L’anomalia Sapienza e i suoi critici

Penne importanti sono tornate in questi giorni sui fatti dell’ Università la Sapienza.

Ha iniziato Ostellino, con un passaggio
sprezzante
nell’editoriale del
Corriere dello scorso mercoledì. Un
corteo gioioso che ha raccolto
migliaia di
studenti è stato liquidato
come un espisodio inquietante; non un corteo,
ma un
sequestro. A questa
pagina nera Ostellino ha contrapposto la «bella
protesta» contro
Amadinejad promossa dal Riformista e dalla comunità ebraica di Roma.
Ostellino non era presente alla Sapienza nella settimana delle
aggressioni
neofasciste e della manifestazione studentesca e usa una
parola pesante
come un
macigno, sequestro, laddove lo stesso preside
Pescosolido comincia a
vacillare e al
sequestro reale sostituisce l’
espressione insidiosa quanto vacua di
«sequestro
percepito».

È
ridicolo, inoltre, che Ostellino ometta che i fatti della
Sapienza –
nulla a che fare con un sequestro – abbiano ad origine l’autorizzazione
data dal
preside Pescosolido al miglior amico italiano di Amadinejad,
Roberto
Fiore. Proprio
contro questa autorizzazione scellerata si sono
mobilitati gli studenti,
gli stessi
che la mattina di martedì 27 maggio
sono stati aggrediti da una banda di
neo-fascisti di Forza nuova e che,
nei giorni a seguire, si sono
mobilitati per
ribadire inaccettabile la
presenza di Forza nuova all’università e per
chiedere la
liberazione di
Emiliano, studente ingiustamente obbligato agli
arresti. Ma di questo
Ostellino fa finta di non sapere nulla.

Francesco Merlo su la
Repubblica di giovedì scorso ha scritto un articolo,
invece,
assai più
approfondito. Per Merlo tra politica e scienza c’è lo stesso
rapporto
che
intercorre tra l’ortolano e la botanica: la scienza respinge la
politica,
mentre la
politica volgarizza la scienza. È questo il motivo,
secondo Merlo, non
certo il
fatto che Fiore è a capo di una formazione
politica xenofoba e razzista, a
giustificare la revoca dell’
autorizzazione all’iniziativa di Forza nuova
deliberata
dal pro-rettore
Frati. In una parola è doveroso tenere Fiore fuori
dall’università,
così come impedire che Casarini, Veltroni o Berlusconi parlino nelle
aule del
valore-lavoro.
Merlo fa una mossa doppia: respinge Fiore ma,
nello stesso tempo, respinge
il sapere
critico, ridefinendo l’autorità
all’interno delle università italiane.
Sacro è il
sapere trasmesso
dagli specialisti, tutto il resto è politica e la
politica non ha
nulla
a che fare con la scienza.

Invece di qualificare i motivi reali che
hanno
spinto e debbono spingere l’università a rifiutare Roberto Fiore
e Forza
nuova,
Merlo sembra più preoccupato di ribadire l’impoliticità
del sapere, tanto
che gli
studenti che quotidianamente animano
esperimenti di altra-università
nell’università
in crisi, sono, al pari
degli squadristi, definiti «ubriachi che fanno
politica».
Quanto odio
per le nuove generazioni, quanto odio per chi pensa che il
sapere vada
costruito in modo pubblico, critico e aperto! Quanta insensatezza,
inoltre, nel non
riconoscere il rapporto sempre intimo tra politica e
conoscenza: sarebbe
interessante chiarire a Merlo quale ventata di
novità il movimento no-global ha portato negli studi di scienza o di
filosofia
politica, di economia o di antropologia.

Anche il sindaco di
Roma Alemanno, infine, si è dedicato all’università in
questi
giorni.
Alemanno pensa che il problema di tutto siano i collettivi di estrema
sinistra e che la Sapienza sia una “fortezza rossa” inespugnabile.
L’
università, per
quel che riguarda gli studenti, è un luogo aperto,
assai più aperto di
quanto lo
ritiene Merlo, lui sì oppositore di
Alemanno alla Sapienza. Così aperto
che c’è
diritto per tutti i
democratici di parlare e per tutti i democratici di
espriemere
il
proprio dissenso. Il dissenso, si sà, è esercizio democratico: giusto?

di Francesco Raparelli (Dottorando di ricerca, Rete per l’Autoformazione)

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