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Nel 2004 la sinistra voleva il nucleare

da Libero del 18/03/2011 (link articolo)

Pasticci atomici. Chi ora è per il no, nel 2004 diceva si.

Il governo italiano riattivi subito due centrali nucleari che aveva chiuso, quella di Caorso (Pc) e quella di Trino Vercellese e “consideri la convenienza di un programma nucleare ai fini di calmierare i prezzi dell’energia elettrica che in Italia sono una volta e mezzo superiori a quelli della media europea e doppi di quelli della vicina Francia”. Firmato: Rosy Bindi, Nichi Vendola, Giuliano Pisapia, Oliviero Diliberto, Dario Franceschini e decine di altri insospettabili sostenitori del nucleare. Era il 30 luglio 2004. Alla Camera dei deputati si stava votando uno dei tanti decreti sull’energia presentato dall’allora governo guidato da Silvio Berlusconi. Respinti tutti gli emendamenti il rappresentante del governo, l’allora sottosegretario alle attività produttive, Giovanni Dell’Elce (Forza Italia), diede il parere dell’esecutivo sugli ordini del giorno presentati da maggioranza e opposizione. Venne il turno anche di quell’ordine del giorno. Portava il numero 9/3297- c/27. Era firmato da due deputati di maggioranza, entrambi di Forza Italia: Francesco Zama ed Eugenio Viale. Il governo voleva chiudere in fretta la discussione e accettò pochissimi ordini del giorno. A quello di Zama diede parere negativo. Bastò quel no a fare correre un fremito fra le fila delle opposizione: “Il governo dice no,allora votiamo tutti sì, magari finisce sotto”, sorrisero furbescamente tutti i parlamentari della sinistra (Ds, Margherita, Rifondazione, Comunisti italiani). Così come dall’altro fronte i deputati di maggioranza scattarono come un soldatino a dire no.

È finita che si schierarono addirittura per la riapertura delle vecchie e pericolose centrali nucleari di Caorso e Trino vercellese oltre che per la costruzione di nuove centrali nucleari in Italia Vendola, la Bindi, Diliberto, Pisapia e Franceschini. E con loro molti altri volti noti della sinistra italiana: i rifondaroli Ramon Mantovani, Tiziana Valpiana e Giovanni Russo Spena, i comunisti Maura Cossutta, Famiano Crucianelli e Katia Belillo, i diessini Mauro Agostini, Goffredo Bettini, Massimo Cialente (attuale sindaco dimissionario de L’Aquila), Pietro Folena, Giuseppe Lumia, Marco Minniti, Fabio Mussi, Umberto Ranieri, Carlo Rognoni, Walter Tocci e Vincenzo Visco. E poi ancora Giuseppe Fioroni, il prodiano Giulio Santagata, perfino il verde Marco Boato. Per contro dissero no non solo a resuscitare Trino Vercellese e Caorso (probabilmente non hanno mai cambiato idea sul punto), ma perfino a riprendere in Italia il nucleare l’attuale ministro delle attività produttive, Paolo Romani, il suo sottosegretario con delega sul nucleare, Stefano Saglia, l’attuale presidente della commissione Trasporti della Camera, Mario Valducci, ministri dell’attuale governo come Sandro Bondi, Elio Vito e Stefania Prestigiacomo, sottosegretari in carica come Guido Crosetto (Difesa), Luigi Casero (Economia), Daniela Santanchè e Carlo Giovanardi (presidenza del Consiglio), perfino Denis Verdini, ora coordinatore del Pdl. Anche per il loro no del 2004 la proposta non passò e ci vollero altri 4 anni perché il nucleare tornasse fra i piani del governo italiano e gli stessi protagonisti dell’epoca virassero di 180 gradi trasformandosi prima in pasdaran dell’atomo e ora in scettici convertiti dal Giappone.

