[cronologie di guerra] 31.03.03 dodicesimo giorno
si ringrazia in particolare il manifesto e tutti le persone che vi collaborano per il prezioso aiuto.
31 marzo 2003 : dodicesimo giorno [fonti : quotidiani del 1 aprile 2003]
"A Baghdad è bombardamento continuo Tutti i caccia in azione, decine di morti Colpita fattoria all'ingresso della città: venti morti, undici sono bambini Saddam e il figlio Uday ritornano in tv I marines restano lontani dalla capitale Assedio e resistenza alle porte di Bassora Protesta inglese: gli yankee sparano a noi Censura di guerra, Arnett riperde il posto" [MAN]
"E' l'inferno su Baghdad Per il ministro degli esteri di Saddam «gli aggressori sono sconfitti su tutti i fronti» e la loro unica possibilità «è ritirarsi subito». La Croce rossa visita i prigionieri iracheni. Bassora non cade Una violenza mai vista: 10 missili sul centro di Baghdad, colpite sedi del regime e quartieri popolari. Si temono molte vittime civili. A Najaf, 7 uccisi - donne e bambini - a un posto di blocco Usa M. M. «Un inferno, il palazzo ha tremato. La gente urla sotto l'albergo». Manca poco a mezzanotte (le 22,30 in Italia) e da Baghdad arriva la notizia di un nuovo, pesantissimo bombardamento sulla capitale irachena. I missili anglo-americani cadono vicini all'hotel Palestine, dove alloggiano i giornalisti. «Una nuvola immensa qui vicino, hanno colpito il palazzo di Saddam, - ci racconta al telefono la nostra Giuliana Sgrena - mi dicono anche il comitato olimpico, una sede del figlio Uday, usano bombe più grosse di prima. E' stata colpita anche la contraerea presso la Nunziatura apostolica, è drammatico, perché la Nunziatura è proprio in mezzo ad un quartiere popolare, forse colpito anche il ministero degli interni...». Secondo al Jazeera sotto le bombe sarebbero morti quattro bambini: fanno sapere dal Pentagono che in 12 giorni hanno lanciato sull'Iraq 8.700 bombe e missili. Dal Pentagono arriva poi la notizia che «si hanno prove che Saddam Hussein e i suoi generali, con tutte le loro famiglie, stiano tentando di lasciare il paese». Non è nemmeno l'ultimo atto della giornata: appena in tempo per una strage di civili a Najaf ad opera dei soldati americani. Un'auto con donne e bambini non si sarebbe fermata all'alt di un posto di blocco, è partita una raffica che ha distrutto il veicolo, dentro c'erano 13 donne e molti bambini. Sette i morti, due i feriti.
In una giornata in cui secondo entrambi i contendenti - aggressori e aggrediti - la guerra procede per «il meglio». Anche se ieri, in ritardo di 4 giorni, il comando centrale alleato da Doha ha fatto sapere che un carro armato Usa è affondato nell'Eufrate dopo che il guidatore è stato «colpito da fuoco nemico», gli altri tre marines sono morti per annegamento.
Sia gli anglo-americani sia gli iracheni, oltre che sparare bordate vere sul terreno, spesso contro la popolazione civile e sovente anche contro i loro amici (gli inglesi sono imbufaliti contro i «cow-boys» americani che gli hanno inferto perdite maggiori, finora, degli uomini di Saddam), ne sparano a man salva altrettante sul piano della propaganda di guerra. Dal Comando centrale del Qatar, il generale comandante Tommy Franks sostiene, contro venti e maree, che la sua guerra va avanti «secondo i piani». Sempre al Cent-Com di Doha, il generale portavoce Vincent Brooks, assicura che le truppe d'élite della Guardia repubblicana, che sostengono l'attacco dei marines Usa a Karbala, 100 km a sud di Baghdad, possono essere già state dimezzate nella loro potenza di fuoco e che si arrendono «a decine». Gli tengono bordone il ministro della difesa inglese, Geoff Hoon, a Londra, sostenendo che i prigionieri di guerra iracheni sono già 8 mila e nel Qatar il portavoce militare britannico, il colonnello Al Lockwood, affermando domenica che fra i militari iracheni arrestati a Bassora c'era anche un generale, salvo poi doversi correggere ieri per «avere confuso i gradi» (strano per un militare, no?) e che quindi il fantomatico generale «arrestato» faceva il paio con quello «arresosi» al primo o secondo giorno di guerra.
