Arcene – Ha il sapore amaro della beffa il panettone offerto dai padroni della Fiber ai lavoratori in occasione della chiusura natalizia. Un boccone troppo indigesto per i 50 operai, in gran parte donne, che hanno appena saputo che l’azienda metalmeccanica si appresta ad abbandonarli. A nulla è servito, solo un anno prima, la firma di un accordo che prevedeva per una trentina di loro i cosiddetti “contratti di solidarietà”. Lo spettro della Cassa integrazione, solo momentaneamente allontanato, si ripresenta proprio alla vigilia di Natale, quando la Fiber annuncia la decisione di tornare sui propri passi: dismissione degli impianti produttivi di Arcene e trasferimento del lavoro in Romania e ad altri contoterzisti italiani ed esteri.
Gli operai decidono un’azione di protesta duratura. Prima un corteo per le vie di Treviglio ed un incontro con i Sindaci dei comuni interessati. Poi, da martedì 10 gennaio, attivano un presidio permanente davanti ai cancelli dello stabilimento ed il blocco delle merci in uscita. La rabbia è tanta e sale quando ad inizio mese i padroni della Fiber decidono di non pagare gli stipendi ai lavoratori.
Ed ecco la prima immagine che si presenta ora a chi si avvicina alla fabbrica: uno striscione nero con la “V” di vendetta color del sangue. E poi un gazebo, un cumulo di bancali, i bidoni con il fuoco e le bandiere della Fiom ai cancelli. E poco più in là, quasi a ridosso della statale, una tenda ed un camper per ripararsi dal gelo del giorno e soprattutto della notte.
Mentre una fitta nebbia avvolge tutto, i turni di lavoro si alternano ai turni in presidio. Anche di notte, con diversi gradi sotto zero. “Ma non siamo soli” ci dice Ivan, RSU Fiom “Abbiamo ricevuto la solidarietà di molte persone e di tanti rappresentanti sindacali delle fabbriche vicine”. Si inganna l’attesa tra una birra, del thè caldo, qualcosa da mangiare tutti insieme davanti al fuoco.
Gli operai ora vogliono il ritiro del piano di cassa integrazione straordinaria che riguarderebbe 43 lavoratori su 51. In alternativa, se l’azienda non intende proseguire l’attività produttiva, chiedono che la proprietà ceda lo stabilimento ad imprenditori decisi a non perdere posti di lavoro e produzione sul territorio della Bassa. L’azienda, dall’altro lato del tavolo, pretende lo smantellamento del blocco in cambio di una (vaga) promessa di aprire un dialogo sulla cassa integrazione.
A sostenere i padroni della Fiber anche un rappresentante di Confindustria. Il presidio degli operai pare infatti preoccupare più del solito l’associazione degli industriali. La Fiber rifornisce con i suoi prodotti, tra cui i temporizzatori per elettrodomestici, importanti aziende del settore come la N&W Global Vending, presente anche a Valbrembo, e la multinazionale svedese Electrolux, peraltro già in odore di dismissione dei suoi stabilimenti a Susegana (Treviso) e Porcia (Pordenone), che verrebbero almeno parzialmente trasferiti in Ungheria. A Confindustria non è certo sfuggito che il blocco delle merci ad Arcene, che dura ormai da una settimana, è destinato ad avere ripercussioni ben al di là delle fitte nebbie della Bassa.