Ancora sulla manifestazione di Vicenza
Riceviamo e pubblichiamo
È evidente l'importanza di lottare contro la costruzione a Vicenza della più grande base nordamericana fuori dai confini USA. È evidente anche che, nonostante le questioni enormi legate a questa base, tanto per dire le guerre e l'arroganza dei potenti nel continuare a imporre manu militari un governo su un mondo che hanno mandato in sfacelo, l'impegno dei compagni in questa lotta non dimostra una adeguata attenzione.
Forse alcuni stanno aspettando per scaldarsi quando i tempi si faranno più duri, forse la forte presenza dei disobbedienti toglie fiducia nelle possibilità di una lotta sincera, seria, forse i vicentini dei comitati non mostrano grande apertura verso pratiche più decise, forse il continuare a sfilare lontano dall'aeroporto Dal Molin lascia intendere che è insufficiente la determinazione di questo movimento. Non è poi da sottovalutare il segno che può dare alla lotta una composizione prevalentemente borghese delle persone che partecipano ai comitati vicentini. Detto questo rimane che la partecipazione dei compagni è scarsa e certamente arrivare al corteo del 17 dicembre con una buona proposta come quella che potremo chiamare la svolta, cioè deviare verso i terreni sui quali vogliono costruire la base e occuparli, senza un buon impegno precedente non poteva che rimanere un tentativo. Un tentativo comunque da non sottovalutare perché, pur considerando i limiti appena sottolineati, ha rappresentato un momento di apertura verso altre possibilità e di presa di distanza dalla miseria delle proposte messe in campo.
Di fronte a una posta in gioco così importante, come impedire questa operazione di prepotenza e di guerra, l'obiettivo di una moratoria è una spaventosa presa per i fondelli. Non si vogliono i politici di professione nei comitati e nei cortei e poi si punta su una ridicolizzante richiesta di moratoria. Quel tentativo rientrato ha certamente per tanti rappresentato l'apertura di un importante spiraglio per pratiche più incisive e il fatto che in tanti abbiano provato a seguirci fermati dai cordoni del servizio d'ordine lo dimostra.
Negli interventi precedenti si è parlato delle mancanze organizzative, della posizione nel corteo di chi aveva fatto la proposta attraverso volantinaggi, del tirarsi indietro di alcuni vicentini che sembravano in un primo momento aver aderito alla proposta di partire verso il Dal Molin, della rinuncia a proseguire determinata dalla mancanza di una partecipazione significativa di vicentini, della rabbia dei disobbedienti davanti al rischio che ci fossero condotte differenti da quelle decise da loro e di altre importanti questioni che richiedono di essere affrontate con calma e profondità. Ma, prima di tutto, pensiamo sia importante chiederci se questa lotta fa vibrare le nostre corde ribelli e se può essere un terreno in cui praticare la nostra capacità di andare alla radice delle cause delle nefandezze di un sistema che ci opprime con la sua brutalità e le sue insopportabili nocività.
L'ultimo tratto del corteo l'abbiamo fatto in compagnia di una coppia di vicentini del presidio permanente che non hanno accolto male il nostro tentativo pur sostenendo l'importanza di non farsi prendere dalla fretta perché la lotta sarà molto lunga e sfiancante.
C'è allora da chiedersi perchè sfilare dietro allo slogan se non ora quando? e se non sono proprio l'attendismo e i falsi obiettivi quelli che contengono il rischio di sfinire e sfiduciare la gente (come si è detto a questo corteo ha partecipato un terzo delle persone presenti a febbraio scorso)-
Vogliamo ricordare, in chiusura di queste poche e parziali annotazioni al corteo, che la lotta No Dal Molin non è una questione vicentina. E questo vale per gli abitanti di quei luoghi ma anche per noi.
Un contributo da Bologna
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