[cronologie di guerra] 29.03.03 decimo giorno
si ringrazia in particolare il manifesto e tutti le persone che vi collaborano per il prezioso aiuto.
29 marzo 2003 : decimo giorno [fonti : quotidiani del 30 marzo 2003]
"Attacco suicida a un checkpoint a Najaf, uccisi quattro marines Saddam esalta il kamikaze: «Questo è solo l'inizio» Fuoco continuo a Baghdad, battaglia a Nassiriya, raid su Bassora Il Pentagono rifà i piani di guerra Pacifisti in piazza in tutto il mondo Centinaia di migliaia di persone in tutte le città d'Europa e d'Italia" [MAN]
"Kamikaze sui marines Un finto tassista si fa esplodere a un check point vicino a Najaf. Morti quattro soldati americani. Il comando Usa annuncia una pausa nell'avanzata verso Baghdad per sgominare la resistenza. Ma poi smentisce: «andremo avanti». Bombardate Bassora e Karbala. Razzi per errore in Arabia saudita e Turchia S. D. Q. Era da poco passato mezzogiorno ieri nella città meridionale di Najaf quando un tassista ha chiesto aiuto a un gruppo di soldati americani appostati a un check point e si è fatto saltare in aria insieme alla sua macchina, trascinando con sé nella tomba quattro militari della III divisione di fanteria dell'esercito statunitense. Dopo il non confermato uomo bomba contro un tank della penisola di Faw di qualche giorno fa (che comunque non avrebbe provocato vittime), quello di ieri è il primo attacco suicida della guerra irachena. Primo di una lunga serie, promette Taha Yassin Ramadan, vice di Saddam: «Ogni mezzo sarà usato. Nei prossimi giorni ce ne saranno molti di più. I soldati saranno accolti come meritano. Dovranno fare i bagagli e andarsene». Parole a cui in qualche modo fa eco una fatwa (editto religioso) del capo dell'associazione degli ulema iracheni, sheikh Abdel Karim al Mudarress, in cui vengono esortati tutti gli iracheni a partecipare attivamente al jihad contro le forze d'occupazione. Quanto all'attentatore, la televisione irachena dice che si tratta di un ufficiale dell'esercito iracheno che ha voluto infliggere una «lezione» alle truppe americane e che avrebbe ricevuto immediatamente due alte onorificenze post mortem da parte di Saddam Hussein. Nonostante le affermazioni minimizzanti di un rappresentante del comando alleato, il generale Victor Renuart («l'attentato non avrà alcuna conseguenza operativa sul campo di battaglia»), la comparsa del kamikaze apre un nuovo caldissimo fronte che non potrà che impensierire ulteriormente gli alti comandi Usa, già assai preoccupati dai sempre più frequenti e imprevedibili «attacchi non convenzionali» (leggasi operazioni di guerriglia).
Gli americani, che pensavano di essere salutati con lanci di mazzi di fiori («ci aspettavamo poco o nessuna resistenza» dichiarava l'altroieri in una conferenza stampa un soldato Usa portato ferito alla base di Ramstein, nella Germania del sud), hanno ora un altro spettro da scacciare: dopo gli infidi fedayn che tendono imboscate sotto le mentite spoglie di civili, è oggi il turno dei kamikaze travestiti da tassisti. E, se il segretario alla difesa Usa Donald Rumsfeld farnetica di «squadroni della morte» che girano l'Iraq terrorizzando i civili e costringendo i soldati recalcitranti a combattere con i metodi più brutali (come il taglio della lingua dei traditori), il più temperato New York Times ricorda come i metodi non ortodossi tanto condannati da George W. Bush e dal segretario alla difesa Rumsfeld fanno parte dell'armamentario classico di ogni operazione di guerriglia. «Queste operazioni, per quanto riprovevoli, non sono molto diverse né dal punto di vista pratico né morale da quelle che hanno dovuto affrontare le nostre truppe in Vietnam». E i paragoni con il Vietnam cominciano a comparire in modo sempre meno velato sulla stampa americana, forse per esorcizzare una paura che rimane ben vivida nel Dna statunitense.