Anche gli iracheni non scherzano in questa guerra di propaganda. A Baghdad il ministro degli esteri Naji Sabri ha assicurato che le forze americane e inglesi sono «sconfitte su tutti i fronti e si stanno ritirando» sotto i colpi della resistenza popolare; che sono intrappolate in «un incubo» e che l'unica «possibilità che hanno è di ritirarsi in fretta. Anche il ministro dell'infomazione Mohammed Saeed al-Sahaf è andato pesante: 43 «mercenari» uccisi nelle ultime 36 ore, 4 elicotteri Apache, 2 droni e 28 carri distrutti: «vedrete che dovranno ammettere queste perdite presto». Ufficialmente i caduti americani sono finora 50, con 17 missing e 7 prigionieri di guerra. In riferimento alle notizie dell'arrivo di 5000 kamikaze arabi pronti a farsi esplodere come quello di sabato scorso, ha poi detto che «la resistenza è legittima in tutte le sue forme, come fu per la resistenza francese contro i nazisti» e che «loro sono degli invasori e dovrebbe essere uccisi». Per ora di prigionieri iracheni se ne contano 3 mila e ieri per la prima volta una squadra della Croce rossa internazionale è andata a visitarli, in un campo presso Umm Qasr. Sperano di poter andare anche dai prigionieri anglo-americani, come impone la convenzione di Ginevra.
Sul terreno gli americani stanno preparandosi a riprendere la marcia su Baghdad, di fatto sospesa - nonostante le ripetute smentite da Washington e dal Qatar - per la forte e inaspettata resistenza degli iracheni. Battaglie, scontri, bombardamenti sono segnalati intorno a Bassora, dove i marines inglesi hanno «circondato» la città, hanno conquistato qualche villaggio nei dintorni, hanno preso 3 o 400 prigionieri, hanno sferrato l'attacco «decisivo» ma per tutta la giornata di ieri non sono riusciti a sfondare: stanno trovando la resistenza più dura finora incontrata, secondo la giornalista della Bbc al seguito, ma finora, come ha dovuto riconoscere ieri sera un portavoce britannico, «Bassora è ancora sotto il tallone di Saddam». Nonostante gli inviti ripetuti alla popolazione civile - nella stragrande maggioranza sciiti contrari al regime - di ribellarsi. Idem per Nasiriya, Samawah e Najaf. Anche nel nord bombe e appoggio americani per aprire la strada alle milizie kurde, che avanzano cautamente verso Mossul (ma devono stare attenti alla reazione dei turchi oltreconfine) e in attesa di aprire definitivamente il secondo fronte." [MAN]
"Tris di bombardieri Usa sull'Iraq Per la prima volta B1, B2 e B52, bombardieri strategici nucleari, colpiscono insieme Escalation Hanno colpito la stessa località, insieme (B52, Reuters): un nuovo passo nella guerra, non solo quella contro l'Iraq MANLIO DINUCCI «E' la prima volta nella storia che i bombardieri a lungo raggio B-52, B-1 e B-2 hanno condotto attacchi simultanei sulla stessa località»: questo comunicato del Comando militare centrale degli Stati uniti, pubblicato ieri da The Washington Post dopo un altro massiccio bombardamento su Baghdad, annuncia un nuovo passo nella escalation della guerra, non solo quella contro l'Iraq. Si tratta di tre bombardieri strategici il cui ruolo primario è l'attacco nucleare, i quali vengono utilizzati anche per attacchi con armi convenzionali (non-nucleari). Il B-52, che può volare senza rifornimento per 14.000 km a un'altitudine di 15.000 metri, può trasportare fino a 51 bombe e missili, per complessive 31,5 tonnellate. E' l'unico bombardiere statunitense armato di missili cruise lanciati dall'aria: ne può portare fino a 20 a testata convenzionale o nucleare. Dopo la guerra del Vietnam, i B-52 vennero impiegati nel 1991 contro l'Iraq, sganciando il 40% di tutte le bombe usate dalla coalizione.
Il B-1 Lancer ha avuto il battesimo del fuoco nel 1998, nell'operazione Desert Fox contro l'Iraq, e, l'anno dopo, nella guerra contro la Jugoslavia, durante la quale sei di questi bombardieri, dislocati nella base inglese di Fairford, effettuarono complessivamente 100 missioni di bombardamento, trasportando ogni volta 84 bombe da 227 kg oppure 30 bombe a grappolo Cbu-89 o 30 bombe Jdam a guida di precisione, cosa che permise loro di colpire due o più aree in ogni sortita.
Il B-2 Spirit ha ricevuto il battesimo del fuoco nel 1999, nella guerra contro la Jugoslavia, durante la quale sei di questi bombardieri, partendo dalla base Whiteman nel Missouri, effettuarono complessivamente 45 attacchi sganciando 656 bombe Jdam. Questi bombardieri stealth, invisibili ai radar, possono trasportare oltre 18 tonnellate di bombe in varie combinazioni: ad esempio, 16 «intelligenti» (a guida di precisione laser o Jdam) da 900 kg, o 80 da 225 kg sia «intelligenti» che «stupide» (a caduta inerziale), oppure 34 bombe a grappolo, tipo la Cbu-87 da 430 kg che rilascia oltre 200 mine anticarro o anti-persona. Ma, oltre a queste bombe «convenzionali», il B-2 Spirit può trasportare 16 bombe nucleari B-61 o 16 missili aria-terra Agm-129 a testata nucleare. Per la guerra contro l'Iraq, diversi B-2 sono stati trasferiti nella base di Diego Garcia, nell'Oceano Indiano: in tal modo la distanza da Baghdad è stata dimezzata da circa 12.000 a 6.000 km, permettendo così a ogni bombardiere di effettuare più attacchi.
