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A Cinisi nel ricordo di Impastato e Giuliani Haidi e Felicia il pianto delle madri
ENRICO BELLAVIA
Nella sua casa, sulla sua sedia, Felicia Impastato, la madre di Peppino, riannoda fili di memoria per il registratore di una giornalista venuta dalla Turchia.
Le chiedono se sa che Gaetano Badalamenti, l'assassino del figlio, potrebbe tornare libero. Allora, questa donna di 86 anni, allarga le braccia, sgrana gli occhi e chiede: «U'nescinu? Ma chi liggi è chista? Comu si fa accussì?». Dagli Stati Uniti nel carcere dove il boss sconta trent'anni per traffico di droga, giurano che «Mr. Badalamenti» è lì. La zeppa giuridica, piazzata in Spagna dai suoi legali, non ha ancora scardinato il cancello della sua cella. E non è detto che basti un cavillo rintracciato tra le pieghe dei trattati di estradizione tra i due Paesi a liberare il boss. Poco più in là un'altra donna che ha perso un figlio ragiona di legge, di ordine, di diritto. Quella donna è Haidi Giuliani, la madre di Carlo, fulminato da un colpo di pistola di un carabiniere nei giorni del G8 di Genova. Felicia e Haidi si incontrano a Cinisi quando le fiaccole dei ragazzi del Forum sociale antimafia, organizzato nel ventiquattresimo anniversario della morte di Peppino, il primo con i responsabili individuati e condannati, hanno già rischiarato la notte tiepida. Il corteo è partito da Terrasini, da una casa abbandonata dove per un giorno è tornata a suonare la musica e sono comparsi striscioni, bandiere rosse e pugni chiusi. Quella casa era Radio Aut, la radio di Peppino. Più di mille, ragazzi venuti anche da lontano, uno studente lituano è arrivato in bicicletta e ha trovato ricovero nella sede della sinistra giovanile arrivano al 220 di corso Umberto, insieme con militanti vecchi e nuovi, amici di Peppino e gente che ne ha solo sentito parlare. Haidi abbraccia Felicia. Piangono e si dicono «coraggio». Singhiozzano di quei figli persi dietro l'idea di un mondo diverso. «Essere qui come altrove - dice Haidi Giuliani - ha il valore di una testimonianza per la vita, contro la violenza. La violenza della mafia, la violenza di Stato, la violenza non solo di chi usa i manganelli ma di chi dà l'ordine di usarli». Il padre di Carlo è rimasto a Genova a occuparsi dei ragazzi della cooperativa sociale nella quale lavora da pensionato dopo una vita in Cgil. L'antimafia incontra l'universo no global, qui in questo pezzo di Sicilia che insieme con il Peppino martire ricorda le sue idee, il suo patrimonio di lotta, perfino il suo antiproibizionismo. Stasera al cinema Alba anche per questo daranno "L'erba proibita", il film documentario di Vincenzo Cusumano per il quale An ha invocato la censura con un interrogazione parlamentare. Haidi Giuliani si guarda intorno. «Non ero mai stata qui. La morte di Carlo mi ha portato in luoghi che avrei voluto vedere da turista. La Sicilia l'ho amata grazie alla letteratura. Sulla mafia è stato scritto di tutto. Ma non basta. Bisogna resistere sempre, pensavamo che certi diritti, certe conquiste fossero per sempre e invece bisogna vigilare su questa nostra democrazia, bisogna vigilare perché la mafia non divori tutto». Si schermisce con un pudore che diventa commosso ogni volta che dalle labbra di questa donna minuta esce il nome del figlio: «L'essere madre di Carlo non mi conferisce la capacità di intervenire su tutto. Dico solo che bisogna resistere al modo violento e autoritario di determinare i destini della gente. Sto con gli aggrediti, i violentati e gli uccisi. Sto con i palestinesi nell'interesse del popolo ebreo così malgovernato e malrappresentato. E non mi piacciono le etichette, non mi piace neppure l'espressione no global. Penso a un human global, a una globalizzazione dei diritti, della giustizia, della vita». Si parla di Napoli, degli arresti dei poliziotti, delle violenze di piazza. «Napoli - aggiunge - è stata la prova generale di quello che è successo a Genova. C'è una responsabilità corale, delle istituzioni e dei mezzi di informazione nell'avere sottovalutato quello che era accaduto a Napoli. Se così non fosse stato Carlo sarebbe ancora vivo». Mentre la notte scivola nel ricordo di Peppino Impastato nella prima delle tre sere in cui spettacoli e performance chiudono giornate di dibattiti sulla scuola, l'informazione indipendente da Radio Aut a Indymedia, la rete del movimento sul web (http://www.italy.indymedia.org) che ha prodotto il video sui fatti di Napoli, e poi ancora sulla scuola, su Porto Alegre, sulla donna, gruppi di giovani preparano gli strumenti, provano e riprovano. Prova anche Angelo Sicilia, puparo per vocazione che il "Peppino di Cinisi contro la mafia" lo ha messo in scena tra le maschere di Nofriu e Virticchiu. Irridente e dissacratore, proprio come lui. ENRICO BELLAVIA
www.palermo.repubblica.it/archivio/20020510/speciale/01mafiax.html
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