Ma certo a fare più effetto – visti i toni che sarebbero venuti dopo – furono i sì a quella proposta. E soprattutto quelli di Bindi, Franceschini, Diliberto, Pisapia e Vendola, tutti pronti oggi a farsi scudi umani contro il nucleare. Basta scorrere le loro dichiarazioni di pochissimi giorni fa. Era il 15 marzo. La Bindi, presidente del Pd, ha tuonato da Ballarò, la trasmissione di Giovanni Floris : «Il governo fermi i programmi sul nucleare». «Milano è e sarà una città antinucleare», ha promesso il candidato sindaco del capoluogo lombardo, Pisapia. «Il nucleare? È una follia voluta da una cricca criminale. È una scelta pericolosa e violenta. Per costruire una centrale in Puglia dovranno venire con i carri armati», ha gridato Vendola, leader di Sel e presidente della Regione Puglia. Stesso giorno, in campo anche Franceschini, capogruppo del Pd alla Camera dei deputati: «Il governo si fermi sul nucleare o lo faranno gli elettori con il referendum».
Non l’ha mandata a dire nemmeno Diliberto, leader dei comunisti italiani: «Impediremo che siano costruite centrali in Italia e lo faremo con tutti i cittadini italiani attraverso il referendum». Per sentire questi tuoni e fulmini contro il nucleare del gruppo Bindi-Franceschini-Vendola-Diliberto-Pisapia per altro non c’è stato bisogno della tragedia giapponese: ne erano tutti convinti almeno da un paio di anni. Per fare dire loro no al nucleare che volevano con così tanta determinazione nel 2004 è bastata una sola cosa: che Berlusconi nel 2008, ascoltandoli a scoppio ritardato, dicesse sì. Oramai è diventata la cartina di tornasole della politica italiana: in Parlamento da lustri si vota pro o contro Berlusconi, non sui contenuti che non interessano quasi a nessuno degli eletti.

Quel che è avvenuto il 30 luglio 2004 sul nucleare la dice lunga sulla qualità della classe politica italiana, e ancora di più sulla leadership della sinistra. Di fronte a quel clamoroso voto pro-nucleare l’unica scusa che potrebbero trovare i Vendola, i Diliberto, le Bindi, i Pisapia, i Franceschini e tutta la compagnia è di non avere nemmeno letto quello a cui dicevano sì. È possibile, anche se quel giorno ad esempio la verde Laura Cima lesse il testo prima di votare e non se la sentì di appoggiarlo. Almeno si astenne. Ma se questa fosse la ragione sarebbe addirittura peggio: la dimostrazione della inconsistenza e della scarsa professionalità di tutta quella leadership. Vendola & C. sarebbero stati super-nuclearisti a loro insaputa. Ed è ben peggio della famosa casa di Claudio Scajola.

di Franco Bechis

Testo emendamento
(Link Originale dal testo della Camera dei Deputati)

Votazione Emendamento
(Link Originale dal testo della Camera dei Deputati)
Votazione Emendamento (vot.71)
Link Originale dal testo della Camera dei Deputati

(Leggi anche la risposta inviata da Marco Boato)

Nucleare: allarme in tutto il mondo

Il commissario europeo all’Energia convoca martedì una riunione di esperti. L’India verifica la sicurezza
Nucleare: allarme in tutto il mondo Il commissario europeo all’Energia convoca martedì una riunione di esperti. L’India verifica la sicurezza

MILANO – I problemi alle centrali atomiche giapponesi stanno riaprendo il dibattito sulla sicurezza del nucleare in tutto il mondo. Il commissario europeo all’Energia, Günther Öttinger, ha convocato per martedì una riunione di esperti sulla sicurezza nucleare dell’Ue per discutere delle conseguenze del terremoto in Giappone. «Tutto ciò che si riteneva impensabile, in qualche giorno è avvenuto», ha detto il tedesco Öttinger alla radio nazionale, secondo il quale la sicurezza delle centrali nucleari più vecchie va verificata con rigore, rifiutandosi di escludere chiusure di impianti se necessario. «Se prendiamo la cosa sul serio e diciamo che l’incidente ha cambiato il mondo – ed è in discussione il modo in cui noi, come società industriale, abbiamo guardato alla sicurezza e alla gestibilità», ha detto Öttinger, «allora non possiamo escludere nulla».

Nucleare all’italiana, ecco il primo progetto di centrale

Repubblica svela: un piano di General Electric e Ansaldo per “riavviare” l’impianto di Caorso. Ma qualche dubbio rispetto alle idee del governo permane.

