Treviglio – Un carosello pacifico e rumoroso ha sfilato sabato da Treviglio a Fornovo: una cinquantina di attivisti hanno raccolto la chiamata internazionale contro la multinazionale MONSANTO. Ad essere oggi chiamata in causa è l’azienda IRCA con sede a Fornovo San Giovanni, che da anni assemblea Glifosato. Pressoché sconosciuto fino a un anno fa, oggi il glifosato è al centro di una delicata querelle scientifica e politica. La IARC (agenzia dell’Oms di ricerca sul cancro) a marzo del 2015 lo aveva classificato come “probabile cancerogeno per l’uomo” in uno studio uscito su The Lancet Oncology.
Dalla pasta ai biscotti, dai corn flakes alle farine fino all’acqua che arriva nelle nostre case: il glifosato, l’erbicida sviluppato dalla Monsanto (che lo distribuisce con il nome commerciale di Roundup) sembra essere dappertutto. Brevettato dalla multinazionale agro-alimentare negli anni ’70, è oggi l’erbicida più usato nel mondo nelle campagne e negli spazi versi.
Il documento della IARC non aveva comunque lasciato indifferente il mondo dell’industria e della ricerca: Monsanto aveva espresso la propria contrarietà a quanto messo nero su bianco dallo IARC, «in assenza di nuove evidenze scientifiche e di una classificazione che stabilisca il legame diretto tra il consumo di glifosato e l’aumento dei casi di cancro».
A dare una mano alla potente multinazionale sono intervenuti quelli dell’EFSA, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (sempre dipendente dall’OMS), che invece a novembre dello stesso anno ha assolto il glifosato e ha fissato il livello ammissibile di esposizione dell’operatore (LAEO) a 0,1 mg/kg di peso corporeo al giorno e la dose quotidiana ammissibile (DGA) per i consumatori a 0,5 mg/kg di peso corporeo. Tuttavia, si tratta di un giudizio sicuramente non terzo, viste le denunce sui rapporti tra EFSA e membri di importanti multinazionali.
In mezzo c’è la Commissione europea che, un paio di giorni fa, ha rinviato nuovamente il voto in merito all’autorizzazione d’utilizzo del prodotto. Lo slittamento del voto, però, non è un problema da poco per le industrie, dal momento che se non avverrà entro il 30 giugno, le autorizzazioni all’utilizzo in Europa non potranno essere rinnovate.
In realtà, in mezzo, c’è chi in quei campi coltiva, chi mangia, chi beve. Non stupisce il fatto che, dopo 40 anni dalla sua diffusione, si scopra la nocività di un prodotto chimico: in questo senso il glifosato non è che l’ennesimo caso di una lunga lista. Questo però non può e non deve rendere passivi. Non basteranno le delibere dei governi a risanare i suoli.
Tuttavia il glifosato non è che un passo. Solamente un passo. Il vero problema che emerge dal caso del glifosato è che ormai l’agricoltura intensiva, tutta atta alla massimizzazione della produzione (ottenimento dell’iperproduzione con l’obiettivo di ridurre i costi e di migliorare i sempre più ridotti guadagni), non è più sostenibile. Se il glifosato in Europa dovesse essere proibito, non si risolverebbe di certo il problema dell’inquinamento ambientale da fitofarmaci e da concimi di sintesi e tanto meno la presenza di tracce di pericolose sostanze chimiche negli alimenti in quanto verrebbero usati, come già si fa, altri agrofarmaci (erbicidi, acaricidi, insetticidi, nematocidi, fungicidi, limacidi) in alcuni casi molto più pericolosi del glifosato. Insomma, proibire il glifosato creerebbe sicuramente rassicurazione nella popolazione, sarebbe l’applicazione pratica del «principio di precauzione» in attesa che si colmi la gravosa incertezza scientifica che regna sui rischi per la salute, ma non cambierebbe il sistema agricolo europeo. In definitiva, anche se il glifosato dovesse essere vietato, la questione salute e inquinamento da agricoltura sarebbe ancora aperta.