Il fatto che questi bombardieri strategici siano stati usati ieri per la prima volta simultaneamente in una azione bellica reale, permette di migliorare l'efficienza degli aerei e la capacità dei piloti anche per un eventuale loro impiego in una guerra nucleare. Questo lo sanno non solo a Baghdad, ma anche a Mosca e Pechino. " [MAN]
"FUOCO AMICO «Marine-cowboy» I soldati inglesi feriti accusano: soldati e piloti Usa disprezzano la vita umana ORSOLA CASAGRANDE LONDRA «Un cowboy. Senza alcun rispetto per la vita umana. Erano lì che volavano e ad un certo punto uno dei thunderbolt si è staccato dagli altri e ha cominciato a spararci addosso. Non so, è come se si fosse detto, `andiamo a prendere qualche tank', giusto per avere qualcosa da raccontare quando rientrava alla base». E' il racconto del soldato Joe Woodgate, 19 anni, al giornalista di The Guardian Audrey Gillan, e non usa mezzi termini per descrivere l'ennesimo incidente da «fuoco amico» tra alleati in cui ha perso la vita il caporale Matty Hull. «Credo - aggiunge - che qualcuno al Pentagono debba davvero rimettere le cose in ordine. Non mi vengano a dire che non sono riusciti a riconoscere che quella che sventolava dietro al nostro carroarmato era una Union Jack». Il caporale Steven Gerrard aggiunge che l'A-10 americano ha sparato senza esitazione anche in presenza di civili. Racconta al Guardian: «C'era un ragazzino, non avrà avuto più di 12 anni. Era a non più di venti metri da noi quando lo yankee ha aperto il fuoco: non aveva alcuna preoccupazione per la vita umana». Il soldato Chris Finney, diciotto anni, aggiunge che «tutti i convogli sono chiaramente identificati come parte della coalizione. Non so perché l'americano abbia sparato una seconda volta, visto che era così vicino. Credo siano davvero incompetenti: non so se siano stati addestrati o se abbiano semplicemente il grilletto facile». A farne le spese è stato H. Hull, ma anche il soldato Joe Woodgate è rimasto ferito, così come il luogotenente Alex MacEwen, venticinque anni, che conclude dicendo che «un errore può accadere, ma troppe cose sono avvenute e tutte suggeriscono che si è trattato di pura incompetenza e negligenza». Non a caso i soldati britannici coinvolti nell'incidente si dicono «curiosi di sapere che fine farà il pilota dell'A-10» e qualcuno chiede che venga processato per «strage». Mentre i militari inglesi vittima dell'ultimo incidente liberavano la loro rabbia, il generale Richard Myers, presidente dei comandi unitari, si scusava pubblicamente per il «tragico errore» avvenuto nel sud dell'Iraq. «E' la tragedia più triste per noi. - ha detto alla trasmissione della domenica mattina sulla Bbc1 - Uno dei miei compiti è assicurare che errori simili non si ripetano in futuro». Dal suo letto di ospedale nel Golfo, risponde al generalissimo, il caporale Steven Gerrard: «So guidare il mio veicolo, so prevenire attacchi. Quello che non mi hanno insegnato a fare è guardarmi alle spalle per essere sicuro che non ci siano americani che mi sparano addosso». Sono 5 i militari britannici uccisi dal fuoco amico.
I vertici militari inglesi si sono affrettati a dire che non c'è alcun problema con gli alleati statunitensi. E cercano anche di passare sotto silenzio la notizia dei due soldati rispediti a casa dopo essersi rifiutati di combattere. I due, che appartengono alla XVIma brigata di Essex, hanno sollevato obiezioni di coscienza verso un conflitto nel quale ci sarebbero state vittime civili. L'episodio, secondo il ministero della difesa, sarebbe avvenuto prima dell'inizio delle operazioni. L'avvocato dei due soldati - ma ce n'è anche un terzo -, che rischiano la corte marziale, ha detto che i suoi assistiti sono pronti ad usare la legislazione internazionale sui diritti umani per difendersi.