Pronti, partenza, (riav)via. General Electric per il Sudeuropa e Ansaldo sono pronte a produrre energia elettrica dall’atomo in Italia, e a farlo in tempi di record: addirittura dal 2014, secondo quanto dice Giuseppe Recchi, amministratore delegato della compagnia americana per il sud del Vecchio Continente. Come?

RIPARTIAMO DA UNO – Semplicemente riavviando la centrale nucleare di Caorso, i cui lavori di decommissioning gestiti da Sogin non avrebbero pregiudicato ancora la possibilità di un revamping del vecchio impianto, costruito nel 1979 e operativo dal 1981 al 1986 prima del definitivo spegnimento del 1990. Secondo Recchi, che lo dice a Repubblica in un pezzo firma Luca Iezzi, sarebbe possibile mettere mano ai piani di riammodernamento della centrale e farla ripartire, con una produzione di 900 Mw soltanto dopo due anni di lavori per riportare al livello di funzionalità il sito. Ge ha avviato i contatti con Ansaldo e trovato disponibilità al progetto: ora dovrà reperire un gruppo di produttori elettrici interessati al progetto. Dal punto di vista tecnico, il revamping non è un azzardo: ci sono attualmente già 40 reattori che funzionano nel mondo con la tecnologia di Caorso, ma qualche perplessità il progetto la porta con sé lo stesso.

SCAJOLA DIXIT – Il ministro dello Sviluppo Economico Claudio Scajola aveva infatti detto che le nuove centrali avrebbero utilizzato, per motivi di sicurezza, reattori di terza generazione, mentre quello della cittadina in provincia di Piacenza è di seconda. “Se il problema è la sicurezza – risponde Recchi – possiamo applicare gli standard attuali anche a Caorso“. E soprattutto, in ogni caso l’ultima parola sulle tecnologie rimette a un decreto del Cipe che ancora non è stato promulgato: basta inserire la possibilità e il gioco è fatto. In ogni caso, scrive Repubblica, l’ultima parola spetterà all’Agenzia per la sicurezza nucleare che ancora non è stata formata a causa dei dissidi interni tra i vari ministeri. Intanto, GE ha messo le mani avanti. Anche se appare improbabile che Enel ed Edf, dopo aver investito così tanto nel progetto, si faranno sorpassare in curva dall’ultimo arrivato.

