenti tremendi. Compiendo al tempo stesso il suo dovere di soldato».
Gli chiedono come crea gli eroi dei suoi libri. «Nell'ebraismo, l'eroe è chi controlla i propri impulsi, i propri bisogni. Per me, eroe è uno che riesce a superare se stesso, le proprie esitazioni. Io credo che sia un eroe chi resta leale, aderente come un adesivo a se stesso».

[Fonte: «Corriere della sera», sabato 14 ottobre 2006, pag. 18, di Mara Gergolet]

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