Quanto alle ripercussioni delle dichiarazioni dell'ex ministro degli esteri Robin Cook (che ha chiesto il ritiro delle truppe britanniche e la fine del conflitto), due deputati Labour, l'ex ministra dei trasporti, l'attrice Glenda Jackson e Tam Dalyell, hanno chiesto l'immediato coinvolgimento dell'Onu per negoziare un cessate il fuoco"[MAN]
"Strage di bambini Undici bambini sono stati uccisi sabato notte da un missile che ha colpito la fattoria alla periferia di Baghdad in cui vivevano con le famiglie. L'ennesimo massacro, ma non l'ultimo in una città dove le vittime civili dei bombardamenti sono purtroppo sempre più numerose. «Questo non è terrorismo? - chiede la gente sconvolta indicando le macerie di una casa - Qui ci viveva una donna anziana con due figli orfani e una nipote. Una famiglia distrutta, e magari gli americani ci diranno che erano terroristi» GIULIANA SGRENA INVIATA A BAGHDAD Ibombardamenti si accaniscono sulla capitale irachena, notte e giorno, come promesso dal segretario alla difesa Usa, Donald Rumsfeld: Bassora è solo un assaggio di quello che sarà l'assedio di Baghdad. Lo stiamo vedendo, la notte scorsa non c'è stata tregua. Eppure la mattina la città era più popolata del solito, i negozi sono ancora quasi tutti chiusi, ma alcuni mercati hanno riaperto, la strada Jumuriya è tornata agli ingorghi abituali: sul marciapiede si vende di tutto: taniche di benzina, fornelli a gas, utensili vari, vettovaglie e vestiti. Perché tanto fermento dopo una settimana di paralisi totale e una notte d'inferno? «Evidentemente la gente si aspettava la pioggia di migliaia di bombe nei primi giorni di guerra come minacciato dagli Stati uniti, invece le cose stanno andando diversamente, i bombardamenti continuano ma le truppe non avanzano e poi bisogna fare rifornimenti, le scorte si esauriscono», ci dice Majid mentre compra la frutta. I prezzi sono aumentati? «Quelli dei pomodori sì, costavano 350 dinari al chilo, ora sono arrivati a 1.000 (circa mezzo euro), le arance anche sono aumentate, ma di poco». E ogni mattina ritroviamo gli effetti sanguinosi dei bombardamenti: un'altra strage di civili. Ieri secondo la tesimonianza diretta di un reporter dell'Afp di Baghdad - ancora non confermate dal governo iracheno - abbiamo saputo che sabato notte venti persone, tra cui undici bambini, sono morte e dieci sono rimaste ferite in un bombardamento angloamericano su una fattoria nella zona sud della città. Sono stati i parenti delle vittime, gli unici a rimanere illesi nella strage, a raccontare che i bombardieri alleati hanno distrutto tre abitazioni del sobborgo di Al Janabiin sventrandole con un missile che ha colpito in pieno le case. Gli undici bambini, sette donne e due uomini morti nell'attacco appartenevano a cinque famiglie. E anche ieri mattina abbiamo trovato gli effetti dei raid notturni: un nuovo centro di comunicazioni, quello di Bab al-Muhaddan, sventrato, colpito un altro palazzo presidenziale sulle rive del Tigri, sarebbe quello abitato dal figlio minore di Saddam, Qusay, che comanda la guardia repubblicana. E' stato nuovamente attaccato anche il ministero dell'informazione e il missile che l'ha colpito ha danneggiato le case vicine. I famosi danni «collaterali». Che cominciano ad essere numerosi.
Al-Adhamiya è un quartiere abitato dai veri baghdadini, i vecchi abitanti della città, che si vantano di esserlo. Dopo aver superato le nubi di fumo nero provocate dalle trincee di petrolio che ancora bruciano, ci addentriamo nel quartiere incontrando prima orti coltivati a verdure e vivai di fiori, poi la zona più commerciale e popolare. Quasi tutti i negozi sono ancora chiusi, ma non le bancarelle di frutta e verdura e le panetterie, che sono obbligate a restare aperte e a mantenere fisso il prezzo del pane. Svoltiamo in una strada sterrata della parte di al-Adhamiya che prende il nome di al-Kam, un cumulo di macerie sbarra la strada. E' quel che resta di una casa sventrata da un missile.