http://www.giornalettismo.com/archives/59962/nucleare-allitaliana-ecco-primo/

«Benedetto nucleare» Spot atomico dalle diocesi

L’unità – 06 luglio 2010

Il nucleare è cosa buona e giusta. L’undicesimo comandamento suonerebbe così, secondo l’opuscolo dal messianico titolo Energia per il futuro : quarantasette pagine di omelia incondizionata a favore dell’energia dell’atomo, confezionate dalla MAB.q – agenzia che cura la comunicazione dell’Enel – e distribuite urbi et orbi in allegato con i periodici ufficiali di diverse diocesi italiane, da Oristano a Trento, da Agrigento a Padova. La benedizione atomica, si legge nell’opuscolo, arriverebbe proprio dal Pontefice il quale «ha auspicato l’uso pacifico della tecnologia nucleare». Nessun dubbio: qualche riga più in là emerge ancora più netto l’orientamento della Chiesa, «la cui posizione ufficiale in materia è stata espressa dal cardinale Renato Raffaele Martino, presidente emerito del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace: “La Santa Sede è favorevole e sostiene l’uso pacifico dell’energia nucleare, mentre ne avversa l’utilizzo militare”». Seguono quaranta e più pagine di spot cuciti addosso all’idea che l’atomo sia una scelta salvifica: pulita, sicura, poco costosa, capace di rinfilare l’Italia dentro i tetti fissati dal protocollo di Kyoto. Peccato che se e quando si metteranno in moto i reattori nucleari, l’Italia sarà già in ritardo per il rispetto degli accordi sul clima. Ma tant’è: quale sponsor migliore, per l’atomico made in Italy, di un viatico religioso? Scopri lo sponsor I giornali delle diocesi prendono le distanze dai contenuti: non sono stati loro a redarre l’opuscolo, si sono limitati a ospitarlo come una pubblicità, anche se in nessuna pagina sta scritto che si tratta di un’inserzione a pagamento e men che meno da chi è finanziata. Per capire chi in realtà abbia firmato questa operazione di sdoganamento catto-nucleare, facendola passare per un’obiettiva e asettica informazione, bisogna scivolare fino all’ultima pagina. Qui, nel retrocopertina, si scopre che a curare la pubblicazione è stata tale MAB.q, ermetica sigla dietro cui si nasconde l’agenzia di comunicazione di Egidio Maggioni, responsabile del Centro Tv Vaticana, che nel suo portafoglio clienti vanta un intero filone religioso – Radio Vaticana, Fondazione Giovanni Paolo II per lo Sport, Teleradio Padre Pio, Azione Cattolica, Comune di Lourdes – ma anche nomi di peso come Fondazione Cariplo, Regione Lazio ed Enel. Enel, appunto, che della torta nucleare si accaparrerà una fetta consistente: suoi quattro degli otto reattori che sorgeranno in Italia. L’Ente nazionale energia elettrica nell’opuscolo figura più o meno come una comparsa nei titoli di coda, sfuggente, pressoché invisibile: risulta aver messo a disposizione solo il suo archivio fotografico ed offerto la collaborazione di un suo esperto, ma è intuibile chi abbia ispirato il progetto, attraverso il suo braccio operativo Sviluppo Nucleare Italia. Ed è intuibile che MAB.q sia l’anello di congiunzione tra l’Enel e la Chiesa. Del resto, quando Radio Vaticana aprì le porte alla pubblicità, è stato proprio il gigante dell’energia elettrica l’inserzionista di punta. Quanto abbia fruttato l’allegato ai periodici diocesani non è dato sapere: alcuni di loro, di fronte alle proteste dei lettori, si sono affrettati a prendere il largo dai contenuti e a giustificare la scelta con le difficoltà economiche causate dall’abolizione delle tariffe postali agevolate per la stampa. Nessuna smentita o distinguo sono arrivati invece dal Vaticano, a cui non potrebbe essere sfuggita una strumentalizzazione, se di questo si trattasse, delle parole del Papa, a cui viene attribuita una netta posizione pro-nucleare. Singolare, e chissà quanto casuale, è poi notare che nella geografia scomposta della distribuzione del libretto compaiano alcuni fra i territori più accreditati per l’installazione delle centrali come Oristano, che si candida a ospitare un impianto nella piana di Cirras, e Agrigento, dove designato sarebbe il centro di Palma di Montechiaro. Qui, semmai dovessero sorgere, i reattori saranno avviati con tanto di aspersione dell’acqua santa.

Corte Costituzionale: stop a norme ’sblocca centrali’

La Corte Costituzionale ha, nei giorni scorsi, dichiarato l’illegittimità
costituzionale del cosiddetto decreto “sblocca centrali” che dava al Governo
mezzi e poteri straordinari, che potevano essere utili, per ammissione dello
stesso Ministro dell’Ambiente che li criticava, anche per la localizzazione
delle centrali atomiche. E’ un’ottima notizia soprattutto per chi, come il
governatore della regione Puglia Vendola, ha dichiarato che che il nucleare in
Italia si può fare “solo con i carri armati”.

La Consulta ha bocciato l’articolo 4 commi 1,2,3,4 del decreto legge primo
luglio 2009, n. 78 dopo il ricorso delle regioni Umbria, Toscana, Emilia-
Romagna e la Provincia autonoma di Trento. L’articolo 4 riguarda “interventi
urgenti per le reti dell’energia” e al comma 1 prevede che il Consiglio dei
ministri su proposta dei ministri competenti “individua gli interventi relativi
alla trasmissione e alla distribuzione dell’energia, nonché, d’intesa con le
regioni e le province autonome interessate, gli interventi relativi alla
produzione dell’energia, da realizzare con capitale prevalentemente o
interamente privato, per i quali ricorrono particolari ragioni di urgenza in
riferimento allo sviluppo socio-economico e che devono essere effettuati con
mezzi e poteri straordinari”. Bocciati, quindi, anche i poteri di sostituzione
e di deroga rispetto agli Enti Locali attribuiti dal comma 2 dell’Articolo 4 ai
Commissari nominati dal Governo.

