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Audizione del questore Francesco Colucci (parte 1a)





COMMISSIONI RIUNITE
I (AFFARI COSTITUZIONALI, DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E 1a (AFFARI COSTITUZIONALI, AFFARI DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E DELL'INTERNO, ORDINAMENTO GENERALE DELLO STATO E DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA

COMITATO PARITETICO

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 28 agosto 2001

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La seduta comincia alle 9,45.

Indagine conoscitiva sui fatti accaduti in occasione del vertice G8 tenutosi a Genova.

(Il Comitato approva il processo verbale della seduta precedente).

Sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Comunico che nella riunione dell'ufficio di presidenza di giovedì 9 agosto 2001 è stato deliberato di procedere, in via sperimentale, ad una organizzazione dei tempi di discussione che preveda, per lo svolgimento di ogni singola audizione, l'assegnazione a ciascun gruppo di un tempo calcolato nel modo seguente:
Forza Italia: 20 minuti (5 più 15);
Democratici di Sinistra-L'Ulivo: 16 minuti (5 più 11);
Alleanza Nazionale: 11 minuti (5 più 6);
Margherita, DL-L'Ulivo: 10 minuti (5 più 5);
Misto: 10 minuti (5 più 5)
Lega Nord Padania: 8 minuti (5 più 3);
CCD-CDU Biancofiore: 8 minuti (5 più 3);
Rifondazione comunista: 6 minuti (5 più 1).
Misto-Verdi-L'Ulivo: 6 minuti (5 più 1)
Autonomie: 6 minuti (5 più 1)

Il tempo a disposizione dei gruppi è complessivamente pari ad 1 ora e 41 minuti.


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Comunico altresì che durante la sospensione dei lavori del Comitato è pervenuta ulteriore documentazione; l'elenco aggiornato della stessa sarà consegnato nella giornata odierna unitamente alle copie degli ultimi documenti pervenuti.
Tra la documentazione pervenuta nella giornata di ieri vi sono anche i documenti inviati dal questore di Genova, dottor Oscar Fioriolli, il quale ha comunicato formalmente che il regime della suddetta documentazione è quello della riservatezza; tale documentazione è pertanto disponibile esclusivamente per la visione presso la segreteria della Commissione affari costituzionali della Camera.
Comunico, infine, che il Presidente della Camera, onorevole Pier Ferdinando Casini, ha trasmesso per conoscenza al presidente del Comitato copia di una lettera a lui inviata dal Presidente del Bundestag, Wolfgang Thierse, e la relativa risposta dello stesso Presidente, onorevole Casini, in merito agli avvenimenti connessi al vertice G8 tenutosi a Genova. Copia di tale corrispondenza è a disposizione dei componenti del Comitato.

LUCIANO VIOLANTE. Mi scusi presidente, in relazione alla determinazione dei tempi di discussione, mi chiedo se, al termine dell'audizione, non sia opportuna una sospensione dei nostri lavori per consentire ai gruppi di riunirsi: altrimenti si rischia di non utilizzare saggiamente il tempo a nostra disposizione.

PRESIDENTE. Al termine della relazione, svolta oralmente oppure letta, sospenderemo i lavori per un tempo che decideremo, affinché i gruppi decidano chi o quanti, nel rispettivo ambito, possano rivolgere domande oppure intervenire, in modo tale da consentire il rispetto dei tempi stabiliti.


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Audizione del questore Francesco Colucci.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui fatti accaduti in occasione del vertice G8 tenutosi a Genova, l'audizione del questore Francesco Colucci. Il questore Colucci ha chiesto di essere accompagnato dal dottor Salvo, vice questore aggiunto presso la questura di Genova. Se non vi sono obiezioni, così rimane stabilito.
Prima di dare inizio all'audizione in titolo, ricordo che l'indagine ha natura meramente conoscitiva e non inquisitoria. La pubblicità delle sedute del Comitato è realizzata secondo le forme consuete previste dagli articoli 65 e 144 del regolamento della Camera, che prevedono la resocontazione stenografica della seduta.
La pubblicità dei lavori è garantita, salvo obiezioni da parte di componenti il Comitato, anche mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso, che consente alla stampa di seguire lo svolgimento dei lavori in separati locali.
Non essendovi obiezioni, dispongo l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso.
Ringrazio il nostro ospite per aver accolto l'invito. Il dottor Colucci ha predisposto una relazione, della quale lo prego di dare lettura.

FRANCESCO COLUCCI, Questore. Signor presidente, ritengo doveroso ringraziare preliminarmente tutti gli onorevoli deputati e senatori componenti questo Comitato, perché mi si concede, oggi, la possibilità di riferire sull'organizzazione dei servizi assicurati dalle forze di polizia in occasione dell'evento G8 del luglio scorso e, dunque, di contribuire a delineare, sotto il profilo tecnico-operativo, istituzionalmente riconducibile alla figura del questore, il correlato quadro di conoscenze. Sottolineo anche l'esigenza, che sento profonda, signor presidente, di


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difendere e valorizzare il lavoro della questura di Genova in ossequio a quel senso dello Stato che ci muove tutti verso la leale ricerca della verità e delle conseguenti responsabilità degli accadimenti. A tal fine, dovrò riproporre all'attenzione e all'esame di questo uditorio l'ordinanza n. 2143/R che ho emanato in data 12 luglio 2001, ai sensi dell'articolo 37 del decreto del Presidente della Repubblica 28 ottobre 1985, n. 782, già prodotta dal prefetto di Genova nell'audizione del 9 agosto scorso, essendo quel documento il frutto del lavoro condotto per dodici mesi, incessantemente e senza risparmio, da tutta la struttura da me diretta. Quel documento compendia le prerogative istituzionali del questore e rappresenta, in via ordinaria, lo strumento di verifica delle sue responsabilità a tutti i livelli: amministrativo, disciplinare ed anche giudiziario. Il questore quelle responsabilità se le assume tutte di fronte a voi, di fronte allo Stato e di fronte, ed a tutela, di tutti i collaboratori ai quali è stata affidata la concreta realizzazione di quelle articolate direttive. Tuttavia, in questa sede, credo non siano da ricercare solo i livelli di responsabilità, che già la normativa vigente in materia di ordine e sicurezza pubblica (tra l'altro già puntualmente illustrata da altri interlocutori) individua con precisione. È in gioco, piuttosto, la piena comprensione delle ragioni per le quali sia sul piano della prevenzione sia su quello del contrasto non si è riusciti, al meglio, a contenere da un lato gli eccessi violenti di una parte di coloro che a Genova hanno manifestato e, dall'altro, ad evitare deprecabili comportamenti di alcuni appartenenti alle forze dell'ordine, sui quali sono già in atto doverosi approfondimenti sia in sede amministrativa sia in sede giudiziaria.
In questa direzione e con questo spirito terrò la mia relazione, signor presidente, limitando evidentemente l'analisi al livello che mi è proprio, quello tecnico-operativo afferente le dinamiche di gestione dell'ordine pubblico.


