Nuovi confini di sfruttamento: l’accordo sindacale Expo del 23 luglio 2013

Noexpo-2015di Jo Vannelli

thx Effimera

In una nota ufficiale il presidente del consiglio, Enrico Letta, ha definito l’accordo sindacale del 23 luglio 2013 un modello nazionale sia per il procedimento che lo caratterizza, sia, e ovviamente, per il contenuto. Vale la pena di esaminarlo e cercare di comprendere, dal punto di vista precario, di che si tratta.
L’intesa è siglata dalla società Expo 2015 e dalle tre organizzazioni sindacali (Cgil, Cisl e Uil) sia come federazioni milanesi del terziario sia come articolazione territoriale milanese di ogni confederazione. Il primo dato importante è la ricucitura dell’unità sindacale, ricucitura che costituisce un elemento di discontinuità rispetto al recente passato; nel settore terziario il contratto nazionale porta la firma di Fisascat-Cisl e di Uiltucs-Uil, ma non della Filcams-Cgil che pure, quanto ad iscritti, è la principale organizzazione. Con accenti meno traumatici la rottura ricordava quella del settore metalmeccanico, ed era il frutto di una scelta politica di scontro (emarginare il polo di dissenso, indebolire il sindacato di sinistra e costringerlo ad aperta adesione per accelerare il processo di precarizzazione). Il protocollo del 23 luglio chiude una stagione, riapre la concertazione, affida nuovamente al sindacato nel suo unitario complesso la funzione di guida affidabile del processo di liberalizzazione selvaggia nell’uso della manodopera.

Non a caso la critica più severa all’accordo del 23 luglio non proviene dall’area legata a SEL, ma dai settori più apertamente convinti di procedere nell’opera di demolizione del pacchetto di diritti acquisito negli anni passati dai lavoratori stabili. In particolare il professor Michele Tiraboschi (Guida al Lavoro del 30 agosto, edita da Il Sole 24 Ore) mostra notevole irritazione a fronte della ritrovata unità dei tre sindacati e lascia apertamente trasparire astio verso la Cgil; a dire del professor Tiraboschi la restituzione alla contrattazione di una sorta di primato rispetto alla legge costituisce solo un freno a quella che lui definisce innovazione (in sostanza flessibilità incondizionata e precarizzazione senza limiti).

Expo 2015 è una società per sua natura di larghe intese: per il 40% appartiene al ministero, per il 20% al Comune di Milano, per il 20% alla Regione Lombardia, con un 10% ciascuno alla Provincia e alla Camera di Commercio. L’accordo è dunque varato con l’approvazione di Pisapia e Bracco, di Maroni e Camusso. Infatti la richiesta di estendere il modello è stata oggetto di un incontro/studio che ha visto l’adesione sia dell’avvocato Ambrosoli che dell’avvocato Ichino; la strada della concertazione è aperta, con uno sbocco di rappresentanza reso più rapido dalla sentenza della Corte Costituzionale in favore della Fiom e contro la Fiat (altro elemento che conduce a ritenere chiusa una stagione ed aperta un’altra, questa volta di larga intesa). Probabilmente nei prossimi giorni Fiat e Fiom definiranno l’accordo sulla rappresentanza chiudendo il contenzioso giudiziario sul punto; i delegati torneranno ad avere pieni diritti sindacali. L’intesa milanese anticipa i tempi e previene; e insieme si disegna il futuro normativo dei lavoratori che saranno chiamati all’Expo.

L’accordo del 23 luglio si compone di otto articoli e cinque allegati. Il primo articolo (che secondo me ha provocato l’ira del professor Tiraboschi) vara un sistema (si chiama proprio così, involontariamente evocando il vocabolario di Roberto Saviano) delle relazioni sindacali. Il sistema prevede un  osservatorio di cui fanno parte i firmatari; e così si assicura l’esclusione del sindacalismo di base, anche laddove riescano ad eleggere RSU (infatti sono ammessi non gli eletti, ma i soggetti firmatari). Per chi accetta l’accordo e la concertazione ci saranno permessi retribuiti, strumenti e locali idonei dentro Expo; per i riottosi l’emarginazione. E le cooperative che forniscono manodopera a basso costo (della Lega come di CL) si preparano al banchetto, oliando i registratori di cassa.

