Bergamo – Venerdì 29 Aprile è stato indetto dalle sigle confederali uno sciopero nazionale che ha coinvolto tutti i lavoratori e le lavoratrici di Italcementi, compresi gli operai delle cementerie del territorio italiano. Il concentramento si è tenuto a Bergamo, dove ad oggi si riscontra il maggior numero di posti a rischio, tra ricollocamenti ed esuberi. Circa un migliaio di manifestanti si è ritrovato di fronte alla sede centrale in Via Madonna della Neve e si è mosso in corteo da via Angelo Maj e poi lungo via Papa Giovanni, rientrando infine in via Camozzi per fermarsi di fronte alla sede di Confindustria.
Il corteo, organizzato in spezzoni compattati sia per sigle confederali che per siti di cementerie, ha assistito in conclusione a numerosi interventi, a cui hanno partecipato anche le istituzioni, tra le quali il sindaco di Bergamo Giorgio Gori e alcune rappresentanze della regione Lombardia.
Gli interventi, nonostante l’eterogeneità intrinseca dei vari rappresentanti, sono stati caratterizzati da un’omogeneità di fondo, seppur con sfumature differenti, ad eccezione dell’intervento della RSU della cementeria di Calusco: tutti esigono i fatti, in particolare da Heidelberg Cement e dal quadro dirigenziale di Italcementi che ha portato avanti questi piani. Nonostante l’operazione di Heidelberg sia chiaramente all’origine dello scempio che sta subendo Italcementi, la palla resta per ora in mano a Pesenti e ai dirigenti italiani, in attesa del closing.
Si parla di ammortizzatori sociali e di ricollocamenti, mentre non si fa il minimo accenno ai 4,3 miliardi di euro del bilancio 2015 di Italcementi o al miliardo e seicento milioni di transazione che ha fruttato a Pesenti stesso 300 milioni di euro di guadagno. L’azienda non è assolutamente in rosso, e resta dunque un mistero per quale motivo non si chieda a Pesenti in persona, dall’alto dei suoi introiti milionari, di garantire un futuro economico ai lavoratori piuttosto che utilizzare soldi pubblici, in anni di piena macelleria sociale.
D’altronde, qualcuno oggi l’ha detto: “Pesenti faceva le strade, Agnelli ci piazzava le auto”; il modello FIAT insegna e si ripete in scala minore, si usano i soldi della collettività per andare incontro a multinazionali private che delocalizzano e licenziano, alla faccia di precari e disoccupati e di uno stato sociale martoriato. Eppure non solo sembra svanita la richiesta di una copertura economica privata, ma anche gli allarmanti numeri di esuberi e di ricollocamenti, dai vaghi che erano in principio, sono stati ormai confermati.
Resta sempre valido l’augurio di una buona risoluzione delle trattative e di una speranza concreta per le centinaia di lavoratori a rischio, ma resta comunque un certo amaro in bocca quando dal microfono si sente chi ringrazia “i colleghi che continuano a lavorare nonostante la situazione tragica” in un giorno di sciopero.
A quanto sembra, siamo di fronte alla definitiva quadratura del cerchio: istituzioni, sindacati e persino la Curia, con le sue benedizioni, sono tutti dalla parte dei lavoratori. Tra meno di due mesi il closing sarà terminato: vedremo se prima del canto del gallo si tradirà tre volte.