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L'organizzazione e la pianificazione dell'attività di competenza del questore in relazione allo svolgimento nel capoluogo ligure del vertice G8 del luglio 2001 è stata avviata ancor prima che il Parlamento ufficializzasse la scelta della sede genovese con l'approvazione della legge 8 giugno 2000. n. 149, recante disposizioni per l'organizzazione del vertice G8 a Genova, giacchè la candidatura di Genova come sede prescelta per lo svolgimento di tale vertice era già stata formalmente proposta dal Governo nel dicembre 1999. In tal senso, avviavo in seno alla struttura un'attività di prima valutazione delle strategie da adottarsi e, altresì, un'attività di studio del dispositivo da realizzare, condotta evidentemente sulla scorta delle notizie, allora disponibili, in ordine alla sede prescelta del vertice, Palazzo Ducale, ed agli altri scenari che si potevano ipotizzare. In questa prima fase, ho orientato l'attività in una duplice direzione: quella della quantificazione presuntiva del personale delle forze di polizia da impiegarsi nei relativi servizi e quella della verifica attenta degli standard di sicurezza delle strutture e dei siti interessati, sia come residenza dei capi delegazione, sia come località di svolgimento di eventi collaterali. Indicazioni utili vennero tratte dal modello di organizzazione dei servizi di ordine e sicurezza disposti per il vertice G7 di Napoli, seppur adeguatamente rapportate al differente contesto urbanistico ed al quadro assolutamente non paragonabile delle preannunciate iniziative del dissenso.
Già nell'agosto 2000 formulavo un'organica previsione di impiego di personale della Polizia di Stato e delle altre forze di polizia pari a circa 18 mila uomini, comprensivi anche del personale delle forze territoriali e dei reparti specializzati, corredata anche da diverse ipotesi di alloggiamento sostanzialmente imperniate sul riallestimento, a fini residenziali, del comprensorio fieristico genovese e sul noleggio di navi.


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Il documento bozza che ho trasmesso nello stesso mese di agosto al servizio ordine pubblico ed alla direzione centrale dei servizi tecnico-logistici del dipartimento della pubblica sicurezza, oltre che al prefetto di Genova, conteneva già con buona approssimazione l'impianto generale dei servizi, poi concretamente realizzato e articolato sull'idea guida dell'individuazione di un'area di rispetto disegnata intorno alla sede dei lavori.
Quella traccia veniva sostanzialmente condivisa nell'impostazione generale dal dipartimento della pubblica sicurezza che nel mese di novembre 2000 elaborava, attenendosi allo schema di pianificazione ipotizzato, un documento di previsione di impiego di 14.500 unità tra personale delle forze di polizia e militari dell'esercito italiano, da impiegarsi secondo l'indicazione normativa della citata legge n.149 del 2000 e da inviare a disposizione del prefetto di Genova per le esigenze connesse al vertice G8.
Credo sia significativo evidenziare analiticamente questi passaggi organizzativi, poiché sottolineano come sin dall'inizio sia stato avviato e condotto tra la periferia e il centro un lavoro sinergico di analisi, di scambio informativo, di continuo confronto, peraltro assolutamente necessario di fronte ad un evento che definirei senza dubbio ultraterritoriale. Era infatti lo Stato italiano, prima ancora che la città di Genova, ad ospitare nell'anno di presidenza il vertice internazionale di maggior prestigio ed era, quindi, ovvio che il dipartimento della pubblica sicurezza affiancasse e supportasse l'autorità provinciale.
All'incirca nello stesso periodo in cui si formulavano dette previsioni, si avviavano complesse attività di natura info-investigativa mirate al perseguimento di diversi obiettivi: prioritariamente ad acquisire, sia pure entro i limiti di


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giurisdizione di competenza, ogni informazione utile a definire, nell'eterogeneo quadro della protesta e del dissenso, la posizione e le conseguenti iniziative che i diversi sodalizi dell'area antagonista genovese stavano definendo, anche quale supporto logistico a gruppi esterni. In altri termini si provava a referenziare territorialmente ogni indicazione che perveniva, attraverso il canale dipartimentale, dai servizi d'informazione in merito agli scenari della protesta che si andava così delineando; quindi ad abbozzare i confini dell'area di sicurezza nella quale attivare, con gli strumenti giuridici previsti dalla vigente normativa, le misure interdittive di natura straordinaria e temporanea necessarie al mantenimento degli auspicati livelli di sicurezza; conseguentemente, ad avviare il monitoraggio del censimento di tutta la popolazione residente o domiciliata per ragioni di lavoro nell'area medesima sia a fini preventivi, trattandosi per buona parte di un'area urbana ad alta incidenza di fenomenologie microcriminali, sia ai fini del successivo rilascio del titolo di accesso; infine, si provvedeva a verificare il livello di sicurezza e la difendibilità degli esercizi ricettivi dell'intera provincia di Genova che, in seno alla struttura di missione, venivano indicati come possibile residenza dei Capi di Stato e di Governo dei paesi del G8. In questa direzione, con provvedimento del 16 agosto 2000, provvedevo, sentito il prefetto, alla formale costituzione di un gruppo di lavoro interforze - GOI - composto da Polizia di Stato, Arma dei carabinieri e Guardia di finanza, cui ho affidato il compito di pianificare quelle misure di prevenzione e sicurezza suaccennate e necessarie alla migliore riuscita dell'evento.
Non credo sia superfluo sottolineare che molte delle questioni fondamentali, prima fra tutte la definizione della sede di residenza dei Capi di Stato, sono state sciolte con


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evidente ritardo, creando condizioni di lavoro affannose per tutta la struttura da me diretta. Se certezze mancavano sul versante dell'organizzazione dell'evento, ancor meno certa era l'articolazione delle iniziative di protesta e di dissenso, compresa quella riconducibile all'area del movimento disposto a dialogare con le istituzioni.
Ciò non vuole e non deve suonare come giustificazione, anche in relazione all'efficacia che ha indubbiamente avuto quella parte del dispositivo di sicurezza teso alla tutela del vertice e dei suoi protagonisti. Vuole viceversa rendere a questo uditorio il senso preciso dell'impegno e delle condizioni anche difficili e gravose in cui si è svolta la fase organizzativa, tesa alla rincorsa continua di certezze che potessero dare una qualche definizione ai progetti ed alle ipotesi operative.
Il primo e più importante di questi progetti operativi era senza dubbio rappresentato dalla realizzazione in concreto di quella che avrebbe poi assunto la formale definizione di zona rossa. A Seattle, a Nizza e da ultimo a Göteborg, le manifestazioni, anche violente, dei gruppi antagonisti avevano inciso profondamente sullo svolgimento dei vertici internazionali, rendendo necessarie modifiche anche radicali ai relativi programmi. Questo allora faceva assai riflettere, anche se oggi sembra quasi un elemento di dettaglio, tanto più che i governi stranieri, trattandosi della sicurezza dei rispettivi Capi di Stato e di Governo, esigevano dallo Stato italiano garanzie assolute in ordine alle misure di tutela poste in essere a contrasto di qualsivoglia azione, sia essa terroristica o anche solo dimostrativa e di disturbo. Era chiaro sin dall'inizio che questo obiettivo andava perseguito senza mezze misure e tuttavia rendendolo compatibile con altre esigenze primarie: la vivibilità della città sia all'interno sia all'esterno della zona di rispetto, la fruibilità dei diritti costituzionalmente garantiti di


