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dopo cinque mesi, primo giorno di libertà...condizionata!
by marais Wednesday, Aug. 21, 2002 at 3:14 PM mail:

diario dalla palestina

Dopo cinque mesi, primo giorno di libertà…. Condizionata!



Sto viaggiando verso Belen. Non è davvero un viaggio, ma qui le distanze reali in chilometri non hanno corrispondenza con quelle mentali. Sono solo 3 chilometri, ma appena il tassì si allontana da Deheishe la strada ha meno buche, i muri sono più integri, c’è meno immondizia e meno macerie ai lati. Le morbide colline sono piene di case dall’aspetto gradevole, costruite in pietra bianca e con le forme dolci, di tanto in tanto si vedono piccoli oliveti e pergolati, , oasi di campi all'interno di zone quasi completamente urbanizzate. Sembrerebbe una località costiera del mediterraneo, ma proprio all’ingresso nella città la brutale distruzione di due costruzioni smentisce quell'impressione. All'entrata di Belen vedo nuove uniformi, mimetiche colorate di azzurro anziché di verde, domando al tassista, sorride e mi dice che sono soldati palestinesi arrivati dalla Giordania, dall’Arabia saudita…….che hanno preso il posto delle truppe israeliane nel controllo di Belen e dei dintorni .
Belen è più animata del solito, la gente sembra meno frettolosa nelle strade, e quando vedo un uomo con una macchina fotografica al collo mi viene istintivo pensarlo come un attivista, ma c’è qualcosa che non quadra nel suo aspetto e all’improvviso capisco….è un turista! Il primo che vedo da quando sono qui.
Assisto a una riunione, l’ambiente è rilassato: tre ragazze giovani parlano animatamente tra di loro nel dolce arabo di queste parti, e un ragazzo mi dice con un sorriso di scusa: “è che sono contente, oggi è il primo giorno senza coprifuoco!” Le riunioni sono sempre finite bruscamente, perché la gente doveva correre a casa prima che le strade venissero chiuse, che i trasporti cessassero; oggi mi dicono che non c’è fretta, che non c’è coprifuoco. Comincio a crederlo anche io.
Quando mi chiedono i miei progetti , rispondo che non ne ho ; ho dimenticato il significato di questa parola perché le poche volte che mi sono spostata nel pomeriggio avevo un solo obiettivo: tornare a casa finchè era possibile,sempre sperando che il campo non fosse pieno di soldati che sparavano e lanciavano gas, a Dehishe non c’è nulla di certo.
Mi mostrano le distruzioni dell’occupazione, sempre riferendosi al mese di marzo e aprile, nel corso del lungo e penoso assedio della Basilica della Natività, e mentalmente non posso fare a meno di fare il confronto con i giornali di Deheishe, nuovi ogni mattina. Qui l’occupazione si vive in altro modo.
Le strade sono piene di giovanotti ben vestiti che formano gruppi, che ridono e parlano, di gente che chiacchiera tranquillamente sulla porta dei negozi. Si respira un’aria di festa.
Torno a casa alle sette, mi sento strana, quasi cedo al desiderio di rintanarmi, ma devo andare a casa di alcuni amici. Già comincia il lungo e doloroso rito degli addii.
Il percorso per arrivare alla loro casa sulla collina è sempre stato laborioso e tortuoso, con mille giri attraverso le stradine del campo, piene di sporcizia e macerie, con l’asfalto disfatto.
All’improvviso mi rendo conto che ora posso andare per la strada principale!!! Così il tragitto è brevissimo e facile. Una passeggiata di dieci minuti!….
Per una carreggiata distrutta, rovinata, dove le tracce delle incursioni giornaliere non hanno bisogno di essere mostrate, però molto più corta.
Sto per credere che la ritirata sia davvero iniziata, che non succederà nulla.
Quando arrivo la mia amica è vestita e truccata per uscire. Tra le risa mi comunica che il programma per questa sera è di andare a mangiare un gelato nella strada, è la prima notte dopo cinque mesi che può uscire!!!! La accompagno per delle commissioni dell’ultimo momento, e scopro un altro campo. E’ ormai sera, ma la strada è piena, e dalle finestre ci chiamano ridendo. Un paio di piccole compere si trasformano in una passeggiata di tre ore! Entro ed esco da case che non conosco, i giardini profumano intensamente di gelsomino e madreselva, perdo il conto di quello che bevo, dimentico i numeri…..questa è Deheishe?
La mia amica propone un « falafel » anziché cucinare. Ci aspettano, ma decidiamo ridendo che oggi vogliamo restare per strada e camminiamo mangiando come bambine, dondolando le borse dove è la cena per quelli che non sono usciti.
E la conversazione non si allontana mai dalla paura e la gioia per la libertà ritrovata, quando indico qualcosa che per me è nuovo, la risposta è sempre la stessa: erano cinque mesi che non succedeva
Dovrebbe essere la mia ultima notte nel campo questa prima di libertà. Il ritorno è complicato ma la notte si apre e mi strappa mille promesse.
Non posso partire ancora, e voglio annullare quella sensazione quasi simbolica che fa coincidere la mia ultima notte al campo come la prima notte di libertà in cinque mesi per i suoi abitanti.
In questa decisione conta molto il fatto che nessuno, io compresa, crede che questa ritirata sia definitiva. La gente ne approfitta, però dice: non se ne sono andati, sono ad un chilometro da qui, in qualsiasi momento possono tornare e i blocchi stradali a pochi chilometri di distanza sono una barriera reale. La gabbia è solo meno pericolosa al suo interno e …chi può dire quanto durerà così?




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