Il viaggio in viale Fulvio Testi tra droga e solitudine.
Là in fondo verso Sesto. Dove Milano sta diventando più bella. La Bicocca dei desideri. Gli alberghi da sogno. Il centro commerciale così americano. E invece quel fortino della paura e del degrado. Quei casermoni popolari tra viale Fulvio Testi e viale Sarca. Roba dell’Aler. Le chiamano ancora «le case occupate», perché lo furono subito appena costruite negli anni Settanta e ancora c’è qualche abusivo. Nella città del futuro. Le tante famiglie per bene e però anche i troppi balordi. La droga e i furti.
----------- Droga, furti e vandalismi: qui finisce la legge. La rabbia degli inquilini: l’Aler non ci considera. «Abbiamo gli scarafaggi in cucina e gli ascensori rotti, in strada ci sono discariche a cielo aperto». L’appello dai casermoni popolari di viale Fulvi Testi: «Siamo dimenticati, questa è terra di frontiera».
Lì dietro quell’angolo. Un materasso bucato, una radio sventrata, uno scatolone scassato. Lì sotto quelle finestre. Dei vetri rotti, dei rubinetti arrugginiti, dei carrelli del super. Lì proprio su quel vialetto. Una sedia senza gambe, una ruota senza anima, un lavandino senza colore. E invece un po’ più in là ecco il signor Carmelo che in un prato, miracolosamente verde di questi tempi, sta a bagnare con una brocca d’acqua le «belle di notte» che ha piantato all’inizio dell’estate. Rosse e blu. Come in un giardino vero. Proprio sotto le sue finestre. Così da poter sorridere per qualcosa di bello, quando si affaccia. Anche se quelle sono case popolari e hanno una brutta fama. Il degrado e la delinquenza. E che nervi, e che rabbia quel moccioso che non sarà alto nemmeno un metro e sul piazzale sta spaccando una panchina già squassata quel che basta. Il muso da teppa, le movenze da animale. E una forza impensabile. La sfrontatezza. La prepotenza. Un omone grande e grosso da lontano gliene dice quattro. Lui calmo fa spallucce e se ne va. Chissà chi saranno i suoi genitori. Magari balordi. Perché qua ce ne sono parecchi. È l’Aler a dirlo. È tutto il vicinato a confermarlo. Proprio lì al confine tra Milano e Sesto. Un po’ di pregiudicati e qualcuno agli arresti domiciliari. Proprio nella metropoli che cambia e si fa bella. C’è la nuova Bicocca dei «desideri». C’è un albergo a cinque stelle. Anche un centro commerciale che sembra tanto americano. Con in mezzo quei nove casermoni popolari come terra di frontiera. Li hanno un po’ risistemati, qualche anno fa. All’esterno, perché invece dentro c’è ancora tanto fare. E tutt’intorno hanno tirato su una specie di muraglia che sa tanto di ghetto e non è piaciuta a nessuno. Ma che sa tanto anche di fortino. Che quando entra qualche sconosciuto, gli occhi di tutti sono subito lì a circondarlo. E riecco quel selvaggio d’un moccioso. Butta l’occhio da dietro un angolo. Poi una boccaccia che è tutto un programma. Chissà chi saranno i suoi genitori. Magari due ragazzi che stanno in giro a lavorare e non hanno il tempo per educarlo. La parrocchia anni fa aveva organizzato un doposcuola proprio tra quei palazzi. Ma quelli che ci andavano erano davvero pochi. Così non se ne fece più nulla. O magari il papà e la mamma di quel piccoletto sono proprio due balordi. C’è stato il via vai della droga, da queste parti. E c’è ancora. Anche famiglie intere votate all’arte del furto e dello scasso. Alla fine degli anni ottanta, nei box sotterranei i poliziotti trovarono un vero e proprio deposito di mercanzia rubata. C’era di tutto. Auto e moto. Televisori e stereo. Oggetti preziosi. Pure qualche mobile. I box furono sigillati. Adesso li hanno rimessi a nuovo, ma ancora non sono stati assegnati. E sono più di duecento. Mentre sono aperte le cantine e, tra rifiuti vari accatastati, non si contano i telai di scooter e motorini. Un tipo tutto tatuato ne ha appena eliminati una ventina. Perché gli davano fastidio ed era un brutto vedere. Motorini come fosse una fabbrica di pezzi di ricambio. Perché le vecchie abitudini sono dure a morire. Mentre il signor Giovanni, imbufalito, mostra una soletta che è crollata in parte e in parte potrebbe