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libera manifestazione del dissenso, la sicurezza in generale della cittadinanza. Quest'ultimo aspetto preoccupava moltissimo, giacché il rischio di attentati terroristici, assai pregnante per come si presentava la situazione politica internazionale, non rappresentava solo una minaccia per la personalità eventualmente destinataria dell'iniziativa, bensì per un'intera comunità di persone.
Mi preme mettere a parte questo Comitato di riflessioni che, per quanto possano apparire ovvie, in realtà mi sembra siano sfuggite nella valutazione generale condotta a posteriori. Ciò è dimostrato dal fatto che nei giudizi espressi anche da esponenti politici delle istituzioni locali nei confronti del dispositivo di protezione realizzato con l'istituzione della zona di rispetto rossa e gialla, si è sempre evidenziata la connotazione negativa della compressione delle libertà dei cittadini genovesi, sacrificate per l'esclusivo interesse dei Capi di Stato e di Governo stranieri. Mai si è fatto cenno, neanche marginalmente, alla valenza estremamente positiva di protezione di un ambito urbano e della sua popolazione, esposta a grave rischio per lo svolgimento in quello stesso ambito di un evento internazionale ritenuto estremamente «appetibile» per possibili iniziative terroristiche. La stessa questione, sollevata già a vertice in corso, della distribuzione delle forze in campo e l'asserito squilibrio tra le risorse destinate alla protezione nella zona rossa rispetto a quelle impiegate a contrasto dei manifestanti violenti, mi sembra condizionata da questa falsa prospettiva, che non tiene nel dovuto conto un dato oggettivo, ovverosia che il dispositivo della zona rossa ha offerto protezione totale ed assolutamente efficace oltre che a 15 mila addetti ai lavori - capi delegazione, delegati, traduttori, giornalisti, tecnici, inservienti e così via - anche ad altri circa 35 mila genovesi cui è toccato in sorte di risiedere o lavorare


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in una zona divenuta ad alto rischio per la loro stessa incolumità fisica. Questo è il significato della zona rossa e questo è stato il servizio assolutamente eccellente che la questura di Genova ha reso prioritariamente alla città ed ai cittadini di Genova, oltre che, naturalmente, allo Stato italiano ed agli illustri ospiti stranieri.
Nell'ordinanza di servizio del 12 luglio scorso troverete analiticamente indicate tutte le caratteristiche dell'area e le correlate modalità di fruizione conseguenti all'adozione del provvedimento prefettizio del 2 giugno che ne ha disciplinato in via eccezionale e temporanea il regime giuridico. Troverete anche traccia del complesso lavoro, svolto dalla questura di Genova, di coordinamento e raccordo delle attività di tutti gli enti erogatori o gestori di servizi pubblici essenziali sul territorio, che dovevano necessariamente interagire con le misure in atto e conformarsi a quel mutato regime garantendo, da un lato, il livello di efficienza dei servizi all'utenza senza, dall'altro, abbassare gli standard di sicurezza della zona protetta. L'allestimento in questura di una sala-situazione, collegata 24 ore con la sala operativa interforze, ha rappresentato sotto questo profilo l'aspetto organizzativo di maggior momento.
In questo, così come nella costituzione di un apposito ufficio pass, teso a garantire, nell'arco delle ventiquattro ore, la soluzione a tutte le problematiche di accesso alla zona rossa, si coglie - mi auguro - l'attenzione estrema che è stata posta all'esigenza di assicurare, pur nel disagio, la massima assistenza alla popolazione residente.
L'ulteriore progetto operativo riguardava l'individuazione di una zona cuscinetto, cosiddetta zona gialla, anch'essa individuata formalmente dal medesimo provvedimento prefettizio, nella quale fosse possibile interdire tutte le manifestazioni


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ritenute incompatibili con le misure di tutela in atto. Questa seconda zona di rispetto era consapevolmente orientata a preservare non tanto da rischi di matrice eversiva e terroristica, quanto piuttosto dalla temuta azione di accerchiamento, ampiamente preannunciata, dei movimenti antiglobalizzazione, che potesse non solo paralizzare alcune attività correlate al vertice (molti giornalisti, tecnici ed altre professionalità di supporto alloggiavano all'esterno della zona rossa), ma anche isolare quella parte di cittadinanza - ripeto, circa 35 mila persone - che doveva, in qualche modo, essere garantita nella possibilità di attendere alle normali e quotidiane occupazioni.
Nondimeno, era tenuto nella dovuta considerazione il rischio che azioni eccessivamente violente e numericamente supportate da masse significative di manifestanti, organizzate nelle immediate adiacenze delle recinzioni che delimitavano la zona rossa, potessero determinare una crisi del sistema di chiusura dell'area, pregiudicando così il corretto svolgimento del vertice.
Anche sulla zona gialla e sulla organizzazione dei servizi in quell'area sono state fatte valutazioni forse frettolose e non aderenti alla realtà operativa. Tornerò con maggiore precisione sull'esame dei fatti che hanno connotato le giornate del 20 e del 21 luglio, ma devo subito anticipare che non condivido il rilievo mosso da più parti, secondo il quale la zona gialla non avrebbe avuto una adeguata protezione da parte delle forze di polizia. È un rilievo che non rende giustizia alla comune esigenza di verità poiché, per converso, il dispositivo della zona gialla ha funzionato benissimo in relazione agli obiettivi che mirava a realizzare.
Intanto, ad onor del vero, tutte le più gravi azioni di devastazione e danneggiamento sono avvenute in ambiti urbani limitati ad una fascia di circa 3 chilometri quadrati ed esterni


