Annie Collombet, presidente di Vivre en Maurienne che rappresenta istanze ambientaliste più ampie, non legate solo alla questione della Tav: «Stava andando tutto troppo bene. In cambio del sì alla Lione-Torino avevamo chiesto che non si deturpasse il paesaggio e soprattutto che fossero tolti i camion dalla strada. Come? Con un pedaggio supplementare, una tassa capace di sconfiggere la lobby del trasporto su gomma. Grande disponibilità, all'inizio. Poi sono cominciati i lavori».
Mille metri già scavati a Le Bourget, paesino arroccato alle pendici del Moncenisio. Aperti i cantieri di La Praz e Saint Michel, sopra l'alveo del fiume L'Arc, acque chiare e tumultuose dove nuotano salmerini, temoli e trote fario. Debitamente avvertito monsieur André Flamyer, proprietario del Dorhotel di Saint-Jean- de-Maurienne: il suo albergo «climatizzato e cablato», proprio in faccia alle creste del monte Sappet, dovrà essere abbattuto assieme a due palazzi per fare spazio alla nuova stazione ferroviaria. «Non è stato ancora deciso niente: ma in caso contrario, mi pagheranno bene».
IL SECOLO XIX 27/11/2005 RIVOLTA IN SAVOIA FRANCESI "TRADITI" DALL'ALTA VELOCITÀ La Chambre (Savoia). Denis Bertino: «Decidiamo all'inizio dell'anno nuovo». E se i francesi della Maurienne decidono che le promesse non sono state mantenute, l'alta velocità rischia di impantanarsi anche al di là delle Alpi, dove finora tutto era filato liscio. Denis Bertino è il portavoce di Intercommunale, l'associazione che è nata e cresciuta per sorvegliare il progetto della Tav. Ieri pomeriggio, in una saletta del municipio di La Chambre prestata agli ambientalisti sul sentiero di guerra, ha parlato per primo: «I segnali sono che il tunnel non si fa più. Se a gennaio non ci convincono del contrario, la Lione-Torino non avanza di un metro».
dal nostro inviato PAOLO CRECCHI 27/11/2005 La Savoia come la Val di Susa «Bloccheremo l'alta velocità»
Sarebbe un aiuto insperato, per i dirimpettai ribelli della Val di Susa, e la conferma che non ci si può fidare neppure dei politici francesi. Perché sul versante d'Oltralpe la linea dell'alta velocità aveva ottenuto l'appoggio di tutti, ecologisti compresi, dietro la garanzia che fosse completamente interrata. E dunque non si vedesse e non inquinasse, e non disturbasse le rosse mucche di razza Limousine al pascolo e gli stagionatori del formaggio Beaufort, i villaggi del turismo invernale, gli artigiani del vetro e del ferro, i viticoltori, i proprietari delle seconde case che si rifugiano qui a trascorrere il weekend. Annie Collombet, presidente di Vivre en Maurienne che rappresenta istanze ambientaliste più ampie, non legate solo alla questione della Tav: «Stava andando tutto troppo bene. In cambio del sì alla Lione-Torino avevamo chiesto che non si deturpasse il paesaggio e soprattutto che fossero tolti i camion dalla strada. Come? Con un pedaggio supplementare, una tassa capace di sconfiggere la lobby del trasporto su gomma. Grande disponibilità, all'inizio. Poi sono cominciati i lavori». Mille metri già scavati a Le Bourget, paesino arroccato alle pendici del Moncenisio. Aperti i cantieri di La Praz e Saint Michel, sopra l'alveo del fiume L'Arc, acque chiare e tumultuose dove nuotano salmerini, temoli e trote fario. Debitamente avvertito monsieur André Flamyer, proprietario del Dorhotel di Saint-Jean- de-Maurienne: il suo albergo «climatizzato e cablato», proprio in faccia alle creste del monte Sappet, dovrà essere abbattuto assieme a due palazzi per fare spazio alla nuova stazione ferroviaria. «Non è stato ancora deciso niente: ma in caso contrario, mi pagheranno bene». È stata la politica degli indennizzi, finora, a risultare vincente. Centinaia di migliaia di euro ai privati e alle amministrazioni comunali, perché in Francia le imprese impegnate nelle grandi opere devono versare la cosiddetta «taxe professionelle», una sorta di affitto