«Erano le 12 e 30, l'ora della preghiera di mezzogiorno, c'era chi pregava e le donne cucinavano, quando è arrivato un boato, la casa colpita è stata completamente distrutta, quella dietro solo parzialemente, sei i morti, compresa una bambina di 12 anni, e una ventina di feriti». Anche la casa di Husham, che ci racconta l'accaduto, e altre vicine sono state danneggiate. Intorno a noi si è affollato un gruppetto di persone, ci sono anche alcune donne, questo è un quartiere sunnita e le donne sono meno bardate delle sciite. Tutti comunque ci assalgono: «Questo non è terrorismo?! E magari gli americani vengono a dirci che qui abitavano terroristi, era una donna anziana con due figli orfani e la nipote che era venuta a trovarla, una famiglia distrutta». Husham, 26 anni, ingegnere agronomo, lavora al ministero dell'agricoltura, ma da quando c'è la guerra sono tutti a casa. Anche la moglie Suad, che è avvocata e lavora in tribunale. Il figlioletto Ibrahim, vuole una fotografia e subito alza le mani a V in segno di vittoria. Perché pensate che sia stata colpita questa casa? «Per vendetta, perché gli americani stanno subendo molte perdite nel sud», risponde una ragazza. Ma più che certezze, in loro c'è tanta rabbia, contro gli occidentali: che cosa fate per fermare Bush? Cerchiamo di spiegare che cosa fanno i pacifisti in occidente, ma non possiamo certo dire che le grandi mobilitazioni siano bastate a fermare la guerra e per loro è questo che conta. Parliamo anche della posizione dei governi, ma Husham taglia corto: «Solo dio è dalla nostra parte, questo ci basta». Gli facciamo notare che forse non basta. Lui che farà se arrivano gli americani? «Prenderò il fucile, tutti abbiamo il fucile pronto, siamo tutti mujahidin (combattenti ndr)», conclude. Anche le donne? «Anche le donne», risponde.
Riattraversiamo la città passando accanto, sulla riva del Tigri, al palazzo presidenziale bombardato ma la gente non se ne preoccupa, superiamo il ponte, l'unico sopravvissuto intatto alla guerra del Golfo del 1991, perché, mi raccontano, era stato mimetizzato con le piante. Vediamo il centro di comunicazioni al-Mamun anch'esso sventrato mentre la torre Saddam che si trova accanto si è miracolosamente salvata, tranne i vetri. Poco lontano ci addentriamo nel quartiere residenziale di Qadissiya: villette recintate con giardino, un luogo tranquillo ma particolarmente pericoloso perché si trova nel mezzo di tanti possibili obiettivi, militari e civili. Proprio per questo gli abitanti di molte di queste case, dopo l'inizio della guerra, si sono trasferiti altrove. E così il missile che ha colpito il quartiere due giorni fa, alle 19 e 30, lasciando un cratere profondo sette metri, ha distrutto tre case (55 abitanti) ma non ha provocato vittime.
«I miei figli piangevano sempre sentendo i bombardamenti, così ci siamo trasferiti in campagna e lo stesso hanno fatto i vicini», racconta Mohammed Kamel Ismail, 50 anni, sette figli, mentre rovista tra quel che resta della sua biblioteca. Insegnante di scuola secondaria, teneva delle lezioni anche a casa, e ci mostra tra le macerie la stanza dove insegnava, si trova accanto alla cucina dove sul pavimento sono ancora sparse cipolle e patate. Mentre racconta arrivano alcuni suoi studenti a salutarlo. Si vede che lo stimano molto. «Mi rispettano molto perché io insegno loro anche quello che c'è dietro le cose, i retroscena delle cose che succedono, ma d'ora in poi insegnerò loro anche l'odio verso l'occidente», dice. E poi continuando con la sua aria dolce e sommessa, ci confessa: «Prima io non riuscivo a capire i martiri che si fanno saltare per aria, ora li capisco, non ho più niente da perdere e spero che dio mi riservi presto il martirio». Ma lei ha sette figli, che hanno bisogno di un padre, perché deve sperare nel martirio, ci sono altri modi di combattere gli americani, gli occidentali, non crede? contestiamo. «Il martirio è il nostro dovere, solo di questo hanno paura gli americani, perché non sanno come affrontarlo. Per quanto riguarda i figli, sono un padre premuroso, mi alzo di notte per coprirli, il sorriso dei bambini è uguale dappertutto, che diritto hanno di toglieceli? Ma cresceranno bene perché li ho educati nell'insegnamento del corano», afferma sicuro. Continua a frugare tra i libri che sono rimasti ammucchiati tra le macerie nella stanza in cui insegnava, trova finalmente il volume che cercava: un libro pregiato, un corano scritto in arabo con traduzione e commento in inglese. E me lo regala. Ma non aveva appena detto di odiare gli occidentali? Comunque non gli avevamo creduto. Poco lontano le bombe continuano a cadere, ci allontaniamo dalla costruzione ancora in bilico, meglio non rischiare." [MAN]
"L'ASSEDIO Bassora può attendere Il governo iracheno resta in controllo della città sciita La Croce Rossa comincia a visitare i prigionieri di guerra MA.FO. No, i «ratti del deserto» non hanno lanciato l'offensiva finale su Bassora, la seconda città irachena, capitale del sud sciita. Continuano a controllare le vie d'accesso (salvo la strada che va a Baghdad sulla direttrice sud-nord più orientale, che resta aperta). Continuano a cannoneggiare l'abitato ogni notte, a tentare incursioni, a togliere le posizioni periferiche alle forze irachene. Non tentano di prendere davvero la città perché rischiano la strage di abitanti - per un esercito che si vuole «liberatore» sarebbe intollerabile. E continuano a rendere complicata la vita ai civili che ogni giorno escono di città e poi rientrano, un continuo flusso di pedoni e veicoli nelle due direzioni. Giorni fa i militari britannici vietavano il rientro agli uomini in età da combattere: poi hanno lasciato passare anche loro, rischiavano la rivolta. I cittadini di Bassora che vanno a trovare parenti e fare provviste di cibo sono una delle fonti d'informazione su quanto avviene in città - le altre sono i delegati del Comitato internazionale della Croce Rossa e la troupe della tv satellitare araba Al Jazeera, unico media straniero che abbia avuto l'autorizzazione a lasciare i suoi corrispondenti in città. Gli altri giornalisti restano fuori, al seguito delle truppe assedianti.