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comunque a questa zona cuscinetto che si estendeva - lo ricordo - dalla zona Fiera del mare, a levante della città, ad un arco di territorio circoscritto da un confine più o meno coincidente con la viabilità della cosiddetta circonvallazione a monte sino, a ponente, al confine territoriale della delegazione di Sampierdarena.
In questi ambiti, come era stato prefissato, non sono penetrate le frange più violente né si sono svolte al loro interno iniziative incompatibili con le misure di sicurezza in atto. Le cosiddette piazze tematiche, non interdette in area gialla al Genoa social forum, sono state scenario di manifestazioni di dissenso ampiamente tollerabili, sia pure con eccessi ed intemperanze.
Anche in tale caso è avvenuto ciò che sostanzialmente si era ipotizzato. Questa scelta, da qualche parte criticata perché apparentemente in contraddizione con limitazioni allo svolgimento di pubbliche manifestazioni statuite dal provvedimento prefettizio del 2 giugno, ancora oggi appare, in realtà, una scelta positiva poiché ha, in qualche modo, offerto spazi di visibilità elevata all'ala più moderata del movimento, sottraendola, anche fisicamente, a chi moderato non era.
L'ordinanza del questore del 12 luglio scorso disciplinava i servizi di ordine e sicurezza pubblica per lo svolgimento delle manifestazioni di dissenso di cui allora si aveva notizia. Quelle disposizioni tenevano conto delle notizie disponibili in ordine alle iniziative del Genoa social forum e di altri promotori che avevano formalizzato preavvisi nei giorni precedenti e dei quali il mio ufficio aveva preso atto, avendoli ritenuti compatibili con la situazione generale della sicurezza pubblica.
Ciò che appariva evidente era la difficoltà che probabilmente gli stessi portavoce del movimento Genoa social forum avevano nel convogliare su una base di intesa comune le


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molteplici anime della protesta. Ne è testimonianza la continua modifica delle preavvisate modalità di effettuazione delle manifestazioni: sul punto voglio fornire elementi di maggiore dettaglio.
La manifestazione del giorno 19 luglio, il cosiddetto corteo dei migranti, svoltosi come noto senza incidenti, è stata formalmente preavvisata con nota del 4 luglio a firma dei promotori e successivamente modificata nel percorso con nota del 16 luglio. Non sarà sfuggito che l'ordinanza di servizio già citata, edita in data 12 luglio, riporta il vecchio percorso e dunque un dispositivo, poi modificato, con seguito di ordinanza, che naturalmente ho allegato alla documentazione prodotta.
Le manifestazioni del giorno 20 luglio sono state anch'esse preavvisate formalmente in data 4 luglio in termini assai generici ed assolutamente incompatibili con il dispositivo di sicurezza, preannunciando l'occupazione di piazze e l'effettuazione di cortei all'interno della zona rossa.
Il preavviso definitivo venne formalizzato con sostanziali modifiche in data 16 luglio. Questo è il motivo per cui nell'ordinanza principale si rinvia a successive disposizioni. Devo sottolineare questi passaggi perché - come dirò meglio in seguito - un profilo di censura del lavoro organizzato e curato dalla questura di Genova ha messo l'accento anche sull'asserito ritardo nell'emanazione delle direttive afferenti le manifestazioni di protesta del giorno 20 luglio. È una critica che non tiene nella dovuta considerazione tali elementi di valutazione forse frettolosamente trascurati.
Anche il «corteo internazionale» del 21 luglio ha avuto una maturazione complessa e sofferta ma, a differenza delle


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iniziative dei giorni precedenti, rispetto al preavviso formale prodotto il 4 luglio, non ci sono state successive variazioni sul percorso.
In riferimento a questi preavvisi, definiti con le modalità cronologiche indicate, in qualità di autorità provinciale di pubblica sicurezza avviavo l'istruttoria per la valutazione delle compatibilità del diritto a manifestare costituzionalmente garantito con le esigenza di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, valore suscettibile di analoghe garanzie.
Naturalmente, in questa fase, vi è stata piena concertazione - come è ovvio che fosse - sia con il prefetto di Genova sia con il dipartimento della pubblica sicurezza, nella persona del vice capo vicario della polizia, prefetto Andreassi, presenti in questura, trattandosi di scelte di rilevanza tale che non potevano non maturare in un ambito ultraprovinciale.
In relazione alla preavvisata iniziativa del giorno 19 luglio, il cosiddetto corteo dei migranti, si riteneva di non dover adottare alcuna prescrizione o divieto, anche se il percorso proposto interessava, per buona parte, la zona gialla sulla quale insisteva già il divieto generale indicato nel provvedimento prefettizio del 2 giugno.
Devo fornire sul punto qualche precisazione, ai fini di una corretta interpretazione, anche tecnico- giuridica, delle procedure seguite nel caso concreto. Il citato provvedimento prefettizio, nell'individuare i regimi di fruibilità della zona gialla, prevedeva genericamente un divieto di manifestazione di natura statica o dinamica, finalisticamente orientato ad evitare, come accennato, forme di accerchiamento che rendessero impraticabile l'intera zona circostante l'area di massima sicurezza.
Naturalmente, sotto il profilo strettamente giuridico, il divieto doveva poi trovare una specifica tecnica, a fronte di un


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preavviso di manifestazione che interessasse quella zona, in un provvedimento del questore che necessariamente attualizzasse la motivazione del diniego, valutando in concreto le ragioni di ordine e sicurezza pubblica preponderanti rispetto al diritto di manifestare e che non fossero un generico e tautologico richiamo alla previsione contenuta nel provvedimento prefettizio. Residuava, in altri termini, un momento discrezionale nella competenza del questore.
Fatte le debite valutazioni, sempre di concerto con i referenti istituzionali già citati, e ritenuto che nella giornata del 19 luglio non vi era il problema della concomitanza dei lavori del vertice, iniziato il giorno successivo, si decideva di non adottare alcun divieto o prescrizione. Viceversa, per le manifestazioni preavvisate per la data del 20 luglio, al termine di una non facile riflessione avviata a tutti livelli e supportata da considerazioni tecniche di opportunità che recepivano anche precise indicazioni fornite dal capo della Polizia, anch'egli interlocutore, come già ricordato, degli esponenti del movimento, adottavo due provvedimenti, ai sensi dell'articolo 18, comma 4, del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza.
Il primo, recante la data del 17 luglio, prende atto del preavviso presentato dall'organizzazione sindacale CUB per un corteo da svolgersi alle ore 14 del giorno 20 luglio e ne prescrive il termine del percorso in piazza Di Negro. Il secondo provvedimento, recante la data del 19 luglio, prende atto del preavviso dei referenti del Genoa social forum per l'occupazione dalle ore 6 alle ore 24 del 20 luglio di nove piazze del centro cittadino per manifestazioni stanziali di accerchiamento della zona rossa e per lo svolgimento di un corteo senza precisa indicazione di orario, con partenza da corso Gastaldi ed arrivo in piazza De Ferrari all'interno della zona rossa e vieta l'occupazione delle piazze indicate e delle aree limitrofe,


