Bergamo – Una giornata di lotta contro l’abolizione dell’articolo 18 e per provvedimenti concreti contro la precarietà. Una protesta che vuole arrivare fin sotto al Palazzo. E’ questo lo spirito con cui la manifestazione “Occupyamo Piazza Affari”, organizzata per il 31 marzo a Milano, vuole spezzare il silenzio che ha coperto la recente manovra sul mercato del lavoro. Il Governo racconta che il provvedimento potrà aiutare i giovani ad uscire dalla precarietà. Ma è al contrario una ricetta che, spiega Giorgio Cremaschi, presidente del Comitato Centrale della FIOM e da ultimo promotore del Comitato “No Debito”, estenderà a tutti un futuro di ricatto, instabilità, perdita di diritti e di posti di lavoro. Cremaschi ha un’altra ricetta, di segno opposto: tassazione dei patrimoni, delle rendite e dei redditi elevati per garantire un reddito di cittadinanza a tutti i precari e i disoccupati. Un intervento sulla fiscalità generale pubblica (senza ricorso ad assicurazioni e fondi pensione privati) per il rilancio di ammortizzatori sociali veramente universali. E per questo ha lanciato l’idea che il corteo di fine marzo arrivi in un Palazzo che non è quello classico della politica, bensì la sede della Borsa. Cioè il luogo, secondo Cremaschi, dove risiedono i veri sostenitori del Governo dei tecnici-professori.
L’appello alla manifestazione, che si prevede partecipatissima, stride decisamente con la cortina istituzionale di silenzio calata subito dopo la chiusura del tavolo di trattativa Governo-sindacati confederali. Un clima ovattato che conviene a molti. Conviene certo a Monti, che ha rimandato la discussione della riforma al Parlamento. Conviene ai partiti. Conviene, come da copione, ai vertici dei sindacati collaborazionisti CISL e UIL. Conviene anche alla Camusso, che cerca di mettere a freno le intemperanze della base mentre, con la sua tutt’altro che ambigua dichiarazione sullo sciopero generale previsto addirittura per fine maggio, salva il PD proprio a ridosso delle elezioni amministrative. Ma è solo rimandato il momento in cui il partito di Bersani sarà costretto a gettare la maschera del “partito sensibile alle tematiche sociali e del mondo del lavoro”. Il partito democratico dovrà presto tornare al ruolo a lui più congeniale: la forza nazionale responsabile, schierata con disciplina dietro le bandiere del “Ce-lo-chiede-l’Europa”, pronta ad intonare all’unisono con i partiti conservatori la litania isterica del “rischio-Grecia”.
A volte il silenzio è un’ottima base di accompagnamento. Il professore prestato alla politica lo sfrutta come prova provata del racconto che sta spendendo in giro per il mondo proprio in questi giorni. Il premier “finalmente presentabile dopo anni di orge berlusconiane”, così lo esalta la stampa nazionale, dice all’estero agli investitori stranieri che da noi si può licenziare ed abbassare il costo del lavoro senza che nessuno protesti. In Italia però la musica è tutt’altra. I blocchi ed i cortei degli operai, in tutte le parti d’Italia, mostrano i primi spontanei segnali di insofferenza verso le scelte delle proteste dilazionate e degli scioperi al rallentatore intraprese dai vertici della CGIL. E il 31 marzo a Milano qualcuno comincerà a dire chiaro che, per cambiare davvero musica, a volte è necessario cambiare tutta l’orchestra.