ancora crollare. In uno scantinato che porta ai contatori. Quindi mostra il pavimento ormai consumato e realmente al limite del praticabile di un povero ascensore. Intanto che la signora Grazia racconta delle zecche sulle scale e una sua amica parla rassegnata della fastidiosa convivenza con certi scarafaggi della sua cucina. E non riesce a star zitta, la signora Mary. Quel peperino tutto coraggio che sta su al nono piano e non le manda a dire. Lì nel primo casermone di viale Fulvo Testi. In quei locali dal 1975 e forse fu la prima. A occupare abusivamente il suo bell’appartamento. Viveva con il marito e tre figli in una casa di ringhiera in via Padova. Il cesso fuori, e come facevi a chiamarlo bagno. Da dividere con altre quindici famiglie. Poi un bel giorno tutto quel fermento politico. L’Unione inquilini e le bandiere rosse e i cortei vocianti. Dicevano che la casa era un diritto. Dicevano che bastava prenderla e ci voleva niente. Così un giorno la chiamarono. Le dissero che là verso Sesto c’erano nove palazzoni appena finiti e senza nessuno dentro. Duecentododici appartamenti a disposizione... Non ci fu bagarre. Fu una tranquilla occupazione di massa. E per due anni, Mary e la sua famiglia fecero gli abusivi. In quelle che allora furono subito battezzate «le case occupate» e che ancora oggi in quella zona chiamano così. Anche se adesso gli abusivi ci sono, ma non un’esagerazione. E in passato, naturalmente ci fu qualche tentativo di sgombero da parte delle forze dell’ordine. Poi però arrivò pure una sorta di sanatoria che permise alla Mary di diventare un’inquilina a tutti gli effetti. Cinquantacinquemila lire il primo affitto. E adesso fanno quattrocento euro al mese. In mezzo, tutta la storia di un quartiere difficile. Che una volta sì, era pieno di delinquenti e dovevi pure aver paura. Ma che adesso no, puoi stare abbastanza tranquillo perché al massimo in giro ci sono dei balordi. Un po’ di spaccio... Qualche furto... Mica di più... Minimizza a modo suo, la Mary che di sicuro ne ha viste tante. E come potrebbe essere altrimenti, in un periferico rione popolare? Che lo dice pure Luca. Fulvio Testi non è San Babila. Qualche tipetto un po’ così ci deve stare per forza. Luca che da un anno fa il custode del quartiere popolare. Anche se lui preferisce definirsi referente dell’Aler. Cioè non fa le pulizie, perché le fa un solitario marocchino. Né consegna la posta, perché quello è compito dei postini. Sta a controllare che tutto funzioni. E tutte quelle schifezze un po’ dappertutto? E le discariche sparse? E i motorini abbandonati? E le solette che cadono? E gli ascensori vecchi? E i citofoni muti? E le zecche passeggiatrici? Tutta roba che lui puntualmente segnala all’istituto. Parola di ex guardia giurata. Perché quello è il suo lavoro. Ma è proprio l’Aler a non tenere in considerazione i suoi inquilini. Ne è convinta, la Mary. Perché è vero che ci sono i balordi. Che ci sono ancora un po’ di abusivi e sono parecchi quelli che non pagano l’affitto. Ma l’istituto non può nascondere tutte le sue mancanze dietro questi comodi paraventi a mo’ di spauracchio. Anche perché, oggi, tanti abusivi sarebbero disposti a regolarizzarsi. Come molti morosi vorrebbero essere aiutati ad andare a posto con i pagamenti. Quanto ai balordi, molti di quelli che lo erano in passato oggi si sono messi a rigare dritto. Ne è convinta sul serio, la Mary. Che ce l’ha a morte con l’Aler e però ammette la maleducazione e l’inciviltà di troppi suoi vicini di casa. Arrivando a confessare che l’istituto farebbe bene a cacciare a pedate almeno una dozzina di famiglie che creano sempre un sacco di fastidi. E sognando un quartiere popolare dove tutti gli inquilini stiano lì a piantare e poi a bagnare con la brocca le «belle di notte» come in un giardino vero. Invece di gettare sotto le finestre di casa i materassi, le radio, le sedie, i lavandini e tutte quelle schifezze.
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Qualcuno che ci abita ci si rispecchia in questa descrizione? Domanda retorica :)
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