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tranne piazza Dante, piazza Carignano, piazza Manin, piazza Villa, piazza dello Zerbino e piazza Paolo da Novi: in pratica la prosecuzione del corteo del Genoa social forum oltre piazza Verdi. Non è stato un corteo autorizzato, bensì si è trattato di una massa di manifestanti che si sono concentrati a circa seicento metri da piazza Verdi; per questa ragione, il dispositivo della mia ordinanza vietava l'occupazione di piazza Verdi.
Sulla base di tali provvedimenti veniva redatta l'ordinanza di servizio del 19 luglio contenente la disciplina dei servizi di ordine e sicurezza pubblica del giorno 20 luglio, disposta per tutti i prefigurati scenari della protesta.
Fin qui ho descritto sommariamente le diverse fasi organizzative, poi recepite in atti formali. Mi corre l'obbligo, nel prosieguo, di fornire qualche approfondimento su alcuni aspetti particolari e naturalmente su alcuni episodi poi verificatisi nella fase realizzativa di tale pianificazione, cercando in qualche modo di offrire già una qualche risposta ai molteplici quesiti formulati in questa sede ad altri referenti qualificati dell'amministrazione dell'interno.
Il dispositivo posto in essere era frutto di una complessa e non facile istruttoria, condotta per diversi giorni attraverso diverse riunioni svoltesi alla presenza del vice capo della polizia, prefetto Andreassi, e di altri referenti qualificati delle direzioni centrali del dipartimento, segnatamente la direzione centrale per la polizia di prevenzione e la direzione centrale della polizia criminale, coinvolte, a diverso titolo, nell'organizzazione dei servizi. Obiettivo di dette riunioni era quello di mettere sul tappeto tutte le informazioni disponibili che affluivano attraverso i canali informativi istituzionali al fine di confrontare, dalle diverse angolature, le idee e le proposte sulle modalità di gestione dei servizi di ordine pubblico sul territorio.


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Questa attività non si è mai interrotta ed ha evidentemente orientato le scelte finali, tradotte, come di regola, nell'ordinanza del questore. Anche in relazione alla disciplina dei servizi del giorno 20 luglio, il confronto allargato, cui ho fatto cenno, ha inciso sull'assetto organizzativo dei reparti sul territorio, esattamente per effetto di alcune notizie afferenti possibili strategie che diversi gruppi del dissenso avrebbero posto in essere e che mi ha determinato a correggere la pianificazione elaborata.
Sulla pianificazione dei servizi del giorno 21 luglio, in occasione del corteo internazionale, ha inciso invece, in misura determinante, la correzione, necessitata dall'episodio della morte del manifestante Carlo Giuliani, circa l'impiego dei reparti dell'Arma dei carabinieri. Vorrei ricordare che nella serata del 20 luglio ho dovuto dare esecuzione a questa precisa e condivisibile direttiva, sostituendo ai contingenti dell'Arma dei carabinieri, impegnati nell'azione di vigilanza sul corteo, altrettanti contingenti della Polizia di Stato.
Purtroppo, nei giudizi riportati dagli organi di informazione, anche sulla scorta delle prime indiscrezioni trapelate in merito all'indagine ispettiva, si è parlato di carenze organizzative, anche in relazione a tale modalità di pianificazione.
Devo respingere tale rilievo: in parte, perché chi ha esperienza di manifestazioni di tale complessità sa bene quali continue modifiche e variazioni debbano essere apportate alla pianificazione dei servizi ed anche, naturalmente a servizi in corso, per effetto di un flusso continuo di informazioni e dunque di elementi nuovi di valutazione che portano a correggere, per una maggiore efficienza operativa, le scelte iniziali; in parte, perché è scorretto pensare che non vi sia stata alcuna pianificazione sino al giorno precedente l'evento.


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Al contrario, era da diverso tempo avviata una profonda riflessione in ordine alle strategie da adottare in piazza per contenere la minaccia costituita dai gruppi radicali.
È possibile che tali accorgimenti, adottati nell'imminenza dei servizi e, talvolta, anche per ragioni ineluttabili, abbiano influito negativamente sull'efficienza del dispositivo di contrasto; tuttavia, essi non sono stati sicuramente frutto di approssimazione e di superficialità.
In ordine ad un altro aspetto oggetto di critica, anch'esso già evidenziato in quest'aula, ritengo limitativo, nell'esame critico dei fatti, indicare nelle asserite carenze dell'apparato informativo e nella prevenzione in generale uno dei motivi principali della scarsa capacità di contrasto delle frange estreme violente.
Vorrei sottolineare, in primo luogo, che il fenomeno dei gruppi anarco-insurrezionalisti, o «blocco nero», per le modalità di azione che ha mostrato nella piazza, ha dato l'impressione di costituire non solo una realtà autonoma, bensì anche una frangia violenta e numericamente significativa, interna, sia pure ben mimetizzata, agli altri blocchi del dissenso.
In secondo luogo, l'attività informativa mi risulta, al contrario, essersi svolta in modo assai capillare e complesso, sia a livello locale sia a livello nazionale ed internazionale.
Ho già affermato che un'ottica «provinciale» dei problemi era assolutamente inadeguata; occorreva invece una visione complessiva sia dei soggetti intenzionati ad attentare alla sicurezza dei Capi di Stato e di Governo, sia delle organizzazioni e delle aree del dissenso nazionali ed internazionali, alcune delle quali si prefiggevano di impedire il vertice.
Occorreva inoltre un continuo scambio di informazioni con i servizi di sicurezza dei paesi che avrebbero partecipato al


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vertice ed era poi necessario, per il questore, recepire queste informazioni, valutarle e trasfonderle in disposizioni di servizio: la famosa ordinanza del 12 luglio.
Come riferito dal comandante generale dell'Arma dei carabinieri, sin dal 16 novembre 2000 la strategia delle forze dell'ordine è stata oggetto di approfondite valutazioni da parte del comitato nazionale dell'ordine e della sicurezza pubblica per individuare le possibili minacce alla sicurezza delle delegazioni, le misure di contrasto da adottare, nonché le forze necessarie allo scopo.
Parallelamente, presso la segreteria generale del CESIS, è stato costituito un gruppo di lavoro interforze per esaminare tutte le informazioni relative alla manifestazione.
Era chiaro che nella preparazione del piano di sicurezza al questore doveva essere fornito un costante, qualificato supporto. A questo fine, il capo della polizia ha inviato a Genova il suo vice, il quale, valutando con tempestività il progredire del lavoro e fornendo i suoi preziosi suggerimenti, è divenuto per il questore stesso un obbligato ed insostituibile punto di riferimento. Sempre al medesimo scopo, il capo della polizia ha poi inviato a Genova, in varie riprese, i massimi esponenti degli organismi specializzati di prevenzione e antiterrorismo e di polizia giudiziaria.
Nel periodo precedente al vertice sono state eseguite, su tutto il territorio nazionale, numerose perquisizioni domiciliari ed ispezioni locali. Ad esempio, tra il 16 e il 17 luglio, sono stati contestualmente perquisiti alcuni centri sociali di Torino, Genova, Padova, Firenze e Napoli.
Per fronteggiare le minacce terroristiche è stata attivata ogni forma di collaborazione con gli organi di polizia degli altri paesi e di tale compito è stato incaricato il direttore