I cittadini ripetono che Bassora vive in modo normale o quasi - a parte la scarsità d'acqua potabile e i black out di corrente, il fumo che si leva dalle trincee piene di petrolio e incendiate in periferia... Ogni mattina la gente va a verificare che danni fatti dai cannoneggiamenti della notte, ad attingere al fiume (nell'acquedotto affluisce metà del volume normale), al mercato, pare molti ristoranti siano aperti. Certo funziona l'amministrazione, e l'apparato del partito Baath. «Possiamo andare avanti così a lungo», dice un cittadino alla reuter : «Bassora cadrà solo quando cadrà Baghdad. Non c'è altra via. le milizie sono qui, e l'esercito».
I tecnici del Comitato internazionale per la Croce Rossa stavano continuando ieri a lavorare insieme al personale dell'azienda municipale dell'acqua per mettere in funzione i tre generatori d'emergenza che riporteranno a pieno ritmo la centrale idrica di Wafa el Qaed, principale stazione di pompaggio e potabilizzazione d'acqua che serve la città di Bassora e i centri abitati a sud. Più a sud, a Umm Qasr, da ieri ha cominciato ad arrivare acqua portata dal Kuweit, una collaborazione tra gli ingegneri dell'esercito britannico e la cooperazione kuweitiana. Sono in gradi di pompare 2 milioni di litri d'acqua al giorno, ma la distribuiscono solo a Umm Qasr e nelle zone strettamente sotto loro controllo - cioè coprono circa 100mila persone, dicono i portavoce britannici.
La commistione tra militari e aiuti contin ua a suscitare polemiche, tra le agenzie umanitarie delle Nazioni unite come tra le organizzazioni non governative. I filmati di militari che vanno, armati e protetti da carrarmati, a distribuire aiuti nei villaggi, fanno urlare di indignazione. «Non dovrebbero usare gli aiuti umanitari per farsi propaganda», dice da Amman un portavoce dell'Ufficio di coordinamento umanitario per l'Iraq dell'Onu. Unìaltra scena vista più volte in questi giorni, militari che buttano scatole di derrate dall'alto di un camion, «è contraria alla dignità umana», ci dice la portavoce dello stesso ufficio, Veronique Taveau. E' pure inefficace, perché non garantisce che gli aiuti vadano a chi ne ha più bisogno ma a chi è più forte. Il commissario europeo per gli aiuti umanitari Paul Nielson - che alla vigilia dell'attacco armato aveva rifiutato di coordinare con Washington le operazioni umanitarie future per l'Iraq - si dice indignato anche per la pratica dei militari che distribuiscono aiuti e intanto chiedono informazioni. Dopo la protesta di Nielson a Londra e Washington i britannici hanno smesso, gli americani continuano (lo riferiva ieri il Financial Times). L'Unione europea ha impegnato 327 milioni di euro per l'Iraq - 227 dagli stati membri, un centinaio già stanziati dalla Commissione: la quota maggiore, 40 milioni, andrà al Comitato internazionale per la Croce Rossa.
