Bergamo – I festeggiamenti sono cominciati già ieri notte all’esterno di Palazzo Frizzoni, dove dalle 23 in avanti le tante bandiere del Partito Democratico e i fischi delle vuvuzelas hanno annunciato che era cosa fatta. Giorgio Gori è il nuovo sindaco di Bergamo e il governo della città torna alla coalizione di centro-sinistra, dopo 5 anni di amministrazione Tentorio. Ma di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia, e le trasformazioni intervenute parlano di un governo in continuità con la storia politica democristiana della città. Se l’alleanza che nel 2004 aveva condotto alla vittoria di Roberto Bruni era trainata dalla saldatura a sinistra tra Democratici di Sinistra, Rifondazione Comunista e Verdi, la coalizione che 10 anni dopo firma la vittoria di Gori ha un altro volto. A cominciare proprio dal candidato sindaco, con una biografia da manager all’interno di Mediaset e marito di Cristina Parodi, esperto di comunicazione e, in tempi non sospetti, spin doctor del rottamatore Matteo Renzi. E Gori ha espresso efficacemente lo spirito della rottamazione in corso, a partire dalla netta chiusura verso le forze della sinistra istituzionale, raccolte nella lista “Altra Bergamo”, cui durante la campagna elettorale il Partito Democratico ha negato qualunque interlocuzione. D’altra parte, la svolta è ben rappresentata anche da quella lista della coalizione di centro-sinistra che i più maliziosi hanno stigmatizzato come un’indicazione di voto esplicita all’elettorato di Comunione e Liberazione: la lista dei “Moderati per Gori”.
Ma il quadro che emerge non è poi così “eccezionale”; la svolta di Bergamo non è così distante dalla svolta del Partito Democratico su scala nazionale. Eppure vi sono dei distinguo da operare, che chiamano in causa la fattispecie locale. Se in città come Livorno, luogo natio del Partito Comunista Italiano, la rottamazione di Renzi consegna la città a un successo storico del Movimento 5 Stelle, in una città come Bergamo il nuovo corso ha incontrato il favore di una popolazione da sempre orientata al conservatorismo. Altro che democratici, verrebbe da dire. Eppure qualcosa di “amerikano” in queste elezioni c’è stato (a parte Cristina Parodi al seggio elettorale vestita come Michelle Obama, si intende), e si misura nel dato crescente relativo all’astensionismo; un dato che rimanda per analogia al contesto statunitense, dove a votare è meno del 25% dell’elettorato. Che ciò sia frutto di una scelta deliberata o meno (e verrebbe da domandarselo), un risultato è sotto gli occhi di tutti: dove con una manciata di voti si può aspirare ad un posto da consigliere comunale (purché integrati all’interno delle due coalizioni principali) a prevalere sono gli assetti politici basati sugli interessi e le “affiliazioni”. Se tale meccanismo è cristallizzato dai meccanismi normativi della rappresentanza, gli esiti si possono osservare anche solo scorrendo i cognomi dei singoli candidati. E gli esempi sono bipartisan. Dalla giovanissima figlia dell’ex sindaco Bruni, che non entra in Consiglio comunale ma catalizza quasi 300 preferenze (in una città come Bergamo un risultato non trascurabile), al nuovo rampollo della dinastia Tremaglia, neo-consigliere di Fratelli d’Italia.
L’impressione è che le elezioni stiano diventando un affare per pochi, dove il voto dei pochi finisce per pesare assai. E a dirlo è il dato record sull’astensione: 30% al primo turno, 45% al ballottaggio. Mai visto nulla del genere in quel di Bergamo. Nel frattempo la sinistra istituzionale frantuma un complessivo 5% tra Sinistra Ecologia e Libertà e L’Altra Bergamo e il Movimento 5 Stelle sfonda il tetto del 8% accaparrandosi due consiglieri. Se l’insoddisfazione dell’elettorato, anche a Bergamo, fa la fortuna del movimento di Grillo, la cosiddetta “sinistra radicale” paga il prezzo dei propri “tatticismi”: anni di alleanze “programmatiche” con la coalizione di centro-sinistra hanno prodotto disaffezione da un lato e il cristallizzarsi di adesioni al ribasso dall’altro. Nel secondo caso il riferimento a Sinistra Ecologia e Libertà non è casuale: stare con Gori e avvallare la svolta centrista per ottenerne in cambio, di straforo, un posto da consigliere, continuando a contare nulla. Ma “continuando”, che in questo caso sembra essere ciò che conta, anche quando il progetto del Partito Democratico di smembrare e dissolvere le spine nel fianco a sinistra per “normalizzare” il sistema politico è ormai del tutto manifesto. E dall’altra parte? Dall’altra parte c’è la caduta di Tentorio, e un’ipotesi su cosa possa essere accaduto nella coalizione di centro-destra. Già, perché la fine dell’era Berlusconi, da sola, non spiega la sconfitta.