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centrale della polizia di prevenzione, che si è più volte recato all'estero per il necessario scambio di dati e informazioni.
L'attività si è estesa al ripristino dei controlli di frontiera, ai sensi della Convenzione applicativa dell'accordo di Schengen; sono stati riattivati i valichi di frontiera e rinforzati gli uffici di frontiera. Ciò ha consentito di effettuare 140 mila controlli circa e respingere dalla frontiera più di 2 mila persone: non sappiamo cosa sarebbe accaduto se queste 2 mila persone avessero raggiunto Genova ed avessero potuto partecipare ai disordini.
Sono stati attivati servizi per la prevenzione di azioni di disturbo ai sistemi di comunicazione e di interferenze ai 132 ripetitori televisivi liguri, con la collaborazione del Ministero delle comunicazioni, che ha messo a disposizione attrezzature e personale specializzato.
Sul piano locale, la questura di Genova ha proceduto, nel periodo immediatamente precedente allo svolgimento del vertice G8, ad una approfondita attività di prevenzione, concretizzatasi nei sottoelencati servizi.
A partire dal 20 giugno e fino ai giorni immediatamente precedenti la manifestazione, sono state controllate 291 strutture alberghiere di prima, seconda e terza categoria, nel capoluogo e nella provincia di Genova. Si è proceduto al controllo di 14 armerie site in Genova e nei comuni di Lavagna, Chiavari, Rapallo e Recco. Dal 22 giugno sono stati controllati e costantemente monitorati 10 autonoleggi operativi in Genova e nei comuni della provincia. Dal 3 al 10 luglio si è proceduto al controllo di 119 negozi di ferramenta presenti in Genova e nei comuni della provincia. Nel mese di luglio sono stati controllati 35 campeggi ubicati nel territorio provinciale. Nello stesso periodo, sono stati controllati, da Genova fino alla provincia di La Spezia, 9 centri di agriturismo.


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Ancora in luglio e fino ai giorni immediatamente precedenti al vertice, si è infine proceduto al controllo di 28 negozi di materiale antinfortunistico, operanti in Genova e nei comuni di Chiavari, Rapallo, Casella ed Arenzano.
Sotto il profilo più strettamente investigativo, sono state effettuate, sempre in ambito locale, 24 intercettazioni telefoniche e ambientali, 2 intercettazioni di posta elettronica, 123 perquisizioni domiciliari ai sensi dell'articolo 41 e dell'articolo 4 della legge 22 maggio 1975, n. 152, tra cui quelle dei centri sociali Immensa, Pinelli (due volte) dello stadio Carlini e dello stadio di via dei Ciclamini.
Nei giorni del vertice, infine, in questura è stata costituita una sala operativa internazionale, in modo da assicurare la costante collaborazione di funzionari degli organi di polizia estera con le autorità italiane.
In sintesi, nel contesto di un evento internazionale così importante e complesso, in cui lo stesso dipartimento della pubblica sicurezza ha espresso - e non poteva essere altrimenti - il massimo sforzo possibile, proponendo iniziative, preventivamente valutando ed approvando tutte le decisioni del questore, mi pare difficile sostenere, anche in quest'ambito, che vi siano state carenze organizzative. Probabilmente, sul piano squisitamente preventivo, si è avuto un risultato inferiore a quello stimato, ma non è detto che ciò sia necessariamente attribuibile ad un deficit di organizzazione o di preparazione dell'evento.
Al contrario, io credo che le strategie vi fossero, ed anche assai ben articolate, puntualmente trasfuse nell'ordinanza del questore del 12 luglio ed in tutte quelle successive che vi sono state consegnate in copia.
Voglio dedicare qualche riflessione al fronte della protesta, non certo per fornire analisi teoriche, che forse altri più di me


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sono in grado di fornire, ma semplicemente per mettere a vostra disposizione il frutto della concreta esperienza di lavoro e forse anche per dimostrare, se possibile, che esistevano oggettive difficoltà di contrasto all'azione violenta di alcuni manifestanti.
In base all'attività di intelligence svolta, l'area antagonista è stata suddivisa in diversi gruppi, in relazione alle diverse caratteristiche ideologiche e di comportamento.
È emersa una grande varietà delle strategie di protesta, dalla manifestazione pacifica alla resistenza passiva, dalla pianificazione di azioni violente fino alla violazione della zona rossa allo scopo di impedire le manifestazioni ufficiali.
Obiettivi dichiarati delle azioni violente erano le installazioni di sistemi di telecomunicazione televisiva, le sedi di partito, gli organi di stampa, le amministrazioni pubbliche, le banche ed associazioni varie.
Le analisi dei servizi di informazione si incentrano sul blocco nero, valutato in circa 500 italiani e 2 mila stranieri. Tuttavia, a Genova i disordini non possono essere attribuiti solo all'azione dei black bloc, ma vedono coinvolto un elevato numero di manifestanti appartenenti a gruppi differenti. In estrema sintesi, la storia delle tute nere è contenuta nella sentenza con la quale il tribunale del riesame di Genova ha respinto le istanze di scarcerazione, presentate da dieci manifestanti tedesche. Nel documento sono sintetizzate anche le modalità d'azione del movimento, organizzazione armata e senza ordine gerarchico. Il black bloc, blocco nero - recita il provvedimento giudiziario - è un'associazione armata, costituita da individui o gruppi affini, che si raggruppano in modo spontaneo, organizzato in un certo momento, in occasione di manifestazioni o di azioni politiche; vestono generalmente di


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nero e portano una maschera, un fazzoletto, un passamontagna. Riunite, queste differenti persone formano un blocco nero.
Hanno manifestato per la prima volta negli Stati Uniti in occasione della guerra del Golfo del 1991, ma solo nel 1999 si sono imposti alla scena mondiale. A Seattle attaccarono e distrussero i simboli della globalizzazione; nella circostanza, tale azione durò per oltre cinque ore, consistendo nello sfondamento delle porte, delle vetrine e di tutte le vetrate, nonché nella devastazione delle lussuose facciate dei megastore delle multinazionali e delle sedi delle aziende o delle banche.
Pur in assenza di un capo e di una struttura gerarchica, coloro che si riconoscono nell'organizzazione dei black bloc, riuniti per gruppi omogenei di persone legate da vincoli di conoscenza o di amicizia, in occasione degli eventi politici che l'organizzazione riconosce preventivamente, si riuniscono dando vita a quelle unità operative che sono state viste in azione a Genova.
Venendo all'analisi dei fatti di Genova, sono emerse varie «anime» all'interno dell'area antagonista in cui si è tentato di far coesistere componenti pacifiche con altre di tipo estremista o, peggio, eversive. In particolare, si sono avute sia dichiarazioni di volontà di alcuni gruppi di impedire il vertice, sia azioni particolarmente violente di professionisti della guerriglia. Ad esempio, la mattina del 20 luglio, in più punti della zona del Levante sono partite contemporaneamente azioni di distruzione generalizzata ed indistinta e vere e proprie operazioni di guerriglia urbana, con attacchi alle forze dell'ordine di gravità inusitata da parte del gruppo anarchico-insurrezionale, che ha utilizzato la massa d'urto di un corteo disposto ad affrontare i reparti di polizia pur di violare l'area interdetta. Basti pensare all'episodio in cui ha trovato la morte