Ieri infine la croce Rossa ha cominciato a vedere i prigionieri di guerra iracheni detenuti dalla coalizione anglo-americana. Ha controllato le strutture in cui si trovano e cominciato la registrazione individuale, lavoro che continuerà per giorni. Per quelli anglo-americani in mano irachena «abbiamo segnali positivi da parte del governo di Baghdad, continuiamo i colloqui», dice la portavoce Antonella Notari." [MAN]
----- MEDIA -----
"Licenziato Peter Arnett «Anti-Usa» Il popolare giornalista, inviato a Baghdad, cacciato dalla Nbc News dopo aver rilasciato un'intervista alla televisione irachena GIULIA D'AGNOLO VALLAN NEW YORK Aumenta la tempesta scoppiata ormai da qualche giorno intorno al rapporto media Usa/guerra in Iraq e la Nbc News licenzia il noto giornalista Peter Arnett, uno dei pochi corrispondenti della TV americana a trasmettere da Baghdad. La Nbc ha annunciato ieri mattina il licenziamento di Arnett, grande e controverso protagonista del coverage da Baghdad durante la prima guerra del Golfo (fu accusato di essere pro Saddam), fino a ieri in Iraq per conto delle rete via cavo Msnbc (lavorava per il programma National Geographic Explorer) e, dopo che il suo corrispondente aveva lasciato Baghdad per ragioni di sicurezza, del tg nazionale della Nbc. Il motivo dell'allontanamento di Arnett è un'intervista che il premio Pulitzer dal Vietnam (per la Ap), ha concesso alla televisione di stato irachena. Nell'intervista, Arnett ha dichiarato che «il primo piano militare americano è fallito a causa della resistenza degli iracheni.......». Arnett ha detto anche che, negli Usa, «Bush sta fronteggiando dubbi rispetto all'andamento della guerra e opposizione alla guerra stessa». E, nella sua affermazione giudicata più «incendiaria», ha affermato che «i nostri pezzi sulle vittime civili, sulla resistenza delle forze irachene sono trasmessi negli Stati uniti....Aiutano coloro che si oppongono alla guerra a sviluppare i loro argomenti» e suggerito in modo un po' ambiguo che l'amministrazione Bush aveva sottovalutato i suoi reportage in cui si diceva che gli iracheni avrebbero risposto agguerritamente all'invasione (apparentemente, secondo quanto riportato anche sul New York Times, la Msnbc non avrebbe mandato in onda una sua intervista con Tariq Aziz realizzata due settimane fa, in cui si discuteva proprio di questo). Curiosamente, se si eccettuta quest'ultimo intervento più «personale», le dichiarazioni di Arnett eccheggiavano quelle rilasciate, a beneficio di tutti gli spettatori americani, da parecchi altri corrispondenti ed editorialisti Usa, durante lo scorso week-end - dopo il primo momento di adesione euforica, anche i media statunitensi, infatti, hanno cominciato a prendere con meno passività le voce del Pentagono. «Le operazioni militari in Iraq vanno come previsto, sono i media che danno segni di nervosismo», non a caso, ha detto acido Rumsfeld impegnato da giorni in un'operazione di damage control. Solo ieri, il governo Usa ha annunciate l'esplusione dall'Iraq di un altro corrispondente Usa, Geraldo Rivera perché avrebbe «rivelato segreti militari» ed è sotto attacco anche l'anchorman della Abc Peter Jennings perché il suo coverage sarebbe troppo antiamericano e «pessimista».
Ritrasmesse domenica sera dalle reti cavo rivali Fox-Tv e Cnn (i cui corrispondenti sono stati espulsi dalle autorita' irachene già da tempo) alcune delle battute di Arnett sono state immediatamente usate come «manifestazioni di antiamericanismo»." [MAN]
"Cellulari vietati ai soldati americani Nelle loro telefonate a casa i marines raccontano alle famiglie cosa accade davvero sul fronte iracheno. E mettono in crisi la propaganda ufficiale" [MAN]
----- BORSE -----
"Affondi di guerra Tutte le borse vanno a picco. La guerra di lunga durata e i segnali sempre più consistenti di stagnazione bruciano decine di miliardi di capitalizzazione. In Europa scende la fiducia di imprese e consumatori. Negli Usa il barometro dell'indice di Chicago segna recessione GALAPAGOS Timori di una guerra della quale non si vede la fine? O piuttosto timori di una prolungata stagnazione che potrebbe diventare recessione e che anche ieri ha trovato conferma in una serie di indicatori economici? Una risposta univoca non c'è, ma la risposta delle piazze borsistiche è stata in ogni caso univoca: una nuova giornata «nera», tutte giù con perdite pesantissime, mentre l'euro tornava rampante (di nuovo sopra quota 1,09 nei confronti del dollaro) e le quotazioni del petrolio (influenzate, oltre che dalla guerra, dalla crisi in Nigeria) tornano a salire (fino a 27,5 dollari il Brent consegna maggio; quasi 31 dollari il Wti). Che non sarebbe stata una giornata tranquilla si è capito fin dal primissimo mattino, quando sono arrivate le chiusure delle principali borse asiatiche: a Tokyo il Nikkei ripiegava nuovamente sotto quota 8mila, cedendo il 3,7%; a Hong Kong l'indice Hang Seng andava sotto del 2,6%, scendendo ai minimi dall'ottobre `98. Nella borsa cinese spicca la caduta (-6,9%) dei titoli della Cathay Pacific, costretta a tagliare molti voli a causa dell'epidemia di polmonite atipica. Sul Nikkei (sceso su valori inferiori del 27% a quelli di dodici mesi fa) hanno inciso le perdite dei titoli di alcune grandi società la cui attività è molto legata all'esportazione negli Usa, come Toyota (-5,9%), Honda (-4,6%) e Sony (-4,3%). Ma Tokyo ha sofferto anche le notizie sia della caduta in febbraio della produzione industriale (-1,7% su gennaio), che dell'apertura di nuovi cantieri (-2,8% su base annua), che hanno confermato che la stagnazione dell'economia prosegue.