Si tratta di una prima buona notizia, in attesa della pronuncia più importante
della Corte Costituzionale: quella del prossimo 22 giugno sulla delega al
Governo per l’autorizzazione delle centrali nucleari contenuta nella legge
99/09. Ricordiamo che a ricorrere nello scorso autunno sono state undici
regioni e per loro la delega non sarebbe illegittima per quello che dice, ma
per quello che non dice. Si macchierebbe di incostituzionalità nella misura in
cui non impone espressamente al Governo di rispettare le competenze delle
Regioni in materia di energia nel disciplinare la produzione di energia da
fonte nucleare. Si tratta comunque di un ricorso particolarmente importante
poiché potrebbe restituire alle Regioni il potere di veto sulla realizzazione
di impianti nucleari sul proprio territorio.

di Roberto D’Amico

Centrali nucleari, i piemontesi rischiano di diventare il Deposito Nazionale dei rifiuti di tutti

Piemonte – Il ritorno al nucleare sta creando perplessità e agitazione in tutte le regioni d’Italia, in Piemonte in particolare. Mentre dall’Emilia Romagna al Lazio, alla Sardegna, molti cittadini e amministratori si rifiutano di accettare l’idea della costruzione di centrali nucleari, i piemontesi rischiano di diventare il Deposito Nazionale dei rifiuti di tutti. In Piemonte, oltre alla dismessa centrale di Trino, nel Vercellese, ci sono il comprensorio di Saluggia, sempre in provincia di Vercelli, e l’impianto Fn di Bosco Marengo, nella zona di Alessandria. A Saluggia sorgono il deposito di residui nucleari Avogadro e l’impianto Eurex (Enriched uranium extraction) per il riprocessamento del combustibile nucleare, operazione volta principalmente al recupero del plutonio, “materiale che – chiarisce Gian Piero Godio, responsabile di Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta per il settore energia – serve soprattutto nell’ambito del nucleare militare”. “Il deposito Avogadro contiene oggi l’85% dei rifiuti nucleari nazionali, di fatto esso rappresenta già adesso il Deposito Unico di cui si parla e il timore dei cittadini è proprio questo – spiega Godio – Le caratteristiche del sito in cui è stato costruito il deposito Avogadro e in cui vogliono costruire il D-2 contraddicono una delle fondamentali indicazioni di prudenza, visto che il comprensorio costeggia la Dora e si trova a meno di 2 chilometri di distanza dai pozzi d’acqua che riforniscono le province di Asti,  Alessandria e Torino”. Quello del deposito non è un problema nuovo, nemmeno la vecchia amministrazione con a capo Mercedes Bresso, dichiaratasi contraria al nucleare, è al riparo dalle critiche degli ambientalisti.

Il nuovo amore del Vaticano? È per il nucleare

Da il Fatto Quotidiano del 13 giugno

La centrale di Flamanville, in costruzione sulla Manica, è un “modello per l’Italia” per l’Avvenire. San Pietro piena di pubblicità Enel