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Carlo Giuliani: si è trattato di una pesante e violenta aggressione, un tentativo di linciaggio verso i carabinieri messo in atto non dalle tute nere, ma da gruppi di manifestanti di altro tipo.
Evidentemente è molto difficile individuare preventivamente gli appartenenti al blocco nero che si spostano in forma anonima e compaiono con i segni distintivi del movimento solo in occasione degli scontri di piazza, favoriti anche dall'appoggio di altre frange di manifestanti asseritamente meno violente.
È stato osservato che a Genova la polizia non avrebbe attuato quelle azioni di prevenzione finalizzate ad isolare i violenti dai manifestanti pacifici. Al riguardo, è stato giustamente portato ad esempio il caso di accordi tra forze di polizia e promotori di manifestazioni che in passato hanno sempre consentito di isolare i violenti al fondo dei cortei, in modo da rendere loro impossibile ogni azione di disturbo o di danneggiamento.
Sottolineo che ciò avveniva ed avviene a seguito di accordi tra le forze di polizia e i promotori della manifestazione. Per raggiungere un accordo occorre la concorde volontà delle parti e, in quella circostanza, il Genoa social forum aveva ripetutamente dichiarato di non essere in grado di isolare i violenti ed aveva anche dimostrato di non essere neppure in grado di riconoscerli. Da parte del Genoa social forum non è pervenuta alle forze di polizia una sola denuncia, una sola dichiarazione, una sola indicazione che consentisse di identificare fisicamente gli autori di atti di violenza o i promotori di azioni violente.
Eravamo tutti ben consapevoli di questa difficoltà, come emerge anche dall'incontro di servizio del 12 aprile in prefettura, durante il quale si analizzò una prima richiesta del movimento Genoa social forum per l'effettuazione della manifestazione di dissenso del giorno 20 luglio. Cito testualmente


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il verbale: «Sotto questo profilo non è quindi tanto importante la contemporaneità degli eventi quanto piuttosto l'appesantimento delle attività delle forze dell'ordine che devono tendere ad impedire che si inseriscano nelle manifestazioni pacifiche elementi portatori di violenza che debbono essere discriminati; discriminazione che appare profilarsi più complicata se si dà ascolto ai segnali da più parti provenienti che fanno supporre che i movimenti che hanno dato luogo negli ultimi tempi ad atti vandalici o violenti stiano pensando di modificare le loro strategie. Intenderebbero, infatti, abbandonare gli usuali mascheramenti per confondersi in tal modo con gli altri manifestanti e rendere quindi nei fatti molto più difficile per le forze dell'ordine operare lo screening senza possedere elementi identificativi». Sempre nel medesimo incontro di servizio del 12 aprile tutti convenivamo sul fatto che sembrava quasi un complessivo e articolato programma di iniziative collocate a scacchiera sul territorio cittadino in punti strategici che corrispondeva ad un disegno minuziosamente studiato per paralizzare sia la capacità operativa delle forze dell'ordine sia la mobilità delle delegazioni governative.
Quanto allora ipotizzato si è puntualmente verificato con una particolarità: ogni volta che la questura di Genova ha cercato di avviare qualche forma di dialogo per tentare di isolare i violenti ha sempre dovuto trovare interlocutori diversi dal Genoa social forum.
Sia venerdì 20 sia sabato 21 luglio abbiamo tentato in ogni maniera di isolare i violenti dai manifestanti pacifici in modi differenti, essendo chiaro che tentare di isolare qualcuno all'interno di un corteo è cosa ben diversa dal tenere separati gruppi che non si muovono in corteo.
Il preavviso di manifestazione per il giorno 20 presentato dal Genoa social forum e consistente, come detto, nell'occupazione


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di una serie di piazze, alcune delle quali poste all'interno della zona gialla, era complessivo, nel senso che il Genoa social forum non indicava in quale modo le diverse componenti (si rammenti che il Genoa social forum comprendeva circa 800 sigle, anche molto diverse tra loro) si sarebbero suddivise le piazze.
Lo ripeto perché è importante capire le difficoltà che abbiamo incontrato: il Genoa social forum non ha saputo o voluto indicarci come sarebbe avvenuta la suddivisione delle piazze. Cito a questo riguardo un articolo apparso sul quotidiano la Repubblica: «Un muro di container circonda piazza Verdi, il grande quadrilatero fra la stazione Brignole e piazza Dante e l'imboccatura inferiore di via XX Settembre. Proprio qui, dove hanno intenzione di arrivare le tute bianche con il loro corteo non autorizzato dal questore per provare ad invadere la zona rossa, la polizia ha giocato di anticipo. E nella notte ha piazzato decine e decine di container per sbarrare la strada ai dimostranti. Così è stato eretto un impressionante muraglione di cassoni colorati su due file e a doppia altezza, praticamente invalicabile. Adesso tutti gli accessi alla piazza sono stati chiusi, restano solo stretti varchi a Levante: gli sbocchi di via Canevari, via Tolemaide e corso Buenos Aires (...). Per quanto riguarda gli anarchici, le forze dell'ordine avevano circondato il centro sociale Pinelli dove erano riuniti. Sembrava che non volessero consentire l'uscita dei contestatori, ma alla fine dopo una trattativa è stato dato il via libera».
Il giornalista ha ben descritto ciò che è accaduto durante la notte: abbiamo piazzato decine di container e abbiamo tentato di ritardare - non di impedire, il che non sarebbe stato consentito - l'arrivo in piazza di coloro che si ritenevano più vicini alle frange violente. Il motivo di tutto ciò è molto semplice: nonostante l'atteggiamento quasi omertoso del Genoa