Non vanno meglio le cose in Europa. Tutte le principali borse aprono con segno negativo (le perdite oscillano dopo pochi minuti tra il 2 e il 3%). L'unica notizia moderatamente positiva arriva dalla Gran Bretagna: la Banca d'Inghilterra fa sapere che in febbraio il credito al consumo è salito oltre le previsioni, a conferma che i consumatori hanno seguitato a spendere e a indebitarsi. Però, sempre da Londra arriva una notizia non positiva: la Camera di commercio britannica ha reso noti i risultati di un sondaggio, secondo il quale il 20% delle aziende minaccia licenziamenti come ritorsione all'aumento (di appena l'1%) dei contributi previdenziali decisi da Gordon Brown, il cancelliere dello scacchiere).
Parzialmente positiva la notizia che arriva da Berlino: le vendite all'ingrosso in febbraio sono aumentate del 3,1% in termini reali. Ma l'Ufficio federale di statistica getta acqua sul fuoco: il dato è soggetto a una fortissima volatilità, cioè è scarsamente significativo. Non a caso, la borsa di Francoforte è quella che segna in mattinata la peggiore performance, con perdite che sfiorano il 4%.
D'altra parte, sempre dalla Germania arrivano indiscrezioni secondo cui la Lufthansa ha preparato un nuovo piano di tagli per ridurre di almeno il 20% dei costi. E da Berlino arriva la notizia che la Bankgesellschaft (controllata all'81% dal comune) ha chiuso i conti in rosso di 699 milioni di euro. Dal Financial times, invece, rimbalza la notizia di grosse difficoltà di tre delle maggiori compagnie di assicurazione (Munich, Hvb e Allianza), che saranno costrette a ricorrere al mercato per ricapitalizzarsi. La ciliegina finale è la previsone dell'Ifw (uno dei maggiori istituti di ricerca tedeschi): se la guerra durerà più di un mese e mezzo, la Germania dovrà fronteggiare una stagnazione o addirittura una recessione. Una previsione sottoscritta da Friedrich Heinemann, capo economista dell'istituto Zew, secondo il quale se il conflitto iracheno andrà oltre le sei settimane «quest'anno non ci saranno speranze per l'economia».
Altre notizie non positive arrivano da Bruxelles, dalla Commissione europea che in tarda mattinata fa sapere che peggiora il clima di fiducia sia delle imprese (a causa «degli sviluppi negativi dei trend di produzione del recente passato, delle aspettative di produzione, del portafoglio ordini totale e degli ordini all'esportazione»), che dei consumatori («una tale riduzione non è stata osservata dagli eventi dell'11 settembre»). Ma non è finita: da Parigi il semestrale Financial market trends pubblicato dall'Ocse fa sapere che Stati uniti e Europa nei prossimi mesi subiranno un rallentamento della spesa per consumi. L'Ocse prevede anche una riduzione dei tassi (-0,25 punti base da parte della Bce), un aumento del valore dell'euro, ma anche l'inasprirsi delle difficoltà per il settore finanziario, a cominciare dalle banche tedesche, che potrebbe coinvolgere anche il settore assicurativo. A questo punto, gli occhi sono tutti rivolti a Wall street.
Ma l'attesa (causa ora legale ancora non in vigore negli Usa) dura un'ora di più. E soprattutto, l'apertura delle borse statunitensi non porta buone notizie. Anzi. Dopo appena 20 minuti il Dow Jones è sotto del 2,1% e il Nasdaq cede l'1,91%. Ma le perdite crescono dopo dieci minuti quando viene diffuso il Pmi di Chicago: l'indice di marzo dei direttori degli acquisti delle grandi imprese Usa precipita - per la prima volta dopo 8 mesi - sotto quota 50 (a 48,4 da 54,9 di febbraio), indicando che l'economia è potenzialmente in recessione. Negativo anche il sottoindice relativo all'occupazione (a 45,1, da 46,6), ancora positivo, ma in forte discesa (da 59 a 52,5) quello dei nuovi ordini. Risultato: la borsa etra in fibrillazione e si intensificano le vendite: il Dow Jones va sotto del 2,62% e il Nasdaq del 2,41%.
Ancora peggio vanno le borse europee che chiudono tutte con pesanti perdite: Londra cede il 2,57%; Parigi il 4,19%; Zurigo il 2,9%; Francoforte il 3,85%. A Milano il Mibtel chiude a 16.085 (-2,63%) e il Numtel a 1.111 (-2,54%). Le borse Usa in serata, invece, registrano un leggero recupero. «Tecnico», secondo gli analisti. A un paio di ore dalla chiusura, sia il Dow Jones (di nuovo sotto quota 8 mila) che il Nasdaq cedevano circa l'1,8%." [MAN]
|