“Aò, co’ tutti ‘sti cartelloni pare de sta’ all’Olimpico”. L’impagabile sintesi è del taxista che vi scodella in Piazza San Pietro. Simpatico, esperto, aggiunge: “Ormai tra seggiole, sbarre, maxischermi e pubblicità è come annà allo stadio, ‘na caciara”. Effettivamente la piazza su cui si affaccia Papa Ratzinger per dare le sue benedizioni ha un aspetto assai poco spirituale, e su tutto campeggiano enormi cartelloni pubblicitari. Del resto i tempi sono duri e gli introiti degli inserzionisti una necessità. Di tutto si occupa la Mab.q, agenzia di comunicazione con sedi a Roma, Milano e Parigi, super specializzata nel promuovere enti ed eventi religiosi. Il presidente Egidio Maggioni si presenta così: “Esistono molte possibilità di collaborazione tra il ‘mondo Chiesa’ e le aziende, che possono esplicarsi su diversi fronti di comunicazione, relativi all’apertura di nuove opportunità e canali commerciali proficui per entrambe le parti”. Ecco quindi le gigantografie a San Pietro, gli spot su Radio Vaticana, l’organizzazione di simpatiche iniziative come la Clericus Cup, campionato di calcio per prelati. Poi naturalmente ci sono le operazioni speciali, su temi che la Chiesa ritiene particolarmente delicati per le anime dei fedeli. Come le centrali nucleari. Lo scorso 19 gennaio i lettori del quotidiano trentino l’Adige si sono trovati davanti uno strano annuncio a pagamento, firmato Mab.q: “La Chiesa e il nucleare”. Il testo riportava le dichiarazioni del Cardinale Renato Martino, presidente emerito del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace: “L’energia nucleare non va guardata con gli occhi del pregiudizio ideologico, ma con quelli dell’intelligenza, della ragionevolezza umana e della scienza, accompagnate dall’esercizio sapiente della prudenza, nella prospettiva di realizzare uno sviluppo integrale e solidale dell’uomo e dei popoli”. L’annuncio è uscito su altre testate locali in giro per l’Italia e migliaia di famiglie hanno potuto leggere le stesse parole ricevendo a casa un opuscolo altrettanto favorevole all’atomo, 47 pagine dal profetico titolo “L’energia per il futuro”. All’interno, dieci domande e risposte per rassicurare i cattolici: il nucleare è cosa buona e giusta. Eppure le reazioni negative non sono mancate. Moltissimi fedeli hanno rivolto critiche feroci ai propri vescovi per l’insolita iniziativa. Anche perché alcune strane coincidenze inducono pericolosamente in tentazione. Chi è stato il primo sponsor a materializzarsi sulle onde di Radio Vaticana? Enel. Di chi sono i mega pannelli su San Pietro? Enel. Chi è cliente della Mab.q? Enel. Così, a pensar male, verrebbe da dire che gli interessi del Vaticano e quelli della società oggi impegnata nel rilancio del nucleare siano avviati da qualche tempo a vivere una solida armonia d’intenti. Ma il metodo va forse ammorbidito: basta opuscoli e inserzioni a pagamento, meglio affrontare il tema in modo più autorevole. Qualche giorno fa il quotidiano Avvenire ha deciso di lodare la centrale di Flamanville, in costruzione sulla Manica, indicandola come un “modello per l’Italia”. Il pezzo ha dimenticato qualche dettaglio, come i gravi problemi di costi, sicurezza e inquinamento che stanno rallentando di almeno un anno il termine dei lavori, con tanto di scioperi e proteste popolari . Ma l’impianto non è dell’Enel, è della francese Edf, quindi malfidato chi si mette a pensare alla pubblicità occulta. Solo chi è abituato a porgere l’altra guancia farebbe uno spot a un concorrente.

Chioggia – No al nucleare

Chioggia – No al nucleare
15 / 5 / 2010

Giovedì 6 maggio, con un’assemblea molto partecipata, si è costituita la “Rete contro il nucleare” di Chioggia.

L’ipotesi di Chioggia o del Polesine come sito possibile per la costruzione di una centrale nucleare in Veneto ci ha messi di fronte ad una responsabilità evidente ed ineludibile. In quanto persone che amano il proprio territorio abbiamo deciso di non rimanere indifferenti di fronte allo scempio che una tale scelta comporterebbe. I rischi per la salute, la possibile contaminazione della terra e dei fiumi con conseguenze disastrose per l’agricoltura e la pesca, l’impatto negativo sul turismo, disegnano un panorama possibile che non vogliamo per noi e non vorremmo per nessuno.

E proprio perchè non lo vorremmo per nessuno siamo consapevoli che la scelta del ritorno al nucleare in Italia non è solamente un problema dei territori che ospiteranno le centrali, ma un problema di tutti. Per questo come Rete desideriamo sin d’ora metterci in relazione con tutte quelle esperienze del Veneto che, ciascuna con la propria sensibilità e la propria storia, stanno portando avanti battaglie in difesa dell’ambiente e della salute.

Il governo Berlusconi, in occasione dell’ultimo incontro con Putin, ha indicato nel 2013 l’inizio dei lavori per la costruzione della prima centrale e ha contemporaneamente annunciato “un’opera di convincimento dell’opinione pubblica” sulle meraviglie del nucleare prima di rendere note le aree scelte per ospitare i reattori.