Dal punto di vista militare, le forze anglo-americane si sono lasciate dietro, nella loro avanzata verso Baghdad, diverse «sacche di resistenza» che disturbano le loro linee di approvvigionamento, tanto che sul fronte nord sembrava inizialmente che il comando avesse ordinato una pausa di quattro-sei giorni per riprendere fiato e sgominare la resistenza. Il generale Renuart ha smentito quest'idea della pausa di riflessione: «continueremo a portare avanti le operazioni». Il presidente Bush ha ribadito dal canto suo che «le truppe si stanno avvicinando a Baghdad». Sarà, ma ieri le unità terrestri anglo-americane non si sono mosse di un millimetro.
Continua quindi, e si intensifica, il consueto rimpallo di notizie, affermazioni e smentite, che non sembra dipendere solo dall'incertezza delle comunicazioni in tempo di guerra, ma evidenzia piuttosto il carattere mutevole e per molti versi erratico della strategia americana. Per il momento, nonostante le notizie false diffuse nei giorni scorsi, nessuna città è stata presa né dagli statunitensi né dai britannici. Bassora è cinta d'assedio dagli inglesi, Najaf dagli americani; la stessa città di Umm Qasr, caduta già da giorni e saldamente in mano alle forze alleate, non sarebbe del tutto sicura, tanto che gli aiuti umanitari sbarcati ieri da una grande nave inglese rimangono sul molo ed è la popolazione a doverli andare a ritirare.
Ci si limita quindi a bombardare e ad attaccare nei dintorni delle città: ieri elicotteri Apache hanno lanciato un'offensiva dall'alto contro le milizie irachene uccidendo 50 soldati della Guardia repubblicana intorno a Karbala, altra città santa sciita (come Najaf), mentre sono proseguiti i bombardamenti su Bassora, già martoriata e in preda alla sete.
Insieme ai bombardamenti, si verificano i soliti immancabili errori: alcuni missili Tomahawk sono atterrati accidentalmente in Arabia saudita, provocando le velate proteste del governo di Riyadh e la sospensione delle rotte di lancio incriminate. Un altro missile cruise è caduto a Sanliurfa, città a maggioranza kurda della Turchia orientale, provocando manifestazioni di protesta nella popolazione, che ha accolto i dieci soldati americani venuti a raccogliere i pezzi del razzo con lanci di pietre e uova marce. Vicino Bassora un aereo di attacco americano ha poi bombardato per errore un'unità britannica, uccidendo un soldato, in quello che è il quinto caso di vittima inglese da «friendly fire» dall'inizio del conflitto.
Un aereo-spia senza pilota sarebbe poi stato abbattuto poco lontano da Baghdad. La tv irachena mostrava ieri le immagini di alcuni pescatori intenti a danzare felici sui resti dell'aereo." [MAN]
" I bombardamenti continuano a martellare la capitale. Anche la conferenza stampa del ministro dell'informazione Mohammed Said al-Salaf è stata «scossa» da un missile che ha colpito poco lontano e per la prima volta ha turbato anche il ministro e ha accelerato la fine dell'incontro con i giornalisti, meno numerosi comunque di quanti avessero registrato, poco prima, lo spettacolo popolare. L'invasione subirà una sosta, secondo gli annunci che arrivano dagli Stati uniti, ma non i bombardamenti che anzi si aspettano più pesanti nelle prossime ore proprio per preparare il terreno alla ripresa dell'avanzata verso la capitale. Baghdad è sostanzialmente in stato d'assedio e quello che sembrava solo uno spauracchio - l'immagine della «Stalingrado della Mesopotamia», come aveva prospettato qualche esponente del regime - comincia ad assumere qualche contorno di verosimilità, quello che invece non è ancora chiaro è il grado di resistenza che Baghdad potrà opporre all'invasione. Comunque la battuta d'arresto dimostra le difficoltà che incontrano