I punti focali sono quelli previsti negli articoli 4, 5 e 6 dell’accordo 23 luglio. L’articolo 4 vara nuove figure professionali legate all’evento (operatore e tecnico del grande evento) allo scopo di aprire la strada al contratto precario di apprendistato (allegato 2, esperienza giovani: da 7 a 12 mesi) definito espressamente fondato su organizzazioni snelle, e con la curiosa dimenticanza delle tutele antimafia nei meccanismi di ingaggio degli apprendisti.

L’articolo 5 regola lo stage  la cui durata viene elevata a sette mesi e legittimata fino al 60% dell’organico: dunque sei lavoratori su dieci, nell’organizzazione che l’accordo accetta e promuove, sono soggetti in tirocinio, ricattabili, senza diritti e sottopagati. La norma si chiude indicando il rimborso spese (niente stipendio, solo rimborso) di euro 516,00 lordi mensili (sarebbe bello sapere come nella contrattazione si sia giunti al 516,00 invece di 517,00 o 514,00; ci segnala tuttavia una compagna che si tratta probabilmente della conversione in euro del vecchio milione di lire, segno palese che sono funzionari pubblici d’avanguardia); e consapevoli che con 516,00 euro lordi è difficile poi mangiare viene generosamente aggiunto un buono pasto di euro 5,29 ma solo per i giorni di effettiva presenza (chi si ammala non mangia, meglio stia a dieta). Dunque la ritrovata unità sindacale, in piena armonia con la giunta milanese delle speranze arancioni, ci ha portati a questo straordinario risultato (che Letta indica quale modello nazionale, rimanendo serio mentre lo racconta ai suoi soci del Bildenberg e della Trilateral): il 60% dei lavoratori di Expo 2015 riceverà la paga di 516,00 euro lordi. Complimenti vivissimi, Sacconi non aveva mai osato tanto nonostante la sua originaria formazione nel sindacato.

Ma il capolavoro normativo è quello dell’articolo 6, in tema di volontariato. Nel nostro ordinamento vige il principio (principio che la Corte di Cassazione ha sempre ribadito e che è una delle basi su cui poggia il diritto del lavoro) secondo il quale la prestazione lavorativa si presume onerosa (per capirci: a pagamento). Fino al 23 luglio 2013 chi lavora deve essere pagato, si presume che non lo faccia gratis. Ma i firmatari, non contenti di pagare il 60% del personale con 516,00 euro lordi mensili, hanno trovato larga intesa nell’affiancare al lavoro sottopagato anche quello gratuito: il volontariato appunto. Ci spiega l’articolo 6 che Expo 2015 vuole coinvolgere la società civile. Come? E’ semplice (primo comma dell’art. 6): garantendo (sic!) la partecipazione tramite prestazione di attività volontaria personale e gratuita quale espressione di partecipazione solidarietà e pluralismo in un evento universale promosso dal Bureau International .

L’allegato 5 (il programma volontari del sito espositivo) indica le mansioni dei volontari gratuiti: accogliere i visitatori all’ingresso, indirizzare verso le biglietterie e le aree di prenotazione, dare le informazioni, distribuire materiali, insomma tutti i compiti tradizionali di assistenza fieristica. La norma consente di abrogare la presunzione di onerosità (il diritto al salario) grazie all’intesa sindacale, i rappresentanti dei lavoratori li hanno finalmente condotti alla meta: la vita messa a valore, ma senza ricevere corrispettivo (in barba a Fumagalli invece di reddito senza lavoro avremo il lavoro senza reddito e chi si oppone è un brigatista).

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