Essa va invece ricollegata alla caduta libera della Lega Nord che, malgrado le interpretazioni prevalenti, se dimostra una capacità di tenuta, ne da prova contenendo il disastro. In questo senso, basti ricordare che la vittoria di Tentorio era stata tirata dal 18% catalizzato da Lega Nord con le sue liste parallele. Il 9% circa di oggi, per di più a fronte della crescente astensione, è decisamente imbarazzante. Ancora di più perché celebrato come un successo. Analogo discorso vale per alcune roccaforti storiche del Carroccio in provincia: Lega Nord vince ad Albino e Seriate, ma con uno scarto risicatissimo (meno di 100 voti ad Albino) e, soprattutto a Seriate, un dato inedito sull’astensione, prossima al 50%. Il tracollo leghista è ancora più evidente se si comparano i dati provinciali relativi alle elezioni europee del 2009 e del 2014, dove il Carroccio perde il 12% dei consensi. Certo rimane una forza politica di primo piano nella Provincia di Bergamo, ma non si può ignorare il divario rispetto a 5 anni fa, quando Lega Nord era il primo partito. Se c’è chi scende, c’è però chi sale. Torniamo così all’inizio dell’articolo con il successo indiscutibile del Partito Democratico, ma anche con una domanda in più: da dove proviene quel dato che oggi in provincia valica la soglia del 38%? Si potrebbe forse estendere il ragionamento proposto in questa sede per le elezioni nel Comune di Bergamo anche al quadro provinciale? Se la risposta, almeno in parte, può essere affermativa, la notizia è che una parte dell’elettorato berlusconiano e del leghismo deluso sarebbe ora entusiasticamente orientato alla svolta del rottamatore.
Eppure la questione non si esaurisce qui, almeno per quanto riguarda il Comune di Bergamo. Già, perché se, come spiegato, il sistema politico locale, per come si configura, avvantaggia oggi interessi e affiliazioni minoritarie e “illustri”, al contempo non sono stati però i grandi elettori a premiare Gori. I dati disaggregati per quartiere parlano infatti di una incetta di voti del candidato di centro-sinistra nei quartieri periferici, e in particolare in quelli più popolari. Al contrario, il Centro cittadino, Città Alta, la fascia dei Colli e la “Conca d’Oro hanno riconfermato la propria fiducia a Tentorio. Se la cosiddetta “sinistra radicale” pare “stazionaria” ovunque, il Movimento 5 Stelle, paradossalmente, segue un andamento analogo a quello del Partito Democratico: in particolare nei quartieri periferici da sempre più “svantaggiati” sfonda o lambisce il tetto del 10%. Detto altrimenti, i 2 consiglieri grillini sono stati letteralmente mandati in Consiglio comunale dalle periferie (senza i cui voti non avrebbero mai superato lo sbarramento del 8%). Analogamente, se oggi Gori festeggia, da domani, nel governare la città, dovrà tenere conto di questo dato. Che piaccia o meno, il dato intuitivo che emerge dalle elezioni comunali è che le fasce più vulnerabili della popolazione urbana hanno creduto nella svolta di Renzi e nel sorriso onnipresente di Gori. Il dato deve mettere in guardia anche il nuovo sindaco, che risiede sui Colli a ridosso di Città Alta ma evidentemente non ha saputo convincere i suoi vicini di casa: la fiducia di cui gode oggi è giunta soprattutto dalle periferie, e prioritariamente è dall’attenzione a queste ultime che la sua amministrazione sarà giudicata.