per i terreni impegnati. François Gravier, sindaco aggiunto di Modane: «Milionari non saremo mai, ma ora abbiamo quanto basta per cambiare faccia ai nostri paesi. Scuole, strade, ospedali, tutta la valle trarrà giovamento dall'alta velocità. Forse in Italia non è così, oppure i vantaggi non sono stati illustrati bene: per quello che ne so, anche i comuni piemontesi dovrebbero essere indennizzati». Metteteci che l'Alta Savoia è attraversata da un'autostrada e da una statale frequentatissime, con gli svincoli talmente vicini alle case che nemmeno in Italia. Rumore, inquinamento, impatto ambientale devastante: «Perciò - ricorda Bertino - quando ci hanno proposto il tunnel ci siamo subito dichiarati favorevoli. Noi e gli altri ecologisti, tutti insieme, perché bisogna imparare a governare il progresso e a non dire sempre e solo di no. Ma non vorremmo essere caduti in una trappola». In questi giorni La Chambre e i paesi vicini sono tappezzati di striscioni bianchi e rossi, «Tutto nel tunnel!», e quelli più lunghi spiegano anche cosa deve viaggiare sottoterra: le merci, i passeggeri, i camion che con la Lione-Torino potranno essere caricati sui vagoni e sbarcati in prossimità della destinazione. Gli ecologisti hanno smesso presto di cavalcare un'indubbia verità, e cioè che l'attuale linea da e per l'Italia è sottoutilizzata: dieci milioni di tonnellate di merci l'anno, via ferrovia, mentre potrebbero essere quaranta. Di fronte alla prospettiva di togliere dalla strada 2 milioni e 600 mila veicoli, la Tav è stata accettata e persino benedetta: «Ma se ci hanno imbrogliato, ci sentiranno. Per i primi di gennaio è convocata l'assemblea dei comitati savoiardi...». Minacce neppure velate. Del resto, non è che l'apertura dei cantieri sia stata indolore, e che l'ambiente montano non abbia avuto contraccolpi. Ieri, a Le Bourget, una squadra lavorava malgrado la giornata semifestiva sotto gli occhi indagatori del consigliere comunale Giovanni Parmier, inviato dal sindaco Henry Ratel a controllare lo scavo: «Per adesso ci abbiamo rimesso l'acqua. Siamo stati indennizzati, d'accordo, ma le falde non rispondono più. E abbiamo passato mesi d'inferno per il rumore e la polvere». Parmier sostiene tuttavia che vale la pena sacrificarsi, «perché bisogna cominciare a pensare ai nostri figli e non possiamo illuderci che le merci viaggino anche in futuro come adesso: per un problema di inquinamento e di costi, alla fine il sovrapprezzo per il trasporto su gomma lo paghiamo noi». C'è una trentina di chilometri tra l'imbocco della galleria di Le Bourget e gli striscioni polemici di La Chambre. Abeti, larici, pascoli, carpenterie e mobilifici, dove finisce il parco nazionale della Vanoise comincia un tessuto imprenditoriale invidiabile. L'arrivo dell'alta velocità vorrebbe dire quattro Tgv al giorno che si fermano alla stazione di Saint Jean, e dunque una bella opportunità anche per il rilancio dell'economia valligiana. «No, io non sono dovuto scendere in piazza», sorride padre Durieux nella canonica di Saint Etienne de Quines, da dove parte ogni giorno, in fuoristrada, per celebrare messa in una delle sue sette parrocchie: «So che sacerdoti italiani lo hanno fatto, ma qui non era il caso. Anzi, l'idea che la merce pericolosa viaggi sottoterra, e ci siano meno camion in circolazione, piace a tutti. Io ho sentito solo commenti favorevoli tra i miei parrocchiani». Ma se il tunnel svanisse, padre Durieux? «Sarebbe un imbroglio. Vorrebbe dire che i governanti hanno abusato della fiducia della popolazione. Non sarebbe la prima volta, certo...». La gente della Maurienne ha anticipato che non intende porgere l'altra guancia, atteggiamento poco cristiano ma comprensibile pure a un vecchio prete delle nevi: «Alla fine riusciremmo a perdonare. Solo alla fine, però». Paolo Crecchi dalla prima pagina 27/11/2005
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