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social forum, avevamo potuto sapere che in piazza Paolo Da Novi si sarebbero probabilmente riuniti gli aderenti al network - attenzione: non il black bloc - ed avevamo appreso dell'intenzione delle tute bianche di tentare, alle ore 8, un attacco nella zona rossa transitando da via Tolemaide a piazza Verdi. Ci era stata riferita, infine, l'intenzione del network di infiltrarsi nel corteo delle tute bianche per effettuare azioni violente.
Grazie a queste informazioni abbiamo, anzitutto, disposto decine di container non certo per bloccare le tute bianche, ma per tenerle separate dal network. Contemporaneamente, abbiamo effettuato alcuni interventi nei punti di ritrovo per ritardare l'uscita di alcuni gruppi e fare in modo che le tute bianche potessero raggiungere da sole piazza Verdi. Perché tutto ciò? Fino ad oggi le tute bianche, quando hanno agito da sole, hanno perseguito i loro obiettivi senza distruzione né danni alle persone e, quindi, sarebbe stato possibile contrastarle senza necessità di cariche né di uso di lacrimogeni.
Purtroppo, le cose sono andate ben diversamente: in piazza Paolo Da Novi oltre al network si sono concentrati anche altri gruppi più violenti, mentre le tute bianche si sono presentate molto più tardi in piazza Verdi con un corteo in cui erano infiltrate frange più violente che hanno iniziato subito l'attacco alle forze dell'ordine.
Questa vicenda trova riscontro anche in un comunicato, apparso su Internet, dal titolo «Genova, black bloc e il resto». Un altro punto di critica del black bloc riguarda il fatto che venerdì, appena iniziato il corteo, si è subito partiti attaccando poliziotti e proprietà e questo fatto ha comportato che il black bloc si spaccasse in due parti: una è andata a nord e l'altra a sud con i Cobas.


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Quando, in circostanze diverse, si è trattato di intervenire su gruppi violenti frammisti ad altri gruppi, ci siamo sempre trovati di fronte ad una totale non collaborazione. Cito ancora l'articolo «Anarchici scatenanti, scontri e feriti» de la Repubblica: «Altro momento di tensione in piazza Manin dove i pacifisti del Genoa social forum provano a creare un cuscinetto umano tra il black bloc e la polizia. La tattica, però, non riesce e le forze dell'ordine caricano nel mucchio colpendo anche la parlamentare di Rifondazione comunista, Elettra Deiana, che resta ferita».
Un articolo de la Repubblica non è certo un testo sacro, ma, senza entrare nel merito circa l'opportunità o meno della carica, mi chiedo: «creare un cuscinetto umano tra il black bloc e la polizia» non significa forse frapporsi per tentare di impedire alla polizia di intervenire?
Situazioni come queste si sono ripetute anche il giorno 21 durante il corteo e se ne trova traccia nelle relazioni di servizio dei funzionari che sono a disposizione del Comitato. Solo da lì, infatti, si può conoscere il grande lavoro svolto dai funzionari e da tutto il personale impegnato in quelle giornate massacranti di servizio per l'ordine pubblico a Genova, e che in questa circostanza mi corre l'obbligo, ancora una volta, di ringraziare.
Ho cercato di dimostrare che la questura di Genova ha attivato ogni possibile azione di isolamento dei gruppi violenti. Non mi risulta che il Genoa social forum abbia mai collaborato con le forze dell'ordine per isolare i gruppi che entravano e uscivano dai cortei per le loro azioni di guerriglia, né mi risulta che i partecipanti non violenti abbiano mai denunciato qualcuno dei componenti dei gruppi organizzati di guerriglia.
Vi è di più: si è anche detto che i violenti occultati all'interno dei cortei potevano essere facilmente individuati. Le


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cose stanno in modo diverso. Nel periodo precedente il vertice su Internet venivano forniti, anche dalle tute bianche, consigli per la creazione di caschi, scudi in plastica, bardature, eccetera. Vi erano istruzioni per raggiungere Genova dall'estero evitando i controlli: si suggeriva di viaggiare in treno ed in piccoli gruppi, senza utilizzare gli autobus per evitare di essere respinti alla frontiera, e di inventare storie di copertura (addetti stampa, turisti, eccetera).
La giornata di venerdì è stata caratterizzata da una forte aggressività, da molti attacchi dei manifestanti contro le forze dell'ordine e l'equipaggiamento dei soggetti più violenti era quello descritto. Esso infatti comprendeva: passamontagna per coprire il volto, caschi, scudi, protezioni per il corpo e maschere antigas. Le storie di copertura, poi, sono state ampiamente utilizzate anche davanti alla magistratura. Dunque, la differenza tra i gruppi non era così evidente e l'identificazione meno immediata di quanto si pensi.
A questo riguardo mi soccorrono e vanno condivise le motivazioni del tribunale del riesame di Genova. Dal fatto che gli appartenenti ad un gruppo siano vestiti di nero non è possibile - ha sostenuto quell'organo giudiziario - far discendere la loro appartenenza ad un'associazione per delinquere, finalizzata alla devastazione (il black bloc); neppure il fatto che alcuni abbiano subìto lesioni dimostra la partecipazione a scontri con le forze dell'ordine. Infine, il trasporto su un furgone di una mazzetta da muratore, di assi di legno, fionde ed altri oggetti utilizzabili contro le forze dell'ordine può trovare giustificazione in attività perfettamente lecite.
Un'ultima precisazione. È stato chiesto per quale motivo le forze dell'ordine non siano riuscite a sorprendere in flagranza i soggetti che hanno compiuto le azioni di distruzione e di violenza. La risposta è che le forze dell'ordine sono attrezzate


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per garantire l'ordine pubblico, cioè per affrontare situazioni di dissenso, anche pesante, in cui chi contesta ha comunque un obiettivo da raggiungere: occupare una sede stradale, una fabbrica, magari colpendo le forze di polizia medesime. Qui la distruzione ed il danneggiamento erano fini a se stessi: noi proteggevamo una agenzia di banca mentre un gruppo colpiva un esercizio commerciale o un distributore di benzina ed altri incendiavano l'utilitaria di una pensionata.
Questo comportamento ha una sua base ideologica di cui vi è cenno, ad esempio, nel comunicato n. 30 di una sezione del blocco nero, la fonte è sempre Internet, che intendo citare: «Quando rompiamo una vetrina noi aspiriamo a distruggere la sottile maschera di legittimità che circonda i diritti di proprietà».
Non si è trattato di ordine pubblico, ma di cieca guerriglia urbana e contro tale offesa è stato predisposto un dispositivo che ha presentato, forse, alcune lacune. Forse non avevamo la preparazione necessaria per contrastare azioni di guerriglia, anche se ancora oggi mi chiedo quale possa essere la strategia giusta per contrastare queste forme di indiscriminata violenza e distruzione e se questo possa avvenire con l'impiego di reparti che avrebbero, come naturale compito, la tutela di una pacifica - ripeto, pacifica - manifestazione del pensiero. La polizia non ama la guerriglia urbana, che male si accorda con le sue tattiche militari, che invece postulano soluzioni lente, immobili e prevedibili per poter dispiegare la sua forza di controllo pachidermica e il suo ordine gerarchico pianificato, citato nella sentenza del tribunale del riesame di Genova n. 698 del 2001.
Del resto, per avere una migliore comprensione della vicenda si può leggere il resoconto delle giornate di Seattle su un sito Internet del black bloc: la maggior parte di noi del


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Pubblicato su: 2005-07-05 (1332 letture)

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