le truppe nella loro avanzata. Anche molti successi vantati nel sud dalla propaganda anglo-americana non corrispondono alla realtà. Ce lo hanno confermato i sette giornalisti italiani entrati in Iraq dal Kuwait, poi intercettati dalle forze irachene a Bassora perché sprovvisti di visto, che sono arrivati ieri pomeriggio a Baghdad. Sono state così fugate le preoccupazioni sulla loro sorte suscitate dalla mancanza di notizie: i satellitari non si possono usare e le reti telefoniche sono distrutte. Come siete stati trattati? «Siamo stati sicuramente trattati meglio di come sarebbe stato trattato qualsiasi iracheno entrato in Italia senza visto», sono tutti d'accordo. I sette - Toni Fontana dell'Unità, Francesco Battistini del Corriere, Lorenzo Bianchi del Carlino-Nazione, Ezio Pasero del Messaggero, Luciano Gulli del Giornale, Leonardo Maisano de Il Sole 24 ore, Vittorio Dell'Uva del Mattino - arrivati nel sud dell'Iraq giovedì avevano passato la giornata e la notte nel porto di Um Qasr, sotto il controllo delle truppe britanniche, poi si erano diretti verso Bassora, ci racconta Toni Fontana. «Superati i ceck point britannici, dopo un ponte c'era un carro armato americano, e poi più nulla, da quello che ci avevano detto immaginavamo di trovare un campo di battaglia e invece la situazione si presentava tranquilla, sotto il controllo degli iracheni. Dopo cinquecento metri a un distributore di benzina abbiamo chiesto informazioni, due vigili ci hanno risposto gentilmente, ma poi sono arrivati militanti del Baath che si sono insospettiti, ci hanno portato alla sede del partito e ci hanno accusati di essere entrati illegalmente nel paese». «Comunque sono stati gentilissimi e abbiamo passato la notte in albergo, all'hotel Sheraton di Bassora, pagando la nostra camera (50 dollari), ma non c'era nulla da mangiare», continua Toni Fontana. «La città è distrutta dai bombardamenti», aggiunge un altro dei giornalisti e «abbiamo visto anche della gente in fuga».
La mattina, ieri, «abbiamo preso le nostre macchine - due jeep e una macchina normale - e, con quattro uomini che ci hanno scortati, siamo partiti per Baghdad, alle nove e mezzo». Ed eccoli qui, li abbiamo incontrati, verso le quattro del pomeriggio, subito dopo il loro arrivo all'hotel Palestine, dove sono in attesa di regolarizzare la loro posizione. Sei ore per percorrere i cinquecento chilometri che separano la seconda città dell'Iraq alla capitale. Com'era la strada, avete incontrato truppe? «No, era tutto tranquillo, qualche posto di blocco, soprattutto vicino a Baghdad, ma senza problemi, visto che per di più eravamo scortati», racconta Toni Fontana.
Esistono due grandi strade che collegano Baghdad al sud, una si avvicina a Najaf e Kerbala, le città sante sciite, a poco più di cento chilometri dalla capitale l'una e a un'ottantina l'altra, dove sono in corso pesanti scontri con le truppe di invasione. «Noi abbiamo fatto quella che si avvicina all'Iran», ci dicono. A Najaf ieri in un attacco suicida sono rimasti uccisi quattro americani e ieri pomeriggio in una conferenza stampa il vicepresidente Ramadan ha detto che saranno usati tutti i mezzi disponibili per combattere gli aggressori. Nelle città roccaforte dell'opposizione sciita tuttavia gli invasori non hanno trovato quell'appoggio sperato - e forse garantito dall'opposizione dell'esterno che vive a Teheran - anche perché, dopo la guerra del Golfo, gli americani avevano favorito la sollevazione degli sciiti a sud, come dei kurdi a nord, ma poi li avevano abbandonati alla repressione sanguinosa di Saddam. E «abbiamo imparato la lezione», ci aveva detto qualche tempo fa un imam di Kerbala." [MAN]
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