Due anni per due petardi - Sul processo per l'attacco alla caserma dei vigili di Parma [aggiornato]

“La legge è forte, ma è più forte la necessità” Johann Wolfgang von Goethe

A due anni di distanza lo Stato, con i suoi lunghi tentacoli repressivi, torna ad interferire con la vita di chi ha ritenuto necessaria la pratica dell’azione diretta per esprimere il proprio rifiuto verso l’istituzione, nel caso specifico una caserma dei vigili urbani di Parma. Proprio quei vigili saliti alla ribalta della cronaca per aver picchiato selvaggiamente Emmanuel Bonsu, giovane immigrato ghanese, dopo averlo visto mentre leggeva seduto su un prato. Adesso la repressione torna ad alitare sul collo di Peppe, il quale, senza scendere a patti col nemico, ha deciso di rifiutare la strada del patteggiamento e adesso sono due gli anni di pena comminatigli dalla Corte d’Assise, nella figura dei magistrati Eleonora Fiengo e Gennaro Mastroberardino. Al fianco di questi due diligenti esponenti della magistratura nostrana non mancano sei cittadini, rappresentanti di una giuria popolare dal sapore statunitense, escamotage tornato in auge grazie alla fervida mente del premier Berlusconi, al fine di avvicinare il cittadino alle istituzioni ovverosia rendendolo partecipe del meccanismo repressivo con il ruolo di boia, come se quelli togati non bastassero. Chissà poi chi avrà provato questo “pubblico timore in orario notturno”, visto che nella piazza dove sono esplosi dei banalissimi petardi (materiale esplodente o ordigno sono parole che, dette da un giornalista, hanno sicuramente un impatto più incisivo nei confronti di uomini ormai relegati alla lobotomizzazione mediatica), sicuramente non gli occupanti della caserma stessa, edificio che distava diversi metri dal luogo dello scoppio. Tutto ciò è costato agli accusati mesi di carcere, di isolamento e regimi di sorveglianza speciale, almeno il saperli tutti fuori ci conforta. Lo sappiamo bene, vi sono leggi ed aggravanti per tutto e il diritto, per sua stessa natura, mira alla perpetuazione dello status quo, non può certo concordare con un gesto solidale e dimostrativo finalizzato ad esprimere vicinanza con la vittima del pestaggio e odio verso i repressori. A questi, Peppe non ha voluto elemosinare nulla, nemmeno durante i mesi di prigionia, dove ha sempre fatto sentire la propria voce e ha mantenuto una condotta fiera, nonostante tutto. Come anarchico non ha sentito il bisogno di cercare attenuanti o cavilli legali per alterare la sua posizione, rivendicando apertamente quanto fatto. E se la legge è sì forte, lo è di più la necessità, quella di non scendere a compromessi con i propri aguzzini e soprattutto di combatterli senza sosta.

Alcuni anarchici catanesi
 

Appunto: si precisa che nessuno degli imputati e delle imputate in questo processo ha scelto il patteggiamento

Ven, 04/02/2011 – 22:58
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