Bergamo – Abbiamo cercato più volte di dare voce ai lavoratori e alle lavoratrici delle cooperative sociali, spesso schiacciati da condizioni di lavoro inverosimilmente disastrose (qui e qui alcuni esempi). Il lavoro sociale, ben lungi dall’essere considerato alla stregua di una qualsiasi altra mansione salariata, pur, di fatto, essendolo, comprende in sé delle criticità dovute ai numerosi tagli subiti dal settore, alle continue privatizzazioni, e ai CCNL, tra i più svantaggiosi, firmati dai sindacati maggiori (senza che questi abbiano, nella realtà quotidiana e nella coscienza dei dipendenti, alcuna credibilità e solidità). Le conseguenze di queste criticità si possono poi toccare con mano nel momento in cui ci si fa una chiacchierata con chi lavora in servizi come le comunità, i centri diurni, i centri aggregativi, ma anche le scuole, e così via: parlare con questi lavoratori e queste lavoratrici e farsi raccontare le loro storie sul posto di lavoro rende reale il macabro scenario di un’occupazione misconosciuta e di un welfare sempre più smantellato.
Gli educatori e le educatrici troppo spesso rimangono nell’ombra: abbiamo visto come, per esempio, manchi a volte addirittura la consapevolezza delle loro condizioni di lavoro da parte delle famiglie degli utenti, ovvero le dirette interessate ai servizi di assistenza alla persona forniti delle cooperative. Per uscire da questo stato di silenzio e inconsapevolezza, i lavoratori e le lavoratrici del terzo settore a Bergamo, come successo precedentemente in tante altre città italiane, hanno deciso negli ultimi anni di unire le forze e creare dei comitati proprio per definire, nero su bianco, le problematiche legate al proprio lavoro e cercare di mobilitarsi, insieme, per dei miglioramenti reali delle proprie condizioni. Un primo passo verso quello che potrebbe essere un orizzonte nuovo e più luminoso per dei lavoratori e delle lavoratrici che, per condizioni intrinseche alla loro stessa attività (come l’alta ricattabilità, sia contrattuale che in termini di “senso di colpa” imposto dallo stesso lavoro sociale, cioè a contatto con persone affette da fragilità), hanno sempre avuto delle difficoltà ad organizzarsi e a far sentire la propria voce, come invece, fortunatamente, riesce a succedere più spesso in altri luoghi di lavoro.
Il Comitato Educatori provincia di Bergamo è nato, per esempio, durante lo scoppio della pandemia che ha piegato l’Italia e, come sappiamo, Bergamo forse in particolar modo. In un periodo storico durante il quale i lavoratori e le lavoratrici del terzo settore sono divenuti d’un tratto pubblicamente indispensabili ( poiché anche in piena emergenza sanitaria i soggetti più deboli continuano, ovviamente, e anche più del normale, ad avere la necessità di essere assistiti), questi stessi lavoratori a Bergamo hanno percepito ancora di più l’esigenza di vivere l’esperienza di riunirsi, parlare e conoscersi, seppur limitatamente attraverso delle piattaforme online, per ovvi motivi. E così diversi educatori ed educatrici facenti parte di varie cooperative della bergamasca hanno deciso di dare vita a un Comitato in occasione dello sciopero nazionale di categoria avvenuto il 13 novembre 2020. Un Comitato ancora in erba, ma già con delle idee ben precise riguardo alcuni degli obbiettivi da raggiungere, come si legge nel loro comunicato di presentazione, visibile nelle foto qui sotto.
Le problematiche maggiori riscontrate da questo Comitato, composto per la maggior parte, ma non solo, da lavoratori e lavoratrici dell’assistenza scolastica, sono fondamentalmente due: la mancata retribuzione nei mesi estivi di chiusura dei plessi scolastici e, ancora, la mancata retribuzione nel momento in cui il minore seguito risulti assente da scuola. La richiesta di un riconoscimento professionale che dovrebbe essere ovviamente dovuto, sia in termini di stipendio che di diritti, fa capire quanto questi lavoratori e queste lavoratrici abbiano dovuto operare inascoltati negli anni.
Anche il comitato degli Educatori in Movimento, sempre di Bergamo, ha sottolineato l’importanza fondamentale del ruolo giocato dagli educatori e dalle educatrici all’interno del contesto scolastico, importanza non valorizzata, prima e soprattutto durante l’emergenza sanitaria, un periodo che ha amplificato difficoltà già esistenti come, ancora, le ore di assenza dell’utente non retribuite, i rimborsi spese non erogati quando ci si sposta con i propri mezzi da un domicilio all’altro per fare visita agli utenti. Qui sotto il loro primo volantino.
L’assistenza educativa a scuola sembra essere uno dei terreni più critici e per questo uno dei percorsi più percorribili dal comitato, data la precarietà che questo lavoro comporta: oltre alla già ribadita assenza del minore non retribuita, la mancanza di uno stipendio durante i periodi di sospensione scolastica, una richiesta (o, per meglio dire, malcelata imposizione) di un’esagerata flessibilità di orario lavorativo, il fatto che un servizio essenziale risulti essere in mano ad enti privati e non venga internalizzato sono tutti punti che contribuiscono a creare l’inevitabile malcontento e presa di coscienza e posizione da parte dei lavoratori che con questi due comitati stanno iniziando a fare sentire la propria voce.
I due comitati, uniti da una comunione d’intenti, sono la dimostrazione stessa che una lotta sul lavoro nel settore del lavoro educativo è possibile, complici tutte quelle che in Italia sono già avvenute e continuano ad avvenire (durante lo sciopero dello scorso 11 ottobre, per esempio, educatori ed educatrici sono scesi in piazza e hanno incrociato le braccia a Milano). Per un lavoro dignitoso, come giusto che sia.