E dal canto loro, ovviamente, i settori industriali ed i potentati economici non stanno certo a guardare. La prossima settimana Confindustria di Venezia, in collaborazione con Enel, ha indetto un incontro sulle opportunità che la produzione di energia da fonte nucleare implicherà per tutti i settori che saranno maggiormente coinvolti nella filiera dell’atomo. Tale incontro fa seguito ad altri analoghi organizzati in altre province italiane. Segno evidente di quali siano i soggetti che hanno veramente interesse per il ritorno del nucleare in Italia.
Crediamo sia importante iniziare a contrastare pubblicamente ed in ogni occasione sia la propaganda governativa, sia il tentativo di chi tenta di trarre profitto a scapito dell’ambiente e della nostra salute.
Per questo proponiamo di organizzare un happening di protesta martedi 18 maggio dalle 14 alle 17 davanti alla sede che ospiterà l’incontro di Confindustria, in via delle Industrie 19 a Marghera.

Troviamoci in tanti.

Rete contro il nucleare – Chioggia

No al nucleare: l’esperienza di Avetrana

da: www.bloggersperlapace.net

L’illusione della scelta nucleare in Puglia durò meno di tre anni, dal 1980 al 20 marzo dell’82, quando circa 15mila persone scesero in piazza ad Avetrana, cambiando il corso degli eventi. A dar man forte ai manifestanti, tra i quali le donne e i bambini del paesino al confine delle province di Lecce e Taranto, intervenne anche l’arcivescovo di Oria, Armando Franco. «E’ un conflitto di opinioni – disse – tra il potere legale, significato dalle decisioni del governo regionale, e il potere reale, significato dal popolo che si esprime con l’opposizione e le manifestazioni di protesta». Monsignor Franco chiese un
referendum per far esprimere le comunità locali. Da quel momento cominciò la ritirata.
Eppure, quelli, furono anni di grande effervescenza progettuale. Al vertice della regione c’era un salentino, Nicola Quarta, un democristiano atipico, deciso a perseguire la modernizzazione della Puglia. A guidare il Pci regionale c’era Massimo D’Alema,  favorevole all’opzione nucleare e già impegnato nel dialogo con i democristiani. Il vice di Quarta era un socialista foggiano, Domenico Romano, favorevole anche lui. Erano gli anni della pianificazione e dell’entusiasmo regionalista. E la Puglia si pose alla guida del Mezzogiorno. Punto centrale di questa strategia il no alla centrale a carbone, l’opzione nucleare e un piano del governo tutto imperniato sulla sostituzione delle
industrie di vecchia generazione con iniziative a più alto contenuto tecnologico. Nella regione si erano insediati studiosi come il fisico Aldo Romano e Gigetto Ferrara Mirenzi, esperto di programmazione. Piano di sviluppo e piano energetico furono elaborati in base al sogno del «salto di modernizzazione». Le convenzioni con il Cnen (Comitato nazionale per l’energia nucleare) e con l’Enea (ente nazionale per le energie alternative)
fecero della Puglia il crocevia della politica economica. Una lettera ammirata di Ugo La Malfa incoraggiava le leadership. Ma la struttura sociale e culturale non era in linea con le scelte tecniche e industriali dei programmi. «Meglio attivi che radioattivi», si leggeva sullo striscione che apriva il corteo di Avetrana. La vecchia mappa dei siti del Cnen, poi resa più selettiva dall’Enea, oltre all’a re a costiera di Avetrana e Manduria, comprendeva Gallipoli Sud, Brindisi Sud, dove è stata poi costruita la centrale a carbone di Cerano, e Brindisi Nord, all’altezza di Carovigno e Ostuni. Avetrana diventò la cartina di tornasole  delle tensioni, quasi un anteprima del referendum del 1987. La gente più umile protestò insieme ai proprietari terrieri, molti con interessi edilizi sulla costa. I democristiani, in testa il sindaco di allora, Scarciglia, all’inizio d’accordo, cambiarono idea. D’Alema con coraggio andò ad Avetrana per un comizio e fu contestato. Il 20 marzo il fronte dell’opposizione dimostrò la sua grande forza. L’anno dopo i filo nucleari abbandonarono la regione e si presenterono alle elezioni politiche per sedersi a Montecitorio. Nessuno parlò più di nucleare.

Dansette